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Autore: Shanya    23/10/2019    0 recensioni
[Nome provvisorio]
Storia nata da una piccola mente anni fa, trascinata dopo anni per varie strade.
Ho finalmente deciso di renderla pubblica, nella speranza di portarla avanti e nel caso portare vari cambiamenti. Il tutto è un lavoro in corso.
"Non vedeva più luci sulla Terra. A dire il vero non ne aveva mai viste. Il pianeta che si trovava davanti ai suoi occhi le aveva sempre fatto nascere dei punti interrogativi a cui non sapeva rispondere. Ora era spento, senza vita, non lo avrebbe mai visto come una volta."
Non so ancora cosa aspettarmi da questa storia, varie idee scritte e altre per aria, ma proverò a includere tutto quello che il mio cervellino riesce a pensare.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1;
Departure


Non vedeva più luci sulla Terra. A dire il vero non ne aveva mai viste. Il pianeta che si trovava davanti ai suoi occhi le aveva sempre fatto nascere dei punti interrogativi a cui non sapeva rispondere. Ora era spento, senza vita, non lo avrebbe mai visto come una volta. Suo padre non parlava, diceva essere un argomento inutile e che basterebbe andare alla Biblioteca per delle risposte, come se fosse davvero così. 
Chi lo sapeva come era vivere coi piedi sulla terra, su un vero terreno, avere una casa propria e non una sottospecie di cella, dover poter girare liberamente senza essere controllati.
A volte si sentiva sola nella sua stanza, suo padre era occupato a lavorare alle serre, a procurare cibo per le diecimila persone che vivono qui. Sua sorella minore era sempre impegnata tra Scuola e Laboratorio da quel che sapeva. Dylan evitava di avvicinarsi o stare troppo tempo in quei luoghi. L’unico su cui poteva  contare era Edgar.
Ricordava ancora il primo giorno con lui undici anni prima: il suo corpo gracile ma resistente, la pelle chiarissima, l’espressione decisa sul volto caratterizzato dal scintillio verde chiaro nei suoi occhi. Avevano solo otto anni lei e dieci lui, ma il ricordo del suo aiuto al primo addestramento era ormai indelebile. Le sue mani coprivano le sue piccole tremanti attorno al calcio della pistola e le sue parole la rassicurarono sul fatto che non avrebbe mai dovuto combattere per davvero, che l’avrebbe protetta lui. 
Lui, che solo avendola vista aveva capito che non avrebbe mai fatto del male a nessuno. Da quel giorno era difficile separarli. Lui capiva lei e lei capiva lui, o almeno così sembrava.
“Bu!”
Dylan sobbalzò in avanti per lo spavento, rischiando di sbattere la testa contro il vetro, girandosi a vuoto nel buio.
“Edgar! Vuoi farmi morire?” Sussurrò lei.
Lui si infilò sotto la coperta da lei portata sul pavimento, dove sotto stava ranicchiata a guardare fuori dalla vetrata immensa che occupava la parete esterna del piccolo abitacolo.
“Pensavo ti fossi abituata ormai.”
“Non so mai quando potresti apparire, sei come un fantasma.” Poggiò la fronte sul vetro di fronte a lei, osservando le nubi che quasi completamente ricoprivano quella distante sfera azzura e marrone.
Edgar la accompagnò con lo sguardo verso l’esterno, dove l’ignoto li avrebbe accolti.
“Hey, hai mai pensato come sarebbe vivere lì?” Esalò lei sospirando.
“No. Non saprei nemmeno cosa dirti.”
Tipico, pensò lei. Nessuno ormai diceva più nulla riguardo la vita passata sulla Terra, sembrava come se fosse qualcosa di vietato, o dimenticato; ma questo non ha mai fermato le sue fantasie. 
Il ragazzo si grattò la fronte girando la testa verso di lei.
“Ascolta... Domani partiremo. Una volta lì potrai dare sfogo a tutto quello che tieni in quel cervellino. Ma non illuderti, non c’è niente su quel pianeta.”
Dylan non rispose, abbassando lo sguardo. Sentiva qualcosa in mezzo al petto provocarle un leggero fastidio, forse era solo ansia per il viaggio.
“Forse dovresti andare a dormire.” continuò Edgar alzandosi da terra, togliendo la coperta da sopra la ragazza. 
“Sono passate le undici, dovrai ospitarmi.” Un sorrisino comparve sul viso del ragazzo, ricordando quando da piccoli si ritrovavano spesso svegli troppo tardi per poter tornare ai loro abitacoli.
