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Autore: NyxTNeko    20/10/2019    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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- Allora? - domandò impaziente Napoleone al suo superiore - Posso ottenere qualche gruzzoletto da aggiungere allo stipendio? -  sorrise altezzoso, lievemente celato. Era certo che non avrebbe potuto negarglielo,  Giuseppe, essendo esperto in legge e avvocato, aveva controllato tutto nei minimi dettagli.

Il suo superiore scrutava quei documenti con molta attenzione, trovando che fosse tutto in regola, eppure, sentiva che qualcosa non andava. Quando incrociava lo sguardo di quel ragazzo, provava una sensazione strana, quasi paura - Non posso non considerare questi documenti - rispose semplicemente lui.

Napoleone udiva della titubanza nella voce, forse dubitava - Sappiate - esordì mellifluo - Che non è l'avidità a spingermi - ed era così, i soldi non lo attiravano più di tanto, vi era altro a cui bramava, il sapere, ad esempio, la conoscenza, oltre alla gloria. Tuttavia non poteva mandare avanti la famiglia senza denaro - Lo faccio per mia madre e i miei fratelli - continuò spiegando tutta la faccenda senza scendere troppo nei dettagli. Non aveva smesso di mal sopportare la gente, nel profondo, soprattutto quella insignificante, ai suoi occhi inutile e codarda. 
- Capisco - fece l'ufficiale in capo mugugnando, massaggiando il mento irto di peli - Accordato - emise dopo averci riflettuto - Avrete la somma desiderata... equivalente a tre mesi di paga...

"Perfetto" pensò soddisfatto il sottotenente "Tutto sta andando secondo i piani" nei suoi occhi brillò una luce intensa, mostrò un sorriso più esplicito, non di contenenza, era di superiorità. Adorava quando tutto andava come voleva.

Ciò non sfuggì al superiore, ma non volle andare oltre, aveva intuito che fosse l'ambizione a smuoverlo, a guidare le scelte di quello strano ragazzo, un sentimento superiore rispetto al mero e vile denaro. "Ben venga, la Francia rivoluzionaria ha bisogno di ufficiali determinati, ambiziosi e capaci".

20 febbraio

Il giorno era quasi terminato, Luigi vide il fratello piombare in casa, travolto dalla solita agitazione e tensione, non riusciva a concepire la sua perenne irrequietezza, specialmente dopo aver udito, ad una conferenza, di un concorso letterario, così gli aveva detto, ed era intenzionato a parteciparvi "Cosa c'entra lui con l'ambiente letterario? È un ufficiale, non uno scrittore" Sapeva della sua passione per i libri, ma trovava esagerato la sua ostinazione nel voler cimentarsi in ogni disciplina. 

Tuttavia non fece trapelare alcun pensiero e rimase in silenzio ad osservarlo: era euforico, in preda ad un'emozione che non gli dava tregua, inquieto, stava sistemando dei fogli - Buonasera fratello - riuscì a dire solamente.

- Buonasera Luigi - ricambiò Napoleone posando il cappotto consunto sull'appendino - Ti vedo particolarmente stanco, avrai studiato parecchio - nonostante fosse lui stesso ad aver stampato sul viso le fatiche della giornata. I segni sotto gli occhi, il viso scavato e l'aria trascurata lo facevano sembrare molto più vecchio di quanto non fosse in realtà.

- Be' sì... - mentì il fratello minore - Tu invece non lo sei mai, beato te...

- È solo questione di volontà, fratellino - disse come se avesse pronunciato qualcosa di ovvio e scontato.

"Volontà..." Riflettè tra sé Luigi, mentre riaffiorava la voce di Giuseppe "La volontà e l'ambizione sono le due forze con cui Nabulio si mantiene in piedi, che gli permettono di andare avanti, Luigi, se la prima venisse a mancare e la seconda non fosse soddisfatta, a lui non rimarrà che la morte come soluzione..." Quelle parole lo avevano turbato allora e continuavano a provocargli un brivido freddo.

