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Autore: Enchalott    23/10/2019    5 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Approdo a Iomhar
 
Adara accarezzò il muso snello del suo cavallo, che nitrì piano, soddisfatto per la visita e per la manifestazione affettuosa.
Era riuscita a dormire per qualche ora, mentre Dare Yoon e Narsas erano rimasti svegli, ciascuno con una coperta sulle spalle per combattere il freddo sempre più pungente. Si erano scambiati alcune parole essenziali, seduti a terra tra le casse di legno, in uno strascico d’irritazione dovuto al confronto precedente.
Tsambika, invece, non aveva proferito verbo, chiusa nelle proprie elucubrazioni. Pareva offesa, ma forse la sua aria pensierosa era solo causata dal dolore delle ferite e dal fastidio per essere stata catturata e ridotta all’impotenza. Oppure stava semplicemente meditando un piano di fuga: conosceva la Xiomar come le sue tasche, se ci fosse stato qualche passaggio segreto, ci si sarebbe infilata alla prima occasione e non sarebbe stato male sfruttare il medesimo vantaggio.
Adara, comunque sarebbe rimasta a Jarlath.
La trovata estemporanea del soldato aveva scatenato un putiferio: se non altro era servita a svelare i reali sentimenti che Narsas nutriva per lei. Avrebbe preferito parlarne con lui in privato, come aveva rimpianto di non aver fatto quando era convinta di annegare nel Pelopi; però sapeva bene che si trovavano in una congiuntura in cui le sensazioni personali si classificavano necessariamente al secondo posto. Se non all’ultimo, data la gravità della decisione che era chiamata a prendere. Perciò, era contenta così.
Si sentiva fortunata e onorata per l’amicizia profonda ed eterna che lui le aveva dichiarato. Anzi, a voler essere precisi, c’era di più. Le aveva già detto in precedenza di considerarla come l’unica speranza e, ora che conosceva il suo tragico segreto, riusciva ad apprezzare appieno il valore immenso di quelle parole.
Si sentiva parte infinita di lui, così come l’arciere era parte immortale di lei. Era qualcosa che superava le emozioni umane. In quel modo, da due divenivano uno e niente di loro sarebbe mai andato distrutto. Neppure quando fosse giunto per lui il fatale secondo scoccato dal marchio degli Anskelisia. Neppure quando lei sarebbe forzatamente divenuta una sposa infelice.
Lo stallone candido rinchiuso nel recinto dirimpetto si impennò nervosamente, sbattendo gli zoccoli contro la parete divisoria. Splendido e indomito.
La principessa si avvicinò cauta, per evitare di farlo imbizzarrire e di farsi mordere. L’animale la seguì con gli occhi attenti e le orecchie dritte, ma non mostrò evidenti segnali di irritazione.
“Anche tu vorresti uscire da qui, eh?” gli sussurrò gentilmente “Ormai ho perso il conto dei giorni trascorsi sul mare, non rammento quasi più la meravigliosa sensazione di posare piedi sulla terraferma”.
Tese la mano con il palmo aperto, porgendogli un pezzetto di galletta dolce. Il destriero fiutò l’offerta, sbuffando aria calda dalle froge e facendole solletico.
“Credo che anche tu ti senta solo e prigioniero. Posso capire, sai? Sebbene non riesca certo a intenderti come fa mia madre con Azhulio…”.
Il cavallo afferrò il biscotto con le labbra rosate, masticandolo rumorosamente.
“Vorrei che tu potessi parlare. Avrei tante domande da farti. Sul tuo padrone, per esempio… Innanzitutto, ti domanderei che nome ti ha dato…”.
“Illtyd” pronunciò una voce inconfondibile alle sue spalle.
Adara trasalì e attese, senza voltarsi.
Anthos attraversò la stalla e la affiancò, allungando la mano verso il suo purosangue. Gli accarezzò la criniera con familiarità e il quadrupede sbuffò un verso basso e gutturale, evidentemente contento di vedere il suo padrone.
