Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: destiel87    16/10/2019    2 recensioni
"Levi, vuoi sapere a cosa ho pensato, quando quel gigante mi ha preso il braccio?
Ho pensato alla prima volta che ti ho visto sfrecciare libero tra i palazzi, con lo sguardo rivolto al cielo. Tutti guardavano a terra, verso i giganti, ma tu, tu guardavi sempre verso il cielo, quasi cercassi di arrivarci. Ho pensato che se fossi morto in quel momento, non avrei più potuto vederti volare, e istintivamente, ho lottato, con più forza di prima.”
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Erwin Smith, Levi Ackerman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Tears of a soldier

 
“Quando il tempo dell’uomo giunge al termine, il soldato ha bisogno di sapere che il suo dovere è stato compiuto, che il suo coraggio ed il suo sacrificio sono stati utili per una causa più grande.
Ma ciò che il suo cuore ha bisogno di sapere, è che qualcuno di caro verserà calde lacrime sulle sue spoglie, ricordando chi era stato.
Che guardando il cielo terso, penserà al suo viso, cercandone la forma nelle nuvole.
Lasciare questo mondo, sapendo di non essere stato mai amato, non è forse come non aver mai vissuto?”
 
 
Il corpo di ricerca era appena tornato da una missione, in molti erano rimasti stesi sull’erba verde, gli occhi sbarrati rivolti al cielo.
Molti erano tornati feriti, nel corpo e nell’anima.
Erwin Smith era ritornato a casa senza un braccio.
Un prezzo basso da pagare, per un uomo come lui.
Ciò che restava della compagnia, stava bevendo qualcosa in una stanza umida, ricordando i caduti.
Si ricordavano le loro storie, i loro volti, alzando un bicchiere verso il cielo.
Era una cosa a cui i soldati erano abituati, anche se alcune perdite erano più dolorose di altre.
Levi era appoggiato al muro, gli occhi rivolti al di là delle persone, verso quella piccola finestra da cui si intravedeva il cielo.
Non gli era mai piaciuto parlare dei morti, certo il loro ricordo non li avrebbe riportati in vita.
Un uomo poco distante, stava parlando di Erwin, di come fosse stato coraggioso a lottare con un solo braccio, circondato dai giganti.
In molti si unirono al suo pensiero, del resto il comandante era molto rispettato tra i soldati.
Si raccontarono alcuni aneddoti su di lui, che Levi ascoltò distrattamente.
“Ora che ci penso, non l’ho mai visto sorridere…” Disse improvvisamente un soldato, bevendo poi un sorso di birra.
Rimasero tutti in silenzio per qualche momento.
“Ehi Levi, tu l’hai mai visto sorridere?” Chiese Hanji, sistemandosi gli occhiali.
Levi la guardò qualche istante, prima che la sua memoria tornasse indietro negli anni.
Era una tranquilla giornata di sole, e Levi stava pulendo la sua stanza.
Proprio non lo sopportava lo sporco, non dopo averci vissuto tutta la vita.
Si era messo un grembiule bianco, per non macchiare la divisa, una cuffia in testa per proteggere i capelli, e un fazzoletto sulla bocca, per non respirare la polvere.
Erwin era entrato all’improvviso, bussando leggermente la porta.
Aveva aperto la bocca per dire qualcosa, ma si era bloccato subito dopo.
Sorrise, il comandante.
Era la prima volta che Levi lo vedeva sorridere, e provò una strana sensazione, a cui non seppe dare un nome.
“Che cosa stai facendo?” Chiese Erwin, avvicinandosi.
“Pulisco.”
L’altro sorrise di nuovo, studiando divertito il suo abbigliamento.
“Non vedo cosa ci sia di divertente.” Esclamò nervoso Levi.
“Scusami, non era mia intenzione offenderti.”
Levi voltò il viso dall’altra parte, indispettito.
Poco dopo notò con la coda dell’occhio la mano di Erwin che si avvicinava al suo viso, sfiorandone delicatamente la guancia con l’indice.