- Luigi...Luigi - ripeteva Napoleone vedendolo imbambolato, scuoteva la mano per farlo tornare in sé. Il fratello sussultò e lo guardò, un po' spaventato - Che hai? Non ti senti bene? - chiese un po' preoccupato.

- No, niente, stavo pensando - si giustificò Luigi, grattandosi la testa.

- A giudicare dall'espressione non erano pensieri positivi...è successo qualcosa e non vuoi dirmelo? - emise Napoleone, gli scompigliò i capelli - Ho capito, forse perché vuoi dimostrare di essere indipendente...

- Lo hai detto tu che devo imparare a cavarmela da solo, no? - ammiccò Luigi entusiasta.

- Mi darai tante soddisfazioni - emise, poi chiese - Hai già mangiato?

Il ragazzino annuì - Ho lasciato del cibo anche per te - aggiunse poi, indicandogli un po' di pane e del latte.

Napoleone si avvicinò e prese solo del pane, bevve dell'acqua, fingendo di non aver intuito, letto quasi, i suoi pensieri. I suoi occhi erano specchi, limpidi "Giuseppe ha ragione, senza la volontà e l'ambizione non riuscirei a vivere" sospirò. Si voltò verso il fratello e per 'ricompensa' gli concedette la possibilità di dormire nel suo letto - Tanto stanotte non chiuderò occhio... Mi sento ispirato... - accese una candela, posizionò dei fogli e avvicinò la penna col calamaio.

- Hai deciso di partecipare al concorso dell'accademia di Lione quindi - fece Luigi guardandolo.

- Sì, l'argomento è 'Quali sono le verità e i sentimenti più importanti perché l’uomo impari a essere felice...' - spiegò il ragazzo, era un tema che gli avrebbe fatto perdere molte notti, però, era desideroso di mostrare la sua abilità e la sua sicurezza con la penna, non solo con spada e cannoni - Inoltre il vincitore avrà 1200 franchi, una somma incredibile, che ci aiuterà non poco

- Sei sicuro di vincere - ridacchiò Luigi, sapendo del suo carattere orgoglioso e caparbio.

- Non lo so, ma ce la metterò tutta - confessò con falsa modestia.

Luigi decise di lasciarlo in pace e di godersi quel letto, non era morbidissimo, ma rispetto al misero tappeto sul pavimento era senz'altro meglio. Quando gli sarebbe capitato un'occasione simile? "Che poi non ci dorme nemmeno sopra, so della sua insonnia, quindi è perfetto per me, che preferisco di gran lunga starmene comodo a poltrire, cosa che faccio per gran parte del giorno, se lo sapesse, piuttosto che ad un fratello iperattivo come Napoleone" si disse  ridacchiando un po' maligno, suo fratello era preso dai suoi impegni, per cui non l'avrebbe tormentato. Sapeva che quando Napoleone era concentrato a fare qualcosa, non c'era cannone o campana che lo destasse.

In effetti il sottotenente stava immobile, a riflettere, la penna tra le dita, lo sguardo rivolto verso l'alto. Stava analizzando ogni sentimento umano, si rendeva conto che anche in quelli considerati puri e buoni, vi era dell'oscurità che li intaccava, e in altri condannati dall'ipocrita società, vi era qualcosa di elevato, di solenne, a cui l'uomo doveva affidarsi. "L'amore...no meglio non parlare pubblicamente di un sentimento così potente e pericoloso" cancellò il termine 'amour' veemente. "Sarebbe più opportuno concentrarsi su altri tipi d'amore, quello della patria, ad esempio, in un periodo come questo far leva su di un'emozione simile è una mossa vincente". Prese a scrivere alcune brevi frasi.

