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Autore: amirarcieri    30/10/2019    0 recensioni
Verso la rotta del Nuovo Mondo, ma distante abbastanza da distanziarsene, si trova un'isola che prende il nome di Fourteenth Mark.
Qui alberga una leggenda che l'ha resa famosa e sopratutto meta della maggior parte delle flotte di pirati in cerca di rari tesori: si racconta che vent'anni prima a sopraggiungervi fu un pirata fuggiasco e che questo seppellì in qualche angolo occulto dell'isola uno tra i più potenti frutti del mare esistenti.
Ma quanto di vero c'è in questa storia? Di che frutto del mare si tratta?
E se qualcuno l'avesse già trovato e lo tenesse tutto per se? E perché ai possessori dei frutti del mare è vietato mettere piede sull'isola?
Ace e la sui ciurma dei Pirati di Picche approderanno qui durante una delle loro tante traversate verso il Nuovo Mondo. Riusciranno a trovare il leggendario frutto del mare? Cosa ne faranno? Ma, se forse, magari invece di un frutto del mare aggiungeranno solamente un nuovo membro al loro equipaggio?
Genere: Avventura, Commedia, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Portuguese D. Ace
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PERFECTLY BLUE

 

Capitolo Due

 

Il racconto del frutto del mare perduto”

 

 

 

 

Deuce il medico – scrittore della ciurma dei pirati di Picche scese le scale con pacato flemma.
Il medico - scrittore aveva fasciato e medicato le ferite della sfortunata ragazza per metterla nelle condizioni di riprendersi. Adesso stava andando ad aggiornare i suoi famigliari dei suoi lenti progressi.
«Tutto a posto. Sua figlia si riprenderà tra un giorno o due. Ma è importante che stia in completo riposo e immobile» riferì aggiustandosi la maschera che lo contraddistingueva dalla ciurma.
Nel curare la ragazza si era deciso a toglierla, ma tornato dagli altri aveva avuto la precauzione ossessiva di indossarla nuovamente.
«Non so come ringraziarvi ragazzi» disse in un sospiro la madre. Si erano tutti radunati – compagni di viaggio compresi - intorno al tavolo di quello che era il soggiorno, in attesa di nuovi ordini o ricevere notizie sullo stato della ragazza.
La casa, si trovava convenientemente dietro l’albergo – ristorante dei proprietari.
A due piani composti da camere da letto a quello superiore, mentre quello inferiore dalla cucina e il soggiorno, si presentava come un’accogliente caseggiato dove ti saresti fermato a chiedere riposo per una notte o immaginavi i suoi dimoranti il giorno di Natale con il naso all'insù per ammirarne l’incanto dei fuochi d’artificio.
«Come possiamo ricambiare il favore?» domandò a seguire Carmen, gentilmente disponibile.
«Un pranzo e una cena gratis ci basteranno» rispose immediato Ace con un sorrisone largo.
Marito e moglie rimasero lì per li, un attimo interdetti. Sopratutto perché la figlia minore gli aveva passato l’informazione della loro identità.
Da un ciurma di novelli pirati si sarebbero aspettati villania e rovina, ma quello che invece il capitano aveva preteso in cambio al loro encomiabile gesto, era stato un pasto gratis come un qualunque Marine senza macchia o famiglia della zona povera.
Carmen e Julianus cominciarono a capire da cosa derivasse quella loro umana condotta ed era dovuta all'irreprensibile ingenuità di quest’ultimo.