Sembrò afferrare qualcosa, per poi ritrarsi.
“C’era della polvere.” Si giustificò, riponendo le braccia dietro la schiena, come era solito fare.
Levi non disse nulla, ma sul suo viso apparve un leggero rossore.
“Ehi Levi!” Urlò Hanji. “Allora?”
“No.” Rispose lui, sistemandosi i capelli dietro l’orecchio.
“Ve l’ho detto, non sorride mai!” Replicò il soldato.
“Non che ci sia molto da sorridere, in questa vita.” Disse Levi a bassa voce.
Il soldato non sembrò dargli retta, e continuò con il suo discorso.
“Scommetto che non ha mai riservato un gesto gentile a nessuno. Non è proprio il tipo!”
I soldati, rimasero di nuovo in silenzio, pensando.
“Scommetto invece  che con te è stato gentile, vero Levi?” Esclamò Hanji, con la voce impastata dal vino.
“Non dire stronzate.” Le rispose, spostandosi verso la finestra.
Il ricordo fugace delle loro mani che si sfioravano, gli tornò alla memoria, lasciandolo un momento senza fiato.
Non ricordava nemmeno quando fosse successo, o che giorno fosse.
Era notte, e lui era appena tornato da una missione.
Era entrato nello studio di Erwin per fare rapporto, ma lo aveva trovato addormentato sul divano.
Era un vecchio divano verde, accanto al quale c’erano due poltrone e un tavolino al centro, di solito ricoperto di fogli.
Erwin era seduto scompostamente, e la testa ricadeva di lato, appoggiata al bordo del divano. Nella mano stringeva ancora alcuni fogli.
Levi restò qualche momento a guardarlo dormire, a studiarne il viso rilassato, ad ascoltare il suo leggero russare.
Gli tolse i fogli dalle mani, posandoli sul tavolo.
Poi istintivamente si tolse il mantello, stendendolo su Erwin, in modo da coprirlo.
Doveva essere molto stanco, pensò, per essersi addormentato così.
Si voltò, deciso a lasciarlo riposare, quando d’improvviso si sentì stringere le dita della mano sinistra.
“L-levi, sei tu?”
Erwin aprì un poco gli occhi azzurri, mettendolo a fuoco.
“Si. Non volevo svegliarti.”
“Non importa…” Rispose, accorgendosi poco dopo del mantello sul suo corpo.
“Oh… Ti ringrazio.” Aggiunse.
“Non ringraziarmi, è sporco.” Rispose Levi, che non riusciva a staccare gli occhi dalle sue dita, avvolte da quelle di Erwin.
“Mmh ha il tuo odore…” Rispose lui, richiudendo gli occhi.
Non disse nulla Levi, rimase lì a guardare il suo volto che si rilassava, le dita che lentamente perdevano forza, ricadendo poi sul divano.
Non ne avevano mai parlato, di quell’episodio, nemmeno sapeva se Erwin se lo ricordasse.
Mentre era immerso in questi pensieri, Levi guardava fuori dalla finestra le nuvole
bianche che si muovevano sinuose, spinte dal vento dell’est.
“Mi chiedo se qualcuno piangerebbe davvero per lui, se un giorno morisse.”
Levi non riconobbe quella voce, ma si voltò per cercarne la fonte.
Hanji sbatté il bicchiere contro il tavolo. “Che diavolo dici, idiota! Tutti noi piangeremmo, se succedesse una cosa simile!”
“Non dico questo. Certo che lo faremmo, perché è il nostro comandante.” Gli rispose l’ uomo. “Mi chiedo solo se qualcuno di caro lo piangerebbe davvero. Se esiste a questo mondo, qualcuno che lo ama.”
“A te che importa?” Esclamò Levi, scuro in volto.
“ah, niente. Penso solo che deve essere davvero triste per lui, sapere che nessuno lo piangerebbe. Che non mancherebbe a nessuno.”