Il principe indossava un lungo mantello bianco e il cappuccio, foderato di pelliccia chiara, era abbassato sulle spalle. La casacca azzurra di seta, con i primi due alamari slacciati, si tendeva sul suo petto muscoloso e si apriva sul Medaglione, che non giaceva più nascosto tra gli abiti. La fascia ricamata che portava in vita aveva il colore del mare e gli scendeva sul fianco destro fino a metà gamba. Sul lato opposto scintillava il lungo fodero d’argento con la spada.
Abbassò lo sguardo e le sue iridi assunsero gli stessi riflessi aranciati delle lampade ad olio, come era già successo in precedenza, confondendo il loro colore naturale con quello dell’ambiente. Per quello non aveva avuto remore di mostrarsi a lei a viso scoperto. Per quello non si faceva mai vedere di giorno. Per quello Adara non l’aveva riconosciuto. Solo la luce diurna evidenziava la tinta rara e irreale dei suoi meravigliosi e spietati occhi d’ambra.
“Illtyd… sarebbe il luogo impronunciabile e irraggiungibile per gli uomini di cui mi avete parlato o anche quella era una menzogna?” domandò la ragazza, dura.
“Non lo è” rise lui, appoggiandosi alla porta “Nelle leggende si chiama così il mondo ideale che si può solo sognare. Un’utopia, per farla breve”.
“Che cosa intendete con ideale?”
“Oh, la solita solfa mitologica direi. Niente guerra, niente dolore, niente morte… Insomma, qualcosa che neppure gli dei riescono a realizzare”.
“Può darsi. Però potremmo impegnarci con tutti i mezzi per avvicinare quello stato”.
“Ne sono convinto” ribatté lui ironico “E’ il libero arbitrio che ci porta fuori strada”.
“Lo trovate divertente?” asserì lei con rimprovero “E’ così onerosa la scelta di essere generosi, altruisti ed empatici?”.
Anthos la fissò, seducente e magnetico come un abisso infernale.
“Non lo so” rispose piano “Non ho mai considerato opzioni del genere”.
“Dovreste provarci”.
“Perché?” domandò lui, impassibile.
Adara lo guardò con attenzione. Non la stava provocando e aveva anche smesso di scherzare. I suoi tratti affascinanti erano impregnati di collera e di tristezza, di emozioni non rassegnate che riuscivano quasi a sottrarsi al suo controllo. Come se avesse un conto in sospeso con il resto dell’universo. Gelido e tenace.
“Non sono in grado rispondervi con una frase ad effetto, come quelle che gradite tanto pronunciare. Forse non riuscirei neppure a spiegarmi. Ma se vi interessa sapere ciò che penso in merito, avremo certo occasione di tornare sull’argomento”.
Il principe aggrottò la fronte con atto interrogativo.
“Devo dedurre che vi siete rassegnata all’idea di essere trattenuta a Jarlath?”.
“No. A quella di diventare vostra moglie. Però l’affermazione non è del tutto corretta. Io non mi rassegno mai, siete avvisato”.
Il giovane spalancò gli occhi, colto di sorpresa, ma recuperò subito il controllo.
“Mi sarei aspettato una strenua resistenza da parte vostra, sinceramente. Cosa ha fatto mutare tanto repentinamente la vostra risoluzione?”.
“E’ così importante saperlo per voi, principe del Nord?”.
“Nella misura in cui questa drastica inversione d’intento sia il frutto di un piano ordito ai miei danni, sì” sogghignò lui, sbarrando la via ad ogni altra congettura “Se così fosse, vi sto mettendo in guardia. Non sareste i primi a tentare avventatamente di sopraffarmi. L’esperimento vi costerebbe molto caro”.
Adara lo scrutò, scavando le profondità del suo sguardo. Il Crescente si mosse lieve.
“Non lo trovate insostenibile?” gli domandò, decisa.
“Sposarvi anche se mi detestate e non provando io niente per voi? No, considerando l’utilità e la piacevolezza dell’occasione”.
La ragazza arrossì leggermente, ma ignorò l’allusione.
“Intendevo” gli specificò “Credere costantemente che qualcuno desideri il vostro male. Vivere stabilmente nel sospetto. Guardarsi da chiunque e non fidarsi mai di nessuno. Come fate a tollerarlo?”.
