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Autore: Sandie    14/10/2019    2 recensioni
Genzo torna in Giappone lasciandosi alle spalle Amburgo e tutte le sue certezze crollate in pochi mesi.
Ritrovati la sua famiglia e gli amici di sempre, nel suo futuro ci sono le Olimpiadi di Madrid e decisioni importanti che apriranno un nuovo capitolo della sua vita. Un destino che condivide con Taro.
I loro percorsi si intrecciano con quelli di Kumi ed Elena: due ragazze che, come loro, dovranno costruire una
nuova vita, diversa da quella immaginata.
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Genzo Wakabayashi/Benji, Kumiko Sugimoto/Susie Spencer, Taro Misaki/Tom
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo XXVI

 

Vite che cambiano

 

 

 

«Nonno, metti su Eurosport che sta per iniziare il telegiornale sportivo!»

L'anziano uomo lanciò un'occhiata maldisposta al più giovane dei suoi tre nipoti, un dodicenne alto e magro, un bel volto incorniciato da corti riccioli castani su cui spiccavano i brillanti occhi azzurri, e portò alla bocca un'altra forchettata di pasta, senza rispondergli.

Al suo fianco la moglie, una donna bionda della sua stessa età, fissò il nipote con aria di rimprovero, le mani congiunte e le dita intrecciate sotto il mento.

«Sebastian! Dì almeno "per favore"!» lo rimproverò sua madre Inge, una donna poco più che quarantenne, dai corti capelli biondo cenere.

Il ragazzino li guardò dispiaciuto, poi sospirò. «Per favore.»

Il nonno sorrise e abbandonò per un momento la forchetta sul piatto, afferrò il telecomando e premette i tasti che componevano il numero corrispondente al canale richiesto.

Elena e i suoi genitori sorrisero, divertiti da quel piccolo battibecco e dall'atteggiamento sornione del padrone di casa.

Mancavano ormai solo due giorni all'esame di ammissione e Clara aveva proposto di andare a Bad Tölz a trascorrere un breve periodo di vacanza nella sua vecchia casa, dove vivevano ancora Peter e Heinrike, da tutti chiamata Heike: i nonni materni di Elena.

La ragazza non si era opposta per non destare interrogativi, ma soprattutto per la convinzione che alcuni giorni di relax accanto a persone cui era molto legata, nella bellissima cittadina lontana cinquanta chilometri da Monaco e che amava quanto Roma, l'avrebbero aiutata ad affrontare il test con la migliore disposizione d'animo.

Le donne di casa, a eccezione di Angelina che si trovava ancora in vacanza in Italia con Mattias, avevano dato vita a un vero e proprio gioco di squadra nel cucinare il pranzo per quasi tutta la famiglia, preparandosi a servire a tavola una combinazione di cibi italiani e bavaresi.

Durante il viaggio, varcato il confine tra Austria e Germania, il suo cuore aveva perso un battito quando aveva sentito una notizia alla radio, in un intermezzo tra una canzone e l'altra.

«È ufficiale il passaggio di Genzo Wakabayashi dall'Amburgo al Bayern Monaco. Il ventenne portiere giapponese, grande protagonista alle ultime Olimpiadi vinte dai Blue Samurai, ha firmato un contratto che lo legherà per quattro anni ai campioni di Germania.»

La giornalista aveva riferito poi altri dettagli riguardanti la cifra versata dai bavaresi per l'acquisto e quella che il giocatore avrebbe percepito per ogni anno di contratto, compresi altri emolumenti elargiti dagli sponsor. L'accordo definitivo era stato sottoscritto il giorno prima, come aveva confermato il procuratore Günther Hoffmann, evidentemente soddisfatto per l'ottima transazione messa a segno.

La conferenza stampa per la presentazione ufficiale era prevista per il giovedì seguente.

 

Avevano da poco iniziato a mangiare quando il giornalista lanciò il primo servizio del notiziario, che provocò a Elena un nuovo tuffo al cuore, al punto che la forchetta con cui stava per infilzare una manciata di penne all'amatriciana si arrestò a pochi centimetri dal piatto.

«Cominciamo con l'evento calcistico del giorno, ovvero la presentazione alla stampa del nuovo portiere del Bayern Monaco, il giapponese Genzo Wakabayashi. L'ex Amburgo, fresco vincitore della medaglia d'oro con la sua Nazionale ai recenti Giochi Olimpici di Madrid, come ricorderete si è recato lunedì alla sede del Bayern Monaco per porre la sua firma sul contratto che lo lega ai campioni di Germania per i prossimi quattro anni.»

«È un trasferimento che potrebbe entrare nella storia recente del glorioso club bavarese.» annunciò il giornalista con enfasi, con l'inviata a fargli eco.

«Sì, se consideriamo la splendida Olimpiade da lui giocata. Le sue incredibili parate sono state decisive per la conquista della medaglia d'oro.»

«Ed è anche un giocatore carismatico, intelligente sul piano tattico, capace di prevedere le giocate avversarie e di dare istruzioni appropriate ai suoi compagni.»

«Sì va be', tra un po' dirà che cammina sulle acque.» obiettò Heike.

«Guarda che ha detto la verità.» non riuscì a trattenersi Elena, reagendo con un tono che risultò un po' troppo severo persino alle sue stesse orecchie.

La donna la guardò un po' stranita. Non capiva tanta impetuosità e la ragazza si sarebbe trovata in forte imbarazzo se non fosse intervenuto Sebastian.

«Elena ha ragione, nonna! È un portiere fenomenale. Con lui in porta, il Bayern rivincerà il campionato e conquisterà la Champions League!»

«Sono d'accordo con Elena e Sebastian.» aggiunse Valerio. «L'ho visto alle ultime Olimpiadi, è uno dei portieri più forti che io ricordi da almeno trent'anni a questa parte. È dotato di una freddezza e di un'affidabilità eccezionali per un ragazzo di soli vent'anni.»

Elena faticava a trattenere un sorriso dettato dal piacere e dall'orgoglio di sentire quelle lodi rivolte al portiere da coloro che ignoravano il legame che li univa.

Nonostante avessero seguito la finale tra Giappone e Brasile in tv, non avevano visto l'abbraccio tra lei e Genzo. Una circostanza fortuita, ma fortunata che l'aveva risparmiata dal dover dare spiegazioni su una relazione di cui, per il momento, non intendeva parlare.

