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Autore: kurojulia_    11/10/2019    1 recensioni
«Me ne stavo lì, in piedi... e poi mi dissi: ma che stavo facendo? Per me, era tutto finito. Quindi... che stavo facendo? Perché provavo a fare qualcosa? Perché continuavo, testardamente, a cercare una soluzione per... salvarmi? Mi coprii il viso con le mani. Volevo piangere, ma non una sola lacrima varcava i miei occhi. “Non fermarti”. Così udii alle mie spalle. Una voce, femminile, dolce, vellutata. Quando la sentii, iniziai a piangere senza nemmeno rendermene conto. Mi voltai di scatto, ma qualcosa mi spinse e caddi oltre la porta, in quel buio senza fondo. L'ultima cosa che vidi fu un bagliore dorato».
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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02.





Takeshi tamburellava le dita sul bracciolo del divano da più di mezz'ora. Se avesse continuato, avrebbe finito per rovinarlo.

Vabbene, vabbene così, pensò ad un certo punto, stanno tornando. Non c'è niente di cui preoccuparsi.

 

Takeshi fermò il gesto della mano e la chiuse in un pugno. Era vero. In parte, ciò che la psicologa aveva detto era vero; dagli avvenimenti di quattro anni fa lui era diventato molto più paranoico, molto più ansioso. Si preoccupava quando trovava la casa vuota o quando i ragazzi facevano ritardo. Questi erano solo alcuni degli esempi più banali. Ma aveva cercato di non darlo a vedere, sfruttando tutte le sue risorse, perché non voleva accettare le osservazioni di quella donna.

Erano troppo dolorose.

 

 

 

***

 

 


«Ciao, Takeshi».

 

Takeshi non rispose subito al suo saluto. Scostò la sedia di fronte alla scrivania della donna e vi si sedette, silenzioso come un'ombra. Accavallò la gamba sul ginocchio dell'altra e lentamente guardò verso la donna di fronte a lui.
Dall'altra parte della scrivania, sedeva su una grande poltrona una raffinata signora giapponese; si chiamava Satomi Kimura, aveva i capelli scuri raccolti in una coda di cavallo, e gli occhi grigi erano grandi ed espressivi. Il piccolo viso era puntellato da qualche ruga, specialmente intorno alla bocca rossa.
Takeshi aveva notato che metteva poco trucco, ma il rossetto rosso non mancava mai.

 

«Salve», rispose lui, dopo qualche istante di silenzio.

«Sembra tu sia arrivato un po' in anticipo rispetto all'altra volta».

«Non avevo di meglio da fare. E poi, sapevo che a mia madre avrebbe fatto piacere».

Satomi sorrise. «Come stai?».

«Sto bene», rispose Takeshi, ricambiando il sorriso. «E lei, come sta?».

«Anch'io sto bene, ti ringrazio». Satomi chiuse gli occhi. Sembrò riflettere attentamente su qualcosa per qualche secondo e infine, dopo aver rielaborato, aprì gli occhi sul ragazzo di fronte a lei. «Fai ancora lo stesso sogno?».

«Ogni tanto sì».

«Ed è sempre uguale, immagino».

«Non cambia mai niente».

«Ogni volta, sogni sempre la tua fidanzata».

Le labbra gli tremarono. Takeshi chiuse la bocca, sperando non fosse apparso troppo palese. «Già... ».

«Lo stesso giorno di sempre. La stessa serie di eventi. Gli stessi vampiri e demoni. E lei che muore di fronte ai tuoi occhi».

Lui non rispose, stavolta.

«Perché tu sei debole e impotente».

 

Takeshi deglutì. Si alzò dalla sedia, quasi rovesciandola. Voleva mettersi a gridare, con tutta la voce che aveva in corpo, ma dalla sua gola non usciva una sillaba.
Satomi scostò la poltrona e si mise in piedi anche lei. Le mani si appoggiarono sulla superficie della scrivania e gli occhi si tinsero di nero. Come quelli di quell'uomo. «Non hai fatto niente per salvarla, anzi: hai fermato Tetsuya mentre cercava di aiutarla. Lui ha tentato qualcosa mentre tu non hai fatto altro che guardarla morire. Non hai nemmeno pianto come Sayumi. Sei rimasto lì come un allocco a guardarla, a fissarla, e alla fine, come volevasi dimostrare... come noi tutti sapevamo... e come tu sapevi che, prima o poi, a lungo andare, sarebbe successo... ».

