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Autore: Pawa    27/10/2019    12 recensioni
Il Piombo Ambrato si manifesta di nuovo e inspiegabilmente e Trafalgar Law si trova impossibilitato a utilizzare il suo Frutto del Diavolo.
Costretto dalle circostanze a recarsi su un arcipelago dove divampa un'epidemia dai sintomi più disparati e si verificano omicidi insensati, con l'aiuto e il sostegno della sua ciurma, dovrà trovare una cura per gli isolani e una per se stesso.
Il Piombo Ambrato, però, è più rapido e devastante che mai...
(Dal capitolo I)
Sangue.
Centilitri e centilitri di sangue, misti a sostanze più pastose, che poteva tranquillamente riconoscere come membrane cellulari e carne umana.
"(...)Pen, che diavolo succede?!” Tutti e diciannove i restanti Hearts li avevano raggiunti, ma non li aveva degnati d’attenzione..."
(Dal capitolo II)
“Trafalgar Law, finalmente.” Una voce profonda e fin troppo famigliare gli era giunta dall'imbarcazione vicino la sua.
“Cazzo… ma perché la Marina?”
Genere: Drammatico, Science-fiction, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bepo, Penguin, Pirati Heart, Shachi, Trafalgar Law
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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°° Il Mostro Bianco °°

 

- Capitolo IX -



AVVISO!

 Ho intenzione di realizzare un fanbook su "Il Mostro Bianco"!
Per chi non lo sapesse, sono un'aspirante fumettista e ho pensato di disegnare una serie di tavole, illustrazioni, cover e vari extra dedicati a questa fanfiction.
♦ Dunque ecco la domanda: qualcuno di voi sarebbe interessato a comprarlo?
Tranquilli, il prezzo NON sarà alto (certo, mi deve ripagare le spese degli strumenti usati, ma solo quello xD) ed è ancora da decidere. 
Inoltre potete rispondermi adesso o in futuro (per messaggio privato sarebbe preferibile) o darmi anche solo una risposta indicativa, come: "Credo di sì".

Si tratterebbe di un progetto per scuola, quindi lo farò a prescindere che ci siano o no dei compratori, ma non vi nascondo che se voleste comprarlo mi fareste piangere di gioia per una serie di motivi:
1. Sarebbe la mia prima opera venduta.
2. Sono estremamente affezionata a questa storia e sapere che anche i miei lettori l'apprezzano tanto da volerla vedere disegnata sarebbe il raggiungimento di un obiettivo. 
3. Sarebbe anche la mia prima possibilità di farmi conoscere al pubblico.

Per quanto riguarda l'eventuale pagamento o consegna del fanbook, avrei varie opzioni:
Per pagarmi possiamo fare per bonifico, PayPal o simili e poi vi spedisco il fanbook per posta o corriere.
Oppure potremmo fare il tutto di persona, magari incontrandoci a qualche fiera del fumetto, così da avere un bel luogo di riferimento dove vederci. 

Tutti i dettagli arriveranno con il tempo, man mano che io stessa porterò avanti il progetto, ma potete già iniziare a scrivermi ♥
Potete anche accennare a questo argomento in una recensione e poi ne parleremo con calma.
Intanto vi lascio il link del mio profilo Instagram per darvi un'idea di come disegno (guardate la data dei post, però x'D I disegni penosi sono vecchi e non sono indicativi).

Inoltre su Instagram pubblicherò alcune illustrazioni del fanbook e altri disegni dedicati a Il Mostro Bianco ed ad altre storie! 
https://www.instagram.com/pawa_art/
 
°°BUONA LETTURA°°

 
     “…Dobbiamo eliminare il Mostro Bianco!”
 
Eliminare il Mostro Bianco.
 
“Maledetto flagello! Vattene dalla nostra città!”
 
Eliminare il Mostro Bianco, la sciagura che vagabonda per portare disgrazia.
 
“Ce l’ho fatta, siamo salvi! Gli ho dato fuoco! Guardante come brucia!”
 
Eliminare il Mostro Bianco…
 
“Speriamo che le fiamme lo uccidano in fretta, le sue urla sono così fastidiose. Allontaniamoci! Si sta dirigendo verso di noi, quello è proprio un mostro, non muore più!”
 
…Eliminare me.
 
Law era rimasto immobile.
L’eco dell’urlo disperato dell’isolano gli rimbombava in testa insieme agli strilli e gli insulti che gli erano stati rivolti quand’era un bambino, frastornandolo e facendogli vedere le più spiacevoli immagini del suo passato.
 
Facendogli rivivere quegli orrori.
 
Se solo il trauma che stava subendo non lo avesse anche paralizzato Trafalgar avrebbe iniziato a gridare angosciosamente perché poteva giurare di sentirsi le carni essere sciolte dal fuoco che era stato appiccato al suo corpo quasi vent’anni prima.
 
E se la sua coscienza non fosse stata così miseramente schiacciata dai terribili ricordi e dalla consapevolezza di essere ancora una volta quell’ignobile appestato, Law avrebbe compreso che il leggero clangore che aveva udito distrattamente e che neanche vagamente aveva considerato era lo scatto del grilletto della pistola alla sua tempia.
Poi, ancor prima che potesse sentire il rombo del colpo esploso, una quantità esagerata di sangue caldo e denso gli aveva completamente bagnato il viso.
 
Solo allora la sua mente si era stabilizzata, anche se solo in parte e anche se ancora gli sembrava di percepire la realtà in modo ovattato.
 
“Capitano!”
 
Shachi aveva sferrato un calcio quasi letale all’uomo che aveva impugnato la pistola contro al suo fratellino, scaraventandolo con tutta la sua furia contro la parete opposta della stanza.
Bepo era subito corso da Law, sollevandogli il capo.
 
“Law? Law! Rispondimi!”
 
L’intera ciurma si era radunata in pochi istanti nella sala dell’anagrafe, raggiunta anche da Sengoku e alcuni marines.
 
Shachi aveva cercato di riprendere il controllo di sé, guardando senza davvero vederla la parete sfondata dal corpo che aveva colpito e dopo un paio di respiri profondi ed estremamente tremanti si era voltato verso i suoi compagni, correndo ad abbracciare Penguin.
 