Anthos corrugò le sopracciglia. Era davvero così che lui trascorreva l’esistenza? No. Stupidaggini, quella ragazzina non lo conosceva affatto. Avrebbe avuto modo di mostrarle chi era davvero il reggente di Iomhar. E, forse, anche il perché. Non ebbe tempo da dedicare ad ulteriori considerazioni, poiché lei continuò, implacabile.
“Per esempio, se io ora decidessi di baciarvi, voi iniziereste a pensare che ho del veleno sulle labbra oppure accettereste semplicemente il mio gesto affettuoso senza perdervi in mille spiegazioni alternative?”.
Il principe rimase interdetto. Lei gli stava confondendo le idee, quando avrebbe dovuto essere terrorizzata o prostrata dalle prospettive poco rosee che le si offrivano. Andò in difesa senza quasi realizzarlo.
“Mettetemi alla prova” ribatté.
“Ecco un’altra delle vostre non risposte” sospirò lei “Rassicuratevi, Anthos. Non ho cambiato idea perché i miei compagni hanno ideato la vostra morte. L’ho fatto per… avvicinarmi a Illtyd, per dirla in una parola. Di questo, come vi ho promesso, vi esporrò tutte le ragioni che cercate. Tuttavia, non sono sicura che possiate comprenderle. Da ciò che leggo in voi, non ne avete gli strumenti”.
Lui trasecolò. Nessuno aveva mai posseduto l’ardire di rivolgerglisi così. Un lampo furente gli attraversò le iridi chiare, trasformandole in fuoco. Strinse i pugni.
“Mi state dando velatamente dell’idiota?” sibilò terribile “Attenta, Adara, esiste un limite che vi suggerisco di non superare…”
“Assolutamente no” rispose lei “So che siete un uomo intelligente e non ne ho mai dubitato. Uno spreco di voi stesso… ecco ciò che siete, principe Anthos!”.
Il reggente si irrigidì, trapassato brutalmente da quella esternazione tanto ingiuriosa. L’autocontrollo si spezzò. L’energia gli si riversò nelle vene, impetuosa, e lo riempì come un fiume in piena. Il Medaglione si illuminò come un faro abbacinante, emanando il suo potere, gonfiandogli il mantello e scompigliandogli la chioma. Una folata di vento investì la stiva, facendo volare gli oggetti più leggeri in un vortice veemente. I fuscelli di paglia turbinarono nell’aria sconvolta, i cavalli nitrirono e si impennarono, terrorizzati dall’ondeggiare della nave.
Adara strizzò gli occhi, riparandosi con il braccio dal riverbero e dai capelli che le frustavano il viso, certa di aver varcato imprudentemente l’annunciato confine della sua pazienza. Fece un passo indietro, ma lui le afferrò un polso, trattenendola. Era la fine… o l’inizio di qualcosa di peggiore.
Tutto si placò.
Anthos chiuse tra le dita il gioiello con le Tre Pietre, occultandone il bagliore. Trasse il fiato e le piantò addosso gli occhi d’oro fuso, attirandola a sé.
“Siete una che giudica senza conoscere, contrariamente a quanto avete affermato?” domandò poi, con la voce che vibrava di collera e di qualcosa di indefinibile.
La mano che stringeva il prezioso amuleto aveva un leggero tremore.
“Sarei lieta di ammettere l’errore” mormorò lei, ancora pesantemente scossa.
Il principe rise leggermente, senza calore, e abbassò il braccio dal monile ormai inerte sul suo petto.
“Non si sa mai. Potreste anche apprezzarmi” affermò sferzante “Neirstrin è vicina. Preparatevi a sbarcare”.
Adara avvertì la morsa del suo destino serrare le maglie fin quasi a soffocarla. Cercò di reprimere quella sensazione di ineluttabile costrizione. Deglutì.
“Che vi succede?” fece Anthos, sottile “Avete esaurito le risposte irriverenti?”.
“Ho alcune richieste” sviò lei, puntando a ciò che le premeva davvero.
“Quali?”.
“Lascerete liberi i miei due compagni di viaggio”.
“Va bene. Ma solo dopo il matrimonio. C’è altro?”.
“Narsas e mia sorella. Dovete guarirli”.
“Mi dispiace, non lo posso fare”.