Takeshi sentì la terra mancargli sotto i piedi.

«... alla fine, lei è sparita. Per sempre».

 

 

 

***

 

 

 

«... shi! Takeshi!».

 

Annaspando, il bruno spalancò gli occhi. Si era addormentato – ma quando era successo? – e aveva fatto un brutto sogno, diverso dal solito. Si era agitato parecchio, al punto tale da lasciare segni sul cuscino del divano e sul bracciolo.

Si tirò a sedere, a fatica, staccando le mani dal divano. Si passò le dita fra i capelli e respirò profondamente.

 

«Tutto okay?». Udendo una voce femminile, Takeshi si voltò svelto.

Per un istante, aveva pensato fosse Yuki. Invece, dietro allo schienale, con un espressione dolcemente preoccupata, c'era Sayumi Ichinomiya, la sua amica più cara. La ragazza si era appoggiata con gli avambracci sul bordo, forse per fare uno scherzetto all'amico assopito, forse per controllare che stesse facendo. E invece se lo era ritrovato agitato e ansante – aveva subito cercato di svegliarlo. «Hai avuto un incubo?».

«Sì», rispose Takeshi, riconquistando la calma, poi sorrise. «Ho sognato che ti eri mangiata l'ultimo budino. Il mio, budino».

Sayumi ridacchiò – ovviamente, lei sapeva benissimo che non aveva sognato niente del genere.

 

Con il passare di quegli anni, Sayumi era diventata bella come un fiore, sembrava essere letteralmente sbocciata; i capelli erano ancora rosa, ancora un po' arruffati, ma molto più lunghi, fin sotto il petto; gli occhi, grandi e affettuosi e azzurri, orlati da folte ciglia nere, e la bocca carnosa che cercava sempre di sorridere. Sebbene, all'inizio, fosse stato molto difficile per lei.
Come Takeshi e Tetsuya, anche lei aveva vissuto un'esperienza al di fuori dell'ordinario. Tutti e tre erano stati segnati dal corso degli eventi e, a modo suo, Sayumi aveva cercato di crescere, di crescere il più in fretta possibile.

Durante l'ultimo anno di liceo, aveva cominciato a studiare erboristeria. Soprattutto perché voleva essere in grado di aiutare e proteggere anche lei. Lei era agile, veloce e in grado di adattarsi e sopravvivere dappertutto. Ma non le bastava. Non le era bastato per niente, quella volta, nell'auditorium.

E così, si era obbligata a diventata una donna. «Siamo tornati poco fa. Tetsuya è salito un attimo per darsi una rinfrescata, poi potremo parlare tranquillamente».

«Ah, davvero? Allora aspetteremo il principino, immagino», rispose Takeshi, ridacchiando mentre si alzava. Lanciò un'occhiata alla sua amica, per un attimo, mentre lei giocherellava con la treccia rosa sul petto – ad occhio e croce sembrava star bene.

«Oh, bel lavoro stamani. Hai preso tutto quello che ti ho chiesto!», disse lei, ad un certo punto.

«Stamani... », Takeshi annuì. «Stamani è successa una cosa, a dir il vero».

«Che cosa?», chiese Sayumi. «Non sarai stato attaccato da qualche animale?».

«No, niente dal genere», lui si fermò a pensarci su. «Ma penso che, se quell'uomo li avesse spaventati un po' di più, sarebbe potuto accadere». Takeshi si sedette al tavolo della cucina, alla sinistra del capotavola: il suo solito posto.

«Quale uomo?». Tetsuya apparve dalle scale, con un tono interrogativo quanto preoccupato. Si avvicinò a Sayumi, accarezzandole la schiena, e poi tutti e due emularono il gesto di Takeshi.