“Pen! Cazzo… grazie, grazie a Dio hai una mira eccezionale!”
 
Il ragazzo più grande aveva sollevato esitante un braccio per avvolgere le spalle dell’amico, ancora incapace di distogliere gli occhi dalla propria lancia conficcata nel pavimento ligneo.
L’aveva scagliata micidiale e precisa ed essa aveva amputato la mano dell’isolano che aveva attentato alla vita del loro comandante, appena una frazione di secondo prima che il proiettile uscisse dalla canna dell’arma.
Non avevano nemmeno dato il tempo all’uomo di urlare dal dolore, che Shachi l’aveva molto probabilmente ucciso con quel poderoso calcio al cranio.
Soltanto il sangue dell’ormai ex malato era stato più veloce di tutti e si era riversato in fiotti sul volto del loro migliore amico.
 
Con l’appoggio l’uno dell’altro e la certezza che lui fosse salvo, i due ragazzi avevano sciolto il loro abbraccio e si erano immediatamente avvicinati al loro dottore.
 
Nello stesso istante, White Fox, Masked Man e Ikkaku avevano estratto le loro armi, frapponendosi tra i loro compagni e gli isolani, mentre Jean Bart, alzatosi in piedi, aveva irrigidito ogni muscolo, risultando ancora più grosso e minaccioso di quanto già non fosse.
 
“Se vi abbiamo aiutato...” White parlava a denti stretti, tentando di reprimere l’ira che minacciava di farlo uscire di senno. “… è stato solo perché il nostro capitano l’ha voluto. Perché è generoso. Ma sappiate che a noi altri delle vostre vite non interessa minimamente. E se questa…” Aveva indicato con un movimento del braccio Law alle proprie spalle. “… è la gratitudine che avete nei suoi confronti, potete far finta che la cura non sia mai stata creata, perché ora vi ammazziamo tutti!”
 
Gli isolani avevano preso a tremare visibilmente, qualcuno era caduto in ginocchio, non potendo reggere al terrore di venir massacrati dopo essere appena guariti da un malanno mortale e qualcun altro tentava di scusarsi o di dire qualsiasi cosa che potesse far cambiare idea ai pirati, ma uscivano soltanto balbuzie incomprensibili dalle loro labbra.
 
Masked Man aveva sollevato l’ascia, serrando la presa attorno l’asta con cui la reggeva, Ikkaku aveva teso l’arco con tre frecce nella mano destra e innumerevoli altre nel turcasso e White aveva alzato la sua coppia di revolver, mentre Uni e Clione, dietro di loro, avevano già estratto dalle loro tute la prima mezza dozzina di pugnali e scelto contro chi lanciarli.
 
“Vi prego, aspettate!”
 
Ancora una volta il sindaco Bentam era accorso in salvo dei propri concittadini anche se, vedendo lo stato in cui versava Trafalgar, non poteva certo biasimare i Pirati del Cuore.
 
“Tu ne sapevi qualcosa, vecchio?”
 
Il tono profondo e torvo di Jean Bart aveva fatto vibrare l’intera stanza e il primo cittadino aveva serrato le palpebre per qualche istante, deglutendo e pregando qualunque divinità esistente che quella situazione non degenerasse.
 
“Io…” Aveva riaperto gli occhi, colmi di un timore nascosto in alcun modo; tuttavia aveva catturato lo sguardo del semi gigante, sorreggendolo.
Due ex capitani pirata a confronto.
Due uomini che volevano il meglio per i propri compagni.
“… Io non so neanche cosa sia accaduto di preciso, ma non posso starmene inerme a guardare la mia gente venir sterminata. Se quello che è successo…” Aveva ammiccato in direzione dell’unico comandante ancora in carriera presente, ora attorniato dai suoi fratelli e nascosto alla vista di chiunque, spostando poi l’attenzione verso gli isolani. “…è colpa loro, verranno puniti. Non siamo più criminali e la nostra società non tollera certi atti meschini. Ma non li condannerò a morte e neanche voi lo farete.”
La sua voce ferma tentava di ricordare a chi la ascoltava che anche lui era stato un corsaro, un leader, e non si sarebbe fatto sopraffare tanto facilmente.
Perlomeno non in un dibattito.
 
Aveva udito solo il tacco di uno stivale che colpiva le assi del pavimento e nel momento successivo era faccia a faccia con Penguin, il suo movimento troppo veloce perché Bentam potesse davvero vederlo e solo lo spostamento d’aria che lo aveva investito suggeriva che il pirata non si fosse teletrasportato da tanto che era stato rapido.
Il sindaco aveva dovuto ricorrere a tutto il proprio autocontrollo per non cedere allo sguardo glaciale del ragazzo che aveva innanzi, che sembrava starlo trucidando con le sue iridi fisse e furenti.
 
“Non serve che venga emessa una condanna.  Siete già morti, per quanto mi riguarda.”
 
Il suo sibilo sussurrato con apatia nonostante la rabbia che palesava il suo volto, un agghiacciante contrasto che aveva fatto abbassare gli occhi a Bentam.
Era stato appena udibile, ma nel silenzio indotto dal terrore aveva raggiunto le orecchie di ognuno, crudele e micidiale come una pugnalata al cuore.
 
“Penguin…”

La maschera di odio e spietatezza del pinguino era immediatamente crollata nell’udire la tenue voce di Law che lo chiamava.
Dimentico di Bentam, degli isolani ingrati e di chiunque altro, il corsaro del Mare del Nord si era nuovamente precipitato dal più giovane dei suoi fratelli, ora l’ansia e la preoccupazione a pervaderlo e a muovere i lineamenti del suo viso.
 
Il chirurgo si era messo a sedere con una fatica che avrebbe accusato solo un uomo col triplo dei suoi anni ed era stato scosso da fremiti impossibili da non notare.
Si era aggrappato a Bepo, serrando la presa sulla sua tuta arancione e stringendo le palpebre tanto da sentire dolore.
 
…Sono un codardo…
 
Law non aveva mai avuto paura della morte.
 