“Non vi credo! Non ne avete intenzione, questa è la verità! Perché non v’importa di loro e non vi sono… come avete detto? Utili!”.
La ragazza contenne a stento tutto ciò che avrebbe voluto rovesciargli addosso, memore della sua reazione precedente. Dirgli che era solo un essere spregevole, privo di compassione e di umanità, refrattario a ogni sentimento, insensibile davanti al dolore altrui, ignobile e glaciale. L’angoscia le si bloccò in gola insieme con la marea di emozioni che non aveva lasciato uscire, inumidendole gli occhi.
“Calmatevi!” ordinò lui, cogliendo il suo sconvolgimento interiore “Io non sono un guaritore! Lo avete supposto voi stessa con ragione, durante la nostra cena. Se affermo che non posso è perché non ne sono in grado, non vedo perché dovrei mentirvi! Piuttosto, vi avrei risposto di no senza alcun problema!”.
“Io non…”.
“Ma…” la interruppe lui con un gesto sbrigativo “Vi prometto che cercherò un rimedio. Prendetelo come un dono di nozze. Non vi assicuro il riscontro, non dipende da me”.
Adara lo guardò, dubbiosa e ancora in subbuglio. Sembrava sincero.
“Cercherò con voi” gli disse “Non per sfiducia, bensì perché mi sono cari”.
Lui annuì e le fece cenno di proseguire con le istanze.
“Non ho ulteriori pretese” concluse lei.
Anthos sorrise leggermente, come se la situazione lo stesse divertendo o intrigando. Non distolse lo sguardo, le scostò i capelli e le sollevò il viso.
“Non avete alcun veleno sulla bocca, Adara…” mormorò suadente.
 
La Xiomar attraccò al molo principale di Neirstrin con le vele ammainate.
Dalian comandò burbero che fossero lanciate le funi d’ormeggio di prua e gli uomini schierati lungo la banchina si affrettarono ad annodarle saldamente intorno alle bitte.
Il mare era calmo, ma il livello dell’acqua sfiorava il bordo dei pontili d’approdo, rendendoli viscidi e malsicuri. Il freddo era quasi insopportabile.
La ciurma eseguì le manovre d’arrivo in silenzio, senza la frenesia e l’allegria un po’ confusionaria che segnavano il giungere di una nave in porto dopo tante settimane di navigazione. La bandiera pirata pendeva floscia dal pennone di maestra, tanto mogia quanto l’equipaggio che rappresentava.
Dare Yoon scrutò dalla tolda il suolo innevato e spoglio della cittadina, non altro che un conglomerato di baracche di pietra e di legno affacciato sul Pelopi, che in dialetto locale chiamavano Ruhard.
Nessun colore sgargiante, nessuna nota identificativa a differenza di Vaneta. Il bianco e il grigio rendevano l’atmosfera irreale e statica. Persino i frangenti dell’oceano slittavano lenti e intimoriti sulla riva, trasportando lastre di ghiaccio spezzato e trasparente, mandandole a rompersi con suoni scricchiolanti contro i muraglioni bagnati e la terra indurita dal gelo. L’acqua era scura e rifletteva un cielo plumbeo, dal quale scendevano radi alcuni fiocchi di neve solidificata.
Se avesse dovuto dipingere la tristezza, il soldato avrebbe scelto un’immagine del genere. Si strinse nel mantello, che era totalmente insufficiente a ripararlo dal rigore dell’aria, e la spada gli sfiorò la gamba sinistra, con un tocco rassicurante.
Il principe aveva restituito loro le armi quando li aveva fatti uscire dalla stiva: non c’era neppure da chiedersi la ragione, perché era evidente che non aveva timore né della sua lama né dell’arco di Narsas.
Al suo fianco, il giovane Aethalas osservava il paesaggio deprimente con uno sguardo severo, infagottato in molteplici quanto inutili strati di stoffa. Il suo respiro si condensava in nuvole leggere, che evaporavano alla gelida brezza.
L’ufficiale della guardia lo vedeva intirizzire e temeva che, nel suo caso, i brividi non fossero dovuti esclusivamente al clima inospitale del Nord. Ancora una volta, si chiese come facesse ad accettare tutto ciò, a non impazzire di rabbia e di dolore.