Come dettato da legge, alle undici di sera le porte di tutti i tunnel e settori venivano chiusi, con o senza persone all’interno. Una legge inutile pensava sempre lei, non si poteva comunque scappare.
“Fran a quanto pare non è tornata e mio padre penso sia già a dormire. Anche se non sono sicura riuscirò a dormire questa notte.” Dylan si alzò spostandosi in un solo movimento sotto la coperta del letto, guardando il soffitto.
“Dyl, almeno sei pronta per domani?”
“Portei essere tante cose, ma pronta no. Puoi ripetermi di nuovo perchè mandano proprio noi e a fare cosa?”
“Ancora? A quanto pare hanno localizzato un ospedale che potrebbe avere ricette ed esempi di tessuti. Ovviamente non abbiamo dettagli pur essendo noi a cercare le cose.” Disse Edgar alzando gli occhi verso il soffitto.
Dylan aggrottò le sopracciglia, per lei non aveva senso. Avevano ottimizzato la medicina da quando avevano creato il Laboratorio, era strano che volessero vecchie ricerche di un pianeta inabitato. Ed ammalarsi lì era praticamente impossibile, a meno che non ci si ferisce letalmente. Ma da un lato pensava che forse avevano dimenticato semplicemente qualcosa, o che servisse per creare qualcosa di nuovo.
“Mmh, fossero stati un po’ più specifici.”
Edgar si avvicinò al letto, pizzicandole la guancia, per poi stendersi sul letto della sorella di Dylan, Fran.
“Smettila di scervellarti e dormi. Domani potrai vedere con i tuoi occhi.”
Dylan si sentì più leggera al pensiero di risolvere i suoi dubbi, ripensando al momento in cui hanno annunciato l’evento una settimana prima, quando le grandi casse della sala da pranzo comune avevano trasmesso il messaggio. La maggior parte della sala era entusiasta, tutti avrebbero voluto andare in missione e tornare per raccontare e sentirsi fortunati a poter continuare a vivere qui. Anche lei ovviamente lo era, voleva raccontare a Fran le cose che avrebbe potuto studiare e scoprire, condividere con Edgar momenti speciali che potrebbero non riaccadere più. Ma non riusciva a trovare un motivo logico alla missione, perchè il modello più nuovo dovrebbe andare a ricercare quello vecchio essendo già perfetto? Era una missione diversa dalle solite, non era la generale missione di ricognizione per aiutare la ricerca per la cura contro la malattia, era solo un giretto in cerca di oggetti. Dyaln non riusciva a darsi pace sul perchè in data così vicina all’ultima spedizione dovessero annunciarne una nuova, come se fosse invece successo qualcosa. Ma neanche lei sapeva rispondersi, non sapeva e non capiva niente di come funzionava la stazione dove si trovava, la Stazione Azazel.
Non ricordava nemmeno le loro espressioni all’annuncio dato che furono subito escortati per vari allenamenti intensi. 
Dylan Hawthorne sarebbe davvero andata sulla Terra. Questo pensiero le riempiva la testa, come se non riuscisse a rendersene capace che stava per succedere davvero.

“Distretto Tre: Tae Suzuki e Susanne Willowfield. Distretto Sette: Edgar Kadis e Dylan Yano Hawthorne. A rapporto.”
Rapporto, rapporto e altro rapporto, non che avessero un’altra scelta. La voce elettronica non faceva altro che ripetere gli stessi nomi, la stessa frase. Sin dal sorgere del Sole, dalla riapertura delle porte, quando anche suo padre e sua sorella uscirono. Aveva già immaginato che non le avrebbero dato un momento per salutarli, le informalità non sono accettate.
Dylan guardava le schiene dei suoi futuri compagni, mentre camminavano in fila indiana lungo il tunnel verso la Scuola,  che poi avrebbe proseguito verso la Cittadella.
Non sapeva che doveva dire o fare, seguiva solo gli ordini. Oltre la Scuola non aveva idea di come era costruito Azazel, loro comuni cittadini non avevano il permesso di arrivare al Primo Anello, la Cittadella: luogo dove il Consiglio di Azazel viveva e si ritrovava a fare le grandi scelte per condurre tutta la popolazione al futuro.
I soldati in tuta ed elmo nero mettevano leggermente timore a Dylan, che cercava di stare a distanza di sicurezza. Il fucile in spalla e i vari coltelli sistemati sulla cintura la fecero deglutire, non sapeva cosa provava. Quelle armi non erano nuove  ma vederle tutte insieme e indossate da una persona non la facevano sentire a proprio agio. Anche loro avrebbero dovuto portare armi del genere? Forse era perfino troppo ovvia la risposta. Dovevano pur sempre difendersi nel caso sarebbero accaduti dei sfortunati incontri.