Quando da bambino aveva sbirciato tra le cartelle cliniche scritte da suo padre e aveva scoperto di dover morire a soli dodici anni era stato frustrato, triste, si era chiesto perché dovesse terminare così presto la sua esistenza, ma no, non aveva temuto il suo dodicesimo compleanno e ciò a cui sarebbe andato incontro a quell’età.
Durante le battaglie da lui combattute nel corso della sua carriera aveva goduto nell’essere in pericolo e mai aveva rinunciato a un’avventura o a un tesoro perché chiunque aveva tentato quell’impresa prima di lui non aveva mai fatto ritorno.
 
Trafalgar Law aveva sconfitto la morte, la propria e quella dei propri pazienti, così tante volte che era considerato un medico tanto abile da poter manipolare una vita a proprio piacimento, nonché uno dei pirati più temibili di sempre.
 
Ma stavolta era stato diverso.
 
Se in passato aveva sempre lottato per tener lontana la Dea con la falce, ora era stato completamente immobilizzato, dal Piombo Ambrato e dai propri traumi del passato.
 
Si era quasi arreso.
 
Ed era questo che lo aveva spaventato.
Non il fatto di venir ucciso, bensì che non si fosse opposto in alcun modo, che lo aveva accettato.
Aveva addirittura pensato che fosse la cosa giusta.
 
Infatti, se i suoi compagni avessero tardato solo di una frazione di secondo il Mostro Bianco sarebbe finalmente scomparso.
 
Law era praticamente precipitato in quel baratro di delirio, smarrimento e infausti ricordi verso cui la sua malattia lo stava sospingendo dal giorno in cui era tornata.
 
Ma poi li aveva sentiti.
 
I suoi uomini che lo salvavano, che lo proteggevano, che si infuriavano.
 
Ed era tornato sul bordo del precipizio.
Era ancora lì, in equilibrio precario e sarebbe bastato davvero poco per farlo cadere nuovamente, ma era certo che se fosse successo la sua ciurma sarebbe nuovamente accorsa in suo aiuto.
La mente di Law era così dannatamente instabile che il chirurgo quasi si vergognava dello stato in cui versava.
Sapeva di non aver più controllo su di essa, ormai questa era una certezza, ma sperava di poter dare meno problemi possibili ai propri compagni.
Quindi, non appena si era accorto di quanto disperatamente loro stessero cercando di riportarlo indietro dalla deriva a cui si era abbandonato, il medico aveva tentato di riprendersi, di liberarsi da tutti quei pensieri sgradevoli.
 
‘Fanculo il Piombo Ambrato, ‘fanculo chi lo temeva.
 
‘Fanculo il Mostro Bianco!
 
Non lo era più e, anzi, non lo era mai stato.
Erano state le persone, gente comune, a creare quella figura, a raccontare stronzate su quanto fosse pericoloso, ma erano tutte fandonie.
 
Il Piombo Ambrato non era contagioso.
Avrebbe ucciso solo il “Mostro Bianco” stesso.
 
Ora, soltanto ora, dopo che era stato così vicino a un’insensata, ignobile e insignificante morte, si era deciso.
Basta piangersi addosso, basta essere di peso per i propri amici.
 
Se davvero gli rimanevano solo pochi giorni di vita, li avrebbe vissuti a testa alta e quella testa sarebbe tornata a posto, almeno in parte.
 
Certo, ciò non significava che potesse ristabilirsi da una crisi psicofisica nel giro di qualche istante, ma col cazzo che sarebbe stato inerte o semi incosciente mentre il suo equipaggio ingaggiava battaglia contro gli ex pirati lì presenti.
 
Il flusso confuso e a tratti incoerente dei suoi pensieri si era interrotto nel momento in cui Penguin gli aveva afferrato saldamente un braccio.
 
“Law…”
 
Il giovane medico si era voltato verso il compagno e se avesse potuto l’avrebbe guardato con aria stanca ma determinata.
 
“Pen, andiamo a casa.”
 
Il più anziano tra i quattro membri fondatori degli Hearts aveva osservato il proprio capitano con sorpresa, ma aveva presto ammorbidito lo sguardo.
Fosse stato per lui avrebbe massacrato quel gruppetto di irriconoscenti bastardi, ma ciò che più gli importava era il benessere di Law e se questi voleva tornare al Polar, l’avrebbe personalmente portato in braccio per tutta la strada, se fosse stato necessario.
 
Gli aveva appena portato un braccio sotto le gambe per sollevarlo, mentre con l’altro gli reggeva la schiena, quando si era bloccato.
 
I vestiti del suo migliore amico erano strappati in più punti e sulla pelle diafana iniziavano già a formarsi dei lividi violacei.
 
L’avevano pestato.
Più di una decina contro uno, che era indifeso e malfermo.
Che era il suo capitano.
 
Penguin l’aveva riadagiato contro Bepo, alzandosi e voltandosi verso gli isolani.
 
Il benessere di Law era la sua priorità e se lui voleva andare a casa, l’avrebbe fatto portare al Polar Tang scortato dall’intera ciurma.
 
Penguin l’avrebbe raggiunto poi.
Prima doveva vendicarlo.
 
Era bastato uno sguardo d’intesa coi loro compagni.
Shachi sarebbe rimasto al suo fianco, succube ai suoi stessi sentimenti; Law era anche il suo fratellino, dopotutto.
Gli altri si accingevano a rinfoderare le loro armi, per poi prendere il loro Captain e andarsene.
 
Il repentino cambio di piani dei Pirati del Cuore era stato tanto fulmineo che nessuno né Bentam né il loro comandante era stato in grado di contrastare i due corsari del Mare del Nord che si lanciavano all’attacco.
 
Il rosso aveva atterrato in un solo colpo due uomini, bloccandoli al suolo con la lama della propria spada sulle loro gole. Sarebbe bastato un loro ansito per farli sgozzare.
Penguin aveva tirato una ginocchiata nello stomaco di una donna che aveva la punta delle scarpe sporca del sangue di Law, afferrandola poi per il collo con una sola mano e stringendo la presa senza esitazione.
Notando con la coda dell’occhio un ragazzo che gli si buttava addosso per aiutare quella stronza dall’aria vagamente famigliare, si era scostato rapidamente, senza interrompere il soffocamento, arrivando alle spalle dell’isolano e colpendolo sul retro del cranio con l’impugnatura della propria lancia, che aveva disincastrato dal pavimento solo qualche secondo prima.
 
