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CIONDOLO
Il
tempo trascorso all’Inferno aveva angosciato e cambiato
l’atteggiamento di
Vehuya. Si era aperto e si era lasciato consigliare da Keros, calmando
la
propria rabbia nei confronti del mondo demoniaco. Parlandosi, il
Serafino
caduto aveva confessato al principe di aver smarrito il ciondolo della
propria
collana e di provare un dolore immenso per questo. Lo aveva perso nel
mondo umano,
poco prima di cadere, e se ne rammaricava molto. Non potendo recarsi
personalmente
fra i mortali, perché ancora debole e sotto sorveglianza,
Vehuya pregò Keros di
andare a cercarlo in sua vece. Il mezzodemone, che non perdeva mai
un’occasione
per gironzolare fra gli uomini, acconsentì volentieri e
portò con sé i suoi
figli più grandi.
Per
i quattro cuccioli fu un modo piacevole di trascorrere un pomeriggio in
compagnia del padre, cosa che non accadeva molto spesso. Seguendo le
indicazioni di Vehuya, comparvero nei pressi di un paesino di campagna,
con
poche case ed un campanile dall’alto tetto a punta. Su un
prato, attraversato
da un sentiero di sassi, il gruppetto iniziò la ricerca. Il
ciondolo era
circolare, in argento, e recava inciso il glifo del Serafino, un segno
di
riconoscimento unico. Carmilla prendeva molto seriamente il compito e
scrutava
con attenzione fra le piante. Con grandi ed attenti occhi viola,
osservava
diligentemente il terreno. Vixa e Kaya, le due gemelle identiche,
preferivano
giocare e rincorrersi. Nasfer si guardava attorno, incuriosito dal
mondo umano,
e fu il primo a notare che non erano i soli su quel prato. Anche Keros
vide tre
persone, due adulti ed una bambina, e chiamò a sé
i propri figli. Ne aveva
compresa la natura e preferì stare sicuro: erano angeli, li
riconosceva dalle
auree, e forse stavano cercando la stessa cosa.
“Chi
sono quelli, papà?” chiese Vixa.
“Angeli”
ammise Keros “Restate vicini. Possono essere
pericolosi”.
“A
me non fanno paura!” sbottò la bambina.
Gli
angeli si avvicinarono. Erano Mihael e Gabriel, assieme alla piccola
Sophia.
“Papà,
chi è quella bambina?” sussurrò Nasfer
“Mi sembra di…”.
“Fate
silenzio” li ammonì il principe
“Troviamo quello che ci serve e andiamo via”.
Mihael
li osservava senza parlare, mentre Gabriel scrutava il terreno e Sophia
lo
aiutava.
“Perché
ci fissa così?” mormorò Carmilla,
infastidita.
“Fa
il suo lavoro. Ora cerchiamo di trovare quel ciondolo”.
Ripresero
le ricerche. Nasfer però era fermo a fissare quella bambina,
finché lei non
ricambiò lo sguardo.
“Nasfer!”
lo richiamò il padre “Ma che fai?!”.
“Quella
bambina… è un angelo, vero?”.
“Sì”.
“Ha
un’aurea bellissima. Non ne ho mai vista una così
bella”.
“Hai
ragione…”.
“Lei
è… Io la conosco!”.
“Siete
nati assieme. È la tua sorellina Sophia”.
Keros
non era certo di voler rivelare certi dettagli ma non voleva mentirgli.
La bambina
si voltò verso Mihael, chiedendo conferma di quanto aveva
appena udito. Quando l’Arcangelo
annuì, Sophia sorrise e salutò il gruppetto di
demoni.
“Posso
andare a parlarle?” domandò Nasfer.
“Stai
molto attento” storse il naso il principe.
“Lei
è la mia sorellina! Non mi capiterà nulla di
male!”.
Senza
ascoltare altre proteste, il principino corse verso Sophia e la piccola
fece lo
stesso. Mihael e Keros si scambiarono uno sguardo, lievemente
preoccupato. In paese
iniziarono a suonare le campane e le gemelle identiche ne furono
infastidite.
“Siete
in gita?” parlò finalmente Mihael.
“Cerchiamo
una cosa per Vehuya” rispose subito Carmilla e Keros le
lanciò uno sguardo di
rimprovero.