“Mi dispiace” ottenne finalmente di ammettere, alludendo al loro battibecco di alcune ore prima “Non era mia intenzione…”.
“Lo so” troncò l’arciere, senza alcun risentimento nella voce “So perché l’hai fatto. Come tu conosci il motivo per cui non avresti dovuto”.
Dare Yoon annuì, sospirando. Quello non era un mondo adatto alle buone intenzioni.
“Ti giuro, Narsas. Non capisco come tu ci riesca. Posso solo ammirarti e basta”.
L’arciere distolse l’attenzione dal mare che lambiva la murata: i suoi occhi scuri erano l’unica fonte di calore in quel luogo maledetto. Sorrise con sconforto.
“Non ci riesco, infatti” rispose.
 
Adara esaminò lo scenario opprimente che costituiva il suo primo impatto con il Nord. Si lasciò investire dal vento tagliente di Iomhar e constatò che non aveva nessun profumo. Era abituata alle raffiche violente delle tempeste, ma a Elestorya, per quanto esse potessero essere aggressive e dannose, trasportavano sempre l’odore inebriante dei fiori, i semi e i colori della sua calda terra di sabbia e roccia.
Forse, il gelo era riuscito a bruciare anche la fragranza di quel Regno dalla tinta lattea e monotona. Oppure, il male aveva deciso di rubare per primo il carattere distintivo di quel luogo, condannato a piegarsi al buio sin nella notte dei tempi.
Anthos sembrava non subire affatto l’influsso sofferente della sua patria. Magari ne era già talmente imbevuto da non percepirne più la mesta particolarità.
Il suo volto attraente era serio e concentrato sulle manovre della nave. Anche quando forniva l’impressione di pensare ad altro, in realtà sapeva perfettamente cosa stava avvenendo intorno a lui. E non rinunciava a detenerne il controllo.
Il mantello bianco si confondeva con il cielo, mettendo in maggiore risalto la sua carnagione ambrata: un’altra insolita peculiarità, che forse aveva a che vedere con le sue misteriose origini.
Il principe si voltò verso di lei, come se potesse leggere nella sua mente, abbracciandola con uno sguardo deciso e venato di malinconia, stridente con l’espressione imperturbabile e distante che lo caratterizzava.
Non avete alcun veleno sulla bocca, Adara…
La ragazza fece del proprio meglio per non arrossire come una bambina, abbassando gli occhi sui cavalli che scendevano dalla passerella e sollevando il cappuccio sulla testa per non incontrare i suoi occhi.
L’aveva fatto davvero. Stupida lei per aver fornito un’esca tanto ghiotta e facile da ghermire, che possedeva in aggiunta l’irresistibile richiamo della sfida o della vendetta per quanto lei aveva avuto l’ardire di rinfacciargli.
Anthos si era chinato e l’aveva baciata. Non l’aveva sfiorata, il contatto delle labbra sulle sue era stato intenso e prolungato, privo di qualsiasi timidezza, sprovvisto della considerazione che quella contiguità improvvisa fosse la prima tra loro e che lei certo non l’avrebbe gradita. Il bacio profondo di chi la pretendeva per sé.
Adara l’aveva respinto con un’esitazione di troppo. Il tempo di riprendersi dalla folgorazione di quel gesto inaspettato e dall’assurdo pensiero che lui era caldo come un essere umano, che non aveva nulla del gelo che lei gli aveva attribuito. Respirava come lei, era vivo, perché non avrebbe scientificamente dovuto avere la sua stessa temperatura? Non significava che la sua anima fosse altrettanto calda.
Quando era riuscita ad allontanarlo, graffiando l’aria nel vano tentativo di colpirlo, lui si era limitato a schivare, osservandola con un lieve sogghigno.
“Si direbbe che non abbiate mai baciato un uomo…” aveva proferito con sarcasmo.
Adara gli aveva scagliato contro la striglia per i cavalli e poi addirittura un secchio, che lui aveva evitato quasi senza muoversi e con estremo divertimento.
“Le promesse vanno sigillate, non lo sapete?” aveva aggiunto poi, ironico.
