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Autore: greenlove    12/10/2019    0 recensioni
Le luci che mi abbagliano.
Il rumore di uno schianto
Vetri che si rompono
E poi sangue e urla che squarciano la notte.
Iris D'Orsay era una scrittrice affermata, autrice di grandi racconti tra cui la spettrale e tetra Gotham, scenario delle innumerevoli episodi con protagonisti Batman e, la sua nemesi, Joker.
Purtroppo un grande trauma la stravolge. Sceglie di accantonare la sua passione , la scrittura, preferendo una vita monotona, neutra. Per riportarla sulla retta via, la sua "immaginazione" che ha dato vita alle sue opere la mette alla prova, portandola a confrontarsi con i suoi personaggi in carne ed ossa: Batman e Joker.
Genere: Azione, Drammatico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Batman, Joker, Nuovo personaggio
Note: AU, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate
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I didn't deserve happiness
 

QUATTRO ANNI PRIMA (18 agosto 2015, New York City)

“Iris D’Orsay, o meglio conosciuta con lo pseudonimo Blue Moore, la  scrittrice dalla cui penna ha dato vitaa diversi personaggi e luoghi di fantasia più di quindici anni fa, tra cui la spettrale e tetra Gotham, scenario delle innumerevoli episodi  con protagonisti Batman e, la sua nemesi, Joker. Ora la signora D’Orsay ha da poco firmato le carte del divorzio da suo marito Bob Carter, con cui era sposata da dieci anni. La causa della rottura si presuppone sia iniziata già l’anno scorso a causa del brutale incidente che…”

Premetti con violenza il grande pulsante rosso presente sulla parte alta e centrale del telecomando della tv, per oscurare le immagini che mi ritraevano, mentre uscivo dall’ufficio del mio avvocato divorzista.
Erano ormai le otto di sera. Gli operatori del trasloco avevano da un paio di ore finito di scaricare nel mio appartamento di New York City, in pieno centro di Manhattan, i vari scatoloni che contenevano gli ultimi oggetti e apparecchi: libri, quadri, foto incorniciate, anche piatti e bicchieri, vari soprammobili.
Appena arrivata un ‘ora fa con un aereo da Los Angeles, ero entrata nell’appartamento, lasciai le chiavi sull’isola della cucina, mi avviai in salotto, aprii la grande vetrata della terrazza per far entrare l’aria calda e umida di una notte qualunque d’agosto. Andai al centro del salotto davanti al divano bianco in pelle, inspirai a pieni polmoni l’odore di quella dimora non vissuta e grezza, e mi buttai sui morbidi cuscini imbottiti. Rimasi distesa ad inspirare ed espirare sul divano per una buona mezz’ora, senza muovere un muscolo, ascoltando il mio respiro e i rumori di una città che non mi apparteneva, vuota. Guardavo il soffitto, pensavo, anzi no, non pensavo a nulla in particolare, mi rilassavo e aspettavo che qualcosa accadesse, che la mia vita cambiasse direzione … ma che cazzate, la vita non è un libro in cui c’è il cambio di scena, se la vita è una merda lo è punto. Dovrei saperlo essendo scrittrice con appunto una vita che continuava a scendere nel vuoto, giù fino in fondo, nel cestino della mia esistenza. Spero solo che quelli dei rifiuti vengano a prendere l’umido se no comincio a decompormi.
Anche come scrittrice faccio pena.
Credevo di star bene nel silenzio plumbeo della mia casa, mi si addiceva ed era giusto così.

La mia carriera di scrittrice era iniziata circa dieci anni prima. Dopo gli studi di economia per volere di mio padre, ripresi le redini della mia vita cambiando le carte in tavola e ripresi la scrittura creativa l’unica via di fuga per altri mondi. Grazie alla scrittura potevo ricreare con le parole luoghi che abitavano la mia fantasia, senza limitazioni e oppressioni che invece la realtà rappresentava. Mondi come Gotham, una città perennemente schiacciata dal braccio del male, ma sarebbe risorta grazie alla buona volontà di un valoroso cittadino, un guerriero, un cavaliere oscuro che muovendosi nell’ombra poteva aprire spiragli per una nuova luce.
Volevo rischiare, fare la rivoluzione. Forse è stato questo che mi ha dato l’impulso di cominciare questa storia, che mi ha portato a viverla anche in prima persona! Potrò risultare una pazza ma veramente è successo, però magari lo racconterò un’altra volta quando perderò anche l’ultima cosa che possiedo: la ragione.
In quel momento dopo aver spento il notiziario le emozioni che vorticavano nella mia testa si fecero strada lungo tutto il mio corpo.

Le luci che mi abbagliano.
Il rumore di uno schianto
Vetri che si rompono
E poi sangue e urla che squarciano la notte.

