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Autore: Mannu    13/10/2019    0 recensioni
Malcant è un paesino di contadini, piccolo e modesto. La terra intorno al vulcano Maas trema, si spacca lasciando sfuggire fumo, gas velenosi, a volte zampilla anche lava incandescente. Ma è fertile e se coltivata con cura rende raccolti che ripagano delle fatiche e del pericolo costante. Tutto sommato la vita procede normale, calma e tranquilla, punteggiata solo dal lontano brontolare del cratere principale. Tranquillità destinata a terminare quando un giorno verso la fine dell'inverno la terra nuovamente si spacca e la lava ribollente forma un laghetto solo in apparenza simile ad altri già visti...
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Aktha Demochye
17. Io faccio il bene

Dette due colpetti al chiodo per affondarne meglio la punta e metterlo ben dritto e poi con un solo colpo lo mandò al suo posto, preciso e senza piegarlo. Aveva quasi imparato ormai. Era diventata abbastanza brava da far nascere spontanea una competizione tra lei e gli altri due umani che insieme inchiodavano le assi del tetto. Nessuno di loro riusciva a piantare i lunghi e spessi chiodi con un solo colpo di martello come faceva lei. D'altro canto loro erano molto più lesti a trovare il punto giusto e a posizionare le assi di copertura. Più in là, dove il tetto era già stato inchiodato a puntino, un altro umano stendeva il puzzolente catrame caldo.
Erano stati giorni brutti, con pioggia e freddo inconsueti per quella stagione e quindi si erano affrettati a costruire quella capanna. Avevano cominciato con una piccola, per fare in fretta e dare un tetto a quelle tre famiglie che avevano avuta la casa bruciata. Presto però le donne rapite dai mercenari avevano chiesto di stare tutte insieme e lontane dai mariti. Dai maschi in generale. Non era certa di capire, ma gli umani si erano dimostrati più volte meno semplici di come sembravano a prima vista. La stessa Monia, che pareva tra tutte quella che meglio avesse affrontato l'orribile esperienza, era divenuta più fredda e distaccata perfino nei suoi confronti. Le era capitato di stare da sola con lei ma non aveva voluto dirle nulla. Il suo cuore era divenuto un pozzo di ombre nere.
- Aktha!
Eccola, la dolce voce di Monia la chiamava e le chiedeva di scendere dal tetto.
- Bevi troppa poca acqua! - la rimproverò.
Quella giornata era la prima che davvero appartenesse alla stagione: bella e luminosa, con poche nuvole candide che correvano nel cielo azzurro che ancora le dava le vertigini a guardarlo. Gli umani sotto i raggi del sole ora più intensi soffrivano il caldo eccessivo, sudavano e bevevano tanta acqua per compensare i liquidi perduti, così preziosi per il loro corpo. Lei invece finalmente assorbiva avida ogni raggio del sole cercando il calore di cui il Mondo Fuori era così avaro.
Aktha sorrise e bevve dal secchio a lei riservato. Gli umani condividevano tra loro l'acqua e perfino il coccio per bere, ma non con lei.
- Come stai? Le tue ferite ti fanno ancora male?
- No, non tanto.
Era stata ferita tre volte in combattimento e nemmeno se n'era accorta. L'ascia di Gul il mercenario non aveva del tutto mancato il bersaglio, ma lei si era resa conto del proprio sangue purpureo che le aveva inzuppato i ruvidi pantaloni fino alle cosce solo quando glielo avevano fatto notare. Anche il mercenario che era riuscito ad atterrarla intenzionato a trafiggerle il petto col pugnale era riuscito a ferirla, sebbene solo superficialmente, tra la spalla e il collo. Era riuscita a deviare in tempo la sua lama prima di scrollarselo di dosso. Aveva anche una ferita alla schiena: qualcuno l'aveva attaccata alle spalle, non sapeva dire quando. Il taglio inferto dalla lama mercenaria iniziava sulla scapola e proseguiva dritto sul muscolo del braccio da dove aveva sanguinato molto. Era stato proprio usando le mani di Monia per curarsi che aveva scoperto l'orrore da lei vissuto. Un genere di violenza a lei noto, perversa e schifosa, ma ignorava che gli umani la vivessero così intensamente e che ne abusassero a tal punto, ben sapendo quanto profonde potevano essere le ferite così inferte. Ferite che lei non riusciva a curare. Meschini e depravati! A tutte le donne rapite era stato riservato quel trattamento, quasi peggio che essere passate a fil di spada. Aktha si sentiva fortunata. Le sue ferite erano solo nella carne.