«Però potremmo essere informati di quello che succede all'incirca su quest’isola?» Skull forbì la domanda fiutando già odore di pirati all'orizzonte. Con quella sua maschera da teschio issa a nascondergli il viso, ti metteva in una minacciosa suggestione, però una volta relazionatotene, la sgradevole sensazione smetteva progressivamente di assillarti.
«Oh» i due coniugi si scambiarono una guardata di autorizzazione reciproca, per poi cominciare a narrarne la storia avvincente contenuta dai fondamenti intaccati e vetusti dell’isola.
«Si, è vostro diritto essere al correnti di quello che capita ed è capitato in passato su quest’isola» Julianus prese posto su uno dei sgabelli racimolati da uno dei tanti ammassati nella cantina dell’albergo. Quindi in mezzo a Deuce e la moglie.
La stanza dove si erano raccolti aveva un tavolo di legno di massello color noce, in cui se stretti come sardine, ci sarebbero entrati una quindicina di persone.
Ai lati dei due muri a ovest – cioè l’entrata – erano collocati due divani in velluto blu cadetto.
Le pareti fiordaliso, spopolavano di quadri raffiguranti navi in procinto di affrontare tempeste mortali, altri traboccavano di banchi di pesci dalla squame brillanti e dimensioni irreali.
Nella parete est invece, un cassettone in legno di pino, faceva sfoggio di quattro coppe d’argento e foto di famiglia in stati di gaia ebrezza: in una la ragazza medicata sorrideva luminosa con la sorellina di nove sulle ginocchia. In quella accanto la piccolina mostrava fiera all'obbiettivo una specie di fiore bicolore bianco e magenta con il viso sporco di terra. Nelle ultime due la famiglia intera sorrideva posizionata davanti a uno sfondo d’area artistica, nell'altra scattata al mare, padre e figlie si schizzavano festosamente l'acqua.
«Come avrete capito quest’isola si divide in quattro località unificate dalla direzione di un solo presidente. Lui enumera le leggi, imposta le tasse e autorizza i mandati della marina, di cui, beh, il figlio è a capo di un plotone» parafrasò Julianus come un giornalista che rapportava al suo direttore una notizia fresca di giorno. Ai pirati di Picche iniziarono a omogenizzarsi i fatti che avevano visto e sentito, ma non parlarono, ascoltarono invece nel silenzio, avidi di altri esaustivi dettagli della storia.
«Sei anni fa accadde una disgrazia alla loro famiglia. Mia figlia e il figlio del Marine erano molto amici e passavano le giornate a giocare agli esploratori archeologi in cerca del famigerato tesoro dell’isola» riprese Carmen sostituendosi al marito. Aya, la piccoletta di famiglia, che fino a quel momento era stata a vegliare sulla sorella, intanto, si era messa a origliare nell'angolo della porta nascosta dal resto degli ospiti.
«Vedete, quest’isola è celebre per molte cose. Il suo florido turismo, i luoghi artistici da visitare e per essere stata calpestata dal grande pirata senza rivali Gol D. Roger. Ma c’è una cosa che l’ha resa meta ambita sopratutto dalle flotte dei pirati più temerari ed è la leggenda del frutto del mare perduto» specificò Julianus.
«Si narra che vent'anni fa un detenuto di Marineford fosse riuscito a evadere in un'incidente di fortuna della prigione e che durante la sua fuga per mare si imbatté in uno dei frutti più potenti tra quelli conosciuti. Uno di tipo Paramisha. Il chiostro chiostro: il frutto in grado di forgiare o creare qualsiasi oggetto e identità esistente nella terra proprio come farebbe uno scrittore in un romanzo. Viene narrato anche che abbia la capacità di modificare il destino delle persone, ma purtroppo fino ad adesso nessuno l'ha mai potuto appurare» Carmen prese una pausa dando il cambio al marito.
«La leggenda racconta ancora che naufragò da queste parti nella zona dove se la passano parecchio male. Noi siamo arrivati solo dieci anni dopo, ma gli abitanti ci hanno riferito che stese per un anno intero vivendo indisturbato tra i cittadini dell’isola, fin quando, uno di questi con il forte senso del dovere e affamato di soldi, gli ha fatto una soffiata alla marina, il pirata, una volta capito quello che stava accadendo, prese con se il frutto e prima di essere catturato lo nascose in uno delle quattro zone sperando che a trovarlo fosse colui che nel cuore possedeva i viaggi di mille vite» Julianus sospese il racconto per assicurarsi che qualcuno dei pirati non volesse soffermarsi su un punto poco chiaro o intervenire con una domanda mirata. Vedendo che però erano tutti in una dissimulata trepida attesa, fece procedere la moglie.
«Sempre sei anni fa, mia figlia e il suo amico avevano disegnato una mappa con ogni zona segnata da una X: i posti più probabili dove credevano potesse trovarsi il tesoro. Noi, pensavamo che era solo un gioco per loro e li lasciavamo divertire, ma a quanto pare quel gioco aveva dato dei risvolti inaspettati, perché la sera stessa in cui accadde quella spiacevole disgrazia, sono entrati in possesso del frutto»