Se n’era andato, lasciandola esterrefatta ad ascoltare il cuore impazzito e a darsi della stupida ragazzina imprevidente.
Rabbrividì all’interno del lungo mantello blu che lui le aveva lasciato e che, diversamente di Iomhar, conservava il profumo del suo sovrano.
 
Tsambika non si era spinta molte volte a Neirstrin, poiché aveva sempre temuto il misterioso potere del reggente. Trovarselo in casa e testarlo tutto in uno era stato scioccante, un’esperienza che non avrebbe augurato neppure al suo più acerrimo nemico. Non riusciva a credere di essere ancora viva e si dava per persa, con la terribile sensazione di non conoscere né il modo né il momento della propria morte.
Le voci udite sul conto del principe erano false. Anthos non era semplicemente bello come aveva sentito dire, era di un fascino abbagliante. Ma il suo intero essere era peggiore di quanto raccontavano i mercanti che battevano quella zona del Pelopi, intimoriti nonostante l’autorizzazione ottenuta. Era lontano da qualsiasi umanità.
La famosa pirata lo osservò avvicinarsi alla principessa e parlarle, indicandole le montagne color cenere incombenti sul piccolo spiazzo del porto. Non si capacitava di come quella ragazzina riuscisse a tollerare anche solo la sua vicinanza, come non avesse ancora avuto un collasso emotivo a fronte della prospettiva di diventare sua moglie. Come si fosse decisa a non ascoltare tutte le obiezioni dei suoi compagni.
Per salvare i suoi amici, il suo Regno, il mondo intero aveva stabilito. Nobili parole, ma intanto sarebbe stata lei a dover condividere l’esistenza con quell’assassino.
Tsambika non lo avrebbe mai fatto e avrebbe sfidato chiunque a darle dell’egoista. Si sarebbe trattato di semplice furbizia, di spirito di autoconservazione e della prova regina che neppure lei era così folle da sfidare il sovrano del Nord.
Ultimamente, aveva spesso sentito parlare di fine del mondo. Non aveva mai dato credito a quelle superstizioni, sebbene non fosse così stolta da non aver colto stranezze e cambiamenti nei luoghi che era solita visitare. Anche Neirstrin le appariva differente: più cupa, più mesta, quasi invasa dal mare e, stranamente, meno fredda di come rammentasse.
Ma forse era tutta la paura che le era entrata fin nel midollo a farle pensare che il porto nordico avesse un clima più mite di quello che ricordava. Terrore di lui e dei suoi occhi dorati e crudeli.
Era sempre stata brava a leggere il panico nello sguardo altrui: la principessa ne era inspiegabilmente priva. Angosciata, infelice, turbata, rassegnata… ma non spaventata, almeno non quanto avrebbe legittimamente dovuto.
Aveva sentito dire che la figlia minore del re di Elestorya portava un tatuaggio con la luna crescente, un simbolo magico o qualcosa del genere. Che avrebbe dovuto usarlo per salvare il creato dalla cosiddetta Profezia. Tutte fantasticherie naturalmente. Eppure, dopo quanto occorso, la fiducia nelle proprie convinzioni era venuta meno, incrinando la sua spavalda sicurezza. Forse, Adara era davvero una predestinata ed era il suo amuleto dipinto a permetterle di interagire con il principe senza provare l’orrore che lui suscitava nel resto della gente.
Dare Yoon avrebbe sottolineato crudamente che la capitana non aveva gli strumenti per capire. Ove per strumenti aveva chiaramente inteso l’amore per il prossimo e tutto ciò che esso comporta. Si stizzì e strinse le dita sul contorno ghiacciato dell’impavesata di babordo. Non avrebbe dovuto curarsi affatto delle stupide opinioni di quell’uomo presuntuoso! Dunque, perché quell’affermazione l’aveva così tanto infastidita? Anzi, l’aveva fatta sentire sporca e colpevole per la prima volta nella vita. Se ne avesse avuto l’occasione, gli avrebbe fatto rimangiare per intero quell’offesa, insieme con tutte le altre! Parola sua!