- Come ti trovi con la nuova casacca? Ti sta bene, sai?
In combattimento la vecchia casacca e i pantaloni non avevano resistito. Sporchi di sangue, lacerati e bruciati dalle fiamme arcane da lei stessa evocate. Gli sguardi attoniti e spaventati che tutti le rivolgevano a battaglia finita erano per quello che aveva fatto. Era certa che fosse così ma riprendendosi piano piano dall'orribile esperienza appena vissuta riacquistava la consapevolezza di ciò che la circondava. Come se mentre lei era in battaglia un genio dispettoso si fosse divertito a spostare e cambiare le cose. Non di molto però. Notava dettagli che non ricordava d'aver visto prima come le borchie lucide della corazza di Viola sporca di poltiglia rossastra, o il bianco screziato degli impennaggi delle frecce di Samira, il rumore di cose umide strappate quando l'arciere recuperava le frecce dai cadaveri. In ultimo aveva notato i propri abiti a brandelli, puzzolenti, bruciacchiati qui e là che la lasciavano più nuda che vestita, sporca da capo a piedi di sangue e pezzetti del mercenario che aveva fatto esplodere.
- A me piace molto – l'indumento era stato fatto su misura in poco tempo: senza maniche per adattarsi alla bella stagione ormai giunta e con molti lacci di cuoio sul petto per scongiurare aperture accidentali. Era di tessuto ruvido e le pizzicava la pelle ma andava bene lo stesso.
- Sono contenta – le rispose Monia con la voce incrinata. Un attimo dopo una lacrima le rotolò sulla guancia, subito seguita da un'altra. Si sforzò di sorridere ma apparve chiaro che tratteneva a stento i singhiozzi. Aktha si sentì in colpa. Colpa mia, tutta questa sofferenza è giunta qui per colpa mia. Quando lo diceva tutti negavano, ma lo pensavano anche loro. Aveva faticato perfino per farsi dare del lavoro da fare per riparare i danni.
- Vai da Mastro Benner – si asciugò gli occhi, ma nuove lacrime caddero.
Aktha era confusa. Lasciò il martello e la scodella con i chiodi e attraversò la strada maestra di Malcant per giungere alle rovine della casa del prefetto. Lo trovò mentre rovistava tra le macerie annerite e fumanti. A mani nude spostava travi ancora calde cercando chissà cosa: era nero di fuliggine fin sul viso. Da giorni non faceva altro. Era solo.
- Aktha! - le rivolse un cenno di saluto – Sai dove si trova la casa di Sedh?
Aktha rispose che sì, lo sapeva. Era stata la prima casa umana da lei avvistata al suo arrivo. Aveva arato i suoi campi.
- Vai da Sedh e da lì dirigiti ai fumaioli. È importante.
Chiese maggiori informazioni, ma il prefetto fu insondabile. Non poteva aggiungere altro, se non calorose esortazioni a fare presto.
Di buon passo Aktha uscì dal Malcant e si diresse dapprima verso i campi coltivati, dove con suo stupore non trovò nessuno al lavoro, e poi verso i fumaioli. Il terreno si fece scosceso e nero, le pietre scure aguzze sotto i suoi piedi scalzi. In alcuni punti già si vedeva fumo bianco salire dal terreno in lente spirali e l'odore di zolfo e pietre arroventate si faceva strada verso le sue narici. Poi li vide.
Due demoni, senza dubbio. Ma non due qualunque.
Uno era il Maestro Dorn. Lo avrebbe riconosciuto tra mille. La sua barba bianca splendeva sotto i raggi dello strano sole del mondo esterno e le sue lunghe corna ritorte erano come quello che gli umani chiamavano “firma” o “sigillo”. Un segno di riconoscimento unico.