 

Quando dovevano parlare di qualcosa, si sedevano sempre lì, tutti e tre. Sapevano che anche lei avrebbe fatto lo stesso e questo li intristiva, in parte. Sotto la calda luce del lampadario – che faceva atmosfera da interrogatorio – il vampiro, seduto a capotavola, si voltò verso Takeshi. «Non sono un principino».

«Ah, mi hai sentito?», fece l'altro, sogghignando. «Non si origliano le conversazioni. Nemmeno dal bagno del piano di sopra, per inciso».

«Touché».

«Allora», Sayumi appoggiò i palmi sul tavolo, intrecciando le dita fra loro. «Per quanto sia bello vedere i vostri teatrini, abbiamo qualcosa di importante di cui discutere. Dico bene?».

Tetsuya annuì. «Sì, dici bene», incrociò le braccia al petto. «Come ben sai, Take, la polizia giù al villaggio mi chiede una mano, di tanto in tanto».

 

Certo, Takeshi lo sapeva bene. Era tutto cominciato poco dopo il loro arrivo nel villaggio. Tutti e tre avevano deciso di fare un giro “turistico” e conoscere bene l'ambiente in cui avrebbero vissuto da quel momento in poi; così, sotto un cielo stellato, avevano visitato buona parte del villaggio, cercando di distrarsi e di godersi quel nuovo ambiente – questo almeno fino a quando non assistettero ad un omicidio.
Anzi, per essere più precisi, Tetsuya si era imbattuto – quando si era allontanato dagli amici, dopo aver sentito voci e discorsi sospetti – nell'assassino, che gli stava correndo incontro in un vicolo buio, con il volto coperto da un passamontagna e un coltello insanguinato alla mano.

Il vampiro non aveva esitato un attimo: l'aveva afferrato per il braccio e l'aveva lanciato a terra come un sacco di patate, facendogli perdere i sensi all'istante.

Poco dopo era arrivata la polizia del villaggio. Tetsuya non aveva nessuna voglia di averci a che fare, francamente. Tuttavia, emerse che l'assassino aveva un complice e che il cadavere della vittima non era ancora stato trovato, e lui forse poteva aiutarli.

Il vampiro era velocemente diventato una risorsa per quel caso. Che poi aveva, in sostanza, risolto lui.
Per questa vicenda, quando non riuscivano a cavare un ragno dal buco, la polizia gli chiedeva un parere – e così era stato quella mattina.

 

«Io e Sayumi avevamo visto un po' di scompiglio al mercato. C'era parecchia gente. Ci siamo incuriositi e abbiamo cercato di vedere cosa stava succedendo. Ebbene, c'è stato il rapimento di due bambine, appena mezz'ora prima. Ed è successo tutto in pieno giorno».

«Sono state rapite due bambine?», ripeté il bruno, sconcertato.

«È stato terribile», mormorò Sayumi. «I genitori erano sconvolti. Siamo subiti corsi alla centrale per sapere se potevamo aiutare. E non è tutto». La ragazza guardò verso Tetsuya. «Probabilmente non si tratta di un umano».

Takeshi restò immobile, la bocca schiusa. Non si trattava di un essere umano?

«Cosa ve lo fa pensare?», disse il bruno. «Avete notato qualcosa di particolare?».

«Non ho prove per poterlo confermare, ma», Tetsuya socchiuse le palpebre, come se stesse cercando di mettere a fuoco qualcosa di fronte a lui. «ci sono alcune cose che mi fanno dubitare si sia trattato di un umano; prima di tutto, a quanto dice la polizia, le bambine erano con i genitori e non si sono allontanate nemmeno per un istante. La madre ha detto che stavano camminando verso la tavola calda e teneva per mano la figlia maggiore che, a sua volta, teneva la mano alla sorellina».

«Poi, ad un certo punto, la madre e il padre hanno sentito una forte folata di vento dietro di loro e un rumore molto molto basso», continuò Sayumi. «E quando si sono girati, le bambine erano già sparite».

