Libri > Good Omens
Segui la storia  |       
Autore: CyanideLovers    12/10/2019    4 recensioni
Dopo aver tentato un compositore alla fama e al successo, Crowley è maledetto dalla moglie e tormentato dal suo fantasma fino alla fine dei suoi giorni. Aziraphale farebbe di tutto pur di salvarlo, l'unico problema è che non sa cosa sta succedendo e, in ogni caso, il problema potrebbe essere molto più complicato di quel che sembra.
Ispirata dalla sonata "Il trillo del Diavolo" di Giuseppe Tartini.
-
ATTENZIONE: Nella storia ci saranno riferimenti a diversi temi delicati, nasce come una storia horror, leggete con cautela.
Genere: Angst, Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Anatema Device, Aziraphale/Azraphel, Crowley, Madame Tracy, Shadwell
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Oneirataxia'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

PS: Se ancora non lo avete fatto, il mio consiglio sarebbe quello di prendervi qualche minuto per ascoltare il “Il trillo del Diavolo”, dato che in questo capitolo la musica è particolarmente importante. Se non potete o non ne avete voglia va bene lo stesso, la musica verrà descritta in ogni caso.

 

 

 

Sonata per Violino e continuo in G Minore, B, g5

“Il trillo del Diavolo”

Larghetto affettuoso—Andante—Allegro

 

 

 

 

Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, Padova, Italia, 509 giorni dopo l’Apocalisse che non c’è mai stata. 

 

Nell’esatto momento in cui Anathema e Aziraphale uscirono dalla chiesa, il suono di un violino invase il camposanto. 
L’angelo si era guardato intorno, cercando di capire da dove arrivasse la musica. Il tempo stringeva e poteva sentire il suo cuore battere all’impazzata. Per un momento provò il desiderio di fermarsi e pregare per un intervento divino ma sapeva che sarebbe stato del tutto inutile. Ormai aveva dichiarato chiaramente da che parte si sarebbe schierato: né con l’inferno né con il paradiso ma solo con Crowley. Era suo compito proteggere e difendere le sue idee e non avrebbe potuto chiedere aiuto, non sarebbe stato giusto. 
Sarebbe stato un ipocrita. 

Dietro di lui, Anathema barcollò visibilmente. 
“Aspetta Aziraphale!” Lo pregò lei. “Cosa è successo esattamente? Porca miseria, ho appena incontrato Dio? Ma soprattutto, che sta succedendo con Crowley? Cos’erano quelle immagini? Sta bene? Non capisco!” 
Aziraphale si fermò sul posto e la guardò dall’alto in basso, squadrandola con i suoi meravigliosi occhi blu. “Oh, cara, scusami… non ho pensato a quanto questa situazione possa essere sconcertante per te. Si, quella era Dio, spero che non sia stato troppo per te.” Disse con tono incerto. 
“Spero che non —” balbettò lei, incredula “Aziraphalequella era Dio con la D maiuscola, la sola e unica, ovvio che sono sconvolta!” Disse la ragazza come se l’angelo avesse appena detto qualcosa di incredibilmente idiota. 

“Mi dispiace, hai ragione.” Rispose velocemente lui. “Ti prometto che ti spiegherò ma devo prima pensare a Crowley.” 
Poi aggiunse: “Ma tu sei visibilmente scossa, cara. Rimani qui a riposare, io devo andare da lui.” 
“Neanche per sogno.” Disse Anathema con tono deciso “Voi due mi avete trascinato in questo casino e che diamine, voglio aiutarvi!” Continuò sicura. “Quando tutto questo sarà finito mi dovrai spiegare tutto. Soprattutto mi dovrai spiegare perché parli di Dio al femminile perché, diamine, questo sì che è uno schiaffo in faccia al patriarcato!” Disse con una risata nervosa prendendo per il braccio Aziraphale e tirandolo verso il giardino, mentre lui cercava di processare il più velocemente possibile il cambio d’umore della ragazza. 

 

“Cos’è questa musica?” Domandò dopo un po’ Anathema. 
“Crowley.” 
La ragazza rimase per un momento in silenzio continuando a camminare velocemente. La musica era qualcosa di ultraterreno: triste e malinconica, era come se parlasse di un’anima ferita, di notti insonni. Era un valzer delicato tra due amanti che non si sarebbero mai più incontrati. Una giornata di pioggia, una lacrima che scivolava lentamente dal viso di una giovane donna. Ma era anche qualcosa di più: come un profumo che si scopre lentamente, un fiore che appassisce, un innamorato che si addormenta per non svegliarsi mai più, doloroso e delicato, la musica scivolava leggera fra le tombe e le statue del cimitero. 