E l’Aethalas, poi? Più o meno le aveva rivolto la stessa sgradevole osservazione, prima di piantare i piedi come un mulo e rifiutarsi di sposare la ragazzina per cui sbavava. Le sembrava il più pazzo del gruppo, anche se gli riconosceva un fegato fuori dal comune. Quando aveva ordinato che gli venisse amputata la mano, l’arciere l’aveva fissata per un istante, con rabbia: le era bastato il lampeggiare di quegli occhi scuri e orgogliosi per comprendere che aveva solo fretta di gettarsi tra i marosi, anche monco, per soccorrere la principessa. Nessuna paura in lui.
Forse, Tsambika qualcosa aveva capito, invece. Le dava solo fastidio ammettere di essere stata toccata interiormente dagli ultimi tre ospiti del suo galeone. Accettare di aver imparato qualcosa da loro, suo malgrado. Concedersi che ciò che le avevano insegnato con l’esempio e i fatti, più che con i discorsi, non le risultava così estraneo.
Tornò a osservare Adara, coraggiosamente ritta a prua al fianco del suo terrificante promesso sposo: era in quel costoso , che l’amore distendeva il proprio potere? 
Guardò poi Narsas, con l’arco di traverso sulle spalle e l’espressione fiera, velata solo di un’impercettibile tristezza: era in quel devastante no, che l’amore mostrava la propria forza?
Infine, si soffermò sui tratti virili e abbronzati di Dare Yoon, impegnato a discorrere a bassa voce con il compagno di viaggio: era nel suo mai, che l’amore pretendeva di essere puro e incondizionato?
“Dannazione!” ringhiò tra i denti, avvertendo un soffocante nodo alla gola.
 
Anthos ultimò di indicare alla principessa il percorso che avrebbero seguito per raggiungere Jarlath. Poche ore e il palazzo sarebbe stato in vista.
“Dobbiamo andare” le disse con cortesia “Voi cavalcherete con me. Il sentiero è pericoloso, anche se oggi c’è poca neve e non è molto freddo”.
“Dite davvero?” domandò lei, sbalordita.
“Sì. Ma non è un buon segnale. Il livello del mare è salito. Suppongo che anche al Sud ci siano problemi del genere”.
“Sono venuta qui proprio per questo” notificò lei con ovvietà “Per cercare con voi una soluzione. Ma dalla vostra stima per i Testi Sacri, ho dedotto che non vi importi”.
“Nessuno ha detto che la Profezia sia l’unica soluzione” affermò il principe con convinzione “Ora scusatemi”.
Ordinò ai suoi quattro servitori di scortare a terra Narsas e Dare Yoon e di tenerli sempre in stretta vigilanza. I due uomini montarono in sella, affiancati ciascuno da una coppia di silenziosi esseri lupo.
Illtyd, bardato con le insegne reali a tre colori, attendeva sul molo il suo padrone, battendo la pietra verdognola con lo zoccolo ferrato. Fermo al suo posto, senza che nessuno osasse trattenerlo per le redini.
La ciurma della Xiomar era disposta in ginocchio lungo il ponte: sedici persone, compresa la donna che li comandava, tutte certe che il loro viaggio, vero e metaforico, sarebbe terminato lì.
Anthos aveva fatto ammainare la bandiera pirata più temuta dell’intero oceano e la stava stringendo tra le dita come uno straccio vecchio.
“Direi che è ora di chiuderla qui” sancì, incolore.
Il drappo prese fuoco in un battito di ciglia e fu consumato dalle fiamme verdi sotto gli sguardi stravolti dell’equipaggio. Anche la terribile fine della Agewe era giunta con il medesimo, bruciante incipit.
“Il vostro galeone non ha ragione di esistere. Non ho mai consentito la filibusteria nel mio confine marittimo, eppure voi avete avuto l’ardire di ignorare le mie disposizioni. Questo già di per sé costituisce un illecito, senza contare le occasioni in cui avete osato attaccare i mercantili di Iomhar. Pertanto, dovrete scontare le vostre colpe”.
I bucanieri iniziarono a presentire i denti degli orlagh nelle carni e presero a tremare di terrore. Qualcuno cominciò a singhiozzare silenziosamente.
Il reggente li squadrò con disprezzo, scrollando dalla mano le ceneri dello stendardo.