“Nessun
oggetto angelico andrà mai all’Inferno. La collana
che ha perso Vehuya deve
tornare in Paradiso. Dobbiamo prenderla noi”
ordinò l’Arcangelo guerriero.
“Noi
facciamo quello che vogliamo!” sbatté i piedi Kaya.
“Demonietto
impertinente”.
“Mio
padre vi prenderà tutti a calci”.
“Kaya!”
la zittì Keros, stringendola a sé e nascondendola
dietro alle gambe.
Mihael
fece per ribattere ma la vocina di Vixa interruppe ogni altro pensiero
con un “l’ho
trovato!”. Aveva trovato il ciondolo della collana e lo
stringeva fra le mani,
sventolandolo con entusiasmo.
Nasfer
e Sophia si guardavano, uno di fronte all’altro, circondati
dall’erba alta. Si erano
allontanati di qualche metro dagli adulti, anche se sapevano di essere
costantemente sotto controllo. La bambina sorrideva, con i capelli
biondi che
parevano splendere ad ogni movimento.
“Io
mi ricordo di te” ammise la bimba, sempre con un sorriso.
“Io…”
mormorò Nasfer chinando la testa imbarazzato “Mi
dispiace per… essere stato
cattivo. Ricordo che non avevo voglia di giocare con te. Mamma mi
diceva di non
farlo perché eri diversa, eri una creatura da
evitare”.
“Anche
a me hanno detto la stessa cosa di te. Sei un demone, non dovrei
avvicinarmi. Ma
io non credo che tu voglia farmi del male”.
“Sei
la mia sorellina. Non si fanno male alle sorelle. Anche quando sono
insopportabili…”.
Il
bambino lanciò un’occhiata verso Vixa e Kaya, con
una smorfia. Sophia rise,
divertita.
“Sei
mai stato in Paradiso?” chiese poi la piccola.
“No.
Io sono un demone!”.
“Sei
un bambino. Che potresti aver mai fatto di così
terribile?”.
“Sono
un demone. I demoni non vanno in Paradiso!”.
“Che
noia” storse il naso la bambina “Si divide tutto in
bianco e nero, buoni e
cattivi. Io però vedo che il Mondo ha molte sfumature, ha
molti più colori. Perciò
non capisco il senso di questa divisione così
netta”.
“Probabilmente
perché sarebbe un casino…”.
“O
forse sarebbe tutto più semplice. Sarebbe un mondo migliore,
se non si cercasse
sempre di dividere tutto in bianco e nero. Non trovi?”.
“Forse…”.
Nasfer
era perplesso. Però era affascinato dalla sorella, che
parlava in modo calmo e
forbito, quasi ipnotico, e lo guardava con quegli occhi grandi e
celesti. Era
così diversa dalle bambine a cui era abituato! Intanto, gli
adulti avevano iniziato
a discutere e Gabriel chiamava con insistenza Sophia.
“Credi
che potremmo rivederci?” chiese la bambina, capendo di
doversi allontanare.
“Certo.
Io… Spero di sì!”.
“Allora
a presto, fratellone!”.
Sophia
corse via rapidamente, raggiungendo Gabriel che la invitò a
non allontanarsi di
nuovo. Nasfer si voltò verso il padre, notando una certa
tensione fra lui e
Mihael. Forse era meglio starne lontani…
“Dammi
subito quella collana!” ordinò Mihael, allungando
la mano verso Keros.
“E
perché dovrei?!” fu la risposta del principe, che
stringeva fra le mani il
ciondolo ritrovato da Vixa.
“Un
oggetto celeste non andrà mai
all’Inferno!”.
“Questo
ciondolo è di Vehuya, ed io lo sto riportando al legittimo
proprietario! Non vedo
cosa ci sia di sbagliato!”.
“A
che mai potrebbe servire ad un Demone un simile gingillo? Non
è più in grado di
sfoggiare un glifo angelico. Perciò ora me lo darai. O me lo
riprenderò con la
forza!”.
“Gira
al largo! Vehuya me lo chiesto ed io ora glielo riporto!”.
Keros
strinse a sé il ciondolo, con aria di sfida. Mihael
sospirò profondamente, accigliandosi.
“Un
secondo…” si intromise Gabriel “Prima
che veniate alle mani, lasciate che vi
spieghi”.
L’Arcangelo
messaggero si avvicinò e parlò a Keros, rimanendo
straordinariamente calmo e
sereno.