Non avevano nulla con sè, le guardie non lo ritenevano necessario, avrebbero donato tutto loro. Dylan sentiva di aver visto gli altri due ragazzi, Susanne e Tae, da qualche parte, sicuramente intorno la Scuola, unico luogo insieme ai Centri di Addestramento dove si limitava a girare da sola. Ricordava anche però di non averci mai interagito, forse per il loro aspetto non molto affidabile secondo lei. Avevano un’aura che neanche lei poteva identificare, ma forse era solo una presentimento.
Passarono oltre il secondo anello, per dirigersi al tunnel che li avrebbero portati verso il primo, e lì si chiese una sola cosa.
Perchè lei? Perchè una ragazza così debole da risultare il pessimo canditato durante gli allenamenti, sarebbe dovuta andare in prima linea contro i Rinati?
Appena arrivati alla Cittadella Dylan rimase senza fiato per un momento. Pareti bianche li circondavano, sembrava tutto così finto e puro che tra poco le sarebbe venuto mal di testa. Girarono verso il Porto da dove sarebbero partiti, dopo aver preso l’equipaggiamento adatto.
Dylan si ritrovò schiacciata all’interno di una tuta spessa isolante, non aveva idea di come si sarebbe sentita una volta a terra. Freddo? Caldo? Non sapeva cosa fossero quei vari piccoli schermi e pulsanti sulle braccia e sembrava che nessuno lo volesse dire, avrebbero dovuto scoprirlo da loro.

Erano in viaggio da ormai un paio d’ore. Dylan si sentiva strana. Si sentiva persa. Nessuno diceva niente, nessuno spiegava niente. Li imbarcarono e li lasciarono andare per la loro strada. Cosa era successo esattamente? Nessun discorso di incoraggiamento sull’importanza del loro ruolo? Nessuna direzione? Era davvero così importante quello che stavano per fare? Non sapeva più che pensare, ma una cosa era fissa nella sua mente: avrebbe visto la Terra in prima persona. Questo superava qualsiasi pensiero e preoccupazione. In realtà era comunque felice di trovarsi lì, poter uscire per davvero dalla Stazione, esplorare il luogo nativo degli umani. Perchè agli altri non sembrava così importante? Cercava di mantenersi composta ma in realtà voleva solo parlare e parlare ad Edgar. Dirgli cosa avrebbe voluto fare e vedere. Domande a cui rispondere e conferme a dubbi che aveva. Il viaggio le diede così tanto tempo di pensare molto che ad un punto si ritrovò a pensare che ormai tutto le andava bene pur di poter visitare il posto che tanto bramava segretamente.
Una mano sul ginocchio destro la svegliò dal suo dibattito interno e facendola sobbalzare per un attimo.
“Che succede?” Chiese lei pensado ci fosse un problema.
“Niente di che.” Disse Edgar tranquillo. “Stiamo per arrivare.”
A Dylan scappò un piccolo ghigno. Sentiva come se potesse finalmente liberarsi e scappare. Sentiva degli istinti crescerle nel cuore come se finalmente avrebbe potuto esprimersi al meglio.
In seguito ad un boato, scosse e turbolenze, un grande impatto fece scuotere l’abitacolo. Dylan guardò i suoi compagni, ma sembrava che nessuno fosse entustiasta quanto lei di essere finalmente lì e si domandava perchè.
Le cinture che li tenefano ferrati ai sedili si aprirono automaticamente e la guarda che li aveva accompagniati si alzò, mostrando a tutti equipaggiamento e viveri che a lei sembrava sarebbero durati forse per tre giorni. Diedero in totale due fucili e due pistole da dividersi e un coltello a ciascuno, insieme ad uno zaino ciascuno. Dylan li prese titubante, ma si agganciò la pistola e il coltello medio alla cintura, sperando di non doverli mai estrare. Faticava a camminare per i pesanti stivali ma avrebbe dovuto abituarsi. L’unica guardia sparì dalla loro vista facendo un ultimo segno di indossare i propri caschi, a quanto pare neanche l’aria era ormai più respirabile dopo l’esplosioni delle guerre ed incidenti passati.
Una porta alle loro spalle si aprì lentamente, producendo dei suoni gracchianti. La Terra sarebbe stata davanti a lei, sotto ai suoi piedi.
Ma la prima cosa che vide fu bianco. E marrone. Qualcosa di sporco e polveroso.