Heike diede un'alzata di spalle, con un sorriso birichino simile a quello della nipote.

«Devo dire però che è un gran bel ragazzo. Un così bel giapponese l'ho visto solo in un film in bianco e nero di tanti anni fa.»

Sul televisore, intanto, scorrevano le immagini della conferenza stampa: Genzo, in piedi, reggeva tra le mani la nuova casacca del Bayern Monaco con il suo cognome e il grande numero 1 stampato sulla schiena, dietro al lungo bancone con i microfoni e le bottiglie di acqua e integratori e il pannello con gli sponsor alle spalle.

Ai suoi fianchi, l'amministratore delegato Karl Heinz Rummenigge e l'allenatore Frank Schneider.

Elena sorrise.

Il grande Rummenigge sembrava persino più emozionato di Genzo. O forse, era semplicemente orgoglioso di essere finalmente riuscito a portare al suo Bayern quel portiere di primo livello che da tempo mancava.

Frank Schneider pareva pregustare le vittorie che sarebbero arrivate, con il figlio Karl a guidare l'attacco e Wakabayashi a dare solidità, sicurezza e direttive ineccepibili alla difesa.

Lo sguardo di Genzo, illuminato dai flash, era sempre fiero anche se i suoi occhi tradivano un po' di turbamento: non era abituato a quella situazione. E quel lieve sorriso aleggiante sulle sue labbra poteva essere al contempo un indice di fiducia in sé stesso e un modo per mascherare la tensione.

Pochi minuti dopo era seduto, pronto a rispondere alle numerose domande dei tanti giornalisti arrivati all'Allianz Arena per intervistarlo. Moltissimi ovviamente i giapponesi, ma il nome di Wakabayashi aveva richiamato cronisti da tutta Europa, Sudamerica e altre parti del mondo.

«Essere stato scelto per difendere la porta del Bayern Monaco mi rende orgoglioso ma mi dà anche un forte senso di responsabilità. Posso assicurare che mi impegnerò al massimo per concludere ogni partita senza subire reti. Finché la mia porta rimane inviolata, il Bayern non potrà perdere.» fu il suo breve, ma significativo enunciato di presentazione.

Rispose poi brevemente a qualche domanda sull'Amburgo.

«Rimarrò sempre legato sia alla squadra sia alla città. Ma ora sono un giocatore del Bayern Monaco.»

«Continuerà a portare il suo ormai peculiare cappellino?» gli chiese una giornalista.

«Naturalmente.» sorrise.

«Cosa l'ha convinta ad accettare il trasferimento alla squadra campione di Germania?»

«La certezza che a Monaco avrei trovato tutto quello che avrei voluto.»

I suoi occhi guardarono in camera per pochi secondi. Un gesto apparentemente involontario, ma chi lo conosceva sapeva bene che Genzo Wakabayashi non faceva mai nulla per caso.

Elena avvertì un'ormai familiare e piacevole sensazione diffondersi nel suo petto.

 

Elena, in piedi sulla terrazza della sua stanza, respirò un'ultima volta a pieni polmoni la fresca aria della sera e rientrò.

Si avvicinò alla scrivania e guardò il disegno che Kumi aveva fatto per lei e le aveva regalato la sera prima della sua partenza dal Giappone.

L'amica aveva riprodotto alla perfezione l'entusiasmo e la sensazione di libertà che provava ogni volta che faceva ginnastica. Sarebbe certamente riuscita a farsi conoscere: non era banalmente brava a disegnare; aveva una sensibilità e una passione genuine, la capacità di cogliere emozioni e sfumature e rappresentarle poi sulla carta.

Lo infilò nella sua agenda nuova di zecca, come una sorta di portafortuna, e mise il tutto nel suo zainetto.

Poi andò a sedersi sul letto e accarezzò il maneki neko posato sul suo comodino, un rito ormai irrinunciabile prima di sdraiarsi.

Prima però prese il suo smartphone, rimasto spento tutto il giorno e lo accese.

Dopo alcuni secondi, sullo schermo comparve il simbolo di un foglietto a righe: un sms di Genzo.

Conto su di te.

 

Lo Shinkansen proveniente da Tokyo raggiunse la zona costiera della prefettura di Shizuoka. Era lontano ormai solo pochi chilometri dalla stazione di Nankatsu.

Le gocce di pioggia cadevano sempre meno frequenti.

Il sole di fine estate si fece spazio tra i nembi che si stavano progressivamente diradando.

Kumi dormiva, con la testa inclinata sullo schienale e le labbra socchiuse, in un'espressione quasi infantile.

Taro sorrise intenerito e le sfiorò una guancia con la mano.

La ragazza trasalì leggermente e sbatté alcune volte le palpebre.

«Tutto a posto?» le chiese a bassa voce, quando si fu voltata verso di lui.

Lei gli sorrise e fece un cenno d'assenso.

«Sono solo un po' stanca. Ma sono sicura che non appena respirerò di nuovo l'aria di Nankatsu, mi torneranno le energie.»

La sua mente si riempì di nuovo delle emozioni vissute poche ore prima.

La sua prima volta …

Aveva detto tante volte a sé stessa di voler aspettare il momento in cui si sarebbe sentita pronta, invece era accaduto tutto come in una concatenazione spontanea di eventi.

Quando l'addetto alla reception aveva detto che era disponibile soltanto una camera doppia, era stato inevitabile pensare alle possibili implicazioni.

In quel momento aveva capito che, nonostante l'esitazione dovuta più a imbarazzo che a timore, non si sarebbe opposta se le cose avessero preso quella piega.

E Taro aveva avuto per lei il massimo riguardo, mostrando di non considerarla un oggetto di piacere, preoccupandosi soprattutto del suo benessere.

«Voglio presentarti a papà.» le aveva detto, quando si trovavano ancora alla stazione di Tokyo.

Erano gli ultimi giorni che Taro poteva passare con suo padre prima di tornare a Parigi.

Lei e Ichiro Misaki si conoscevano più che altro di vista. Non mancava mai alle partite del figlio. Non aveva avuto l'occasione di parlargli, ma ogni volta che l'aveva visto interagire con Taro, aveva percepito la profondità del rapporto che li legava.