“È bellissima.” Disse Anathema, commossa. 

Corsero a perdifiato finché Aziraphale non si fermò in un grande spazio aperto. Mosse la testa lentamente, osservando il mare di lapidi finché la musica non cambiò di punto in bianco e l’angelo indicò un punto lontano e riprese a correre. 
Adesso la musica si era trasformata in qualcosa di più sviscerale e disperato, come la lama mossa da un pazzo, veloce e febbrile, sembrava essere suonata da un posseduto. Non si fermò mai, neanche quando i due raggiunsero una tomba scavata di fresco. 
Un buco profondo tre metri con Crowley al suo interno. 

Il demone aveva nascosto le sue ali e Anathema pensò che fosse una fortuna perché già così era una visione orribile ai loro occhi. Era ricoperto di sangue e il suo viso era gonfio di lacrime, gli occhi sgranati e lo sguardo sfocato come quello di un cieco. Aveva tra le mani un violino che muoveva con agilità e destrezza, come se per lui suonare fosse semplice come respirare, a ogni movimento l’archetto lacerava la pelle della mano, del braccio, non sembrava cosciente del dolore che stava probabilmente provando in quel momento. Il corpo tremava, la pelle era bruciata e non respirava ma, nonostante questo, sembrava intenzionato a continuare la sua Sonata. 

 

“Crowley, Crowley basta!” Esclamò Aziraphale immediatamente in ginocchio davanti alla tomba. La ragazza notò con orrore che sulla lapide c’era scritto il nome del suo amico e si inginocchiò anche lei accanto all’angelo cercando di raggiungere il demone con le braccia, imploravano entrambi: “Crowley, ti prego, fermati!” 
Il demone non sembrò sentirli. 

“Lo so cos’è successo.” Disse Aziraphale alzando un momento gli occhi verso il cielo, guardando le nuvole e tornando a focalizzare tutta la sua attenzione sul demone sotto di lui. “So che sei sconvolto ma non è colpa tua. Non è mai stata colpa tua. Tu l’hai protetta, capisci?” 
Io li ho uccisi. Tutti e due dannati. Disse quella che avrebbe potuto essere la voce di Crowley se non fosse che il demone non aveva né aperto bocca né sembrava averli notati. 

“No, non li hai dannati, Crowley!” Insistette Aziraphale, guardando con terrore la ciotola d’acqua santa poggiata sul bordo più estremo della tomba, davanti alla lapide, proprio sulla testa del demone. 
L’angelo fece un profondo sospiro, cercò di parlare con chiarezza perché quella era l’unica cosa che potesse fare per salvarlo. 
“Torniamo nella libreria, andiamocene da qui, parliamone davanti ad una bella tazza di tè, caro.” Provò lui a dire. 
Crowley lo ignorò. 

“Crowley ascoltami: tu hai sempre dato una scelta a ogni singola persona che tu abbia mai tentato. Hai sempre detto, fin dall’inizio, che tentare una persona vuol dire dargli una scelta. Hai tentato Eva nel mangiare la mela ma le hai anche dato una possibilità di decidere… mangiare la mela ed essere punita o rimanere nell’Eden per sempre senza conoscere la differenza fra bene e male.” Disse con tono sicuro, senza davvero sapere se Crowley lo stesse ascoltando. 
“Anche io ho tentato degli umani. L’Accordo, ricordi? Quando toccava a me benedire e tentare nella stessa città, davo sempre una possibilità all’altra persona.” 


Lei dice: Io non ho mai avuto una possibilità. 
Crowley ripete: Lei non ha mai avuto una possibilità. 


“Si, è vero, è vero.” Rispose frettolosamente l’altro. “Ma non è tutto, giusto? Tu sai cosa è successo.”
 
“Lo so che è doloroso, mio caro ragazzo. 
“Ma ti prego, ricorda.” 
“Non puoi abbandonarmi, non puoi lasciarmi, Crowley!” 


Lei dice: 
Distruggi tutto quello che c’è di bello in questo mondo. Lo hai ucciso una volta, lo farai di nuovo. 
Crowley ripete: Distruggo tutto quello che c’è di bello in questo mondo. Ti ho ucciso una volta, lo farò di nuovo. 


“Questa è una stupidaggine. Non hai mai fatto altro che cercare di salvarmi e proteggermi, non mi hai mai ucciso 
perché sono qui davanti a te.” Poi fece un sospiro profondo, stringendo i pugni nella terra umida. L’aria era elettrica, la promessa di una tempesta che incombeva su di loro. “Era solo un incubo, Crowley. Un’allucinazione, un sogno. Non era reale.” 


Lei dice: 
È un fantasma, proprio come me. 
Crowley ripete: Sei un fantasma, proprio come lei. 