Law avrebbe voluto spalancare gli occhi nel rendersi conto di quel che stava accadendo.
 
Non voleva un massacro.
 
Non intendeva perdonare i suoi aggressori, ma sapeva perché avevano agito in quel modo.
Avevano avuto paura di un contagio, di una nuova epidemia, di un nuovo inferno.
E davvero, Trafalgar D Water Law li capiva benissimo, forse era l’unico al mondo che poteva comprenderli davvero.
Perché lui stesso aveva vissuto un inferno da bambino e quando, quasi due settimane fa, quelle bolge infernali erano tornare  e l’avevano risucchiato, era stato terrorizzato.
Un tipo di paura dalla quale non si può scappare, perché è letteralmente intrinseca nel proprio corpo e si può solo sperare in un miracolo, com’era accaduto a lui con il Frutto Ope Ope, o di non soffrire troppo.
Quindi poteva davvero giustificare quelle persone, anche se non perdonarle, e non voleva che venissero uccise dai suoi amici in una sorta di regolazione di conti.
 
Si era alzato a tentoni, aiutandosi con le braccia e cercando di trovare l’equilibrio su quelle gambe ormai troppo magre e doloranti per reggerlo a dovere.
Dopo solo un paio di passi barcollanti, compiuti ignorando le proteste della sua ciurma, si era sbilanciato in avanti e prontamente era stato afferrato prima che crollasse a terra, ma non era stato un suo compagno a reggerlo.
Era stato solo un attimo, ma durante la caduta il suo viso si era premuto contro le vesti di chi lo aveva aiutato e aveva sentito la finezza della seta, nonché il corpo possente che essa rivestiva.
 
Erano due dettagli inconfondibili. Tra tutte le persone su quell’isola soltanto lui poteva vantare quelle due caratteristiche.
 
“…S-Sengoku?”
 
L’ex marine non aveva risposto, limitandosi a osservare quel ragazzo che avrebbe meritato il suo aiuto già anni orsono e invece riceveva un sostegno da lui soltanto ora.
E che sostegno!
Gli aveva impedito di sbucciarsi le ginocchia.
Sengoku si sarebbe sputato addosso con stizza se avesse potuto.
 
Forse la vecchiaia lo aveva addolcito, ma da quando si era reso conto di chi fosse davvero Trafalgar Law e di cosa stava patendo, si era sentito un verme per non aver aiutato Rocinante, in passato, a salvare l’unico sopravvissuto di Flevance e si sarebbe sentito un criminale della peggior specie se non avesse fatto niente per lui adesso e, sperava, in futuro.
 
Law era pur sempre il bambino che il suo figliastro avrebbe voluto adottare. Se come figlio o come fratello non ne aveva idea, ma non era importante.
 
Il pirata si era raddrizzato, cercando un minimo di compostezza nonostante il proprio fisico emaciato, mentre ancora nella testa del soldato si susseguivano serie di pensieri che confondevano e allertavano il suo cuore.
 
Trafalgar si era scostato bruscamente dalla presa dell’uomo più anziano, vacillando, ma mantenendosi eretto in tutta la propria altezza.
 
“Non ho bisogno di te!”
 
Quello era davvero troppo.
Faceva davvero così pena da spingere l’ex Grandammiraglio della Marina a soccorrerlo?
Cazzo, no.
Era ancora il Chirurgo della Morte, aveva ancora un dannatissimo orgoglio e una pessima reputazione da difendere.
Poteva accettare certe attenzioni dal suo equipaggio, ma non da un cane del Governo.
 
Aveva quindi ripreso la propria incerta avanzata, che avrebbe voluto rendere  intimidatoria piuttosto che tenera come invece appariva, e sperava pure di urtare la spalla del soldato nel processo.
Ma un braccio decisamente muscoloso l’aveva fermato trattenendolo all’altezza del petto.
 
“Lo so…” La voce di Sengoku l’aveva raggiunto morbida e gentile, “… e probabilmente non avevi bisogno nemmeno di Rocinante, ma scommetto che non ti sei pentito di avergli permesso di aiutarti.”
 
Law aveva spalancato gli occhi ciechi, stavolta la sorpresa era stata troppa perché potesse trattenersi dall’istinto di farlo.
 
Se avesse risentito quel nome in un qualsiasi altro contesto sarebbe rimasto colpito solo internamente, ma in quel momento, dopo tutto ciò che aveva passato e che ancora doveva affrontare, non poteva davvero reggere.
 
Il labbro inferiore aveva preso a tremare e aveva abbassato il capo, rinunciando a raggiungere i propri fratelli, mentre invece era tentato di sollevare le mani a stringere il braccio con cui Sengoku ancora lo teneva, in una sorta di abbraccio, che non sapeva bene perché lo desiderasse.
 
Il marine aveva serrato leggermente la propria presa, dando inconsapevolmente a Law quel conforto di cui lui necessitava dopo l’ennesima ferita che gli si riapriva.
Poi, con un cenno del capo, aveva fatto intendere ai propri sottoposti di procedere all’arresto degli isolani coinvolti nell’aggressione.
 
Anche se quell’arcipelago ospitava ex pirati e marine corrotti ed era stato luogo di frodi, sfruttamenti e omicidi, non era troppo tardi per iniziare a fare giustizia e un’infame imboscata a un quasi membro della Flotta dei Sette era un’azione legalmente perseguibile.
O almeno questa era la scusa che Sengoku aveva recitato ai suoi uomini e che in parte raccontava anche a se stesso.
 
Penguin si era accorto che l’ex Grandammiraglio si stava avvicinando al proprio comandante quando aveva appena afferrato per la gola la donna che aveva preso a calci Law e sarebbe intervenuto se solo il ragazzo che aveva voluto aiutare quell’ingrata non l’avesse intralciato.
Dopo aver tramortito il giovane con un colpo ben assestato dell’impugnatura della propria lancia, però, aveva notato il proprio fratellino rabbuiarsi e accettare qualunque cosa Sengoku gli stesse dicendo mentre lo teneva fermo con un braccio.
Non sapeva di cosa si trattasse, ma dalle espressioni del resto dei loro compagni non sembrava esserci pericolo.
 