Alla fine puntò sulla vanità dell'ambizione, poteva sembrare una contraddizione, in quanto lui stesso lo era e mai avrebbe rinunciato ad essa. La società non l'accettava, invece, poiché considerata terribile, inesorabile: una volta insinuatosi nell'individuo lo divorava dall'interno, rendendolo avido, schiavo della sua bramosia.

Ovviamente il ragazzo non era d'accordo, per lui l'ambizione era il fuoco che alimentava la volontà, che vita sarebbe se non ci fosse? Quella che indicava la Chiesa? Napoleone malgradiva affidare speranze ed energie per un Dio in cui non credeva, per una religione che esaltava la passività, l'umiltà, la sottomissione, la lentezza, la calma e la pazienza. In quanto spirito battagliero e persona grintosa, indomabile, non poteva minimamente accettarlo.

"L'ambizione incontrollata è il male" sentenziò alla fine "Ha portato alla rovina uomini facoltosi e degni di dominare gli spiriti" scrisse, a mo' di bozza per indicare la via dal quale riprendere e concentrare il discorso. Il pensiero si diresse verso il primo uomo inarrivabile, immenso che gli era venuto in mente: Alessandro Magno. Nessuno prima e dopo di lui era riuscito ad eguagliarlo, Cesare, per quanto grandioso e travolgente, gli si avvicinava appena. Il Macedone non era mai stato sconfitto, nè abbattuto dagli uomini.

Eppure perse la possibilità di creare un impero universale per colpa dell'hybris, rifacendosi al termine greco di sfidare le divinità e offenderle, considerandosi pari o superiori. Fu abbattuto dal destino, l'entità   che muove il mondo. 'Che cosa fa Alessandro quando da Tebe si precipita in Persia e da lì in India? È sempre irrequieto, perde la testa, si crede Dio'.

Passò ad un personaggio più recente, nonostante fosse inglese, il corso non poté non provare rispetto per Oliver Cromwell, che aveva reso l'Inghilterra una Repubblica, seppur sotto il suo controllo 'Qual è la fine di Cromwell? Governa l’Inghilterra. Ma non è forse tormentato da tutti gli stiletti delle Furie?'

Infine citava se stesso, per farne un esempio positivo, in modo che i giudici capissero che lui non voleva spingersi fino a tanto, che era sereno, soddisfatto del suo ruolo e pronto a servire la patria, l'esercito, anziché soddisfare mire personali 'Uno torna nel paese natale dopo un’assenza di quattro anni. Gira per i luoghi, i posti dove giocava in quei primi teneri anni, sente tutto il fuoco dell’amor patrio'. Ma anche per dimostrare di avere ottimi valori. Stava cominciando ad intuire l'importanza della parola, del suo grande potere: tutto ruotava intorno alla retorica, lo sapevano bene i Greci e i Romani.

Non riuscì a proseguire, perciò decise di cominciare a scrivere un altro saggio, questa volta un dialogo, sull'amore. Solo quell'allusione che aveva intaccato i suoi pensieri, lo aveva tormentato, d'altronde non aveva avuto esperienze positive con esso, anzi, solo delusioni. Desiderava che l'amore sparisse definitivamente, secondo lui era il responsabile di tutte le sofferenze dell'umanità, più dell'odio, più dell'intolleranza.

Il personaggio che lo identificava nel saggio era un tizio denominato B, ripreso dal suo cognome, l'interlocutore, invece era Alexandre de Mazis, un amico e compagno di guarnigione. Il primo, quindi lui stesso, era rappresentato come sereno e autorevole; il secondo, al confronto, era un millantatore impaziente. 'L'amore è un incubo, sia per la felicità sociale che quella personale, la Provvidenza dovrebbe abolirlo per rendere tutti più felici'.

Era vero che senza amore non ci sarebbe nulla che scalderebbe l'esistenza, tuttavia pregava ciò perché era stufo di essere messo da parte, ignorato, preso in giro da donzelle che volevano solo divertirsi; senza contare le battutine, innocenti, dei suoi compagni di reggimento, ci rideva sopra, apparentemente, in cuor suo, ribolliva di rabbia. Non sopportava lo scherno, le critiche, gli ricordavano i tempi dell'accademia e le lotte interiori per imparare a controllarsi.