“No, Crowley.” Sospirò 
Aziraphale “Tu lo sai che non è vero, tu lo sai che i fantasmi non esistono, sono tutta una superstizione degli umani, non esistono.” Ripeté ossessivamente lui, cercando di mascherare il panico al pensiero che presto avrebbe iniziato a piovere e ogni goccia d’acqua al contatto con il terreno del cimitero si sarebbe trasformato in acqua santa per purificare le vecchie tombe. 
“Se mi hai mai amato, Crowley, devi ricordare.” 

Il corpo di Crowley si muoveva senza che lui avesse bisogno di controllarlo: quella era la sua Sonata, poteva benissimo suonarsi da sola. Le braccia continuavano a muoversi, precise e sicure, come se non si fossero accorte che il resto del corpo stava tremando. 

Chiuse gli occhi; 
Cercò di ricordare. 
Questo perché, come sempre, non c’era nulla che potesse negare all’angelo. 

 

 

 

 

Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, Padova, Italia, 1770 
(Cos'hanno in comune tempo e morale? La risposta è la relatività: sono relativi alla nostra esperienza. 
Il tempo gioioso muore sempre troppo in fretta, quello triste e doloroso troppo lentamente.  
Una bugia è deprecabile per alcuni, per altri è sinonimo di salvezza). 

 

 Era una bella giornata. 
Questo non significa che non sarebbe successo qualcosa di terribile da lì a poco. 
Crowley aveva iniziato a odiare quello schema che aveva iniziato a crearsi: tutto succedeva nelle giornate più belle, in quelle tranquille giornate assolate, quelle sere dove puoi vedere le stelle e dove non c’è una nuvola in cielo. 
Come quando gli angeli cadono o quando qualcuno viene scacciato da un giardino, quando un bambino viene consegnato dentro una cesta, quando arriva l’Apocali 


(Una voce dice: No. 
Dice: Più in fondo. 
Dice: Vai più in fondo)


Era una bella giornata. 
Ma triste. 
Ed era al confine di un giardino. 
Perché?” chiese con veemenza. 
Perché ti è stato ordinato.” Rispose brusco l’altro. 
“No, spiegami.” Disse lei in modo astioso. “Tu vuoi che entri in una fottuta chiesa?” 
“A meno che tu non riesca a tentare una persona a distanza si, voglio che tu entri in una fottuta chiesa.” 
“Ma dai, i demoni non possono entrare nelle chiese.” Si allontanò leggermente dall’uomo cercando di fargli cambiare idea e fallendo miseramente. “A che pro, poi? Il compositore è morto, che c’entra la moglie?” 
“È lei che gli ha detto che suona meglio del Diavolo.” 
“State facendo tanto rumore per nulla,” si lamentò “è un modo di dire abbastanza comune qui.” 

“Conosci le loro usanze meglio di noi.” Disse lui, c’era una nota di scherno in quelle parole ma che Crowley ignorò. Era un demone dopotutto, non poteva certo aspettarsi che fosse gentile. 
Hastur la guardò dall’alto in basso: “Sei vestito come un coglione.” 
No, hey, questo no. Era vestito in modo splendido. 

“Sono vestito come una donna che sta per andare a un funerale.” Rispose alzando gli occhi al cielo e ringraziando qualcuno per gli occhiali scuri “Da queste parti le donne si mettono da una parte, gli uomini arrivano dopo e non possono parlare alla vedova.” 
Era questo che non capiva Hastur. Il povero idiota non poteva sapere quanto fosse più facile assicurarsi anime all’inferno se gli umani avessero iniziato a tentarsi a vicenda e per farlo aveva bisogno di mischiarsi tra di loro, farseli amici, studiarli. Che colpa aveva se alla fine era rimasto affascinato da tutte quelle tradizioni, usanze, la musica e le invenzioni? 

Hastur aveva una mentalità da quattordicesimo secolo, dopotutto, sarebbe stato inutile spiegargli che non avrebbe potuto presentarsi in una chiesa piena di aristocratici vestito come lui, con una tunica passata di moda da almeno quattro secoli e ricoperto di sporcizia dalla testa ai piedi. Crowley non sopportava i tipi come lui. Si era detto tante volte: meglio tenersi gli amici vicini e i nemici ancora più vicino.  

(Una delle migliori scuse per andare a cena fuori con Aziraphale, pensò con un ghigno). 

Hastur la tirò per il braccio, “Noi Siamo quelli che tramano nell’ombra, che si aggirano nel buio per depredare senza cuore.” Disse con un sorriso malevolo “Siamo gli angeli caduti.” 
“Quanto sei drammatico.” Commentò la donna dai capelli rossi. “Non c’è nessun bisogno di ripetere a pappardella le parole di Lui.” 