E si era sorpresa già allora a pensare che era fortunato ad avere un padre che lo sosteneva e seguiva il suo percorso, quando i suoi impegni glielo permettevano.

Cosa che Shinji, invece, sembrava non aver ancora intenzione di fare.

Sospirò sommessamente.

Appoggiò la testa sulla spalla del suo ragazzo e chiuse gli occhi.

 

Il sole aveva ormai riacquistato il dominio del cielo quando giunsero davanti all'abitazione dei Misaki.

Taro aprì la porta e fece strada a Kumi, dopo che ebbero lasciato i trolley nel vestibolo e cambiato le calzature.

Dalla cucina proveniva un profumo invitante: Ichiro stava scaldando del tenpura.

Si affacciò nello stesso momento in cui i due giovani stavano per entrare.

«Oh, ciao ragazzi. Tu se non sbaglio, sei Kumi Sugimoto, una delle ex manager della squadra di calcio.»

«Proprio così, Misaki-san. Ricorda benissimo.» confermò lei, contenta dell'accoglienza che l'uomo le stava riservando fin da subito.

«Così è lei la tua ragazza.» sorrise poi, rivolto al figlio.

Taro sorrise di rimando.

Non era stupito. Suo padre aveva capito già da prima della partenza per Toluca che aveva cominciato una relazione. Il suo uscire ogni sera e anche il pomeriggio quando andava a prendere Kumi al tanki-daigaku, la cura che dedicava al suo aspetto, erano stati segnali inequivocabili.

E Ichiro lo salutava sempre con un sorriso complice, senza fargli domande, conscio che sarebbe stato lo stesso Taro a parlargli e a fargli conoscere la fortunata, quando lo avesse ritenuto opportuno.

«Bene. Si capisce allora che sei invitata a pranzo anche tu. Ho fatto proprio bene a friggere un po' di gamberi e di verdure in più.»

 

«Prima di tornare a Parigi, devo assolutamente mantenere una promessa.» affermò Taro, mentre si avvicinava al padre con una mano nella tasca della giacca.

Giuntogli a fianco, estrasse la medaglia d'oro e gliela mise attorno al collo, osservando divertito la sua espressione commossa.

Ichiro afferrò il disco dorato e lo guardò, emozionato.

Ricordava come se fosse stato il giorno prima, il tema letto in classe da Taro, in cui dichiarava di volere, da grande, vincere le Olimpiadi.

«Ce l'hai fatta, figlio mio.» mormorò, mettendogli un braccio attorno alle spalle.

Kumi sorrise intenerita nel vedere quell'immagine emblematica dell'orgoglio di un padre per il traguardo conquistato dal suo amato figlio.

 

Kumi e Ichiro avevano una passione in comune che si dimostrò un punto di partenza naturale per la loro conversazione.

Gli mostrò alcuni suoi disegni e la copia del primo numero della rivista su cui erano state pubblicate delle illustrazioni e un manga autoconclusivo.

«Hai del talento.» constatò, osservando l'operato della ragazza.

Il pittore ascoltò con interesse la storia di com'era nata la sua passione e condivise il rammarico della ragazza per il fatto che il padre cercasse di dissuaderla. Non perse però tempo per darle un consiglio fondamentale.

«Ovviamente non puoi pensare, specie all'inizio della carriera, di riuscire a mantenerti solo con i disegni. Anch'io per molti anni ho fatto altri lavori, seppure saltuari, oltre a dipingere. Spesso erano mestieri che non avevano niente a che vedere con l'arte. Ma chi non lavora non mangia, e se non si mangia diventa difficile anche sognare.»

Kumi assentì. «È vero. Infatti studio al tanki-daigaku e ho tutta l'intenzione di prendere il diploma.»

Ichiro le rivolse un cenno d'approvazione.

«Serve tempo, e quindi costanza e pazienza. Ma hai intrapreso la strada giusta, non hai fretta di affermarti e questo è un punto a tuo favore.»

 

«Sai Kumi … stavo pensando a quello che ti ha detto papà. Ha ragione: stai vivendo la tua passione con serenità, non hai l'ansia di arrivare.» constatò Taro, mentre accompagnava la ragazza verso casa.

Lei mise le mani dietro la schiena e ammiccò, fermandosi e mettendosi di fronte a lui. «Forse perché in fin dei conti, sono una persona felice. La mamma e la nonna mi hanno sempre sostenuta, mi impegno in tutto quello faccio, sono sì una sognatrice ma so anche rimanere con i piedi per terra. E poi ho tanti amici e un ragazzo splendido che diventerà un campione osannato in tutto il mondo e strapagato: non ho motivo di concentrarmi solo sulla carriera tralasciando gli affetti.» concluse, con un largo sorriso e un lampo di divertimento negli occhi.

Taro alzò un sopracciglio e increspò le labbra. «Strapagato … devo dedurre che mi sono messo con una furbacchiona?»

Kumi scoppiò a ridere e lo prese sottobraccio.

«Che ne dici di andare a trovare Sanae e Tsubasa? Così vedrai i piccoli Hayate e Daibu. Sono così teneri e adorabili!»

«È un'ottima idea.» rispose, avviandosi con lei verso l'abitazione dei Nakazawa.

 

Genzo, giunto ormai a pochi metri dal complesso sportivo Shiroyama, rallentò il suo ritmo di corsa.

Era da poco stato a casa Nakazawa, dove aveva visto per la prima volta i due gemelli Oozora. Erano due bambini bellissimi, con gli stessi occhi vivaci del padre.

Vedere i suoi due amici d'infanzia così felici e innamorati, aveva fatto apparire nella sua mente un'immagine che gli aveva fatto perdere un battito e provocato una sensazione di calore in mezzo al petto.

Lui ed Elena …

Doveva rivederla. Per lui non era cambiato nulla, anzi la stimava e la amava ancora di più. Ma lei aveva avuto un atteggiamento freddo e non gli aveva più telefonato né mandato messaggi. Le poche volte che aveva risposto alle sue telefonate erano state tutte precedenti all'esame d'ammissione: si era limitata a poche frasi, giustificandosi con i numerosi impegni e con la tensione legata all'esame ormai imminente.

Erano stati Misaki e Kumi, incontrati a casa degli Oozora, a informarlo che aveva superato l'esame ed era ora ufficialmente iscritta alla LMU.