“Tu, Dalian” disse “Diventerai il capitano della nuova nave che vi obbligo a costruire da oggi. Questa affonderà con disonore… le stive di carico sono già allagate, pertanto suggerisco a te e ai tuoi uomini di scendere a terra senza voltarvi, se ci tenete alla pelle. Lavorerete per me senza sconti, poiché siete miei prigionieri e le vostre inutili vite mi appartengono. Non saranno comunque sufficienti a ripagare le ruberie che avete commesso. L’alternativa o la disobbedienza comporterà la morte. Sono stato sufficientemente chiaro?”.
I bucanieri si affrettarono a prostrarsi davanti al reggente con la fronte a terra, giurando fedeltà al loro nuovo signore. Poi si precipitarono giù dalle scalette e lungo la passerella, così come lui aveva comandato.
“Veniamo a noi, Tsambika” proseguì Anthos con un sorriso freddo “La tua leggenda termina in questo istante, sconfitta e inginocchiata davanti a me. Un vero capitano affonda con la propria nave, tuttavia non ti concederò un tale onore. Non lo meriti. È giusto che tu subisca la fine ignominiosa e infamante adatta alla tua reputazione”.
Estrasse la spada.
La donna iniziò a sudare, nonostante il rigore dell’aria. Aveva le mani legate dietro la schiena, ma anche se non fosse stata immobilizzata e dolorante per le ferite, non sarebbe riuscita a muovere un muscolo. Osservò la lama luccicare a pochi centimetri da lei, come paralizzata.
Il principe sollevò l’arma, implacabile.
“Eseguirò io stesso la pena, decapitandoti. Cerca almeno di morire con dignità”.
Tsambika chiuse gli occhi e abbassò la testa, rattrappendosi, senza quasi respirare. I lunghi capelli corvini le scivolarono sugli omeri e sul viso, occultandolo.
Anthos si pose alle sue spalle, calibrando il colpo. Era certa che non avrebbe sbagliato, che l’avrebbe uccisa con un unico movimento, senza farla penare. Lo aveva visto combattere e non aveva dubbi. Se l’avesse voluto…
“Fermatevi, vi imploro!”
La voce limpida di Adara risuonò a breve distanza, insieme con i suoi passi leggeri sul legno fradicio del ponte.
“Vi consiglio di non guardare” rispose lui “Non è uno spettacolo per voi”.
“Non lo è per nessuno. Vi prego, risparmiatela!”.
“Cosa? Datemi un solo motivo valido per non farle saltare la testa! Oltre a quanto ho già elencato, questa donna vi ha ingannata e vi ha gettata in pasto ai pesci… o vi si è cancellata la memoria per lo shock?”.
“Mi ricordo benissimo. Ma vi chiedo ugualmente di non ucciderla!”.
Tsambika rimase immobile, con le orecchie che fischiavano per la tensione, la vista offuscata dalla paura e l’ombra tenue della spada del principe proiettata sull’assito. Perché la principessa stava intercedendo per lei?
“Sto perdendo la pazienza, Adara…” minacciò il giovane, riprendendo la posizione.
Levò nuovamente la spada al cielo bigio e nuvoloso.
“Tutti hanno diritto a una seconda occasione!” gridò la ragazza in un fiato concitato.
La lama scese con un sibilo letale, mentre quelle parole si disperdevano in un’eco misericordiosa nello spazio cristallino del Nord.
I lunghi capelli di Tsambika finirono a terra, tranciati di netto. Spalancò gli occhi un secondo dopo aver percepito lo spostamento d’aria sul suo collo e li vide sparsi davanti a lei. Impiegò un attimo a capire che respirava ancora. Iniziò a tremare in modo incontrollato. Avvertì le lacrime gocciolare a terra, prive di ritegno. Era viva.
Il reggente fece scivolare la spada nel fodero e si allontanò, abbandonandola in quell’abisso di sollievo e disperazione, di vergogna e gratitudine inespressa.
“Siete in debito con me” dichiarò feroce, rivolto alla principessa “Di nuovo”.
“Grazie…” sussurrò lei, con la mano sul cuore.
Anthos la fissò intensamente. Poi la prese sottobraccio e si diresse alla passerella.
   
 
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