Hastur lo guardò con astio e aggiunse: “Non mi fido di te, Crawly.” 
Crowley fece sibilare la lingua tra i denti, infastidito: “, lo so. Cos’è che devo fare?” 
Hastur dice: “La moglie sembrava proprio disperata quanto quel tipo è morto… quelli di sotto vogliono vedere del sangue. Fai in modo che si uccida.” 

Crowley deglutì, il cuore iniziò a battergli nel petto ma lei era un demone e da tempo aveva imparato che era meglio non mostrare alcuna simpatia per gli umani, le conseguenze sarebbero state disastrose. 

“Suicidio? Ma c’è così tanta gente che si ammazza di questi tempi. Non sarebbe più divertente se avesse una relazione clandestina con, non so, il prete? Quello sì che sarebbe uno spettacolo.” 
Beelzebub ha ordinato così, ha detto che sarebbe divertente vedere la ragazzetta dare di matto nella casa di LEI e compiere uno dei peccati peggiori che si possano compiersi.” 
“Ah, vedo che Beelzebub ha avuto un’altra pessima giornata.” Brontolò lei, scura in volto. “Però sai… questo non è proprio… il mio stile.” Balbettò. 
“Io del tuo stile me ne frego.” Hastur stava iniziando a perdere la pazienza. “Ti avverto, se non lo farai ci saranno delle conseguenze.” 

“No, certo, lo so.” Mormorò “il mio era un suggerimento. Sai che sono sempre pronto per qualche azione malvagia, non sono molto convinto di questa cosa della chiesa ma ovviamente adoro questo genere di cose… ehm… sempre pronto a mettere zizzania e cose così.” 
“Sei il serpente che ha dannato l’umanità, Crawly. Non dimenticarlo mai.” 

 Crowley chiuse per un momento gli occhi, non era qualcosa che si dimentica facilmente. 
Ripensò all’ultima volta in cui si era ritrovato a pensare che tutta la sofferenza umana non fosse altro che colpa sua. Era successo da qualche parte in Spagna, quando si era incuriosito e si era avventurato in una prigione per scoprire perché avesse guadagnato un encomio per quella che gli umani chiamavano “l’Inquisizione”. 

Donne e uomini incatenati e torturati che gridavano e piangevano, il sangue fresco che zampillava come cascate dai loro corpi e voci che urlavano preghiere a un Dio che non li avrebbe ascoltati e lui si era ritrovato a pensare “Ah, questo è peggio dell’inferno, sono stato io a—” 


(C’era il suono di un violino, molto distante da lui, un suono vibrante che catturava la sua attenzione, prometteva terrore e disperazione.
 
Una voce dice: No, no, mio caro. Non pensare a questo. 
Dice: vai più infondo. 
Dice: stavi andando così bene, mio caro ragazzo)


 Era sul limitare del giardino.
 
Ma quello non era un vero giardino, era un cimitero. Crowley non era riuscita a trovare abbastanza coraggio per addentrarvici, non sapeva ancora se sarebbe morta bruciata non appena avesse appoggiato un piede sul terreno sacro. Si guardò intorno e vide una giovane donna camminare con il viso coperto da un velo nero e pensò, con un leggero risolino isterico, forse non dovrò bruciare dopotutto, forse avrò un po’ di fortuna.  

Un piccolo miracolo convinse la ragazza ad avvicinarsi a lui. 
“Buongiorno.” Disse la donna, la voce triste e sottile. 
“Oh, tu sei la moglie del compositore?” 
“Elisabetta.” Fu la sua unica risposta, annuendo leggermente. 

 “Lui è morto tre giorni fa.” Disse la ragazza dopo un momento di silenzio. 
Sembrava triste, disperata. 
Crowley la guardò: era bella, non quella bellezza lussuriosa che era la versione femminile del demone, una bellezza giovanile ed eterea. Aveva capelli di un biondo cenere, occhi azzurro mare. Crowley pensò in un momento di panico che fosse così bella e splendente che poteva quasi essere scambiata per un angelo. 
Come il suo angelo.  

Si prese un momento, dicendosi che ancora non era arrivato il momento per la sua tentazione, che doveva conoscerla meglio per capire come aggiudicarsi la sua anima.  

(Il serpente dentro di lui si mosse e sibilò, sussurrando viscidamente che quella non era altro che una scusa per guadagnare tempo). 

“Mi dispiace, cara.” Disse dolcemente, cercando di imitare il modo che aveva Aziraphale di consolare gli umani. “Cosa è successo?” 
“Non lo so, non lo so.” Mormorò lei. Poi si guardò in torno, come per controllare che nessuno potesse sentirla “Credo che sia stato un diavolo.” Sussurrò piano. 
“Un diavolo?” 