In quel momento, sapere che Law era al sicuro, anche se forse era triste, gli bastava, perché il suo unico pensiero era far patire a quella gente il triplo del dolore che avevano inferto al suo capitano.
 
Aveva adocchiato un gruppetto di soldati affrettarsi nella sua direzione e perciò aveva aumentato la pressione attorno al collo dell’isolana che teneva sollevata da terra, volendo ucciderla prima di qualsiasi interruzione.
 
“…Mamma?”
 
Sbarrando gli occhi alla nota e acuta vocina udita, si era voltato verso la porta della sala, imitato da molti tra pirati, civili e marines.
 
La donna sua vittima aveva spostato a fatica lo sguardo.
 
“Ma-Mara… vai via…” Il suo ordine era uscito più come un ansito, l’aria sempre più difficile da immettere e la vista non metteva perfettamente a fuoco la figura della figlia.
Poi, come i suoi piedi avevano nuovamente toccato terra, i suoi polmoni si erano riempiti di ossigeno e la donna aveva preso a inspirare profondamente tra un colpo di tosse e l’altro, cadendo in ginocchio e portandosi le mani alla gola.
 
Penguin aveva abbassato il braccio lentamente, le dita ancora rigide nella stessa posa che avevano assunto per strangolare la madre di quella petulante ma innocente bambina.
 
Non provava pietà per lei né mai l’avrebbe perdonata per ciò che aveva fatto, ma la piccola Mara non doveva subire le conseguenze delle azioni sconsiderate della genitrice, soprattutto non dopo che aveva già perso il padre.
 
Nel momento in cui aveva visto il proprio genitore essere liberato, la bambina era corsa da lei, spaventata e ancora troppo debole per comprendere davvero la situazione e per poter raggiungere la madre in tanta fretta senza inciampare. Era caduta sbattendo il viso per terra a pochi metri da Law.
Mettendosi a sedere si era quasi messa a piangere nell’accorgersi che il naso le sanguinava, nonostante non si fosse fatta poi così male e, in realtà, non era scoppiata a piangere solo perché ricordava che il suo papà non sopportava piagnistei e voleva che fosse fiero di lei, ma tutta quella situazione le sembrava molto strana e sbagliata e la tentazione di versare lacrime a non finire era terribilmente forte.
 
Sua madre si era alzata con fatica solo in un primo momento, poi l’aveva raggiunta con rapide falcate, temendo che i pirati volessero vendicare il loro capitano facendole del male.
 
La bambina però non capiva l’entità della situazione in cui si trovavano né quanto l’atmosfera fosse tesa e dopo che si era accertata che la sua mamma stesse bene, si era rivolta senza tentennamento a Trafalgar Law, soltanto la voce un po’ tremante, ma non certo per la paura.
 
“Fratellone, mi curi il naso?”
 
Aveva inclinato la testa da un lato, facendo ondeggiare le trecce sempre più spettinate che anche quel giorno le decoravano i capelli, non riuscendo ad intuire cosa avesse il suo nuovo medico preferito.
 
Era in piedi e immobile col volto chino, gli occhi chiusi. Il vecchio marine gli teneva una mano sulla spalla.
 
“Fratellone?”

Ognuno nella stanza si era ammutolito nel momento in cui Mara era comparsa e ora, se possibile, il silenzio era ancora più opprimente.
Forse la consapevolezza delle azioni totalmente insensate compiute da ognuno li stava investendo prepotente ed era servita l’innocenza di una bambina che vedeva del bene sia nel genitore aggressore sia nel pirata malato per far sì che ciò avvenisse.
 
Law aveva udito il richiamo di Mara solo in un secondo momento, ancora frastornato dall’improvviso ricordo di Cora-san.
Ne avrebbe sicuramente dovuto discutere con Sengoku in seguito.
 
Voltandosi verso dove supponeva si trovasse la piccola, le aveva rivelato con suo orrore il proprio viso insanguinato.
 
Lei aveva emesso un piccolo verso scioccato.
 
“Fratellone! Cosa hai fatto, stai bene?”
 
Il ragazzo era stato quasi tentato di sorridere.
Era una bambina fastidiosa, tremendamente rumorosa e assillante, ma era davvero buona e gli si era enormemente affezionata in breve tempo e senza nessuna ragione plausibile, almeno secondo Law.
 
Quest’ultimo si era messo a sedere per terra, incrociando le gambe e cercando di apparire il più sereno possibile nonostante corpo e spirito fossero feriti.
 
“Hai detto che ti devo curare il naso? Che cos’hai?”
 
Mara si era liberata dall’abbraccio della madre, ignorando i suoi richiami e avvicinandosi a Law, che le trasmetteva molta più fiducia ora che era alla sua stessa altezza, e cadendo nella deviazione di discorso del pirata.
 
“Mi esce sangue. Non lo vedi?” La sua era stata una domanda innocente e un poco curiosa e alla fine Law, nonostante tutto, aveva davvero sorriso, anche se con una nota amara a rovinargli i lineamenti.
 
“Non posso vederlo. Sono diventato cieco.” Era la prima volta che lo ammetteva ad alta voce e non avrebbe mai pensato di affermarlo in pubblico, ma certo oramai molti se n’erano accorti.
Per quanto facesse male dirlo, in un certo qual modo era anche liberatorio.
D'altronde si era ripromesso di non doversi più auto commiserare e liberarsi di quel segreto era un peso in meno da portare.
 
Mara aveva sbarrato gli occhi, incredula, mentre una mano di Law le sfiorava i capelli, poi un orecchio e infine le afferrava saldamente il naso appena sopra le narici, costringendola senza irruenza a piegare il capo in avanti.
“Ma perché?!” La sua vocina era risultata piuttosto nasale e sarebbe stata anche buffa se solo non avessero affrontato quell’argomento.
 
“…Sono molto malato… poteva capitarmi ed è successo.”
 
“È una malattia grave come la nostra?” La sua sincera preoccupazione era palese nel suo tono e nei suoi occhioni che non smettevano un attimo di guardare il pirata.
 
“Sì… ma a differenza della vostra non è contagiosa, sei contenta?”
 
