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Autore: Ser Balzo    30/10/2019    1 recensioni
Ti hanno detto che la guerra è arte, e che Clove e Dan non potrebbero essere più diversi.
Ti hanno fatto vedere che occorre esercizio, pazienza e una certa dose di estro poetico, e che quella sadica assassina e quello stupido mandriano non sono altro che due patetiche pedine, due profili su una parete scalcinata, miserabili vittime di un gioco ben più grande di loro.
Ti hanno insegnato tutto questo e tu hai imparato. E hai fatto bene.
Fino ad oggi.
Perché i Settantaquattresimi Hunger Games hanno spazzato via tutto, e ora niente ha più importanza. E chiunque tu sia, se un umile pedone, un coraggioso cavallo, un disciplinato alfiere o un'implacabile regina… sai già cosa accadrà, quando ti ritroverai tra il fango e le bombe, a pregare qualunque cosa perché ti rimetta gli intestini nella pancia e ti conceda finalmente l'oblio.
Ora guarda quei due ragazzi, quelle due anime inseguite da eserciti di ombre, braccate da legioni di demoni, e chiediti: qual è la prima regola dell’arte della guerra, la più importante?
Vincere?
Quasi.
Vincere è fondamentale, ma non essenziale.
Dovresti saperlo: prima della regola uno viene la regola zero.
Resta vivo.
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clove, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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16.

Le porte di Dite

 

 

It’s who we are

Doesn’t matter if we’ve gone too far

Doesn’t matter if it’s all ok

Doesn’t matter if it’s not our day

 

– Imagine Dragons, Who We Are

 

 

 

 

Il primo carro che avvistarono fu nel pomeriggio. 

Imbaldanzito dalla scoperta, il capitano Aber rischiò di rovinare il suo costoso cannocchiale, tanta era la foga con cui l’aveva ficcato tra le mani del povero soldato Daniell.

«Finalmente i nostri!» esclamò. «Parola mia, non vedo l’ora di lasciarmi alle spalle la seccante arsura di queste lande dimenticate e farmi un bel bagno caldo… beh, forse non tanto caldo.»

Al contrario del suo superiore, Baeley accolse la scoperta con una certa inquietudine. Trovare un carro armato, così, nel mezzo del nulla, era quantomeno sospetto: poteva essere abbandonato, poteva essere una trappola, poteva essere mille altre cose; in ogni caso, il nemico era molto probabilmente non troppo lontano. E poi, doveva ammetterlo: una parte di sé – una parte alquanto masochista dato che non sembrava tener conto della mancanza di viveri e di un caldo terrificante che aveva rischiato a tratti di farlo impazzire – non sembrava molto entusiasta di rientrare nella buona, vecchia Panem strangolata dalla guerra.

«Guai in vista?»

Baeley si girò verso il sergente Wilkins. Era alquanto singolare il grado di libertà che i suoi soldati avevano deciso di accordare alla donna, visto che era stata in grado di arrivargli alle spalle senza alcun problema; ma evidentemente, la sua condotta irreprensibile e la stanchezza delle sue sentinelle le avevano fatto guadagnare un guinzaglio un po’ più lento del dovuto. 

O forse, visto che sono dei vecchi bastardi senza madre, hanno capito che ti piace averla intorno.

Baeley scacciò brutalmente quel pensiero dalla testa con un certo imbarazzo e una punta di rossore sulle guance.

«Tutto bene?» le disse lei, cogliendo il suo turbamento ma non i motivi dietro.

«Deserto permettendo. E comunque, i miei guai sono la sua manna dal cielo, quindi perché chiamarli in quel modo?»

«Quando qualcuno spara è sempre un guaio. E poi, non vorrei che invece di beccare uno dei suoi bastardi capitolini un proiettile vagante finisca per ammazzare uno dei miei.»

«Oh, su quello non deve avere dubbi, sergente: se incontreremo qualche sporco ribelle, metteremo voi in prima linea come scudo umano. È stato il Presidente in persona a raccomandarsi di farlo.»

«Per come stanno le cose, non posso minimamente sapere se stia scherzando o meno.»

«Il che, suppongo, sia il motivo per cui io e lei combattiamo per due schieramenti diversi.» 

Baeley appoggiò il fucile in spalla e si diresse dal capitano Aber. «Permesso di andare in avanscoperta, signore.»

«Mh? Oh, certo tenente, andate pure. E mi raccomando, non dimenticatevi le buone maniere.»

«Come sempre, signore.»