“Il mio Giuseppe era stato un uomo violento da giovane. Non con me, mai con me. Ma era sempre nervoso e cercava in tutti i modi di trovare fama e successo.” Spiegò lei “Non abbiamo mai avuto una vita facile. Ci siamo sposati di nascosto perché mio zio, il cardinale, non avrebbe accettato il matrimonio. Quando lo scoprì, lui dovette scappare.” Raccontò lei. 
“Quando riuscimmo a ritrovarci, quando fu tutto detto e tutto perdonato tornammo in questa città e trovammo il modo per vivere una vita tranquilla.” 
“Poi lui un giorno si è svegliato, ha preso in mano il violino e ha iniziato a suonare.” Sussurrò come se quella fosse la più grande tragedia dell’umanità, “E da quel giorno non ha più smesso. Non mangiava, non dormiva, non mi guardava. Non faceva altro che dire che sarebbe bruciato tra le fiamme dell’Inferno se non avesse suonato quella sonata meglio del diavolo del suo sogno.” 

Crowley deglutì. 
Non perché si sentisse in colpa, era stata un’idea del compositore, ma vedere questa giovane donna fredda e disperata, immaginarla pregare il marito di rilassarsi, di lasciare andare il violino, di trovare un momento per baciarla e abbracciarla era strano. Non avrebbe mai immaginato che le conseguenze di quella piccola tentazione lo avrebbero portato a questo. 

“Lo odio.” Disse lei. 
“Lo odio così tanto, spero che stia bruciando in questo momento.” 
“Il demone?” Chiese Crowley. 
Lei annuì. 

“Lo odio così tanto. Vorrei fargli provare lo stesso terrore che ha provato lui, vorrei che capisse cosa si prova a soffrire così tanto. Vorrei che provasse il mio stesso dolore per aver perso la persona che si ama di più al mondo. Più di Dio, più di ogni altra cosa che possa esistere su questa terra.” 
Crowley per un momento pensò che quello doveva essere il momento giusto, che sicuramente lei doveva essere una donna terribile, una peccatrice. Forse era giusto che morisse. Però poi, la ragazza, non sapeva dire perché, si avvicinò e l’abbracciò. 
“Cosa—” 

“Ah, mi dispiace, mi dispiace.” Sussurrò lei soffocando le parole, le lacrime erano talmente tante che attraversarono il velo scuro e le sporcarono il vestito. Crowley non ebbe il coraggio di lamentarsene. “Sei la prima persona che mi ha ascoltato, tutti mi dicono che non dovrei piangere, che lui è in paradiso ma loro non sanno niente, non sanno quello che diceva nel sonno, che sarebbe andato all’inferno... ma lui era così buono —” 

Crowley avvolse un braccio intorno a lei, la strinse a sé. Poteva vedere nella sua anima e quelle di prima non erano altro che parole vuote, figlie del lutto e della disperazione. Poteva vedere i suoi desideri e le sue aspirazioni, il sogno di una famiglia felice, bambini che corrono per un prato, il desiderio di essere madre. La sua anima raccontava di una ragazza gentile, che raccoglieva fiori in un campo e che li intrecciava per creare una bella composizione da regalare al marito. Parlava di una donna che aveva abbracciato ogni notte il suo innamorato, che sussurrava di non aver paura, che sarebbe andato tutto bene. Soprattutto, parlava di un amore nato nelle avversità, sbocciato dove c’erano stati solo contrasti, orrori. 
Proprio come — 

Si arrese. 
Le prese una mano, la accarezzò delicatamente. 
“Vai nella chiesa e restaci.” ordinò. “Vai nella chiesa e non uscire di lì, non ascoltare quello che ti dicono le voci.” La supplicò baciandole la mano. 

Era così giovane, così luminosa e bella. 
, aveva cinquant’anni, forse per l’epoca era tutto fuorché giovane, ma cosa sono cinquanta anni per un demone che ha vissuto per quasi sei millenni? Nulla, un battito di ciglia. E lui sapeva, lo sapeva, che per gli umani erano tanti ma per lui non erano altro che bambini. 

La sua anima era così giovane e fresca, così innocente. Mai un peccato, mai una parola d’odio, non era mai stata tentata dalla lussuria o dalla pigrizia, non era né orgogliosa né invidiosa. 
Non era giusto che finisse all’inferno. 