«Ma questa per noi non è altro che un’altra stupida leggenda creata per avere un colpevole» si interpose con un’autorità stizzita il marito. La moglie fece un assenso leggero del capo come un gabbiano che si librava libero in cielo.
«Siamo tutti d’accordo. I resoconti non tornano perché secondo un testimone oculare senza nome, mia figlia avrebbe tenuto il frutto per se e scaraventato giù dalla rupe il suo amico in una lite di contesa»
«Ma sono solo balle. Mia figlia e Akira erano amici per la pelle. Quasi fratelli. E poi non è un comportamento suo. Darebbe la vita per chi ama e l’avete visto anche voi» sostenne il marito dimostrando una vigorosa fiducia per la figlia. I pirati di Picche non dissero nulla, ma molti di loro, compreso il capitano, si trovarono d’accordo.
Una persona, una ragazza donna, che si prendeva frequenti bastonate e frustate per proteggere i propri famigliari, non era sicuramente soggetto che si faceva manipolare facilmente da un’avida spietatezza.
«E poi, abbiamo parlato a lungo con lei e lei ci ha detto che ha fatto di tutto per tirarlo su dal dirupo, ma per colpa del cattivo tempo e la pioggia, alla fine la presa si è allentata fino a cedere. Però del frutto non ha mai fatto accenno, né di una lite furiosa per quest’ultimo» Julianus fornì ulteriori frammenti della faccenda per dare alla figlia un alibi di ferro.
«Da quel giorno la marina prese precauzioni specifiche e impose leggi massimali. Questo solo per scovare l’ubicazione del frutto e tenerlo lontano da chi avrebbe potuto usarlo nella maniera sbagliata. E, in conseguenza nacque anche la legge che ogni possessore del frutto del mare non potesse risiedere nell'isola per più di ventiquattro ore, perché considerati mostri tossici e ispiratori di una ricerca asfissiante da parte delle persone che avrebbero potuto voler essere come loro» disse Carmen e i suoi occhi si immalinconirono di colpo come se a velarli fosse stata un’impetuosa tristezza.
L’avvertimento che da li in poi la storia avrebbe preso una piega criticamente tragica.
«Da quel giorno cominciò anche la nostra odissea personale. Inizialmente, non era pesante. Il marine si limitava a pungerla con parole acidamente cattive, nella speranza di portarla all'esasperazione e farla cantare. Ma la sua tattica non funzionò. Allora passò alle maniere più forti. Attaccando noi come lei in precedenza e maltrattando lei con atti sempre più violenti e disumani» Carmen serrò le dita alla stoffa blu del vestito che indossava e trattenne con un grosso sforzo le lacrime in procinto di sgorgagli tumultuose.
Arricchite da quel malinconico scintillio, le sfumature elaborate delle sue pupille acquisirono l'iridescenza dei riflessi di un opale.
«Mia figlia ha sofferto così tanto e sta soffrendo ancora. Non ha mai potuto elaborare il lutto dell’amico in santa pace e non si è mai perdonata dell’errore che ha commesso. Il vederselo morire davanti agli occhi e sentirsi impotente, l’hanno cambiata, trasformandola in un’altra persona. Ma non ha mai pianto, non si è mai arresa o lamentata» un gemito soffocato fuoriuscì dalla sua gola.
«Sono sei anni che sopporta in silenzio e trattiene il dolore dentro di se. Ma anche se sorride sempre e fa di tutto per proteggere i più deboli, io so quanto sia provata e sofferente nell'animo. È mia figlia dopotutto. E come se non bastasse ha dovuto affrontare il disprezzo per se stessa. Povera bambina mia, le cicatrici che gli hanno inferto, gli hanno fatto perdere la fiducia in lei. Già si vergognava di quella che aveva nella gamba e mano destra, e molti per strada la denigravano, ma quelle di adesso, le persone non avranno compassione per lei e lei se ne condannerà a livello psicologico. Adesso sarà costretta a coprirsi. Povera figlia. Un corpo così giovane sfigurato dall'ingiustizia e cattiveria. Non lo posso accettare. Non lo accetterò mai» Carmen si coprì il viso con entrambe le mani per lasciare cadere qualche lacrima di sfogo. Il marito la consolò sfregandoli amorevolmente le spalle.
Carmen sapeva che dimostrarsi così disinvolta in affari di famiglia di una tale delicatezza e incorrere in cerca d’aiuto a qualcuno di appena conosciuto o chiedere a dei manigoldi di portare la propria figlia con se nei loro viaggi, era da squilibrati. Ma giunti a quella linea dove la conclusione della loro corsa sembrava interminabile, che cosa importava?
La disperazione e la stanchezza li aveva fatti arrivare ad una prospettiva in cui stringere una sorta di alleanza con dei pirati, era sempre meglio del rassegnarsi al futuro di vedersi sottomettere dai soprusi della Marina.
I pirati di Picche, difatti, rimasero notevolmente impressionati dalla forza di volontà di quella ragazza e la sua resistenza mentale.
Per questo non si aspettavano niente di più di un sussidio da parte dall'animo gentile del loro capitano. Quel suo animo estremamente gentile e rivoltoso che gli aveva causato degli impareggiabili problemi con molteplici nemici.