Baeley scelse tre dei suoi per accompagnarlo in esplorazione. Più avanti, il sentiero digradava, incassato fra sporgenze rocciose, fino ad aprirsi di nuovo in una pianura, punteggiata di macchie di arbusti e piccoli alberi nodosi. Un centinaio di metri più avanti, solo come un bisonte fuoriuscito dalla mandria, si trovava il carro armato, la vernice bianca istupidita dalla forza del sole che lo faceva risaltare come un grosso cristallo di sale in un tappeto infinito di rosso brunastro.

«Mi raccomando, ragazzi» disse Baeley. «Se quel coso si attiva, sparpagliatevi e buttatevi a terra.»

«E poi, signore?»

«E poi pregate che abbia finito i colpi.»

Abbandonarono il sentiero stretto tra le rocce, avanzando in formazione a V, larghi abbastanza da non finire tutti quanti vaporizzati dalla prima cannonata il bestione avesse deciso di tirare loro. Il sudore scendeva dalla fronte di Baeley, calando sulle palpebre e andandogli a finire negli occhi, ma lui resistette alla tentazione di asciugarselo con il dorso della mano. Il suo sguardo era puntato sul carro armato, ogni fibra del suo corpo e della sua mente tesa a percepire la minima vibrazione, il minimo sospiro. Sentiva i suoi uomini trattenere il respiro, poteva percepire il battito forsennato dei loro cuori.

Quattro soldati contro un carro armato. Mai nella storia del genere umano una cosa del genere era andata a finire bene.

In cima al declivio, il resto del gruppo attendeva.

«I vostri uomini hanno coraggio, capitano» disse Ares.

«Il mio orgoglio» rispose il capitano, mentre gli occhi gli si inumidivano di commozione.

I quattro continuarono ad avanzare, nel silenzio più assoluto. Ora solo dieci metri li separavano dal carro armato.

Senza quasi che se ne rendesse conto, Ayla incrociò mentalmente le dita.

Cinque.

Quattro.
Tre.

Due…

Baeley arrivò sotto la fiancata del mezzo. Abbassò il fucile, inspirò, poi appoggiò una mano sulla superficie corazzata.

«Voi, state indietro» disse al resto della squadra. «Vado a dare un’occhiata dentro.»

«Porca puttana, ora scoppia tutto» disse Johanna, mentre la macchia di bianco che rappresentava il tenente si arrampicava sul mezzo e apriva il portello della torretta.

Il deserto, però, rimase in silenzio.

Da lontano, Baeley agitò le mani per indicare il via libera.

Almeno per questa volta, nessuno era morto.

 

«Abbandonato» disse Baeley, mentre Aber osservava il carro armato accarezzandosi il mento. «Probabilmente avevano finito il carburante.» O hanno deciso di disertare, pensò poi, ma sapeva che il capitano non avrebbe gradito quelle parole.

«Mh. È un peccato non avere dei carristi tra noi.» Il suo sguardo corse ai prigionieri. «O forse sì?»

«Vorrebbe far pilotare il carro ai prigionieri, signore?»

Aber si rese improvvisamente conto di quello che aveva lasciato intendere. «No, no, certo che no, poffarbacco. Certo però è un peccato lasciarlo qui.»

«Non si preoccupi, signore. Una volta al Distretto Due avremo tutti i carri armati del mondo.»

Se esisterà ancora, il Distretto Due.

All’inizio della guerra, Baeley era convinto che, per quanto potesse andar male, i ribelli non avrebbero mai avuto una possibilità contro la terrificante potenza militare del Distretto Due. Al tempo era una prospettiva fosca, perché presumeva che tutti gli altri Distretti fossero stati presi; tutti, a Capitol City, erano convinti che sarebbe stata una scampagnata, una mera occasione di fare sfoggio di mostrine e belle uniformi. Il Presidente Snow aveva addirittura ordinato di lanciare una nuova linea di moda militare e un nuovo programma televisivo, chiamato Orgoglio della Nazione: e tutti i capitolini, convinti che quei disgraziati morti di fame dei ribelli mai avrebbero osato sollevare le armi per rovinare le loro splendide divise, ci erano cascati con tutte le scarpe e si erano arruolati in massa.

E in quel numero di fessi, Baeley era costretto a inserire anche se stesso.

«Bene, allora» disse Aber. «Trovato niente di utile all’interno?»

«Un kit medico e un paio di razioni. Non molto, ma sicuramente meglio di niente.»