 Mi serviva più ossigeno, le pulsazioni del cuore aumentavano, la gola cominciava ad emettere suoni gutturali, singhiozzi, gocce di acqua salata uscivano dai miei occhi ininterrottamente. Ormai il mio corpo non rispondeva ai comandi, ero una foglia mossa da un vento che non si sarebbe fermato finché non l’avrebbe staccata da quel ramo sottile. “Perché ho fatto scivolare via tutto dalle mie mani?” mi ripetevo. Una domanda che mai avrebbe trovato risposta.
Per non perdere le poche briciole della ragione che mi teneva ancora attaccata a questa terra, dovevo programmare d’accapo la mia quotidianità, evitando passi falsi. Avrei continuato negli anni avvenire a condurre una vita monotona con un lavoro tedioso, senza interferire nelle vite altrui e far male agli altri. Non meritavo la felicità.
*
PRESENTE (2 ottobre 2019, New York City)

Così fu. Una vita monotona come la volevo.
Vivo per inerzia, non ho obbiettivi o speranze, e mi sta bene perché ho meno gatte da pelare.
Ho riscritto la mia routine. Mi sveglio ogni mattina alle sei del mattino, mezz’oretta di corsetta a Central Park, tanto per fare un po’ di moto. Ritorno a casa per una doccia e un bicchiere di caffè nero. Alle otto comincio lavoro come contabile in un’impresa di scarpe. Basta libri, ora solo scarpe e numeri, che non ho mai amato. Mi ero rifugiata nella scrittura per scappare dalla matematica ed economia che studiavo a scuola, ma ora è l’opposto. Preferisco una calcolatrice e un computer, che la penna e un foglio.

Poi finito lavoro di solito vado a cena con i miei colleghi, parliamo di lavoro o degli ultimi gossip del momento. Infine, quando torno nel mio appartamento mi infilo velocemente sotto le coperte, aspettando che l’oscurità della notte si diradi per lasciare spazio ad un nuovo mattino uguale al precedente. 
Proprio in questo momento sto percorrendo le strade del mio quartiere che mi conducono a casa accompagnata dalla mia collega e amica Martina Bevilacqua, un’italiana doc ed una pettegola a tutti gli effetti, ma simpatica e cordiale, dal modo di fare molto socievole che ti mette a tuo agio. Ha voluto accompagnarmi a casa dopo la cena di lavoro perché doveva raccontarmi l’ultima novità arrivata sulla bocca di tutti tra gli uffici della nostra azienda.
“Il nostro signor capo, Michael Johns, quel gran pezzo di legno con un buco di trapano al posto del cervello ha avuto la brillante idea di portarsi la sua amante nel suo ufficio privato. Sai no quella che indossa i vestiti tutti floreali e corti che mettono sempre in risalto le chiappette stitiche che si ritrova !! Beh da quello che so se le sbattuta sulla scrivania ok ??! La povera Mary, la signora delle pulizie, ha provato prove ecclatanti dell’accaduto e …”
Non volevo sentire oltre: “Fermati subito, non voglio sentire oltre. Posso immaginarlo anche da sola tesoro, grazie. Ora non guarderò più il capo con gli stessi occhi.” Scuoto ripetutamente la testa per spazzare via le immagini poco caste dei due.
“E come volevi guardarlo il nostro capo scusa ?! Già con i pochi capelli che si ritrova non va bene neanche come spazzola per pulire le incrostazioni delle padelle per la frittura bleah” mi fa notare la mia amica “e poi dovresti essere meno puritana tesoro. Hai ormai quasi quarant’anni, delle gambe che ‘Jennifer Lopez scansati che ti faccio vedere io come vesto Jungle dress’, una chioma di capelli neri che il tempo non ne risente da quanto sono lucenti, e un paio di occhi azzurri sempre in tempesta, che aspettano un marinaio solitario che approdi” mi canzona Martina, prendendomi il viso tra le sue mani a coppa.
Sciolgo la sua presa e la guardo di rimando: “Smettila con queste cafonate e andiamo a casa che domani ho altre centomilacinquecentoquarantadue fatture da registrare”. Provo a darle le spalle e continuare per la mia strada ma mi prende il braccio e mi obbliga fronteggiarla di nuovo: “Devi di fare sempre la vittima e continuare a costruire mattoncino dopo mattoncino questo muro di indifferenza per quanto tempo ancora? Non capisci ti fai solo del male? Perché non riprendi la tua vita di prima ricominciando a scrivere?”
“Lo vuoi capire che la mia vita non esiste più” le urlai di rimando “tutto ciò che avevo costruito è finito per sgretolarsi  e trasmodarsi in polvere. E’ tutto finito. Dall’oblio non si sfugge.” Finii la frase in un flebile sussurro.
“Questa non sei tu! Non sei la scrittrice che ha fatto sognare milioni di scrittori con le sue avventure su Gotham, colme di speranza e di rivalsa. Tu sei molto di più di quello che credi, purtroppo non riesci neanche distinguere tu stessa chi sei davvero. Ti servirebbe una spinta magari.” Mi ammonì la rossa dalla folta chioma riccia. Aveva sempre questo suo lato guerriero e spavaldo contro le cose che trovava ingiuste, ed era sempre al primo posto per combatterle e l’ammiravo per questo, sapevo che mi voleva bene ed era sincera.
“Forse un giorno riuscirò ad innalzarmi dalla rupe dei re” le rivolsi un accenno di sorriso per rassicurarla. “Ed io sarò in prima fila per sostenerti” mi disse felice e mi racchiuse in un abbraccio caloroso e saltellando per l’euforia, che mi fece scappare una risata leggera.