“La
caduta di Vehuya è un avvenimento che ha lasciato sconvolti
in molti” iniziò a
spiegare Gabriel “Un avvenimento del tutto inaspettato, che
ci ha turbati. Molti
amavano e rispettavano Vehuya e quel ciondolo, riposto in un luogo
sicuro del
Paradiso, darà modo a molti di ricordarlo”.
“Ma
non è mica morto!” esclamò Keros,
alzando un sopracciglio.
“Per
noi è come se lo fosse” mormorò Gabriel
“Si tratta di una grave perdita”.
“Ma
non è morto” ripeté il principe
“E rivuole indietro il proprio ciondolo,
probabilmente come ricordo di quel che è stato. Glielo
neghereste? Neghereste ad
un caduto l’unico conforto?”.
“Se
è caduto, un motivo c’è”
sbottò Mihael “Ed inutile per lui rimpiangere quel
che
è stato, poiché mai più
rimetterà piede in cielo”.
“E
allora perché rivolete la collana per ricordarvelo? Tanto
non tornerà!”.
“Non
sappiamo cosa potrebbe fare un demone con un oggetto di simile fattura
fra le
mani”.
“Niente.
È un ciondolo. Una collana. Tu che fai con una collana?
Preghi? Dio non ascolta
le parole pronunciate negli Inferi, perciò può
pregare quel che gli pare!”.
“Te
lo toglierò a forza dalle dita, se non mi consegnerai quel
ciondolo immediatamente!”.
“Non
lo avrai. L’ho promesso a Vehuya!”.
“Bene,
allora”.
Mihael
allungo la mano ed evocò la lancia con cui combatteva. Keros
trattenne il fiato
per qualche secondo. Normalmente, un demone sarebbe fuggito dinnanzi a
quell’arma
perché estremamente pericolosa, molto più della
spada che l’Arcangelo portava
al fianco. Ma in quella circostanza non indietreggiò, era
pronto allo scontro,
perché voleva a tutti i costi consegnare il ciondolo a
Vehuya. Notando che la
situazione non accennava a migliorare, Gabriel invitò la
piccola Sophia a
tornare in cielo con lui, per evitare che la bambina assistesse a
spettacoli violenti.
Nasfer raggiunse le sorelle, indeciso sul da farsi. Era il caso di
rientrare
all’Inferno? O forse poteva in qualche modo aiutare suo padre?
“Lascia
che i miei figli vadano a casa” disse Keros, chiamando i
piccoli a sé “E poi
avremo modo di terminare la discussione”.
Mihael
annuì e il principe si inginocchiò davanti a
Nasfer, sorridendo e parlando
piano.
“Tornate
a casa adesso, ok?” mormorò, prendendogli la mano
“Io arrivo subito. Tranquilli”.
“Ma
papà, io ti posso aiutare!” protestò
Nasfer.
“Certo.
Mi puoi aiutare portando a casa le tue sorelle. Tu per ora sei
l’unico in grado
di aprire un portale. Perciò ora torna
all’Inferno. Mi sentirò molto più
tranquillo così, senza il rischio che qualche colpo vi
raggiunga per sbaglio”.
“Ok…”.
Il
piccolo non pareva convinto ma poi annuì e sorrise,
ordinando alle sorelle di
seguirlo oltre al portale.
“Ora
che siamo soli…” furono le prime parole di Keros,
rialzandosi e fissando Mihael
“Puoi anche fare meno lo spaccone e dirmi la
verità. Perché vuoi questo
ciondolo?”.
“Te
l’ho già spiegato” confermò
l’Arcangelo, senza distogliere lo sguardo dal pugno
chiuso in cui Keros stringeva l’oggetto celeste
“Nessun manufatto angelico può
finire fra le mani dei demoni”.
“Vehuya
ora è un demone. Potrei comprendere se tale oggetto
appartenesse ad un angelo
ma ora il proprietario è un demone.
Perciò…”.
“Perciò?
Perciò ora me lo ridarai. O sarò costretto a
combattere. Ho degli ordini da
rispettare e li rispetterò, riportando quel ciondolo al
giusto posto”.
“Il
giusto posto è il collo di Vehuya!”.
“Non
ora che è un essere impuro”.