«Quindi», disse Takeshi. «tutto è accaduto nel giro di un secondo, alla luce del giorno?».

«Senza che nessuno se ne accorgesse».

Il bruno capiva bene perché i suoi amici pensassero ad una creatura soprannaturale. «A meno che non si tratti di un genio del rapimento... ». Sollevò lo sguardo, ricordando l'episodio che aveva vissuto quella stessa mattina. «Ora che ci penso, credo di averne incontrato uno, oggi», esclamò. «All'entrata della foresta. Non saprei con esattezza, ma mi sembrava un vampiro».

«Che cosa hai detto?!», Tetsuya lo fulminò con il freddo ametista dei suoi occhi. «E ce lo dici solo ora?!».

Takeshi si ritrasse istintivamente, facendo una smorfia con la bocca. «E quando avrei potuto dirvelo? Ci siamo incontrati solo adesso».

Tetsuya sospirò, esasperato, mentre Sayumi sembrava già sul punto di agitarsi. «E stai bene? Ti ha fatto qualcosa?».

«Sto bene, abbiamo solo parlato», la rassicurò l'altro. «Però potrebbe essere lui il rapitore».

 

Il problema era che nessuno dei tre aveva più incontrato un vampiro o un demone, facendo esclusione per Ai e il personale di casa Akawa. Specialmente Tetsuya, che si era tenuto alla larga il più possibile dal mondo esterno.
Takeshi, Sayumi e Tetsuya si scambiarono delle occhiate. Forse era passato molto tempo, ma il loro fiuto per demoni e vampiri non si era indebolito, nossignore. Erano ancora in grado di capire quando di fronte a loro c'era un umano... o una creatura notturna.

 

 

 

***

 

 

 

«Signorina Akawa! Buonasera!».

 

Ai Akawa si fermò in mezzo al corridoio e si voltò. Ci mancò poco che schiaffeggiasse il viso dell'ancella con la lunga chioma rossa.

«Oh! Scusami!», esclamò Ai.

L'ancella di fronte a lei e le altre due che l'avevano seguita a ruota – non appena avevano saputo che Ai era arrivata – si profusero in scuse e in ringraziamenti. Non lo facevano per ottenere qualcosa. Era solo che adoravano la giovane Akawa. Loro tre e praticamente tutta la servitù che si occupava di tenere igienicamente in piedi l'edificio del Consiglio. Ai, dal canto suo, si era comportata in modo “normale”; era stata gentile, ben disposta, e si era sempre prestata alla servitù, qualora servisse qualche aiuto. Era anche successo che una cameriera avesse disperato bisogno di sangue per la figlioletta e la mezzosangue aveva ceduto il suo senza il minimo tentennamento.

E poi, era il ritratto sputato di Kazumi Akawa, altrettanto ben voluta.
Specialmente adesso che era cresciuta ed era diventata adolescente – sulle spalle portava quindici anni e tanti altri pesi – e teneva i capelli lunghi e lisci, lo sguardo si era addolcito e il viso maturato, le assomigliava tantissimo. Assomigliava molto anche a Yuki, a quanto dicevano, per alcuni atteggiamenti; ma al contrario della sorella maggiore, Ai aveva molto più sangue freddo e non soccombeva facilmente al sangue demoniaco.

 

«Questa riunione si tiene parecchio tardi», esordì una delle tre cameriere. «Deve essere stanca. Rammenta di riposare durante la giornata, signorina?».

Ai ridacchiò, annuendo un paio di volte. «Sì, sì. Mi sto riposando a dovere».

«Dice davvero?».

«Due affermazioni equivalgono a negazione!».

«Vi giuro che non è cos... ».

«Lo so!», esclamò la più grande. «Le porteremo del tè caldo e dei pasticcini. Così, almeno, avrà lo stomaco pieno».

Ai avrebbe voluto ribattere, perché stava bene e non aveva bisogno di niente, ma di fronte a tutta quella voglia di aiutare non se la sentì. Sorrise, chiudendo le palpebre con rassegnazione. «E vabbene. Lo aspetterò con molta ansia, allora». Poi la ragazza guardò l'ora all'orologio da polso e si mobilitò. «Cavolo. È già tardi», borbottò, rivolgendosi in seguito alle tre ancelle. «Devo scappare. Fate le brave, okay?».