Come dimenticare il tizio barbuto che gli aveva detto “Ti voglio bene” prima di sparargli solo perché sulla sua testa pendeva una taglia alta? O il vederlo lanciare un salvagente ad una giovane luogotenente della Marina che si era introdotta furtivamente sulla loro nave per ammanettarli tutti?

Citare tali esempi gli veniva naturale, ma con molta probabilità ne avrebbero avuti tanti altri con i quali confrontarsi, perché le intenzioni nette e inconsulte del loro capitano erano di sfidare i membri della Flotta dei sette, i Draghi Celesti e gli Imperatori per rendere il suo nome immortale e sbarazzarsi della dannazione alla quale il sangue lo ancorava.
«Mammina» vedendo la madre in lacrime e così sconfortata, Aya corse verso di lei, se ne arrampicò agilmente sulla ginocchia e la abbracciò forte stingendola imponentemente per il costato.
«Non devi piangere per lei, perché Ayako è la ragazza più formidabile che io conosca» la motivò questa con un’espressione risoluta.
Con quelle grandi iridi ambra, i capelli mossi sulle spalle color castagna e il vestito bianco a macchie di leopardo oro ricamato intorno a orli di merletto, era in inequivocabile contrapposizione con il carattere che possedeva.
Aveva nove anni, ma pareva navigata come una donna di trenta.
«E’ proprio così. Capito, voialtri?» li mise in guardia voltandosi ora verso la loro parte ma sempre seduta sopra le gambe della madre. Nel suo sguardo non c’era insicurezza o paura.
Quel metro e tanta voglia di crescere riuscì a fronteggiare una ciurma di venti pirati come se fosse alta quanto un gigante e canaglia come un bandito.
«E guai a voi se cercherete di deprezzarla con uno sguardo o parola perché dovrete vedervela con me» ai pirati scappò di sorridere in reazione alla visione di quella bambina che da grande avrebbe potuto benissimo diventare una donna pirata o fare parte di un’organizzazione di spionaggio a cui capo era il Governo Mondiale. Anche Ad Ace spuntò sulle labbra un mezzo sorriso, collegandola immancabilmente all'immagine bricconcella del fratellino con il singolare cappello di paglia.
«Mia sorella è una ragazza formidabile, dopo essere stata pestata la prima volta, ha preso lezioni private da un maestro specializzato in arti di combattimento. A volte si è spinta al limite della sopportazione, del dolore, una volta è anche svenuta, ma si è sempre rialzata, pronta a mostrare al mondo di che pasta è fatta. Lei è il mio idolo. l’unica che seguire ovunque andasse. Mi fido di lei e so che non mente»
«Anche noi la pensiamo così tesoro, ma vorremmo tanto che lasciasse l’isola. Potrebbe essere la sua unica via di salvezza, lei però non ne vuole sapere. Dice che non cambierebbe niente e che la Marina gli darebbe comunque la caccia, oltre che iniziare a prendere di mira solo noi» se ne accordò la madre, accarezzandogli la testolina. Gesto che a lei non piacque granché.
Dopo quel momento incisivo fatto di scoperte esaurientemente avvincenti, commoventi risvolti e tragici seguiti che ancora non trovavano il loro punto finale del racconto, i ragazzi si sparpagliarono ognuno dove meglio gli piaceva, e i coniugi tornarono alla loro attività alberghiera.
Tra un discorso e un altro si erano fatte le otto e mezza di sera e il cielo si era tinto del colore tipico di quell’ora: un blu torpidamente scuro sfavillante di tante stelle quanto i desideri formulati dagli esseri umani.
Ace decise di appostarsi nel retro dell’albergo - ristorante dove poteva osservarle in completa serenità. Sollazzo che lo favoreggiava a riflettere o riappacificare lo spirito. A secondo delle giornate e i periodi.
Deuce, che voleva assicurasi non finisse per litigare con qualcuno della marina, vedendolo lì, mansueto, a contemplare il cielo, ne approfittò per scambiarci due chiacchiere specificamente esplicative.
«Andremo a cercare il frutto del mare?» fu la prioritaria domanda diretta per il suo capitano.
«Ti piacerebbe averlo?» gli ridomandò senza staccare gli occhi e modificarne l’espressione assorta dal viso. Deuce acconsentì voltandosi verso di lui.
«Non esiste niente al mondo che potrebbe soddisfarmi. E poi mi si addice a pennello» giocò sul fatto che coincidesse su una delle sue due passioni. Una curva intermedia si conformò sulle labbra di Ace per un secondo.