Così la lasciò andare e la ragazza corse verso la chiesa, senza neanche sapere perché fosse così importante entrare in quel luogo. Crowley aveva fatto in modo che pensasse che fosse per lei vitale essere lì, aveva bisogno di tempo per escogitare qualcosa, per trovare una buona scusa, un escamotage per cambiare la pena della donna. 

Poi una voce sussurrò al suo orecchio “Cosa stai facendo, serpente?” 
Hastur, dietro di lui, aveva sentito tutta la conversazione. 
“Ah, sai… è così arrabbiata, magari ucciderà qualcuno.” Disse cercando di non sembrare troppo spaventato. “Meglio un omicidio no? Molto peggio del suicido. Molto più drammatico.” 
“No.” Disse Hastur con un sorriso malefico. “Ti è stato dato un ordine. Non dimenticare, serpente, siamo demoni. Distruggiamo tutto quello che c’è di bello in questo mondo.” 

 Quando Crowley, di nuovo nei suoi abiti maschili che limitavano molto meno i suoi movimenti e più importante, avevano suole più spesse per resistere al terreno sacro, entrò nella chiesa cercando di non far caso al dolore che gli provocava camminare. Si sentiva svuotato ed esausto.  

Lui aveva bisogno di pensare, pensare, pensare. 
Intanto la donna piangeva, piangeva disperata. 

Era come se bastasse la sua aura per tentarla nel prendere una pistola e farla la finita. Il dolore arrivava in ondate, era come essere colpito da lame affilate e lui non faceva che pensare: 
Aziraphale è morto. Io l’ho ucciso, io. In questa chiesa. Il suo corpo disteso in un mare di sangue e — 


(E una voce dice: No, no mio caro. 
Dice: non hai fatto altro che proteggermi per tutto questo tempo.  
Dice: continua ad andare avanti, ci sei quasi, ci sei quasi). 


“Dio, almeno per questa volta, dammi un segno. Dimmi cosa fare, dovrei lasciare che si uccida? Dovrei salvarla?” 
Fu in quel momento che capì: avvertì l’insopportabile silenzio della chiesa, il vuoto, la certezza di essere in un posto dove Dio lo stava osservando, silenziosa e fredda come sempre, e che, come al solito, non aveva fatto altro che voltargli le spalle. Ed era normale, davvero, Crowley era un demone e non è che si fosse aspettato chissà cosa ma aveva almeno sperato che proteggesse uno delle sue figlie. 
“Sono come dei bambini questi umani. Non fanno altro che distruggersi tra di loro. Ma adesso lei è qui, in casa tua, tu dovresti proteggerla. Qual è il punto di avere un posto che chiami casa se non proteggi i tuoi figli?” 

Silenzio.

“Ti odio, ti odio così tantoNon è giusto, dovresti proteggerli.” 

Silenzio.

Pensò: Tutto questo è troppo per aver mangiato una mela o per aver fatto qualche domanda.  

 

Non sapeva da dove fosse arrivata la pistola. Se fosse stato per un momento più lucido, se fosse riuscito a muoversi, congelato dal dolore e dall’insopportabile silenzio di Dio, se non fosse stato ancora soffocato dal lutto di aver perso una madre che fosse non lo aveva mai amato, avrebbe ragionato e avrebbe capito che la pistola l’aveva sempre avuta la ragazza. 
Che, infondo, tutti i mali del mondo, le guerre e i lutti, non erano tanto colpa dell’inferno o del paradiso ma da tutti quegli umani che fanno scelte sbagliate. 

 Ma forse poteva risolvere la situazione: forse poteva convincere la donna ad ucciderlo, lei non sarebbe finita all’inferno perché di certo uccidere un angelo caduto non poteva essere un peccato. L’idea non era male, lui non sarebbe morto, avrebbe solo perso il corpo, e lei non sarebbe stata certamente condannata per aver ucciso un demone. I demoni erano diversi dagli umani, giusto? Era un po’ come fare servizio sociale, uccidere un demone di certo le avrebbe assicurato un posto tra i santi del paradiso. 

Lei piangeva e si disperava e lui si era avvicinato. La donna davanti all’altare era una figura terrificante, avviluppata nei veli neri e sciolta nel dolore di un amore perso per sempre. 

“Non posso vivere con questo dolore dentro di me.” Disse lei singhiozzando. “Ogni momento, ogni respiro è pura agonia.” 

“Sono io il demone che cerchi.” Disse lui “Spezzare la tua vita non avrebbe senso, vendicati piuttosto.”  

Lei lo guardò con gli occhi spalancati e lui si tolse gli occhiali da sole, rivelando i suoi occhi da serpente. Lei indietreggiò, le mani tremavano e la vide stringere più forte le mani intorno alla pistola. 