 

Si divise dalle tre donne e si diresse verso la sala delle riunioni. A quest'ora, in teoria, dovevano essere arrivati tutti i membri, probabilmente mancava solo lei – mancava solo “Akawa”.

Colei che ne faceva le veci, per lo meno.

Ai arrivò di fronte alla porta, già socchiusa. A conti fatti, di chi è che stava facendo le veci? Di sua sorella? – che a sua volta le stava facendo ad Oseroth Akawa? Sembrava una barzelletta. O una spirale di morte...

«Ai?».

 

Ai sollevò gli occhi dorati. Per un attimo si era persa nei pensieri. Tachibana aveva aperto parzialmente la porta, lasciando passare un fascio di luce gialla sul parquet del corridoio.

«Stai bene?», disse l'uomo, corrucciando le sopracciglia.

Ai guardò il viso di Tachibana. Vedere un viso familiare come il suo, di un vampiro che conosceva sin da piccola, era confortante, tanto da generarle calore nel petto.

Lei annuì lentamente, stringendo tra le dita la stoffa della gonna. «Sì, certo. Mi ero solo incantata un secondo, tutto qui».

«Se è così che stanno le cose... », mormorò il vampiro. Sembrava sul punto di aggiungere qualcosa, il suo sguardo indugiava sulla mezzosangue. Si guardò alle spalle, dando un'occhiata rapida agli altri membri del Consiglio impegnati a parlare tra di loro. Allora il vampiro fece un passo in avanti, appannando la porta alle sue spalle. «Senti... lo so che a te piace fare tutto da sola e che piuttosto che chiedere aiuto ti taglieresti la lingua, ma... è davvero pesante quello che stai facendo, soprattutto per la tua età. Cerca di ricordarlo. Quindi, se avessi bisogno di aiuto, di qualsiasi cosa, non esitare a venire da me».

Ai schiuse le labbra. Osservò il vampiro di fronte a lei, sbatté le ciglia. «Grazie, ma io... », lei non aveva bisogno di niente. «Ti farò sapere, se avrò bisogno di qualcosa. Grazie, in ogni caso». Ai sorrise. Sperava che bastasse a tenerlo buono.

Tachibana le fece un cenno col capo, breve, ma eloquente. «Inoltre, il Presidente vuole parlare con te. Mi ha chiesto di avvisarti non appena fossi arrivata».

«Il Presidente?».

«È nel suo ufficio».

Ai tentennò, non le andava affatto, ma non aveva scelta. Asserì con il capo e mosse i piedi per dirigersi verso l'ufficio del Presidente, quando si sentì afferrare gentilmente il polso. La presa non era salda, ma sembrava voler comunicare... qualcosa. «Ai», bisbigliò il vampiro. «Stai attenta».

Ma la mezzosangue dai capelli rossi non aveva paura. Era solo assonnata. «Non ti preoccupare. Me la caverò».

 

 

 

 

 

 

 

NOTA:

Olè! Salve! Come avrete potuto notare, ho cambiato metodo di pubblicazione (soprattutto grazie al suggerimento della mia specialissima kohai :> ), dunque adesso pubblicherò un capitolo a settimana. Tra le motivazioni, c'è il fatto che presto o tardi un po' di novità si affacceranno nella mia vita, e non voglio rischiare di fare promesse che non posso mantenere.

Detto questo! Nel secondo capitolo di questo terzo atto approfondiamo un po' il lato psicologico dei nostri ragazzacci. Piccoli bambini speciali. Oltre a questo, il villaggio che è diventato la loro nuova casa non è poi tanto quieto e pacifico come può sembrare. D'altronde... quale nascondiglio migliore di un piccolo e remoto villaggio per un vampiro o un demone?

In ogni caso, spero che lo svolgimento dei fatti vi stia piacendo. Ci rivediamo al prossimo giovedì!!

   
 
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