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Prologo
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Novembre 1829
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Edith
cercò di salire le scale il più velocemente
possibile e
sospirò quando imboccò il corridoio. Per fortuna
il folto tappeto attutiva i
suoi passi pesanti. Poteva vedere i chiari bagliori delle fiamme
attraverso il
vetro della finestra che dava sul ballatoio: la piccola casetta in
fondo al
giardino stava andando a fuoco.
Il corridoio
sembrava lunghissimo e lo studio del padrone un
miraggio in fondo a un tunnel buio. Si fece forza e cercò di
allungare il passo
ma inciampò nel tappeto e per poco non cadde distesa.
Sentì le grida spaventate
delle giovani cameriere arrivare dal piano di sotto.
Arrancò
ancora. Riuscì ad arrivare in fondo al corridoio e si
fermò davanti allo studio. Aprì la porta e
scoprì che anche lì il chiarore del
fuoco che passava attraverso l’enorme finestra rischiarava
tutto. Si guardò
alle spalle prima di entrare nella stanza: nessuno. Nessuno
l’aveva vista. Si
infilò dentro e chiuse l’uscio alle sue spalle.
Appoggiò
il suo fagotto sul divano vicino alla scrivania
perché già sapeva che avrebbe avuto bisogno di
tutte e due le mani libere. Di tutte
e due le mani e di una buona dose di coraggio. Sperò di
averne a sufficienza e
guardò di nuovo il suo fagotto, nel tentativo di non cedere
proprio in quel
momento.
Lo
faccio per te,
William.
Spostò
una delle poltrone contro il focolare spento e ci salì
in piedi. Si alzò sulle punte per riuscire a raggiungere la
mensola alta. Si
allungò ancora e riuscì a sfiorare ciò
che stava cercando: il trofeo di New
York.
Quando era stato
inaugurato il Canale Eire, quattro anni
prima, il naviglio che avrebbe permesso a New York di commerciare
più
facilmente con le città non troppo vicine, il sindaco
Paulding aveva donato
personalmente il trofeo d’oro a forma di sole alla famiglia
Rivera per il loro
impegno e il contributo che avevano dato per la realizzazione del
canale.
Quella costruzione artificiale aveva permesso ai Rivera di crearsi una
certa
importanza presso New York visto che avevano investito nel commercio e
quindi
il loro era stato un investimento mirato e altamente personale. Edith
sapeva
che il padrone e sua moglie, Iris, ne andavano particolarmente fieri.
Era il posto
giusto. Il segreto più grande custodito dal
simbolo più importante. Sarebbe stato ben protetto.
A Edith
tremarono le mani mentre afferrava il trofeo e lo
tirava giù. Scese dalla sedia con attenzione e
appoggiò la statua d’oro sulla
scrivania. Le sue mani non smisero di tremare neanche quando
coricò il sole,
per poter sganciare il doppio fondo sulla base.
Una piccola
botola si aprì ed Edith portò la mano alla tasca
del grembiule. Controllò ancora la porta mentre un foglio
piegato fece capolino
fra le sue dita e lo lesse per l’ultima volta.
William le aveva
insegnato a leggere. A leggere e a scrivere.
Lui l’amava. E lei amava lui. Ma Edith non poteva
più rimanere, sarebbe stato
troppo pericoloso. Baciò il foglio e lo nascose nel doppio
fondo. Sobbalzò
quando sentì un rumore venire dal corridoio. Doveva fare
presto. Dei passi
veloci la convinsero a chiudere velocemente la botola e a risalire
sulla
poltrona per riposizionare la statuetta al suo posto.
Raccolse il
fagotto e aprì la porta dello studio,
assicurandosi che non ci fosse nessuno prima di uscire. Percorse il
corridoio
al contrario e aprì un’altra porta. Conosceva
quella casa come le sue tasche.
Doveva solo nascondersi e aspettare il momento giusto.
Il piccolo
William si svegliò e pianse. Li avrebbero trovati.
Sganciò la veste e si denudò un seno, attaccando
il bambino al capezzolo. Il
bambino iniziò a succhiare con vigore.
Non
morirai, mio piccolo
bastardo. Non oggi e non di fame.
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***Eccomi con una nuova storia!!! Diversa dalle precendenti e nuova nel genere, per me, siate clementi!!!😅