Gli isolani avevano fissato schioccati Trafalgar.
Stava mentendo, giusto?
Non poteva non essere contagiosa! Era il famigerato Piombo Ambrato, la malattia che aveva sterminato un’intera nazione.
Era sicuramente contagiosa.
 
“Un pochino… però pensavo che tutte le malattie fossero contaggiosse, sennò come si fanno a prendere?”
 
“Si pronuncia “contagiose”. Comunque questa malattia si prende per avvelenamento. Ho vissuto…” aveva titubato per un attimo, poi si era deciso a continuare. “…ho vissuto in un paese che era pieno di questo veleno e mi sono ammalato. Ma quel luogo è molto lontano, quindi nessuno di voi potrà prendere il mio malanno.”
 
Qualcuno tra i cittadini era crollato al suolo completamente sopraffatto dallo shock, qualcun altro aveva dimenticato come si facesse a respirare.
 
Cosa diavolo avevano fatto?!
 
Trafalgar stava certamente raccontando un mucchio di menzogne… doveva starlo facendo o significava che avevano pugnalato alle spalle l’uomo che li aveva salvati e, dopo anni di riabilitazione, si erano nuovamente macchiati la fedina penale.
 
Sengoku aveva silenziosamente invitato i suoi sottoposti a scortare quelle persone in un’altra ala.
Avrebbero poi discusso del loro destino.
 
“Ho capito…” Mara aveva abbassato lo sguardo, dispiaciuta che quella persona così stramba e gentile stesse male “… ma ti curi?”
 
Law era stato percorso da un fremito.
Aveva saputo già prima di cominciarla che quella conversazione sarebbe potuta giungere a tal domanda, ma nonostante la propria consapevolezza restava davvero un argomento troppo difficile da affrontare.
 
“Allora, ha smesso di sanguinare il naso?”
 
Lasciando la presa, aveva sperato che per la seconda volta potesse distrarre la bambina.
Quest’ultima aveva fatto come per vedersi la punta del naso, incrociando gli occhi, poi aveva portato un dito per constatare che il sangue fosse ormai secco.
 
“Sì, sì, grazie!” Si era voltata notando che un marine faceva rimettere in piedi sua madre e fra sé si era chiesta che motivo ci fosse, ma il sorriso dolce che lei le aveva rivolto le aveva fatto scemare ogni preoccupazione.
Ancora guardando il genitore che veniva condotto fuori dalla stanza era tornata a rivolgersi al dottore musicista. “Semmai usa i coralli per guarire. Funzionano, te lo dico io! Adesso ti saluto, vado con la mamma.”
 
Law era rimasto interdetto per qualche istante, poi aveva nuovamente sorriso.
 
Non ricordava granché di quello che aveva sperimentato durante le proprie ricerche per trovare una cura al Piombo Ambrato.
Nonostante fossero passati solo pochi giorni sembrava che il suo cervello avesse occluso alcune parti della sua memoria a breve termine e di questo se n’era reso conto già da un po’.
Tuttavia, per la cura gli sembrava proprio di aver preso in considerazione i coralli .
 
Ma forse si stava solo confondendo.
 
***
 
     “Davvero, sto bene.”
 
L’intera ciurma aveva sollevato un sopracciglio dubbioso.
 
“Sì, insomma… per quello che il Piombo Ambrato mi consente… sto bene.”
 
Shachi gli si era avvicinato sconsolato, sedendosi accanto a lui sul divano della sala ricreativa del Polar Tang.
Aveva afferrato un lembo della coperta in cui Law si era avvolto, giocando distrattamente con i radi e morbidi peli del tessuto di cui era fatta.
 
“Law… nemmeno noi stiamo bene. Non dopo averti visto con una pistola alla tempia… non dopo averti visto in faccia in quei frangenti.” Non aveva avuto il coraggio di guardarlo in viso per dirglielo, nonostante Law non potesse vederlo e nemmeno aveva voluto dilungarsi in dettagli.
 
Lui aveva capito.
 
Erano rimasti quasi traumatizzati nel vederlo spaventato e inerme ad accettare la propria fine. Non che gliene facessero una colpa, d’altronde era stato picchiato a sangue e dubitavano che avesse le forze per ribellarsi, ma quell’espressione smarrita e arrendevole sul volto del loro capitano era qualcosa di totalmente nuovo e assolutamente non desiderato.
 
Era la fottuta prova definitiva che qualcosa dentro di lui si stava rompendo.
  
Law aveva reclinato il capo all’indietro, lasciando che fossero i cuscini del divano a sostenerlo e facendo una smorfia alla sensazione delle bende mediche che stringevano un po’ troppo all’altezza del pomo d’Adamo.
Neanche si ricordava che qualcuno gli aveva provocato dei tagli in quel punto e non aveva nemmeno idea di come fossero stati fatti.
 
“…Non ero in me… e d’ora in poi sarà spesso così. Basta davvero poco per farmi perdere la ragione, ormai l’ho capito.” Si era voltato a destra e poteva sentire il respiro di Shachi a pochi centimetri dal proprio viso, anche il rosso appoggiato allo schienale del sofà.
“Quando mi accade qualcosa che in qualche modo richiama il mio passato non ho più il controllo e mi lascio sopraffare… dai miei traumi infantili…” L’ultima frase era stata appena un sussurro imbarazzato. “Pensavo di averli superati anni fa, ma a quanto pare non è così. O forse è la malattia che li rende più opprimenti e insopportabili.” Aveva percepito la fronte del compagno premere contro la propria, il contrasto tra il calore del suo corpo e il gelo del proprio era stranamente piacevole. “Comunque sia, credo di avere un’ancora di salvezza. Ogni volta che la mia mente è diventata instabile voi mi avete riportato indietro. Forse basta che mi assicuriate la vostra presenza o qualcosa del genere…”
 
Una mano minuta gli aveva lisciato i capelli, doveva essere quella di Ikkaku.
 
“Ricordi cosa ti dicemmo prima che te ne andasti solo soletto su Punk Hazard?”
La voce di White proveniva da dietro di lui.
 
Law aveva sorriso, scavando a fondo nella propria memoria un po’ troppo confusa negli ultimi tempi. 
“Che vi sareste vendicati per essere stati esclusi?”  
 