“E poi?” Sussurrò lei “dopo che ti avrò ucciso, starò meglio?” 
.” Mentì lui. 
“Il letto dove mi sdraio tutte le notti sembrerà meno vuoto e freddo? Sentirò di nuovo la musica di mio marito, qualcuno mi bacerà, mi abbraccerà e mi dirà di non aver paura e che mi ama immensamente?” 
“Sì, sì.” Disse lui avvicinandosi ancora di più a lei. 

“Non è vero.” Disse lei quando ormai le mani erano scivolate lungo i fianchi e le spalle si erano abbassate. Gli occhi erano rossi, il viso magro e malato, il velo madido di lacrime e sudore. “Niente sarà più come prima, io un giorno morirò, vecchia e sola, e rimpiangerò solo di non aver posto fine a questa lenta agonia.” 
Quindi strinse la mano intorno alla pistola e se la portò alla tempia. 

“NO!” Urlò Crowley e veloce come un serpente le strappò di mano la pistola. 
Lei si gettò in avanti, cercando di strappargliela di nuovo di mano e per un momento era come se stessero danzando, lei tirava e spingeva, lui cercava di districarsi da lei, troppo fuori di sé per pensare a cosa stesse facendo. 

Il tempo si fermò per un momento, come se entrambi si stessero muovendo in una vasca ricolma di miele e per un momento lui fu troppo cosciente del dolore che gli provocava camminare su quel terreno. Perse l’equilibrio e tutto quello che sentì fu il rumore assordante dello sparo di una pistola riecheggiare nella chiesa, silenziosa come una tomba. 

 

 La ragazza era caduta con un tonfo davanti all’altare, quasi come uno di quei sacrifici umani a cui aveva assistito tra i pagani prima della comparsa di Cristo, finché il corpo non scivolò silenzioso per terra, con un braccio e il viso rivolti verso di lui. 

Il sangue si infilava tra le fessure dei mattoni del pavimento, gli era schizzato in faccia, sul lenzuolo bianco che ricopriva il tavolo di pietra e lui era caduto in ginocchio, facendo cadere la pistola che era ancora stretta nella sua mano. Si portò le mani al volto ma le allontanò subito quando scoprì, disgustato, quanto erano madide del sangue della donna. 

“Si è uccisa.” Disse Crowley 

Aveva bisogno di convincere sé stesso per riuscire a mentire davanti agli occhi senza vita di Beelzebub. Aveva bisogno di essere sicuro, di sembrare sincero. 

C’era un piccolo specchio vicino al corpo della ragazza, probabilmente scivolatole dalla tasca della gonna durante la lotta, lo prese e si guardò negli occhi e iniziò a ripetere ossessivamente: 
Si è uccisa. Si è uccisa. Si è uccisa. 

Si guardò mentre ripeteva quelle parole come un mantra, finché i suoi occhi non iniziarono a sembrare sinceri. Tutta la storia, per filo e per segno, raccontò a sé stesso la più bella e tragica storia d’amore. Una storia di terrore e paura, raccontò di un fantasma tanto terribile nella sua umanità perché aveva bisogno di qualcosa di più potente della semplice immaginazione. 

La paura, la paura ti fa tremare nel sonno, ti fa credere che le ombre prodotte da una lampada siano mostri pronti a distruggerti. La paura è potente, è il prodotto dell’immaginazione, è un meccanismo di difesa. Ti fa correre più veloce, ti fa sopravvivere. Crowley conosceva bene la paura, ci aveva convissuto per sei millenni.
La paura, in quel momento, sarebbe diventata la sua migliore amica. 

Quindi immaginò qualcosa di terrificante:
Una donna, lacrime, uno sparo. 

Ancora.
Una donna, lacrime, uno sparo. 

Ancora.
Una donna, lacrime, uno sparo, lacrime, sangue. 

Ancora.
“Ti maledico perché io lo amavo.”
Lacrime, uno sparo, sangue. 

Ancora.
Sangue, sangue, sangue. 

Ancora. 

Quando apparve Morte dietro di lui, non si mosse. Non sobbalzò. Rimase lì fermo, in ginocchio davanti alla donna. Ne studiò gli occhi, come il viso rimaneva nascosto eppure visibile sotto il velo, gli occhi vitrei e ciechi. Terrificante ma allo stesso tempo bellissima.  

Quando Morte si avvicinò lui disse “Si è uccisa.” 

OH, È QUESTO CHE È SUCCESSO? 
.” 
MENTIRE NON PORTERÀ A NULLA DI BUONO. NON MI IMPORTA COSA DICI, NON MI INTERESSA. IO PRENDO LE ANIME E LE CONDUCO ATTRAVERSO UNA PORTA. NON DECIDO IO DOVE VANNO E NON SO COSA TROVERANNO DALL’ALTRA PARTE. 