«Meglio di niente, sicuramente» disse Aber, più a se stesso che a Baeley. «Dunque bando alle ciance, tenente. Siamo quasi arrivati, ma ancora non è finita. È tempo di rimettersi in marcia.»

«Certo, signore» rispose Baeley, colpito dal tono determinato del suo superiore.

Mentre provvedeva a trasmettere gli ordini al resto della compagnia, si chiese se il sole del deserto avesse fatto impazzire il capitano a tal punto da farlo diventare un vero soldato.

 

Avvistarono il secondo carro dopo mezz’ora di marcia, proprio quando le montagne del Distretto Due cominciavano ad essere ben visibili davanti a loro. Questa volta, però, c’era poco da interrogarsi: il mezzo era completamente carbonizzato, la torretta divelta che giaceva ad una decina di metri dal corpo principale. Sul fianco, un foro delle dimensioni della testa di Ares mostrava il colpo mortale che il carro armato aveva ricevuto: qualunque cosa l’avesse colpito, l’impatto era stato talmente potente da liquefare parte della corazza, che si era raccolta in una pozza grigiastra ai piedi del carro, circondata da un’aureola di sabbia vetrificata.

«Porca merda» fu il commento di Johanna. Nessuno della compagnia si sentì in dovere di aggiungere altro.

A meno di un chilometro di distanza trovarono il terzo carro. Cento metri dopo, il quarto e il quinto.

E infine, cominciarono i cadaveri.

Dopo lo sbarco al Distretto Quattro, Dan era convinto che mai avrebbe visto un numero di cadaveri tanto grande quanto quello accatastato sulla spiaggia e sulla scogliera; a quanto pare, prima di abbandonarli, il deserto aveva deciso di togliergli quell’ultima sicurezza, come felice dono d’addio.

Buche, crateri, carcasse fumanti di veicoli, grumi nerastri di quelli che un tempo erano stati corpi umani: la distesa di morte si dipanava per chilometri e chilometri, fino a confondersi con la polvere e l’orizzonte tremolante del deserto. 

Tutti nella compagnia avevano avuto almeno una battaglia alle loro spalle, eppure Dan vide che lo spettacolo violento e assoluto che li circondava stava sortendo il suo effetto. Vide Dana stringere la mano del sergente, Gale e Johanna farsi più vicini, mentre i due assassini vestiti di nero mormoravano tra loro e le dita di Lee e Penelope si sfioravano.

Circondati dalla morte, tutti quanti, non importa se buoni o cattivi, capitolini o ribelli, si aggrappavano disperatamente alla vita. Tutti cercavano qualcuno.

Tutti, tranne lui. 

Perché Dan era rimasto da solo.

«Le Porte di Dite.»

La voce improvvisa lo fece quasi sobbalzare.

Clove indicò qualcosa dritto davanti a loro. In mezzo alle montagne, una densa colonna di fumo nero si levava nel cielo.

«Si chiama così perché usciti dal Distretto Due finivi nell’inferno del deserto. Ma suppongo che il discorso valga ugualmente al contrario.»

Dan non rispose. Non riusciva a capire cosa ci facesse lei lì, accanto a lui, spiegandogli qualcosa che lui non aveva mai sentito il bisogno di dovergli chiedere.

È pazza. Una pazza psicopatica. Non devi chiederti il perché delle sue azioni. Lo fa e basta.

«Evidentemente i ribelli hanno provato a sfondare qui. Effettivamente, è il punto più debole delle difese del Distretto. Io avrei fatto lo stesso. L’ho fatto anche, all’Accademia. Per compito.»

Dan non aveva la minima idea di cosa replicare. Era così privo di senso che lei stesse parlando con lui dei compiti che faceva all’Accademia, che neanche se avesse avuto cent’anni a disposizione avrebbe saputo cosa dire.

Fortunatamente per lui, Clove non gli richiese quello sforzo. Senza aggiungere altro, silenziosamente come era arrivata, rallentò l’andatura fino a ritrovarsi vicino ai suoi compari.

Dan vide il lungo sguardo con cui l’altra assassina la accolse nel gruppo e sentì un remoto, strano eco infrangersi sul suo petto.

Qualcosa di vecchio. Qualcosa di nuovo. 

Qualcosa che assomigliava orribilmente a della compassione.