“Pure
tu lo sei, eppure sei lì! Con la tua bella aureola
scintillante! Chi decide chi
cade e chi no? In base a cosa? Sono tutte stronzate!”.
“Io
non lo so perché io sia qui e Vehuya all’Inferno.
È una domanda che mi tormenta
da un bel pezzo, ormai. Ma se è questo il disegno di
Dio…”.
“Il
disegno di Dio è uno scarabocchio, fatto con i pennarelli
grossi su un
tovagliolo d’autogrill! Una porcheria!”.
Mihael
non mutò espressione. Prese la lancia con entrambe le mani e
Keros ringhiò, pronto
a combattere. L’Arcangelo sferrò per primo il suo
attacco ed il principe evocò
la barriera, che lo difese e respinse il colpo nemico.
“Era
un avvertimento” parlò serio l’Arcangelo.
“Lo
avevo intuito…”.
Keros
sapeva di non poter utilizzare il fuoco contro Mihael,
perché non avrebbe
sortito alcun effetto. Non era compito suo lottare contro Mihael,
quello
spettava a Lucifero! Eppure non aveva alcuna intenzione di tirarsi
indietro. Non
poteva evocare armi, a differenza dell’avversario, e
capì che avrebbe dovuto
lottare affidandosi solo al proprio corpo. Come durante
l’addestramento con
Astaroth, capì che avrebbe dovuto sfruttare al massimo i
pochi vantaggi che
aveva. Al secondo attacco, rispose con un agile balzo in avanti. Doveva
tentare
di avvicinarsi, se voleva colpire, ma Mihael mosse rapido la lancia e
colpì
Keros al fianco. Il principe finì a terra, diversi metri
più in là, e gemette
per il fastidio.
“Arrenditi”
suggerì l’Arcangelo e il mezzodemone
rifiutò.
Mihael
si preparò a caricare di nuovo con la propria arma e Keros,
rialzandosi, si
mise in posizione di difesa. La lancia lo colpì ma
riuscì ad afferrarla con
entrambe le mani. L’abitante del Paradiso era stupito,
perché normalmente un
demone sarebbe stato respinto ed ustionato da quel contatto, ma
realizzò subito
che davanti non aveva un demone qualsiasi. Testardamente, il
sanguemisto
continuò a stringere fra le mani la lancia, spingendosi
sempre più appresso all’avversario.
“Che
pensi di fare?” sbottò Mihael “Non
riuscirai a strapparmi l’arma di mano!”.
Con
uno scatto, l’Arcangelo scostò la lancia di colpo
e Keros fu sollevato in aria.
I riflessi del demone furono molto rapidi ed immediatamente
reagì, riuscendo a
girarsi in tempo per colpire il rivale con un calcio sul viso.
“Ma
che bravo…” commentò Mihael, dopo
essersi ripreso da quell’evento inaspettato
“Normalmente
la lancia incute timore e fa capire a chi ho di fronte che non
è il caso di
scherzare, che è meglio desistere. Ma per te così
non è stato e tutt’ora
intendi continuare a combattere”.
“Certo
che sì! Per chi mi hai preso?”.
“In
questo caso… Io preferisco combattere ad armi
pari”.
Con
un gesto della mano, Mihael materializzò un’altra
lancia e la porse al
principe. Questi la fissò, perplesso.
“Se
intendi ancora combattere, allora impugnala e fammi vedere quel che sai
fare”
incitò l’Arcangelo.
Keros
allungò la mano ed afferrò l’arma,
ancora un po’ sconcertato da quel gesto.
“Ora
preparati” si accigliò Mihael
“Perché ti sconfiggerò”.
“Nonno!”
urlava Nasfer, correndo lungo i corridoi del palazzo Infernale e
piombando nell’ufficio
di Lucifero con un gran baccano.
Questi,
che stava giocherellando con il cellullare, alzò un
sopracciglio.
“Cos’hai
tanto da urlare?” lo rimproverò con calma
“Forse è una questione di vita o di
morte? Datti una calmata!”.
“Io…
credo proprio che sia una questione come dici tu!”
ansimò il bambino.