Era tempo di riallacciare definitivamente i rapporti, che per lui non si erano mai spezzati.

Prima di ritornare in Germania, avrebbe chiarito ai suoi genitori e a Hiroji quale fosse l'attuale situazione.

Aveva accettato il fatto che Elena avesse lavorato come ballerina in una discoteca.

Aveva voluto farcela da sola, dimostrando di essere in grado di cavarsela e di raggiungere i suoi obiettivi.

Era una ragazza coraggiosa e determinata … e lui si era ritrovato più innamorato di prima.

 

Salutò la segretaria, che lo ricambiò cordialmente e rispose affermativamente quando le chiese se Carlo era presente.

Lo vide quasi subito, mentre stava facendo lezione ai suoi allievi. Andò a sedersi sulle panchine accanto ai suoi ex compagni di allenamenti, che lo salutarono con calore.

Al termine di uno sparring, l'ormai ex kickboxer annunciò una pausa e quando si voltò verso la panchina, ebbe un lieve sussulto per la sorpresa.

«Ehi, chi si rivede!» esclamò, con la sua voce stentorea.

«Ciao Carlo.» rispose, alzandosi.

«Tutto bene, Genzo?»

Il ragazzo accennò un sorriso.

«Non sembra un sì. Come procede con Elena?»

«Da qualche giorno non riesco a mettermi in contatto con lei.» rispose, stringendo le labbra.

Carlo assunse un'espressione preoccupata. «È successo qualcosa?»

«Abbiamo avuto una piccola discussione …» fece una lieve pausa, non volendo raccontare i particolari. Era evidente che non sapeva nulla del lavoro della nipote alla discoteca. «Io sono stato un po' troppo duro, ma le ho chiesto scusa. Lei mi ha salutato con freddezza, ma tra di noi non è finita.»

«Ho provato a chiamarla, ma non mi ha più risposto. Ho saputo dal mio compagno di squadra Taro Misaki che ha superato l'esame di ammissione alla LMU, quindi ora dovrebbe vivere a Monaco.»

«Certo che abita a Monaco! E lei non si è più fatta sentire, nemmeno per dirtelo?»

Genzo scosse la testa, con un sorriso amaro.

«Che razza di testona.» bofonchiò, contrariato. Poi sospirò leggermente. «Credo sia dovuto al fatto che ha appena cambiato vita, si sta ambientando nel suo nuovo contesto. Vedi … Elena è una ragazza che ha bisogno sempre di un po' di tempo per adattarsi ai cambiamenti.»

«Non credo ci riuscirà pienamente, finché continuerà a fingere che non esisto.» replicò il portiere, con una vena di sarcasmo.

Carlo fece un cenno d'assenso.

«Abita nell'appartamento dell'altra mia nipote, Angelina, forse non la conosci.»

Angelina … ovviamente ricordava il fugace incontro avuto a Roma, ma Genzo evitò di dirglielo e preferì mentire.

Il maestro gli batté una pacca sulla spalla.

«Ti scrivo l'indirizzo, così potrai rintracciarla.»

 

Rientrato a villa Wakabayashi, estrasse il foglietto dalla tasca dei pantaloni e lo infilò nella sua agenda, sulla scrivania.

Dopo aver fatto una rapida doccia, raggiunse suo padre nel giardino, seduto sul dondolo del salotto all'aperto, sotto il pergolato, intento a leggere un quotidiano.

«Ti stavo aspettando.» gli disse, alzando la testa verso di lui.

Genzo sorrise e si sedette accanto a lui. 

Yasuhiro chiuse il giornale lo mise da parte. «Volevo parlare con te di un paio di cose, prima della tua partenza per la Germania.»

«Innanzitutto, vorrei dei chiarimenti riguardo ciò che è accaduto a Madrid.»

Genzo alzò un sopracciglio. «Il Giappone ha vinto le Olimpiadi. Su questo non ci sono dubbi.»

Yasuhiro chiuse gli occhi e fece un sorriso obliquo. «Sì, certo. Non mi riferivo a questo, ovviamente. Parlo della ragazza bionda con cui sei stato visto, allo stadio e fuori da un hotel. In giorni diversi. Questo non è un comportamento rispettoso verso la tua fidanzata.»

«La mia fidanzata è lei.» affermò Genzo.

Yasuhiro spalancò gli occhi e lo guardò come se fosse una sorta di mitomane.

«Asami ed io non stiamo più insieme dallo scorso giugno, da prima della mia partenza per il Messico.» rivelò, infine.

Yasuhiro lo guardò ancora più stranito.

Sbatté le palpebre un paio di volte e scosse la testa.

«Raccontami dall'inizio. È vero che negli ultimi mesi Asami non parlava molto della vostra relazione, anche perché quest'estate è stata molto impegnata tra esami e viaggi. Mi sono stupito del fatto che non abbia assistito alla finale di Madrid, ma non ha mai accennato al fatto che vi foste lasciati.»

«Perché si era convinta che la mia fosse solo una sbandata e che sarei tornato con lei. Ma quello tra me ed Elena non è un flirt.»

Yasuhiro sospirò seccato. «Continui a nominarmi questa Elena, ma io non ricordo di averla mai vista né conosciuta, se non nelle descrizioni e nelle fotografie.»

«Elena è la nipote del mio ex maestro di kickboxing, qui a Nankatsu. Ci siamo conosciuti e gradualmente è nato un sentimento che è andato oltre l'amicizia.»

«Vi frequentavate già durante la tua storia con Asami?» chiese, con un'espressione grave.

Genzo scosse la testa. «Non ho tradito Asami. L'ho lasciata prima di iniziare la mia attuale relazione. Ieri sera l'ho incontrata alla festa della JFA. Sperava che tornassi sui miei passi, ma le ho detto di smettere di illudersi.»

«Tu hai lasciato Asami da tre mesi e ti sei legato a un'altra ragazza e non mi hai detto nulla?»

Genzo assentì. «Se l'avessi fatto, non mi avresti dato pace. Avresti fatto di tutto per convincermi che stavo commettendo un errore, che non dovevo cedere a quello che avresti certamente giudicato un "colpo di testa", che mi ero lasciato sedurre da un'arrampicatrice sociale e chissà che altro.»