 

Le Porte di Dite, più che a una porta vera e propria, somigliavano per struttura e presenza fisica ad una gigantesca diga: un mostro di cemento e acciaio, alto quasi più delle montagne che lo stringevano ai lati,  atto a tenere a bada il mare di miseria di desolazione e smarrimento che proveniva dal deserto e, ancora più in là, dal resto miserabile dei Distretti più poveri.

«Se questa è la porta di servizio» disse Gale «non ho la minima intenzione di sapere quant’è grossa quella principale.»

«Più uno è grosso, più fa rumore quando cade» gli rispose Johanna.

«Ma per farlo cadere deve volerci un bel po’ di forza.»

«Non se usi le giuste leve.»

Gale lasciò correre lo sguardo per tutta la lunghezza del gigantesco cancello. La struttura, sebbene conservasse ancora la sua aura di potenza e pericolo, era ormai una gigantesca carcassa, un leviatano squarciato e sanguinante. Da quello che poteva capire, il cancello consisteva in un’unico, mastodontico battente che si apriva scorrendo lateralmente, penetrando per centinaia e centinaia di metri all’interno della montagna; di questo battente ormai non restava che un profilo dai bordi straziati e irregolari, sporgente di una ventina di metri dalla sua rientranza: il resto del cancello si trovava dappertutto, disperso in frammenti che andavano da trenta centimetri a una decina di metri di lunghezza, sparpagliati nella vallata e conficcati nei fianchi delle montagne.

«Dev’essere stata la mamma di tutti i botti» mormorò Johanna.

«Devono essere stati i genieri del Tre» disse Gale. «Potrebbero far esplodere un hovercraft usando una matita e un pezzo di gomma.»

«Sempre siano lodati, secchionissimi figli di puttana.» 

Gale osservò un carro armato separato esattamente a metà da un frammento di cancello alto il doppio del mezzo. Non riuscì a trattenere un  brivido. «Panem per sempre» mormorò. 

Nessun altro parlò durante l’attraversamento delle Porte. Aber, Baeley e gli altri soldati regolari erano schiacciati dalle conseguenze che quella visione comportava, mentre il resto del gruppo era semplicemente ammutolito dalla scala di mastodontica distruzione che quella guerra era riuscita a raggiungere. Lo sconfinato hangar che faceva da tramite tra il deserto e il Distretto due era ingombro di rottami, macerie, cadaveri, armi, uniformi bianche e vestiti di tutti i colori mischiati assieme, avvinghiati come se fossero stati fusi gli uni agli altri con la fiamma ossidrica. 

Un ragazzino inchiodato ad un blocco di soffitto da una trave larga quasi quanto il suo petto li passò in rassegna, la testa reclinata in una vaga espressione di sorpresa e il corpo grottescamente dritto come se fosse sull’attenti. Tra tutti, solo Dan riuscì a guardarlo negli occhi.

Quando uscirono dall’altro lato, l’intera compagnia venne attraversata da un invisibile ma palpabile moto di sollievo; ben presto, però, fu evidente a tutti che quello che avevano visto poteva voler dire soltanto una cosa. Nessuno dei regolari osava dirlo, per timore che pronunciandolo a voce alta l’idea potesse magicamente trasformarsi in realtà; ma quando la strada che partiva dal cancello voltò bruscamente a destra, lasciando intravedere la grande piana del Distretto Due, e, in fondo, stretto intorno ad un massiccio solitario, il suo capoluogo, nessuno poté più negare quello che era ormai in atto.

Il Distretto Due bruciava.

La guerra bussava alle porte di Capitol City.

 

La strada si snodava in una serie di tornanti che scendevano giù per il fianco della montagna: ad ogni curva, Baeley temeva di ritrovarsi faccia a faccia con un centinaio di fucili ribelli puntati contro di lui.

Fu una lunga discesa, ma per sua fortuna la compagnia non incontrò mai nessuno. Ma se prima, nel deserto, il silenzio era naturale – quasi mistico in certe occasioni –, ora cominciava a diventare piuttosto inquietante.

In fondo ai tornanti c'era un villaggio: una mezza dozzina di case scarse, nient'altro che un pretesto di agglomerato in cui far vivere ufficiali di dogana e altri dipendenti preposti al controllo di chiunque e qualunque cosa decidesse di arrampicarsi sulla montagna per uscire dal Distretto. Le mura delle abitazioni erano integre, le porte ancora al loro posto: persino i vetri erano ancora attaccati alle finestre. Il villaggio sembrava essere stato risparmiato dalla furia della guerra – il che, forse, lo rendeva ancora più inquietante.