Arrivo finalmente davanti la porta d’entrata del mio condominio e saluto la mia amica con un bacio sulla guancia. Dopo un paio di rampe di scale, arrivo al mio appartamento ed entro. Perfetto, la serata è finita con un discorso filosofico sulla mia vita, di nuovo. Meglio dormirci sopra che domani sarà un altro giorno e dovrà essere uguale al precedente.
Non credo che riuscirò a fare mai quel salto, la mia vita monotona è una sicurezza per me.

Martina non è la prima che ha cercato di ridestarmi e ricominciare, molti ci hanno provato. La prima persona è stata mio marito che ha cercato di portarmi via dalle giornate piene di silenzi in cui mi racchiudevo, arrivando al  punto di darmi un ultimatum sulla nostra relazione che io ho volutamente distrutto. Non potevo risucchiarlo nel mio mondo di perdite, così ho slegato anche l’ultimo nodo.
Mio padre ogni tanto mi fa visita da Parigi e viene a trovarmi, riesce a trovare del tempo da dedicarmi nonostante i suoi impegni con l’azienda multinazionale che possiede. Meraviglioso, peccato che cinque anni fa non aveva nemmeno il tempo per una telefonata di cinque minuti. Ora che vede sua figlia autodistruggersi cerca di starle vicino, che strana e ipocrita è la vita.

Poso la borsa sul tavolo della cucina, vado in bagno per struccarmi e lavarmi i denti. Percorro il corridoi che mi conduce alla mia camera da letto, mi spoglio e mi metto il pigiama: pantaloncini di stoffa corti e grigi, una canotta bianca di cotone e via. Mi distendo sul letto sotto il piumone e chiudo gli occhi.
Aspetto ma niente, non riesco a dormire. Mi giro su un fianco, ma ancora nulla. Troppi pensieri che frullano, mai una buona volta che si placano per una sana dormita. Stasera non è serata, mannaggia a te Martina, tu e i tuoi discorsi da politica indiscussa. Se ci fossi tu al governo, avresti proclamato la legge sul divieto della pizza con ananas e pepperoni, e te l’avrebbero approvata porca vacca.
Mi alzo dal letto ed apro la finestra della camera. Mi siedo sulla sedia davanti la scrivania in mogano, apro uno dei cassetti, prendo il pacchetto di sigarette e comincio a fumarne una.
Rivolgo lo sguardo fuori dalla finestra, i palazzoni della grande metropoli si innalzano verso il cielo come le spade dei Nani nella battaglia dei Cinque Eserciti. Bel libro Lo Hobbit, quasi quasi lo rileggo, tanto vale passare la nottata a fare qualcosa no?
Mi avvio alla biblioteca posta sulla grande parete della stanza.
Poggio il dito sulla copertina rossa del libro che stavo cercando ma prima di sfilarlo gli occhi cambiano direzione e si posano sul libro accanto. E’ un libro con rilegatura e copertina nera, senza un titolo sul dorso: era il libro che ho cominciato a scrivere prima del terribile incidente e di cui non ho avuto il coraggio di recuperare la stesura.
Prendo quel libro tra le mani e ritorno alla scrivania. Apro la copertina rigida e mi porto alla prima pagina.

La notte ha indossato il suo più bel abito. Gotham scopre la sua vera maschera quando scendono le tenebre e il pipistrello è lì che attende la sua fine.  

E poi il bianco della pagina. Non troverò mai una fine a questa maledetta storia.
 *
Il vento gelido del primo mattino mi accapponava la pelle, avrò ho lasciato la finestra aperta ieri notte.
Apro gli occhi. No, aspetta un momento. Stiamo scherzando vero?! Come cazzo faccio a trovarmi distesa, sul tetto del mio condominio, in pigiama?! Ora sono sonnambula oltre che soffrire d’insonnia. Bene, meglio che rientro in casa prima di prendermi un malanno, vestendo solo con una canotta e un paio di shorts non era il massimo ad ottobre.
Mi alzo da terra e mi avvio verso la porta delle scale, la apro e mi ritrovo con una pistola puntata alla testa: “ Mani in alto! Sono il commissario James Gordon, polizia di Gotham. Lei è in arresto, mi segua!”
Non può essere. Lui non è reale. E’ il personaggio di uno dei miei libri. Il prezioso amico e referente del caro Batman.
Perché mi trovo di nuovo qui, nel mio libro?
**
Ecco a voi il primo capitolo di questa storia leggermente, o forse un po’ troppo fantasiosa, ma è così che l’ho pensata quindi …
L’ispirazione arriva anche da una serie coreana che ho guardato ultimamente dal nome “W”, ve la consiglio se siete appassionati del genere o anche solo incuriositi.
Fatemi sapere se la storia vi intriga, al momento siamo solo all’inizia e chissà cosa riserva il futuro alla nostra tormentata Iris.


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