Yasuhiro lo guardò interdetto, poi abbassò leggermente il capo,

«Ho passato dei giorni splendidi con lei, a Madrid.» proseguì Genzo, ormai un fiume in piena. «Ora si trasferirà a Monaco, dove frequenterà la LMU.»

Suo padre rimase in silenzio, per alcuni istanti. Poi rialzò il capo e lo guardò, attento.

«Lavorava nella palestra con suo zio?»

«Sì, insegnava ginnastica artistica. Ma è anche una brillante studentessa e da quest'anno frequenterà la LMU a Monaco.»

Yasuhiro assunse un'espressione pensosa. «È un'ottima università. Dubito che il lavoro di insegnante sia sufficiente a pagare le rette e l'affitto. A meno che non chieda aiuto a chi può arrivare dove lei non riesce.»

Genzo contrasse la mascella, e lanciò uno sguardo duro verso il padre.

«Possibile che tu riesca a ragionare soltanto per pregiudizi? Non la conosci nemmeno e la stai giudicando solo perché non è ricca. Ecco perché vai d'accordo con Asami. Avete la stessa mentalità: la classe agiata non si deve mischiare con quella popolare.»

Yasuhiro fece per rispondere, ma il figlio lo anticipò.

«Comunque so che qualunque cosa io ti dica, non basterà a convincerti. Che dire, papà: ci aggiorniamo tra qualche mese. Una cosa è certa: per me è iniziata una nuova fase della mia vita, sta cambiando tutto. E nulla sarà più come prima.»

 

Hiroji era sul retro del giardino.

Kenichi era appena corso in casa, lui accarezzò John sulla testa e poi lo lasciò andare.

«Avete chiacchierato per un bel pezzo, tu e papà. È tornato alla carica con l'azienda?»

Genzo abbozzò un sorriso. «Anche, ma la questione principale è stata un'altra.»

«Ah, sì? E di cosa avete parlato, allora?»

«Della mia relazione con Asami, finita prima della mia partenza per il Messico.» replicò il giovane, serenamente.

Hiroji lo guardò sconcertato. Per alcuni istanti, non riuscì a proferire parola.

«Hai voglia di scherzare.» reagì, alzando un sopracciglio.

Genzo mantenne la sua espressione, scuotendo la testa.

Il dirigente fece altrettanto, di rimando.

«Ma cosa ti è passato per la testa? Ci sono uomini che farebbero carte false per una ragazza come Asami Ujimori, e tu la lasci?»

«Questo è un bene per Asami, significa che non faticherà a trovare un uomo più adatto a lei.»

Hiroji lo fulminò con lo sguardo. «Risparmiami la tua ironia, almeno su quella ragazza.»

«Non è ironia. L'ho lasciata proprio per questo, per permetterle di concentrarsi sulla sua vita.» ribatté il fratello, imperturbabile. 

«Le cose tra noi non andavano più bene da un po' di tempo e ho deciso che era meglio troncare.» aggiunse.

«Cosa c'era che non andasse? Sembravate così uniti e affezionati l'uno all'altra.» obiettò Hiroji, mettendosi le mani sui fianchi.

Il suo sguardo era attento e penetrante, come a voler sondare i pensieri del fratello.

«Non c'era più quella sintonia che ci ha legati all'inizio e per quanto mi riguarda è venuto a mancare il coinvolgimento.»

Il fratello maggiore sospirò. «Ascoltami Genzo … io so che a Madrid sei stato visto e fotografato con una ragazza ...»

«Si chiama Elena.» rispose, senza lasciarlo finire, dato che, come in precedenza il loro padre, l'aveva portato esattamente dove lui voleva arrivare. «L'ho conosciuta qui in Giappone. Ha vissuto a Nankatsu nei mesi scorsi, è la nipote del mio ex maestro di kickboxing.»

«Lo so. Me l'ha detto Annie, che la incontrava di tanto in tanto, soprattutto al parco Hikarigaoka. Inoltre l'ho vista una volta, nell'ospedale in cui sei stato operato dopo l'infortunio all'occhio.»

«Bene. Allora tu non dovresti aver bisogno di molte spiegazioni.»

Hiroji fece un sorriso amaro. «Così mentre frequentavi Asami, tu …»

«No. L'ho lasciata prima di iniziare la mia storia con Elena. Puoi disapprovare la mia scelta, ma mi sono comportato correttamente.»

«E perché non ce l'hai detto subito?»

«Mancavano pochi giorni alla mia partenza per il J-Village e al ritorno in Italia di Elena. Volevo passarli con lei, per rinforzare il nostro legame prima di una separazione di almeno un mese.»

«Avresti fatto meglio a parlarcene.»

«Volevo evitare di coinvolgere Elena ed esporla alle vostre riprovazioni. Sapevo che l'avreste accusata di avermi sedotto e di avermi diviso da Asami. In realtà, le cose tra di noi avevano cominciato a non andare bene già da prima, abbiamo punti di vista divergenti su cose che per me sono fondamentali.»

Hiroji sembrò assentire, con lievi cenni del capo, ma i suoi occhi tradivano un certo nervosismo.

«La vostra rottura potrebbe avere effetti negativi sull'andamento degli affari.» lo ammonì, infine.

«Cosa?» detta da Hiroji, gli sembrava un'affermazione priva di logica, involontariamente comica. Era ciò che gli aveva detto Asami, ma non l'aveva presa sul serio poiché dettata da un vano e obiettivamente risibile tentativo di intimidirlo.

«Abbiamo una trattativa in corso e questo potrebbe ostacolarla, così come i rapporti con gli Ujimori!»

Genzo lasciò cadere le braccia lungo il corpo, sconcertato.

«Di quale trattativa parli?» gli sembrava tutto assurdo.

«Abbiamo cominciato a parlare di una possibile acquisizione della Ujimori Heavy Industries da parte della Wakabayashi Electrics.» ammise Hiroji. «È un progetto che nelle nostre intenzioni, si concretizzerà tra qualche anno. Tsutomu rimarrebbe uno degli azionisti e vorrebbe affidare a te un importante incarico dirigenziale. E naturalmente spera, o forse da quel che mi racconti è più corretto dire sperava, in un matrimonio tra te e sua figlia.»

Genzo strinse la mascella.

«Non credevo che vi divertiste a disegnare il mio futuro e a fantasticare su un progetto concepito senza di me.»