“Questo è qualcosa che mi tormenterà fino alla fine dei miei giorni, eh?” Domandò Crowley con un ghigno che celava una vena di panico. 
Morte non rispose. Di regola non dava mai false speranze. 

Quando Crowley strisciò via dalla chiesa e dal giardino era ormai sera. Non c’era nessun angelo ad aspettarlo su un muro alto e bianco ma un demone ricoperto di sporcizia, che lo guardava con odio e disprezzo. 
?” 
“Si è uccisa.” sussurrò piano. 
ripetè quelle parole a Dagon. 
Ligur. 
Beelzebub. 
E gli credettero perché Crowley ci credeva e quindi era quello che era successo. 

Cos’era un’anima in meno che mancava all’appello? 
Niente. 
Nessuno se ne accorse e dimenticarono presto l’accaduto.
Tutti tranne Crowley. 

 

 

 

 

Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, Padova, Italia, 509 giorni dopo l’Apocalisse che non c’è mai stata. 

Crowley tremava, le note iniziarono ad essere sempre più distorte, finché non lasciò andare il violino e l’archetto che finirono per terra con un rumore stridulo delle corde. Lui cadde davanti allo strumento, portandosi le mani alla bocca. Nello stesso momento un angelo scalciò via la ciotola d’acqua santa e il liquido si riversò sul terreno, non una goccia toccò il corpo del demone tre metri più in basso. 

“L’ho uccisa io, L’ho uccisa io.” Ripeté Crowley stringendo le dita intorno ai capelli e tirando forte, come se fossero la sua unica ancora di salvataggio. 

Aziraphale saltò giù nel fango insieme a lui e lo prese tra le braccia: aveva fatto apparire un paio di guanti bianchi sulle sue mani così che la sua pelle non toccasse quella del demone, per non sfiorarlo con le mani nude ed evitare di benedire il povero diavolo. Crowley sembrava già sull’orlo dell’estinzione. 
“Mio caro, mio adorato, tu non volevi farlo ma in realtà l’hai salvata. Lei adesso è in paradiso, al sicuro, Dio stesso me lo ha detto.” 

Crowley iniziò a piangere, urlare, e Aziraphale era convinto che sarebbe soffocato se non lo avesse preso fra le braccia. Il cielo sopra di loro era sempre più nero e minaccioso e lui lo coprì con le sue ali bianche, per proteggerlo nel caso avesse iniziato a piovere. 
“Andiamo via da qui, mio caro.” Sussurrò abbracciandolo dolcemente. Crowley non sembrò rispondere, non perché fosse perso nei meandri della sua mente ma perché il suo corpo aveva ceduto a tutto quello che era successo in quella settimana e era svenuto con ancora le lacrime che scivolavano lungo il viso. 
Aziraphale lo prese tra le braccia e guardò Anathema che li osservava dall’alto. 
“Prendi la mia spalla, cara. Torniamo a casa.” 

E in un istante i tre erano spariti, la tomba era ritornata a essere quella di prima e sul giardino iniziarono a cadere le prime gocce di pioggia. 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:

Avete presente quando vi togliete un peso e finalmente, finalmente potete rilevare il super plot-twist che vi stavate tenendo dentro da un mese? È liberatorio ragazzi, giuro ahah.

Ci sono state due reazioni a proposito di questo capitolo che mi hanno fatto particolarmente ridere:
La mia ragazza che ha detto: Leggere questo capitolo è stato come guardare per cinquant’anni Beautiful per poi scoprire che era tutto un sogno di Brooke Logan.
Mio fratello, che mi ama molto: Questa è la dimostrazione che sei stato adottato e il motivo per cui non hai amici.

Però io volevo tanto scrivere una storia così, mi prudevano proprio le mani ahah
Il prossimo capitolo è particolarmente difficile quindi forse (forse) ci metterò un po’ di più a scriverlo. Questo ovviamente non vuol dire che ci metterò anni (spero) però magari invece di una settimana ce ne vorranno due… o magari no, il nostro metodo di scrittura è ridico e inconcludente.

Ma soprattutto, vi ringrazio per tutti gli amorevoli commenti che ho ricevuto fino ad ora, adoro leggere le vostre opinioni e vedo che qualcuno aveva un po’ intuito la trama mentre altri si aspettavano una sorta di scena epica che… non c’è stata (scusate, nessuno dei due sa scrivere scene di lotta, ci sentiamo un po' sfigati)

PS: non aspettatevi un capitolo troppo allegro, ci sono ancora molte cose di cui parlare.

 

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Good Omens / Vai alla pagina dell'autore: CyanideLovers