“Esattamente,” Aveva concordato il più saggio degli Hearts. “e questa è la nostra vendetta. Sei nakama-dipendente, ora.” Sperava che alleggerire l’atmosfera servisse a rasserenare i compagni e soprattutto il loro comandante, come già era accaduto nei giorni scorsi. 
 
Il medico si era lasciato cullare dalle carezze dell’unica fanciulla di bordo. Doveva ammettere che erano estremamente rilassanti e col senno di poi si rammaricava di essersi quasi sempre sottratto alle sue attenzioni in passato. Solo adesso che non era certo di avere un futuro si era deciso a ricevere molto più affetto fisico e non solo da lei, ma da tutto l’equipaggio.
E sì, l’avrebbe anche ricambiato.
“Non è poi una grande vendetta se io che dovrei esserne la vittima la trovo così gradevole…”
 
White aveva sorriso alla risposta ricevuta, sentendo il proprio cuore accelerare il battito nel rendersi conto che con quelle parole Law stava dichiarando di amare la loro presenza.
 
Shachi aveva cambiato posizione per quanto la presenza di dieci persone e un orso polare sullo stesso divano glielo concedesse, e aveva messo un braccio attorno alle spalle del fratello, attirandolo a sé.
 
“Sengoku ha detto che i tuoi aggressori andranno in prigione per un po’; il periodo sarà deciso del sistema giudiziario dell’isola.”
 
“Hanno un sistema giudiziario?” Aveva chiesto con scetticismo Bepo, che era raggomitolato all’altro lato di Law e gli trasmetteva tutto il calore che poteva.
 
“Pare di sì. Insomma, hanno fondato una vera e propria società. Hanno pure una sorta di polizia, la quale ha insistito per procedere personalmente agli arresti.” Era stato Penguin a rispondergli, seduto per terra con le ginocchia al petto, mentre manteneva lo sguardo fisso innanzi a sé a osservare il mobile dove tenevano strambi giochi da tavolo rubati in alcune taverne dove avevano alloggiato o forse non vedendolo affatto.
 
“Oh, mi dispiace.” Come sempre le scuse di Bepo erano insensate, ma stavolta nessuno si era premurato di farglielo notare.
 
“Non trovo giusto che se la cavino con un po’ di galera. Sono ex pirati, cosa vuoi che gliene fotta di stare in gabbia! Un tempo era un’eventualità all’ordine del giorno per loro.”
 
Qualcuno aveva annuito al piccolo sfogo del loro chef, ma poi Clione gli aveva posato una mano sulla spalla invitandolo a tacere.
 
“Il capitano ha chiesto che non ricevessero una condanna eccessiva. È stata una sua decisione, quindi è giusto così.”
 
“Solo perché si è sentito solidale coi loro sentimenti… se l’avessero attaccato per la taglia sulla sua testa o per un altro motivo non l’avrebbero passata liscia.”
Uni sembrava voler sempre controbattere a ogni commento di Clione e quest’ultimo, se solo non avesse temuto di dar fastidio al proprio comandante nel farlo, si sarebbe volentieri messo a litigare con l’altro.
 
“Ma il motivo dietro al loro gesto è stato chiarito ed è comprensibile anche per noi che non siamo mai stati messi in ginocchio da una malattia.” La voce ferma e bassa di Jean Bart aveva appacificato gli animi bellicosi del due compagni. “Il timore di patire nuovamente la tragedia di un’epidemia incurabile li ha fatti uscire di testa e nel momento in cui hanno compreso che non c’era rischio di contagio si sono amaramente pentiti. Come sempre, il nostro capitano ha fatto la scelta giusta graziandoli.”
 
“Già… a discapito del tuo soprannome sei piuttosto misericordioso, Cap’! Potrebbero iniziare a chiamarti “Il Chirurgo del Cuore” e sarebbe abbinato pure al nostro nome.”
 
La ciurma aveva ridacchiato alla battuta di Masked Man, ma ogni risa era preso scemata.
 
“Hey, Cap’…” aveva ritentato Mask “…mi hai sentito?”
 
“Law?” Ikkaku si era sporta oltre lo schienale del divano per guardare il proprio comandante fin troppo fermo e silenzioso.
 
“Law? Hey, Law!” Shachi aveva afferrato il viso del fratello tra le mani, mentre Penguin scattava in piedi con un volto sfigurato dalla paura.
 
Perché il suo petto era immobile?!
 
Ognuno aveva sgranato gli occhi colmi di terrore rendendosi conto che Trafalgar non reagiva in alcun modo.
 
“Law, ti prego!” Shachi l’aveva scosso un poco, posandogli poi una mano sul cuore. “La-… oddio…” Lo aveva stretto in un abbraccio, soffocando contro il suo collo il pianto indotto dallo spavento che si era preso. “… Si è solo addormentato…” L’aveva mormorato a stenti, ma tutti avevano sospirato di sollievo e avevano percepito distintamente un peso enorme venir levato dalle loro spalle.
“Cazzo… respira così lentamente che ho pensato che… ho pensato…” Il rosso non aveva avuto il coraggio di terminare la frase.
Non l’avrebbe mai detto.
 
Penguin si era lasciato cadere a terra, incapace di distogliere gli occhi da Law.
“Tra- tranquillo, Shachi… sta bene…” Si era portato una mano a coprirsi la bocca.
Inconsciamente stavano forse perdendo le speranze?
Assolutamente no!
Ma allora perché avevano subito pensato al peggio?
 
“Siamo solo spaventati… forse più di lui.” Bepo aveva risposte alle sue domande interiori senza neanche saperlo. “Questo atteggiamento però non ci è utile, mi dispiace.”
 
“Sì, hai ragione palla di pelo…” Ikkaku aveva scavalcato lo schienale del divano sedendosi proprio in braccio al navigatore e potendo, così, stare accanto al loro dottore. Fissando il capo argenteo di quest’ultimo con un’intensità che trapelava un’infinità di pensieri e sentimenti, si era rivolta a tutta la ciurma.
“È ora che ci diamo una mossa!”
 
***
 
     Law si era rigirato nel proprio letto stracolmo di coperte e trapunte.
Aveva sollevato le palpebre, sbuffando subito dopo.
 