Nella mente del giovane si fece strada l'idea che, la sera della cena di beneficenza, il vero obiettivo di suo padre fosse farlo incontrare con Asami, in modo da riallacciare i rapporti con lei e far sì che sfociassero in quella relazione sempre caldeggiata.

Asami parlava di questo … un progetto che non era più un auspicio come aveva a lungo creduto, ma una trattativa bene avviata. E a quanto pareva il loro matrimonio doveva rappresentare la ciliegina sulla torta, se non era proprio parte dell'accordo.

«Hiroji, io ho cominciato a undici anni a costruire il mio futuro da uomo indipendente. E ora sono un calciatore professionista, gioco in uno dei campionati più competitivi del mondo, guadagno abbastanza da mantenermi da solo. Sono libero di fare le mie scelte e non sono ricattabile da nessuno, né da voi né dagli Ujimori.» affermò, risoluto.

«E comunque la Wakabayashi Electrics è un'azienda di grande importanza e prestigio, non farà fatica a trovare altri partner commerciali, se il suo amministratore delegato saprà far valere la propria intraprendenza e competenza.» continuò, negando al fratello qualsiasi margine di replica. «Quanto a Tsutomu, non so quanto gli convenga rinunciare a un simile progetto. Scommetto che finirà per convincersi anche lui che il matrimonio di sua figlia con me non è una condizione imprescindibile.»

   

Rientrati in casa, Genzo diede una carezza ad Aiko che, non appena aveva visto entrare il padre e lo zio, aveva camminato rapidamente verso di loro con il suo passo ancora un po' traballante. Hiroji la prese in braccio, le diede un piccolo bacio sulla fronte e la fece accoccolare sul suo largo petto.

Annie era appena entrata in salotto con Kenichi che stava sgranocchiando un biscotto.

Mariko e Yasuhiro erano seduti sul divano. Sul televisore di fronte a loro, stavano scorrendo le immagini di un vecchio film.

L'attenzione di tutti si concentrò su Genzo.

«Non rimarrò qui a cena. Parto per Narita. Stasera ho il volo per Monaco. Mi dedicherò alla mia nuova avventura al Bayern e alla mia nuova vita. Mi chiamo Wakabayashi ma non sono obbligato a diventare quello che voi avete deciso per me.» annunciò, incamminandosi verso le scale.

Hiroji strinse le labbra ma non cercò di trattenerlo né di dissuaderlo.

I signori Wakabayashi non cambiarono espressione.

Kenichi alzò la testa verso Annie, perplesso.

La donna sorrise e lanciò un'occhiata al marito, cui sembrò di aver rivisto il sé stesso di poco più di dieci anni prima, riflesso negli occhi del fratello.

 

Genzo si riposizionò tra i pali della porta e piegò le ginocchia, sporgendosi leggermente in avanti, preparandosi a parare l'ennesimo tiro del penultimo allenamento prima della partita di Coppa di Germania.

Era stato a Monaco diverse volte, ma era diverso arrivarci per rimanerci. Doveva ancora abituarsi completamente all'idea che la capitale bavarese sarebbe stata la sua nuova città.

Come dieci anni prima ad Amburgo, l'unico modo che conosceva per ambientarsi il più rapidamente possibile era dimostrarsi all'altezza della situazione, provando che i dirigenti del Bayern avevano visto giusto a sceglierlo come portiere di una squadra costruita per vincere e rimanere ai vertici del calcio tedesco e internazionale.

Il tiro di Levin era potente ma non angolato, e Genzo lo bloccò con sicurezza.

Il centrocampista svedese sbuffò, rassegnato. In quell'allenamento non lo aveva superato nemmeno una volta.

Solo Schneider ci era riuscito, ma la sua percentuale di realizzazione era molto lontana da quella dei tempi di Amburgo. Se a quell'epoca era del cinquanta per cento, ora era sì e no del venti.

L'attaccante non sapeva se essere deluso da sé stesso o rallegrarsi per i grandi progressi fatti dal portiere e rivale storico in quell'anno.

«Va bene, Wakabayashi, oggi sei imbattibile! Facciamo una pausa, è quasi ora di pranzo!» lo supplicò Shiken, il campione croato.

«Sì, ma prima voglio un altro giro!» gridò però il portiere.

«Ancora?!» protestarono tutti di rimando, quasi all'unisono, con una faccia sconvolta, oltre che stravolta dal caldo e dalla fatica.

Quell'allenamento sembrava interminabile. Inoltre, il sole era caldo come in una giornata di piena estate, nonostante si fosse ormai oltre la metà di settembre.

Un particolare di cui Genzo sembrava non essersi accorto nonostante le gocce di sudore che gli imperlavano il viso.

«Wakabayashi, abbi pietà di quei poveri ragazzi! Lasciagli tirare un po’ il fiato!» lo rimproverò bonariamente Schneider, l'unico a non lamentarsi e che anzi, rideva sotto i baffi.

«Tutti dicono che sono i migliori attaccanti del mondo. Lo dimostrino allora!» ribatté, senza fare una piega.

«Eravate così ansiosi di avermi come portiere, e questo è tutto quello che riuscite a fare?» li provocò ancora.

«Schneider, era così anche ad Amburgo?» gli chiese Sho, passandosi un braccio sulla fronte.

«Oh, no. Adesso è molto peggio.» gli rispose sornione, battendogli una mano su una spalla.

Il giovane cinese sospirò pesantemente, andando a rimettersi in fila per una nuova tornata di tiri, sotto lo sguardo compiaciuto di Frank Schneider.

 

Genzo chiuse la cerniera del suo borsone e se lo caricò su una spalla.

Karl lo imitò e i due uscirono insieme dagli spogliatoi.

Gli ultimi giocatori erano usciti da poco, alla spicciolata.

«Ora puoi dirmelo, Wakabayashi. Cosa ti ha fatto superare le tue riserve su un trasferimento al Bayern?»

Genzo diede un'alzata di spalle. «I motivi che già mi spiegasti tu. Giocare ogni giorno un calcio più competitivo.»

Karl fece una piccola smorfia, non troppo convinto. «Va bene, ma ho la sensazione che ci sia qualcos'altro. Günther, prima dei quarti, mi ha detto che se avessi accettato l'offerta non sarebbe stato merito né suo né mio, ma di una terza persona, e che da te non me lo sarei mai aspettato. Puoi dirmi a cosa o a chi si riferiva?»

