Iris Rivera
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Aprile 1885
William
Alexander Rupert Spencer si guardò intorno: il
corridoio era deserto. Poteva essere un buon momento. Forse
l’unico. Prese un
grosso respiro e si avventurò nei meandri di Rivera Manon.
In quel
pomeriggio di sole, William era andato in visita alla
famiglia di Elisabeth, la sua fidanzata. Erano due mesi che aveva
mandato al padre
della bionda fanciulla la sua richiesta formale per il matrimonio e
presto
avrebbero dato il party per annunciare il fidanzamento, ma ancora non
c’era stato
niente di ufficiale.
Davanti alla
porta dello studio ebbe lo scrupolo di fermarsi
e guardarsi intorno. Poteva farcela. Per sua nonna, per
l’anima di suo padre. Doveva
farcela.
Quando mise mano
sulla maniglia, già pronto a profanare il
rifugio di Archibald Rivera, una voce squillante lo chiamò e
lui si irrigidì.
“Mr.
Spencer!” William si girò verso la fidanzata e si
sforzò
di sorridere. Dannazione! Non sarebbe riuscito a entrare nello studio.
“Mrs
Rivera, Miss Elisabeth” disse, con un sorriso forzato. Fece
un lieve cenno del capo e della schiena, per rispetto alla ragazza e
all’anziana che aveva a fianco.
Elisabeth
sorrise. Era di una bellezza canonica: bionda con
gli occhi chiari e la carnagione pallida. Una vera signora. William
sapeva che
la fidanzata assomigliava alla madre, una signora dalla corporatura
minuta e i
capelli chiari, che il ragazzo aveva visto solamente in una fotografia
istantanea qualche tempo prima.
“La
nonna è stanca e l’accompagno nella sua
stanza…” disse
l’affettuosa nipote, sottobraccio alla donna anziana, che si
appoggiava a un
costoso bastone con l’impugnatura in corno. William
osservò il viso della nonna
e fece un altro sforzo. Presto sarebbe finito tutto, doveva solo
mettere le
mani sul trofeo.
“Perché
non andate a cavalcare anche voi, Mr Spencer? Siete
l’unico a non aver ancora visitato Central Park. Dovreste
farlo. Potreste
raggiungere mio figlio e gli altri uomini che si stanno preparando alla
scuderia.”
Dal tono della
vecchia sembrava più un ordine che un mite
consiglio, così William strinse le labbra e
annuì, prima di dire: “Sarei
lusingato di partecipare a una gita di questo calibro con Mr. Rivera.
Mi unisco
nel giro al parco. Signore…” Con un elegante
baciamano alla fidanzata e alla
nonna di lei, salutò e imboccò le scale per
andare al piano di sotto.
Elisabeth lo
osservò finché i suoi riccioli non sparirono
alla vista delle due donne. La giovane accompagnò la nonna
nelle sue stanze e
la fece sedere su una poltroncina prima di chiederle: “Volete
riposare subito o
chiamo la cameriera per far portare un po’ di
tè?”
Iris Eleanor
Elisabeth Rivera, nata Abbott, si sedette
guardando la nipote. Non era una creatura troppo intelligente secondo
l’anziana
e, sempre secondo la nonna, era proprio questa la sua fortuna.
“Fai portare una
tazza di tè nero, grazie” disse, sottovoce, ma in
tono autoritario.
Appoggiò
il bastone al bracciolo della poltrona e lasciò che
la ragazza ordinasse il tè alla cameriera, poi le fece cenno
di sedersi.
Aspettarono in
silenzio che la cameriera tornasse e, una
volta sole, Elisabeth servì la nonna.
“Nonna…”
iniziò sospirando la ragazza. La donna la guardò
di
sottecchi mentre controllava come versava il tè e quanto
latte ci mettesse. Le
fece cenno con la mano rugosa di non aggiungere altro zucchero e si
fece
passare la tazza.
“Dimmi,
cara” disse, concedendole il permesso di parlare.
“Nonna…
voi… eravate innamorata del nonno?” chiese la
nipote,
preparandosi una tazza per sé. Iris fece una smorfia quando
aggiunse troppo
latte.
“Tieni
la schiena più dritta, innanzitutto, Elisabeth!”
esclamò, facendo il gesto con la mano per correggerle la
postura. Aspettò che
la ragazza eseguisse l’ordine e poi continuò:
“I matrimoni non sono tutti
d’amore, Elisabeth. Quelli delle persone meno importanti lo
sono, solo la servitù
o la gente che vive di là dal fiume si sposa per amore. Loro
non hanno
nient’altro. Noi Rivera, invece, ci sposiamo per stringere
alleanze e patti,
per arricchire il patrimonio familiare e rafforzare
l’importanza della
famiglia. Così feci io con tuo nonno. L’amore va e
viene, non conviene basare
un matrimonio, che dura tutta la vita, su qualcosa di così
futile”. E assurdo.
Pensò in ultimo, l’anziana
donna.
La ragazza
annuì assorta nei suoi pensieri.
“Quindi… è giusto
che io non provi… niente… per Mr.
Spencer?” chiese ancora, guadando la nonna.