“La sua scomparsa sarebbe una grave perdita per tutti noi, razza di idiota. Neanche tra cento anni, troveremo un comandante migliore. Un uomo, migliore.” Esclamò stringendo i pugni, mentre il cuore gli batteva con forza nel petto.
Così dicendo si diresse verso la porta, nel silenzio generale.
Quando chiuse la porta dietro di sé, si fermò un attimo per riprendere il respiro.  
Non lo avrebbe mai ammesso a nessuno, che lui aveva pianto per il suo comandante.
Molti anni prima, quando lo aveva creduto morto.
Quasi nessuno era tornato da quella missione, ed il corpo di Erwin giaceva immobile su un carro, insieme a tanti altri.
Era rimasto immobile, senza il coraggio di avvicinarsi. Si era sentito in quel momento, come se un macigno lo stesse schiacciando, facendolo sprofondare di nuovo nel sottosuolo.
Solo qualche ora dopo, era stato chiamato nell’ufficio di Erwin.
Non si era chiesto il motivo, non gliene importava molto.
Ma poi quando aveva aperto la porta, davanti a sé aveva trovato l’uomo che aveva creduto morto.
Era pallido in viso, e portava una fasciatura intorno alla testa.
La divisa sporca di sangue, con qualche strappo sul petto e sulle cosce.
“Tu…?”
“Oh Levi, sei arrivato. Abbiamo molte cose di cui parlare, dobbiamo riorganizzarci per la prossima missione.”
Levi si avvicinò a lui, senza dire una parola, quasi avesse di fronte un fantasma.
Pensò per un attimo che la sua mente gli stesse facendo uno scherzo crudele.
Quante volte era entrato in quello studio, per parlare di nuove missioni…
“Levi, stai bene?” Gli chiese l’altro, facendo qualche passo verso di lui.
Levi si fermò davanti a lui, guardandolo con gli occhi sbarrati.
Avvicinò incerto la mano, fino a posarla sul suo petto.
Fu in quel momento, che ne avvertì il calore.
Fu in quel momento, che si rese conto che era ancora vivo.
E senza che potesse farci nulla, le lacrime uscirono con violenza, bagnandogli il viso, togliendogli il respiro.
“Idiota… Razza di idiota… Come puoi star qui a parlarmi di missioni! Io credevo che tu… ”  Disse con la voce strozzata, stringendo con forza la giacca verde del suo comandante.
D’improvviso sentì la mano di Erwin posarsi sulla sua testa.
Poi l’altra lo prese per la vita, spingendolo verso di sé.
Si ritrovò così abbracciato al suo comandante, stretto al suo petto, a piangere tutte le lacrime che a lungo aveva trattenuto.
Ed ora, appoggiato contro quella porta di legno, Levi sentì il bisogno di vedere Erwin, di fargli sapere quanto contasse per lui.
Si ritrovò a correre per i corridoi di pietra, cercando disperatamente la sua stanza.
Un giorno sarebbe potuto non tornare, un giorno, il suo corpo sarebbe rimasto steso sull’erba verde, con gli occhi rivolti al cielo.
E quel giorno, voleva che sapesse che qualcuno avrebbe pianto per lui, che non era solo.
Quando finalmente la trovò, la aprì di scatto, entrando dentro.
Erwin era appoggiato al muro, accanto alla finestra.
Il vento gli scompigliava i capelli biondi, muovendo la sua camicia bianca, aperta sul petto.
I suoi occhi si aprirono di scatto, scontrandosi con quelli di Levi.
“E’ successo qualcosa?”
“No.”
“Sei sicuro?”
“No…”
Ci fu un momento di silenzio, in cui i due si guardarono a lungo negli occhi.
Erwin fece qualche passo verso di lui, sospirando.
“C’è qualcosa che volevi dirmi?”
“Io… Credo di si. Solo non so’ come.”
“Di solito non ti fai tanti problemi a dire quello che pensi.”