Genzo si guardò un attimo intorno, poi chiuse gli occhi e sorrise. «Te lo dirò dopo la partita con l'Amburgo, se avrai un po' di pazienza.»

«Ehi, ma la partita con l'Amburgo è fra tre mesi!» obiettò.

«Se hai proprio tanta fretta, potresti pagare quella penitenza che io ti ho generosamente sospeso.» replicò sornione, strizzandogli un occhio.

Karl alzò gli occhi al cielo. «Nah, in questo caso preferisco tenermi la curiosità. In fondo, con tutto il tempo che ci hai messo a deciderti a venire qui, posso anche aspettare.» disse, battendogli una mano sulla schiena.

 

Time I'm sure will bring

Disappointments in so many things

It seems to be the way

When your gambling cards on love you play

I'd rather be in hell with you baby

Than in cool heaven

It seems to be the way

 

 

Alzò gli occhi al cielo, infilando le mani nelle tasche della sua giacca. Era la seconda volta che suonava al citofono del palazzo nel quartiere di Maxvorstadt indicato nell'indirizzo scrittogli da Carlo, ma non rispondeva nessuno.

Avrebbe atteso altri cinque minuti poi, se anche il terzo tentativo fosse andato a vuoto, se ne sarebbe andato.

Abbassò la visiera del suo berretto e finse di controllare qualcosa sul suo smartphone.

Stava pensando di premere di nuovo il pulsante quando vide una ragazza dai lunghi capelli castani ondulati, piuttosto alta e dal fisico esile, camminare rapidamente, trasportando una borsa di plastica carica e una confezione di bottiglie d'acqua.

Quando si arrestò davanti all'ingresso, Genzo alzò la visiera del cappello e le sorrise.

Lei sgranò gli occhi.

«Genzo Wakabayashi?» mormorò, con voce leggermente ansante per lo sforzo.

Il portiere annuì.

«E tu sei Angelina, se non sbaglio.»

«Già. Elena però adesso è all'università e credo non rientrerà prima di sera.» replicò, stringendo le labbra.

«Però abita in questo palazzo, con te.»

«Sì, al terzo piano.»

«Ti posso parlare?» le chiese con tono pacato e un sorriso gentile.

Ad Angelina non restò che annuire.

Aveva sempre pensato che definire i suoi occhi "magnetici" da parte di Elena, fosse la classica esagerazione da ragazza innamorata, ma ora che se lo ritrovava davanti e non aveva un'espressione sconvolta né arrabbiata, si dovette ricredere. Quello sguardo era davvero di un'intensità non comune.

Lui le sfilò la borsa e le bottiglie dalle mani quasi senza che se ne accorgesse.

«Non ti disturbare, tanto salgo con l'ascensore …» mormorò imbarazzata.

«Ma le porterai pure dentro con te, sia nell'ascensore sia in casa.» ribatté lui prontamente, con un sorriso sghembo.

«Effettivamente.» riuscì a rispondere. «Beh, grazie.» disse acquistando finalmente un po' di disinvoltura, mentre entravano nell'ascensore.

Aveva appena vent'anni, ma possedeva già un portamento e un fascino capaci di far vacillare qualsiasi donna. Era sicura che se Mattias li avesse visti in quel momento, avrebbe fatto una scenata di gelosia, sebbene non potesse accadere assolutamente nulla di compromettente.

Genzo era venuto soltanto per parlare di Elena, e quanto a lei … la fascinazione non l'avrebbe mai indotta a fare un torto alla cugina, cui voleva bene come a una sorella, e all'uomo che amava.

 

«E così vorresti che ti aiutassi a rimetterti in contatto con Elena.» disse, posando sul tavolo due bicchieri appena riempiti con succo d'arancia.

Genzo fece un cenno d'assenso.

«Lei passa la domenica a Bad Tölz, dove abitano i nostri nonni. Dopo il pranzo, le piace andare a passeggiare sul ponte sul fiume, dove nuotano sempre dei bellissimi cigni bianchi e germani reali. Potresti farle una sorpresa.»

«Non ci sarebbero problemi … io gioco sabato e la prossima settimana non ci sono partite di Coppa. Devo però essere sicuro di incontrarla sola.»

Angelina fece spallucce. «I nonni non escono mai di casa prima delle quattro del pomeriggio. Quanto a me, dedico la domenica al mio ragazzo, visto che durante la settimana ci vediamo poco, mentre il mio fratellino trascorre il weekend da papà.» spiegò. «Avrai campo libero.»

«Come pensi reagirà?»

Angelina diede un'altra alzata di spalle e sorrise incoraggiante. «Non ha perso una partita, e fa fatica a nascondere la sua gioia davanti alle tue parate, persino quelle più facili.»

Gli occhi di Genzo si illuminarono. Non riuscì a trattenere un sorriso.

«È innamorata di te. Da quando è qui a Monaco, si è buttata nello studio e nel lavoro, ma c'è un posto fisso per te, nei suoi pensieri. Magari sta aspettando proprio che tu ti faccia vivo.»

Si diresse verso la console su cui era collocato un telefono e aprì il piccolo bloc-notes accanto.

Prese una penna, scrisse qualcosa rapidamente e strappò il foglio.

Poi tornò da lui e glielo porse.

«Questo è l'indirizzo della casa dei nonni. Tanto poi con il navigatore ci arrivi.» disse, strizzandogli un occhio.

 

Elena, stretta nel suo giubbetto, si muoveva lentamente sul ponte che sormontava il fiume Isar.

Fare una passeggiata in quella zona poco distante dalla casa dei suoi nonni era una consuetudine fin da quando era bambina, e non se ne sarebbe mai stancata.

Osservava gruppi di cigni, anatre e oche nuotare insieme nel fiume, la splendida cornice formata dagli alberi dalle chiome variopinte, la sagoma delle Dolomiti che si stagliava all'orizzonte.

Si era calata completamente nella sua nuova vita in Germania.

Lei e Angelina si ritrovavano perlopiù al mattino a colazione e la sera a cena, trascorrendo di tanto in tanto il pomeriggio a fare shopping o qualche serata al cinema, quando Mattias era fuori città per lavoro.