Con
un’arma fra le mani, Keros iniziò a lottare con
maggior convinzione. Sapeva che
Mihael aveva millenni di esperienza alle spalle, ed iniziava a
chiedersi che
cosa stesse facendo, ma non intendeva indietreggiare. Riuscì
a parare qualche
colpo e respingere i colpi dell’Arcangelo, prima di essere
colpito nuovamente e
rispedito indietro. Si rialzò e corse, spostando di lato la
lancia dell’avversario
e colpendolo con un calcio al ventre. Mihael rispose prontamente e
Keros finì
di nuovo a terra. Con rabbia, il principe attaccò di nuovo e
questa volta le
armi di entrambi finirono fra l’alta erba del prato. Il
sanguemisto non lasciò
il tempo all’Arcangelo di recuperare la lancia od evocarne
un’altra e lo colpì
a mani nude.
“Io
non provo dolore” gli ricordò Mihael, colpito da
un pugno.
Keros
non ripose, preferendo continuare a combattere. Gli sembrava strano
tutto
questo, lottare in quel modo solo per una collana, ma tentò
di non mostrare
segni di cedimento. Però era consapevole di essere in
svantaggio. L’Arcangelo
non provava dolore, stanchezza, paura… Mihael lo
colpì allo stomaco e lo spedì
fra l’erba, impugnando poi la lancia e minacciando di
trafiggerlo.
“Arrenditi!”
sibilò l’abitante del Paradiso.
“Va
bene… come vuoi… Però… Il
ciondolo non ce l’ho io. Lo ha portato mio figlio
all’Inferno!”.
Il
principe mostrò le mani e stringeva un sasso, non
più l’oggetto che l’Arcangelo
bramava. Era riuscito ad affidarlo a Nasfer in quei pochi attimi in cui
lo
aveva convinto a tornare negli Inferi. Mihael lanciò un
grido, il primo che
Keros udiva così carico di furia. Solitamente colui che
aveva di fronte era
sempre pacato, serio e controllato ma in quel frangente si notava che
qualcosa
di ben più profondo lo turbava e lo spingeva ad infuriarsi.
Keros intuì che
doveva avere qualcosa a che fare con la caduta di Vehuya.
Chissà quanti dubbi
doveva avere l’Arcangelo guerriero! Tutti, demoni compresi,
erano convinti che
non ci sarebbero state altre cadute e che per questo Mihael fosse
rimasto un
angelo nonostante il peccato commesso con Carmilla. Ma Vehuya era
caduto e
Mihael non capiva. Mosso da un indicibile desiderio di espiare le
proprie
colpe, di calmare l’animo tormentato per un gesto ai suoi
occhi gravissimo, il
guerriero iniziò a colpire Keros con sempre maggior foga. Il
principe comprese
di non avere possibilità contro quell’Arcangelo
infuriato. Doveva trovare il
modo di fuggire, di salvarsi da quei colpi a ripetizione. Il sangue gli
lasciava
un sapore metallico in bocca ed il dolore iniziava a farsi
insopportabile.
“Mihael!”
si udì.
Gabriel
fissava il fratello, stupito e scioccato da quel comportamento. Keros,
approfittando di quel momento di distrazione, riuscì ad
allontanarsi ed aprire
il portale per tornare a casa.
Era
ricomparso a palazzo reale. Incredulo e dolorante, si stese a terra. Il
pavimento
gelido di quella stanza vuota, quella dove i portali venivano
attraversati, gli
donò un po’ di sollievo dal bruciore che le ferite
gli provocavano.
“Papà!”
si sentì chiamare.
Carmilla,
entrata nella stanza, voleva verificare che il genitore stesse bene.
Dietro di
lei, Lucifero e Nasfer.
“Stavamo
per raggiungerti” spiegò il sovrano “Ero
già pronto a spaccare la faccia a Mihael!”.
“Avete
consegnato il ciondolo a Vehuya?” mormorò il
principe, ansimando per la fatica.
“Certo.
Ed hai la sua riconoscenza. Ma a che prezzo? Come sei
ridotto?!”.
“Lui
mi ha attaccato. Era furioso. Mi ha fatto… paura”.
“Dovevi
averne prima di paura, idiota! Avrebbe potuto ucciderti!”.
Keros
si voltò verso Lucifero. Lo stava fissando con rimprovero e
disapprovazione. Il
principe distolse lo sguardo.
“Riesci
ad alzarti?” sospirò il re.
“Io…
non credo…”.
“Su.
Ti porto in camera e faccio chiamare un medico. Ogni giorno trovi il
modo di
farmi agitare… sei incredibile”.