“E’ così. Ma…”
“A volte le cose vanno dette e basta, senza pensarci, d’istinto.” Esclamò Erwin, con un leggero sorriso.
Levi fissò qualche istante lo spazio dove avrebbe dovuto esserci il suo braccio.
Si chiese quanto avesse sofferto, il suo comandante.
Si chiese se avesse avuto paura, tra le fauci del gigante.
“Io… Non sono sicuro, di quello che voglio dire. Non sono sicuro neanche di quello che provo. E’ qualcosa di profondo, che mi fa male. Ogni volta che ci penso, mi fa male. Anche adesso, mentre guardo il tuo braccio, perché fa così male? Non l’ho perso io, eppure… ah, forse sono impazzito. Non so’ nemmeno come si possa chiamare, questa sensazione. Ma credo, credo che se dovessi dargli un nome, sarebbe amore. Che cosa stupida da dire, maledizione. Non so’ nemmeno perché l’ho detto, è davvero stupido.”
Levi si passò una mano tra i capelli esasperato, poi strinse i pugni e si voltò, facendo qualche passo verso la porta.
“Non dovrei nemmeno essere qui, a parlare di stronzate che non hanno senso, scusa se ti ho disturbato.”
“Vuoi sapere a cosa ho pensato, quando quel gigante mi ha preso il braccio?”
Levi si fermò, senza voltarsi.
“Alla causa. Alla missione. Ho urlato ai miei uomini di continuare, di non arrendersi.”
“E’ proprio da te.”
“Eppure, quando quel gigante si è allontanato, mentre guardavo i soldati battersi con coraggio, mi sono sentito stanco, Levi. Stanco nel corpo, stanco nella mente. Stanco di combattere, con le unghie e con i denti.”
Erwin fece qualche passo in più, restando alle spalle di Levi.
“E per un momento, ho pensato di arrendermi, di smettere di lottare. Ho guardato il cielo, c’era un piccolo uccello nero che volava solitario… Ho pensato che non sarebbe stato male, guardare quell’uccello volare libero, prima di morire. Ma è stato in quel momento, che ho pensato a te.”
Erwin guardò il collo scoperto di Levi, ricoprirsi di brividi.
Si avvicinò ancora un poco, fino ad appoggiare il petto contro la sua schiena.
“Si muoveva così aggraziato, veloce nel vento caldo, sempre più alto verso il cielo azzurro. Come  se questo mondo non fosse fatto per lui. Ho pensato alla prima volta che ti ho visto sfrecciare libero tra i palazzi, con lo sguardo rivolto al cielo. Tutti guardavano a terra, verso i giganti, ma tu, tu guardavi sempre verso il cielo, quasi cercassi di arrivarci. Ho pensato che se fossi morto in quel momento, non avrei più potuto vederti volare, e istintivamente, ho lottato, con più forza di prima.”
Erwin passò delicatamente le dita sul collo di Levi, per poi appoggiarci le labbra sopra.
Levi chiuse gli occhi, inclinando il collo da un lato, come a voler richiedere quel contatto.
Erwin posò di nuovo le labbra sulla sua pelle, baciandolo ancora e ancora.
Fu allora che Levi spostò il viso, cercando la sua bocca.
Quando la trovò, restò a lungo su di essa, godendosi il contatto umido e caldo.
Erwin gli passò un braccio intorno alla vita, stringendolo con forza verso di sé.
Levi roteò il corpo, verso il suo.
Si alzò in punta di piedi, per arrivare meglio alla sua bocca, e gli strinse le braccia intorno al collo.
Lo baciò ancora, per tutte le volte che non lo aveva fatto, per tutte le volte in cui non avrebbe più potuto, scolpendo nella memoria quel ricordo, quel bacio che racchiudeva l’eternità.
Al di fuori della finestra, un piccolo uccello nero volava verso il cielo azzurro.


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



 
 
 
 
  
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