Grazie a Gabriele, l'ex fidanzata di Carlo, era stata assunta in una palestra di Monaco, come insegnante di ginnastica delle bambine. Le sue giornate erano divise così tra le lezioni ricevute nelle aule universitarie e quelle impartite alle ginnaste in erba.

Elena aveva saputo farsi apprezzare fin da subito, grazie anche al bagaglio di esperienza accumulato in Giappone.

Nel frattempo, preparava i suoi primi esami. In mezzo a tutto questo, trovava sempre un paio d'ore da dedicare, il sabato o la domenica oppure il martedì o il mercoledì, a seguire le partite del Bayern Monaco, che a un mese e mezzo dall'inizio della Bundesliga guidava la classifica con cinque punti di vantaggio sulle due inseguitrici appaiate Stoccarda e Werder Brema.

La squadra allenata da Frank Schneider aveva cominciato benissimo anche in Champions League, e in quella competizione Genzo aveva difeso i pali fin dall'inizio. Due partite e due vittorie convincenti, contro squadre ostiche.

Seguire ogni match era un modo per trattenere Genzo Wakabayashi nella sua vita … anche se sentiva la sua mancanza. Ripensava al modo in cui lo aveva salutato, così freddo e distaccato.

«Per quanto tempo andrai avanti ancora così, senza vederlo?» le chiedeva Angelina, ogni volta che la vedeva trepidante davanti allo schermo.

Aveva ragione … per quanto riempisse le sue giornate, Genzo le mancava terribilmente. Le mancava la sua voce calda e carezzevole, il suo sguardo intenso. Le mancava sentire i muscoli delle sue braccia contrarsi quando la abbracciava. I suoi baci. La sensazione che ogni cosa attorno a loro sparisse.

Non avevano condiviso l'emozione della prima partita in Champions League, eppure non aveva mancato di rivolgerle quel saluto divenuto ormai un rito, sicuro che lo stesse guardando.

«Eccoti qui, finalmente.»

Elena trasalì. Avvertì la pelle tremare e il cuore cominciare a battere all'impazzata.

Quella voce … no, non poteva essere … a forza di pensare a lui, doveva essersela immaginata.

Ma possibile che anche i passi che sentiva sempre più vicini, il profumo che gli apparteneva, il respiro che le sfiorava i capelli e le grandi mani posate sulle sue spalle, fossero frutto della sua fantasia?

Deglutì. Si voltò lentamente.

Genzo era di fronte a lei, con quel sorriso che le faceva sempre rischiare un arresto cardiaco.

Le mise le mani sui fianchi e la attirò a sé.

 

«È stata Angelina a dirti che ero qui.» disse, mentre passeggiavano per Marktstraße. Non era una domanda, ma una constatazione.

Genzo annuì. «Prima però, è stato Carlo a darmi l'indirizzo del vostro appartamento. Elena.»

Lei lo guardò, in attesa. «D'ora in avanti, basta pause tra di noi. Di qualsiasi tipo esse siano.»

«Va bene.» rispose, con un sorriso. «Che ne diresti allora, di tornare a Monaco insieme?»

Il ragazzo annuì con un cenno del capo e ricambiò l'espressione allegra di lei.

La attese nel parcheggio in cui aveva lasciato la sua auto, per il tempo in cui Elena era tornata a casa a prendere il trolley, già quasi pronto.

Caricò il suo bagaglio nel baule e andò a mettersi al posto di guida, accanto al quale Elena si era accomodata.

Mise in moto e partì insieme a lei, verso Monaco.

 

  

 

 

 

***Note***

 

 

Il "bel giapponese" ricordato dalla nonna di Elena è l'attore Ryo Ikebe (1918-2010).

Molto celebre in patria, a livello internazionale il suo film più famoso è "Inizio di primavera" ("Sōshun") del 1956, diretto da Yasujiro Ozu. Questo è un suo primo piano tratto proprio da una scena di questo film.

 

Un dettaglio che non ho precisato nello scorso capitolo è quello relativo al nome della cugina di Elena, che si pronuncia "Anghelina".

La scelta non mi è stata ispirata dalla celebre attrice statunitense Angelina Jolie ma dalla bravissima pallavolista tedesca Angelina Grün, che nella sua pregevole carriera ha giocato anche in Italia, a Modena e a Bergamo, vincendo molti titoli a livello nazionale e internazionale.

 

Karl Heinz Rummenigge, spesso chiamato con l'affettuoso nomignolo Kalle, è amministratore delegato del Bayern Monaco dal 2002, dopo esserne stato vicepresidente.

È stato un fortissimo attaccante tra gli anni '70 e '80, noto per la potenza dei suoi tiri.

Le sue squadre più importanti sono state il Bayern Monaco, l'Inter e naturalmente la Nazionale tedesca. Ha vinto due Palloni d'Oro consecutivi, nel 1980 e nel 1981.

Takahashi si è evidentemente ispirato a lui per creare il personaggio di Karl Heinz Schneider (vi è anche una notevole somiglianza fisica tra Karl e il giovane Kalle, come dimostra questa immagine).

 

Tenpura: piatto tipico giapponese che consiste in una frittura leggera di verdure, gamberi o anche carne in pastella croccante.

 

JFA: acronimo di Japan Football Association, la Federcalcio nipponica.

 

Come anticipato nel capitolo XIX, ho inserito in questo capitolo un'altra strofa della bellissima "Sign Your Name".

Qui la traduzione:

 

Sono sicuro che il tempo

Porterà con sé delusioni per molte cose

Sembra essere questa la strada quando

Giochi le tue carte sull’amore

Preferirei essere con te all’inferno

Piuttosto che da solo in un freddo paradiso.

Sembra essere questa la strada.

 

Martedì 8 ottobre 2019 è una data storica per la ginnastica artistica italiana: la Nazionale femminile ha infatti vinto la medaglia di bronzo nel concorso a squadre ai Mondiali svoltisi a Stoccarda. Prima delle azzurre soltanto due superpotenze come Stati Uniti e Russia.

Bravissime ragazze!

 

 

Eccoci quasi alle battute finali … sì, perché il prossimo capitolo sarà l'ultimo e porterà con sé anche un epilogo.

Grazie come sempre a tutti voi che seguite questa storia.

Buona settimana e a presto!

Sandie

  
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