Iris bevette un sorso di tè e appoggiò con
lentezza la tazza sul piattino,
lisciandosi delle pieghe inesistenti sulla manica del vestito. Lo fece
apposta,
mentre la ragazza continuava a guardarla.
“Certo.
È giusto. Sarà un gran matrimonio, il vostro,
vedrai.
Sarete molto felici.”
Si
sforzò di sorridere quando sorrise la nipote. Elisabeth
avrebbe
sposato Mr. Spencer, Iris non poteva permettere che non succedesse, la
famiglia
era piena di debiti, anche se nessuno lo sapeva e il patrimonio di lui,
che era
un abile commerciante nonostante la giovane età, avrebbe
aiutato tutti loro. Da
quando il nipote si era sposato e si era trasferito nella
proprietà del padre
era venuta a mancare una solida entrata e ora Iris doveva riuscire a
risolvere
la cosa.
Era stata lei a
consigliare al figlio Archibald, padre di
Elisabeth, di farla maritare al più presto. Non che fosse
giovanissima, ormai
aveva compiuto diciannove anni ed era ora che facesse anche lei la sua
parte.
In fin dei conti le figlie femmine servivano solo a quello: aumentare
il
patrimonio di famiglia. Patience, la primogenita di Iris, si era
sposata a
diciassette anni, in fin dei conti.
Era riuscita a
organizzare tutto, come chaperon della ragazza
e quando si erano presentati svariati pretendenti, Iris era riuscita a
mandare
avanti quelli che a lei sembravano i più appropriati:
giovani con una buona
rendita e con una famiglia poco numerosa. Suo figlio non si era neanche
accorto
della sua strategia.
Sua nipote,
quindi, doveva assolutamente sposare Mr. Spencer,
un ragazzo in gamba anche se dal passato un po’ buio, Iris
aveva dovuto
sguinzagliare un investigatore per assicurarsi che non ci fossero
brutte
sorprese. Il suo uomo era riuscito a scoprire che il patrimonio di Mr.
Spencer
era reale e la sua reputazione impeccabile, anche se non era riuscito a
scoprire molto sul suo passato. Avrebbe dovuto tenere gli occhi aperti.
Elisabeth
guardò la nonna. Avrebbe voluto chiedere se fosse
giusto che a lei battesse forte il cuore quando incontrava a Central
Park Mr.
Riney e desiderasse tantissimo passare del tempo con lui, mentre invece
con Mr.
Spencer le piaceva solo chiacchierare. Mr. Spencer, anche se lui le
aveva detto
chiaramente di chiamarlo ‘William’, era un bravo
ragazzo e le piaceva la sua
compagnia, ma lei non si sentiva così bene in sua compagnia
come quando rideva
con Mr. Riney. Non era sicura di come dovesse sentirsi in una situazione
del
genere.
“E
nonna… cosa… dovrò fare la prima notte
di nozze?”
Elisabeth divenne rossa sulle guance e abbassò gli occhi,
vergognosa. “Scusate
se lo chiedo a voi, ma non so a chi chiedere, la mamma è
morta e io…” Gli occhi
della ragazza si riempirono di lacrime.
Iris
sospirò cercando di non fare rumore. Si allungò
verso la
nipote e le posò una mano sulla sua, per consolarla.
“Non dovrai fare niente,
cara. Farà tutto lui. Tu starai ferma e prima che tu possa
pensarci, sarà tutto
finito”.
Elisabeth
annuì. Non avrebbe dovuto fare niente? Non ne era tanto
convinta ed era ancora confusa all’idea di non sapere cosa
sarebbe successo di
preciso, ma decise di non chiedere più niente alla nonna.
Chiamò
la cameriera per sparecchiare il servizio da tè e si
congedò. Quando uscì in corridoio,
incontrò zia Patience che le andò incontro
sorridendo.
“Tesoro,
dove vai?” La zia, sempre gentile e amorevole, era
vedova da tanto tempo e da quando suo figlio si era sposato, aveva
scelto di
tornare nella casa paterna per lasciare alla nuova coppia un
po’ di intimità.
“Ho
accompagnato la nonna, zia…” Si asciugò
una lacrima che
era scesa sulla guancia e la donna le fu subito accanto.
“Elisabeth,
cara… ti senti bene?” La ragazza
scoppiò a
piangere e Patience, dopo averle circondato le spalle con un braccio,
l’accompagnò
verso la sua stanza. “Vieni con me, cara,
c’è sempre una soluzione per tutto,
vieni… è per il matrimonio?”
Patience, che
era stata una giovane debuttante e mandata in
pasto alla realtà matrimoniale ancora prima di Elisabeth,
cercò di rassicurarla.
Qualcuno doveva calmare quella ragazza. Sua madre non era proprio la
persona
adatta per parlare di matrimonio, Patience lo sapeva bene.
Chissà cosa le aveva
detto per spaventarla così! Sperò che non le
avesse fatto il discorso sul fatto
che avrebbe potuto tradire il marito solo dopo avergli partorito un
erede, come
aveva fatto con lei. Patience ne era rimasta così sconvolta
da non riuscire a
mangiare a cena, quella volta.
Scosse la testa, decisa a tranquillizzare la ragazza.
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