Vennero spinti oltre la porta, da soli, come se non ci fosse tempo per ammirare, ma solo di agire. Dylan sentì la forza della gravità schiaccarle i piedi sull terriccio, provocando una piccola nuvola di polvere marrone e grigiastra.
Dietro di loro un altro suono gracchiante scosse l’aria e una volta chiusa la porta la navetta si rialzò velocemente da terra. Sembrava che volessero stare il più possibile lontani da questo posto.
Dylan si guardò intorno velocemente, cercando di capire la situazione e cosa dovrebbe dire. Chi avrebbe deciso cosa fare? Sarebbero riusciti a cooperare nella riuscita della missione?
Intorno a loro una vasta distesa di terriccio alterato a polvere grigia bianca si estendeva. All’orizzionte era possibile avvistare ombre di quelli che sembrano edifici. Erano quelli il loro obiettivo?
“Qui il comandante della missione L49 Arthur. Mi ricevete?”
Una voce riecheggiò nella testa di tutti, proveniente dall’interno del visore. Ogniuno identificò la sua presenza e iniziò subito a guidarli verso... il vuoto.
Forse Edgar aveva ragione, sulla Terra non c’è davvero nulla. Ma per lei era solo l’inizio, non si sarebbe ancora arresa, tanto meno illusa. Il comandante li avrebbe lasciati da soli per poter parlare tra di loro? Eplorare fino a dove potevano? O sarebbe stata una missione muta di tocca e fuga? Lei non lo voleva.
I piedi sprofondavano sul soffice terreno e Dylan si chinò velocemente per afferrare un pugnetto di quel polvericcio: le scivolava velocemente e impercettibilmente tra le dita, non riusciva a sentirne la consistenza attraverso i guanti spessi.
Un suono anticipò nuovamente la voce del capitavo che li controllava dall’alto.
“Siete atterrati in uno dei primi luoghi colpiti, dove le radiazioni sono ormai calate, ma non è ancora sicuro. Non dovrebbero esserci grandi minacce ma state comunque attenti. Avrete circa due giorni da camminare prima di arrivare a quegli edifici che vi trovate di fronte. Vi indicherò dei posti sicuri per potervi fermare a riposare.” Ecco il discorso che voleva, pensò Dylan. Finalmente delle istruzioni pratiche.
“Avete lo stretto necessario per cinque giorni. Ci aspettiamo dei risultati e tornerete indietro dallo stesso punto di atterraggio.”
Cinque? Dylan era sicura che quel cibo non sarebbe bastato per cinque giorni per quattro persone, ma al massimo tre.
Se ci volevavno due giorni arrivare e due per tornare, voleva dire che avevano solo un giorno per compiere la missione? Era davvero così semplice? Senza altra scelta, iniziarono tutti a camminare verso l’orizzonte.
Intorno a loro giaceva l’Apocalisse, le guerre con il nucleare e contro i Rinati non sono servite a nulla alla fine, era come un circolo infinito, fino alla creazione della Stazione Azazel. O almeno questo era quello che sapeva Dylan dalle lezione nella Scuola. Francis forse ne sapeva perfino più di lei.
“Io non vedo niente qui.”
Per la prima volta Dylan sentì la voce di Susanne, che mentre tirò un calcio al terreno si girò verso gli altri. Era una volce più dolce e gracile di quella che pensava, quasi la rassicurava. Tae si avvicinò a lei per parlare del più e del meno, Dylan non riusciva a sentirli bene stando più indietro insieme ad Edgar. I due amici davanti a loro sembravano molto confidenti. Che non fosse la loro prima missione? Non era mai successo. Anche lei doveva comportarsi così? La ragazza guardò il suo polso, osservando i vari schermi, vari cerchi e grafici che ancora non avevano un gran senso, avrebbe chiesto ad Edgar il prima possibile, potrebbero aiutarla a capire di più a proposito del pianeta.
“Se vedi quel cerchio segnala che ci stiamo dirigendo verso Nord.” Edgar entrò nel campo visivo di Dylan ,piegandosi verso di lei vedendola confusa. “Gli altri punti sono Sud, Est ed Ovest. Quindi tornando indietro andremo verso Sud. Capito?”
Dylan annuì senza rispondere. Non aveva ancora fiatato, ma allo stesso tempo non sapeva quale doveva essere la cosa giusta da dire in un momento del genere.
Dylan alzò prontamente la testa, rimanedo comunque ammaliata, una piccola morsa le afferrò il cuore. Era davvero lì, sulla Terra, il suo piccolo sogno di curiosità stava per completarsi.
Ma di certo non aveva idea sarebbe diventato il suo incubo.
   
 
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