«Allora ci tratterremo qui giusto il tempo necessario di trovarlo» ciò stese a significare che accettò una delle due proposte che la signora Carmen gli aveva fatto.
«Ho trovato il modo per dimostrarvi la mia riconoscenza» aveva detto parlando all’intero uditorio pirata.
«Perché non restate qui per una settimana? Vi offrirò viveri e alloggio gratis» al che il loro capitano non aveva aggiunto nessuna parola condiscendente o restia. Ma Deuce sapeva che con quell’ordinazione speciale del menù, lui aveva già preso la sua irrazionale decisione.
Deuce sapeva anche che aveva accettato perché possedeva un’indole innata per cercare i tesori di ogni genere. Quella considerazione gli fece tornare alla mente il modo in cui si erano incontrati.
Ace invece rievocò i tempi andati di quando aveva dieci anni e insieme al suo amico di marachelle sdentato e con il cilindro in testa, andavano a rubare i tesori altrui per averne uno loro e sognare di partire in età maggiore verso avventure infinite e imprevedibili.
«Come faremo con il Marine? Già stiamo qui illegalmente se scopre che siamo alla ricerca del frutto, non ci darà vita facile.» la seconda domanda prioritaria di Deuce fu quella.
«Tenerlo a bada sarà semplice» rispose per niente preoccupato. Aveva precedentemente appurato che non contasse un fico secco né di personalità, che di forza fisica.
«La ragazza, pensi che, lei sappia qualcosa del frutto o ne è davvero ignara?»
«Dovremo chiederlo a lei direttamente, no?» le pensate Scriteriate del suo capitano che di primo acchito non avevano una logica da nessuna ottica, ma il più delle volte, alla conclusione, la loro semplicità trovava sempre l’evidente sensatezza.
«Ace, stavo pensando, che quella ragazza, è davvero sorprendente. Quando l’ho medicata, ho visto ferite e cicatrici dove una donna non dovrebbe averne, ferite aperte e infette che per una donna potrebbero essere fatali. Eppure. Quella ragazza possiede una forza di volontà spaventosa. Anche se non so per quanto ancora possa cavarsela se continuerà a incassare così tante bastonate in un così ricorrente tempo» evidenziò cercando un suo onesto riscontro.
«E’ interessante» commentò solamente questo sollevandosi il cappello.
Ace era stato vivamente colpito a balzi da alcune parti della storia: il modo in cui la sorellina la ammirava, l’irriducibilità con cui la ragazza non aveva mai barcollato e si era fatta forza senza mai versare una lacrima, il dolore indelebile trattenuto in lei e i tormenti in costante rappresaglia nel cuore.
Ascoltando il racconto dei genitori, Ace, se ne era irreparabilmente riconosciuto.
Per puro istinto, aveva cominciato a valutare la seconda proposta della Signora Carmen.
Un abbozzo di filantropa idea che avrebbe messo in atto tramite un’offerta di mano e un entusiastico invito.
Improvvisamente, alle narici dei due pirati, giunse uno stimolante odore di carne grigliata misto a quello di pesce speziato.
«Senti che buon odorino?» domandò il capitano mettendosi istantaneamente sull’attenti.
«Ah, che fame» disse in effetto, seguendo il sublime profumo con una camminata esilarante e la lingua a penzoloni.
Quando si trattava di cibo non esisteva nient’altro per lui.
Ogni volta che approdavano in una nuova isola, la preminente cosa che gli urgeva di intraprendere corrispondeva al chiedere informazioni sui luoghi di cucina presenti e che tipo di leccornie fossero inserite nel menù della locanda segnalatagli.
Naturalmente, quella nell’isola corrente di Fourteenth Mark, era stata una ragionevole sosta da fare.
Così I due si diressero così verso all’albergo – ristorante con l'aquilina in bocca.
Per una volta, Deuce poté pensare – e non gli sembrò neanche vero - che non aveva niente di cui preoccuparsi. Nessun proprietario si sarebbe lamentato del mangiare a scrocco del suo capitano, perché per una settimana sarebbe stato tutto gratis.

NOTE AUTRICE.: Sono tornata si, con il secondo capitolo. Diciamo che questo spiega un po' cosa succede e da indizi per pensare cosa è successo nell'isola. 
Secondo voi la protagonista ha davvero il frutto? Se si perché non l'ha mangiato? Magari invece quella notte non è andata come tutti pensano. 
Chissà. Lo scoprirete solo leggendo. 
Come sempre ringrazio i lettori silenziosi e chi mi ha aggiunto alle storie seguite o ricordate. Grazie mille. 
Alla prossima. 

   
 
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