Proprio dalle corna e dalla stazza si fece un'idea di chi potesse essere il suo accompagnatore. Alto e muscoloso, le corna ampie e curve all'indietro. Dopo poco ne fu certa: era quel noioso di Tarin. Tanto generoso era stato con lui l'Antico nel dargli membra forti e potenti, tanto avaro nel donargli un cervello sveglio e acuto.
- Aktha! Va tutto bene, sembra.
Salutati come dovuto i suoi simili, intraprese subito una descrizione della situazione, ansiosa di fare bella figura col Maestro, scomodatosi per lei. E che strana sensazione poter parlare di nuovo la propria lingua dopo tanto tempo!
- Fermati, Aktha. Non sono qui per indagare il tuo operato. A tempo debito faremo anche questo. Già il tuo amico qui mi ha reso sordo un orecchio implorandomi di accompagnarmi alla tua ricerca... non ti ci mettere anche tu, ora.
Aktha non stentava a crederlo. Tarin era invaghito di lei al punto da assillarla tanto che aveva dovuto accarezzarlo col gelo per mantenerlo alla distanza minima. Non aveva intenzione alcuna di accoppiarsi, meno che mai con lui. Ma Tarin non si era dato per vinto e, sebbene timoroso di buscarsi ancora un colpo di gelo, rozzo e impetuoso le ronzava sempre intorno.
- È per quanto è accaduto, allora? - chiese timorosa. Il Consiglio le avrebbero revocato il permesso, ne era certa.
- Ne abbiamo avuta notizia. Sebbene vi sia diffuso rammarico per la perdita di vite umane, è anche opinione comune che tu abbia agito per il meglio date le circostanze. Il tuo maestro d'armi avrà da ridire sulla tua prestazione in combattimento, ma nemmeno questo è in discussione ora.
- Dunque dove ho sbagliato? - Aktha era sempre più preoccupata.
- Non puoi sapere che i legati di Vorgo il Tiranno hanno recato un'ambasciata accusandoci di sconfinare con le nostre truppe nei suoi territori. Ci accusa di aver attaccato e distrutto alcuni insediamenti umani, la maggior parte a grande distanza da qui.
- Ed è la verità?
L'anziano Maestro scosse la testa.
- Non ve n'è certezza. Nessun comandante è stato autorizzato ad attaccare bersagli umani e non sono in corso campagne di alcun tipo in questo mondo freddo e ostile. Ma come sai vi sono fazioni che sostengono l'intervento militare contro gli umani. Stanno occupando territori sempre più vasti e spesso si dedicano con intensità ad attività sotterranee per estrarre materiali preziosi dal sottosuolo. Non vi è certezza che non vi possano essere stati... attriti con le nostre comunità più vicine alla superficie.
Sempre diplomatico, il Maestro Dorn. Aktha rabbrividì. L'incendio del villaggio poteva essere messo facilmente in collegamento con la sua presenza lì, e nel modo sbagliato. Strumentalizzata la sua posizione e stigmatizzato il suo operato, nessuno avrebbe potuto fare niente per dimostrare com'erano andate davvero le cose. Perfino i cittadini di Malcant che avevano avuto l'occasione di conoscerla di persona erano contro di lei. Solo una minoranza l'aveva accolta con benevolenza. Il Maestro si dichiarò d'accordo con quell'analisi.
- La cosa migliore che io possa fare è tornare a casa. Non vedo altre soluzioni.
- Sono contento che tu sia giunta alla mia stessa conclusione.
- Ne va della mia incolumità, di quella degli umani di Malcant e delle relazioni diplomatiche con il regno del Tiranno umano.
Il demone anziano assentì con un cenno del capo.
- Vorgo non è umano, però. Sappilo.
- E sia. Aspettatemi qui: renderò questi abiti che mi sono stati donati e tornerò insieme a voi.
Non dovette fare molta strada. Monia l'aveva seguita fin lì. Non fu necessario dire nulla: Maestro Dorn e Tarin erano ancora in vista e l'umana aveva capito.
Aktha si spogliò degli abiti e li tese a Monia, imbambolata. Un paio di battiti dei cuori e l'umana, lasciati cadere gli indumenti, abbracciò stretta il demone, piangendo. Lentamente, con delicatezza, il demone dalla pelle viola e dalle corna d'ariete ricambiò l'abbraccio.
   
 
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