Era sempre più convinto che non avrebbe mai trovato una moglie, che nessuno avrebbe permesso una sua unione, anche combinata, con una ragazza. Sarebbe rimasto celibe e solo. La misoginia che provava era ai massimi livelli, considerava le donne inferiori, incapaci di calcolare la portata del dolore che provocavano con la loro civetteria. A parte sua madre e le sue sorelle, non aveva mai amato nessun'altra donna.

Quando si ridestò dai suoi pensieri vide che era notte fonda, si girò e trovò Luigi addormentato sul letto, aveva messo in ordine tutto senza dargli fastidio. - Buonanotte Luigi - sussurrò.

Parigi, 15 giugno

- Non possiamo più restare qui! - esclamò Maria Antonietta stringendosi al marito, sperando di riuscire a convincerlo. Dovevano scappare al più presto da lì e rifugiarsi in un Paese più sicuro, prima che la pazzia dei francesi raggiungesse i limiti.

- Ed io non posso tradire il mio popolo... - emise Luigi XVI, tenendola stretta, terrorizzato all'idea di scatenare l'ira del popolo, aveva già sperimentato la sua furia quando li avevano trascinati da Versailles a Parigi - Che esempio sarei per i miei sudditi se fuggissi? E poi non devono capire la mia ostilità nei confronti delle loro idee rivoluzionarie - aggiunse a testa bassa, mostrò i documenti firmati di malavoglia - Se continuo così risparmieremo tante sofferenze e privazioni a noi e ai nostri figli, abbiamo già perso Louis Joseph

Incrociò lo sguardo della moglie, anch'ella era spaventata, ma stava facendo di tutto per non mostarlo - Fersen ci aiuterà, sta facendo di tutto per mantenere alto il nome della nostra monarchia! - omise la ragione altra per cui il conte svedese, Hans Axel von Fersen, si stava dando da fare.

Luigi XVI era a conoscenza della passione che legava i due, non aveva mai fatto nulla per impedire loro di proseguire il loro rapporto. Maria Antonietta provava per il marito semplice affetto, ricambiato, non poteva biasimarla: non era bello, né affascinante, era alto sì, ma goffo, impacciato, timido, grasso; mentre lei era bellissima, aggraziata, un vero angelo, nonostante i capricci e i vizi.

Se non fosse stato per il matrimonio combinato dalle loro famiglie, gli Asburgo e i Borbone, le loro vite non si sarebbero incontrate e non si sarebbero uniti in matrimonio. La perdita del loro figlio, gracile e malaticcio fin dalla nascita, di solo 7 anni, li aveva avvicinati, il dolore unisce più dell'amore.

Non voleva più vederla soffrire in quel modo e se la fuga era la soluzione per affievolire le loro disgrazie, l'avrebbe accettata. Sua moglie si era sacrificata troppe volte, lasciando la sua patria, l'Austria per giungere in un Paese a lei straniero per lingua e costumi. Infine, per uno strano scherzo del destino che li aveva voluti sovrani così giovani, diventarne la regina.

Ora toccava a lui sdebitarsi, dimostrando di avere coraggio di rischiare e di essere un marito, prima ancora di essere un re. - Va bene - emise poi il sovrano, pallido e sudato - Fuggiremo, vai pure ad avvisare lo svedese - La regina, ancora incredula per quelle parole, obbedì al suo ordine, gli diede un dolce bacio sulla guancia, fece un breve inchino e corse dal Fersen per informarlo - Che Dio ci assista - mormorò tremante il re, si morse le unghie per l'ansia - Soltanto Lui può aiutarci, solo Lui conosce il nostro destino e quello della Francia... - si affidò completamente al Signore.

 

   
 
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