“Ah, già…”
 
… Sono cieco…
 
Era quasi ironico che se ne fosse scordato, ma supponeva che certe abitudini, come quella di aprire gli occhi al proprio risveglio, fossero più dure a morire di quanto lo fosse il proprio corpo.
 
“LAW!”
 
Era sobbalzato all’urlo di metà della sua ciurma.
 
“Ragazzi? Che ci fate tutti nella mia cabina? Sono sul letto di morte, per caso?”


Bepo era quasi inciampato sui suoi stessi piedi all’ultima domanda del suo capitano.
“Non dire certe cose, Captain!”
 
Law aveva ghignato.
Un po’ di auto humour nero non gli dispiaceva, ad essere sincero.
Se una sua eventuale dipartita era oramai la realtà che dovevano affrontare tanto valeva farlo nel modo meno deprimente possibile.
Inoltre, ne era certo, un determinato tipo di comportamento avrebbe giovato parzialmente alla sua psiche, quindi davvero, per quanto tetro, male non faceva.
 
Mentre sentiva il Visone che gli si buttava addosso per abbracciarlo, aveva però corrugato la fronte.
 
“Ma… non ricordo di essere andato a dormire.” La sua voce era ovattata dal pelo dell’orso, ma Jean Bart era riuscito ad udirla.
 
“Ti sei addormentato mentre parlavamo nella sala ricreativa. Dovevi essere stanco e non ne dubito dopo la giornata che hai passato.”
Non aveva accennato alle reazioni che il suo sonnellino aveva suscitato nell’equipaggio. Era proprio qualcosa che non era il caso di sottolineare.
 
“Oh, adesso capisco. Che ore sono?” Ignaro del quasi infarto che aveva causato ai suoi uomini, Law si era messo a sedere, tastandosi i vestiti per scoprire che qualcuno gli aveva messo addosso un pigiama.
O meglio tre pigiami.
 
Il loro chef aveva dato una veloce occhiata all’elegante orologio nella stanza.
“Le venti e un quarto”. 
 
Trafalgar aveva annuito distrattamente, tornando poi ad assumere un’aria perplessa.
Aveva una strana sensazione. Era come se il suo haki della percezione stesse cercando di avvertirlo di una potente presenza a bordo del Polar Tang, ma ormai la sua Osservazione non era più tanto affidabile.
Eppure, per quanto inattendibile, gli provocava una forte emozione che era impossibile da non considerare.
 
“Siete tutti qui?”
 
Bepo aveva mosso le orecchie, guardandosi attorno seppur sapesse perfettamente chi mancava e dove questi si trovasse.
 
“Gli altri sono in laboratorio.”
 
“Tutti?”

Stavolta il navigatore aveva abbassato le orecchie con fare sottomesso all’insistenza del capitano.
“Credo di sì… ci siamo separati decidendo che noi saremmo stati con te, mentre Pen, Shachi, Ikkaku e gli altri che si intendono di medicina sarebbero andati nel tuo laboratorio… mi dispiace.”
 
“Perché ce lo chiedi, Cap’?” Jean aveva incrociato le braccia sul petto possente. Poteva essere l’ultimo acquisto dell’equipaggio, ma aveva imparato in fretta a capire quando qualcosa preoccupava il suo giovane comandante, spesso andando oltre le sue maschere di serenità, che invece ancora ingannavano altri nakama.
 
Law era rimasto in silenzio per un attimo.
Non era certo di poter dar credito al proprio haki, mentre invece, sicuramente, se davvero c’era qualcuno a bordo del sottomarino i suoi compagni se n’erano accorti.
Quindi o si stava sbagliando, magari confondendo uno dei suoi nakama più forti per un’entità sconosciuta, oppure…
 
“Abbiamo visite?”
 
I suoi compagni avevano sbarrato gli occhi ed il loro silenzio aveva parlato da sé.
 
“Chi?” Aveva perseverato Law, mentre la sensazione che provava diveniva sempre più forte e scombussolata.
 
Un bussare alla porta l’aveva fatto voltare.
 
“Captain!” Il loro meccanico era entrato subito dopo e anche se il medico non poteva vederlo, aveva lasciato la porta aperta.
“Captain, mi fa piacere vederti sveglio. Come stai?”
 
“Bene…” La sua risposta era stata distratta e quasi automatica. La sua attenzione era indirizzata unicamente alla presenza che ormai era sicuro di percepire fuori dalla propria stanza.
 
“Perfetto, sono contento! Ehm, ascolta, Cap’… se te la senti… hai voglia di parlare con qualcuno?”
 
Law era rimasto muto, aspettando che gli rivelassero finalmente l’identità del loro ospite.
 
“Trafalgar…” Sengoku aveva varcato la soglia della cabina levandosi il cappello com’era buona educazione fare. “…spero di non disturbare.”
 
 
°°FINE CAPITOLO°°



Eccomi, eccomi, perdonate l'enormissimo ritardo!
Come già avevo accennato nel capitolo precedente, ho avuto molto lavoro da fare e nel frattempo è ricominciata l'uni, quindi... scusate xD
Sono la regina della disorganizzazione del tempo!

Comunque sia, finalmente è arrivato questo maledetto capitolo 9...
vi dirò, non mi fa impazzire, ma spero sia solo il mio pensiero e che invece voi l'abbiate apprezzato.
È piuttosto statico rispetto agli altri, ma hey, non posso trucidare Law un capitolo sì e l'altro pure o ci muore al prossimo e fine storia :'D 
Scherzi a parte, vi invito, com'è mia consuetudine fare, a lasciarmi una recensione ♥
Avete qualche idea di cosa dirà Sengoku al nostro cucciolotto?

E, parliamoci chiaramente... ma quanto è tenero Law che si fa coccolare :'( ?

Inoltre, l'avrete sicuramente notato, vi ho buttato qualche indizio qua e là su quel che succederà in futuro... ciò non significa che ci sarà un lieto fine ♥ 
O forse sì? Bah, chissà...
Aw, lo so che mi odiate quando faccio così.

Fatemi sapere, carissimi ♥
A presto,
Baci,
Pawa
   
 
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