Aber fermò la compagnia e mandò una mezza dozzina di soldati a controllare le case: tutti ritornarono con la stessa informazione.

«Vuoto, signore. Sembrano scomparsi nel nulla.»

«Probabilmente hanno capito che le cose stavano andando male e hanno deciso che era meglio non farsi trovare qui» disse Baeley.

«Un atto di deplorevole codardia ma sì, alquanto probabile» rispose Aber. «Beh, il sole è ormai praticamente calato e a quanto pare gli abitanti di questo ridente villaggio ci hanno silenziosamente offerto la loro ospitalità. Mi sembra alquanto scortese rifiutare.»

 

La compagnia si sistemò nell'edificio più grande a disposizione, un ufficio a due piani ingombro di scartoffie e vecchi terminali.

«Credevo che quelli del Due fossero ricchi» disse Penelope guardando uno degli ingombrati e squadrati computer. «Questa roba sembra più vecchia degli Hunger Games.»

«Beh, quelli del due sono soldati» disse Lee, facendo spallucce. «Tipi pratici. Probabilmente dormono sui sassi perché fortifica il carattere.»

«Sai cosa fortifica davvero il carattere?» gli rispose Artemisia, che non aveva potuto fare a meno di ascoltare. «Squartare i pezzenti dei Distretti poveri.»

«Silenzio, voi due» berciò una soldatessa di guardia. «Anche se sono d'accordo» si premurò poi di aggiungere.

Artemisia si appoggiò alla parete, gli avambracci poggiati sulle ginocchia, una crudele smorfia sulle labbra e gli inquietanti occhi verdi fissi su Lee.

«Sarà una lunga notte» disse lui, mentre si coricava accanto ad uno schedario, sottraendosi allo sguardo predatorio dell'assassina.

«Mi mettono i brividi» sussurrò Penelope, cercando di non farsi sentire dalla ragazza vestita di nero e dal suo grosso compare. «Ma lei più di tutti. Non sembra... non sembra neanche umana

«Probabilmente non lo è» rispose Lee. «Almeno, non del tutto. Chissà che cosa gli avranno ficcato dentro, quei pazzi bastardi della capitale. Magari li metteranno in campo come mutanti, nei prossimi Hunger Games.»

«Non ci saranno altri Hunger Games» disse Penelope, d'un tratto ferma e decisa.

Lee la guardò, colpito dal suo cambio repentino di atteggiamento. «Tu credi?»

Penelope rimase in silenzio. Si morse il labbro, come se stesse prendendo una decisione importante, guardò verso Artemisia e poi di nuovo verso di lui. «Conosci Cordelia Finch?»

Lee aggrottò le sopracciglia nel tentativo di ricordare. «Il nome l'ho già sentito, ma non mi ricordo dove. È qualcuno che conosco?»

«In parte, sì» disse Penelope. «Cordelia Finch era mia compagna di classe, ai corsi di avviamento di ingegneria solare. Io ero brava, ma lei lo era di più. Prendeva sempre il massimo dei voti. Saremmo potute essere amiche, credo; ma solo il primo della classe poteva accedere al programma speciale di avviamento professionale. Mi superò di soli tre punti.» Penelope fece un sorriso amaro. «Avevo passato settimane a dormire un paio d'ore a notte per prepararmi adeguatamente. Quando seppi che avrebbero preso lei al posto mio, la odiai. La odiai davvero, da povera stupida qual ero.» Sbuffò, divertita e amareggiata allo stesso tempo. «Cordelia era davvero dotata. Una ragazza prodigio, forse. Ma questo non le impedì di venire estratta per i Settantaquattresimi Hunger Games.»

Un'immagine balenò nella mente di Lee. Capelli rossi, viso appuntito, intelligente e calcolatrice. Il tributo femmina del Distretto Cinque. Aveva buone speranze di vittoria, e arrivò quasi alla fine.

«Non ho mai capito perché abbia mangiato quelle bacche» continuò Penelope. «Una morte davvero idiota, per una che era riuscita a sopravvivere fino a quel punto. Ogni tanto mi convinco che l'abbia fatto apposta. Che la sua morte facesse parte di un piano, che quel piano avesse avuto inizio tanto tempo prima di essere estratta, e che magari in quel piano, almeno in parte, ci fossi anche io.» Penelope si fermò. Deglutì. Poi guardò Lee negli occhi, e riprese. «Vuoi sapere perché mi sono arruolata?»

Lee non rispose. Sapeva che la risposta sarebbe arrivata da sola. E infatti, accadde esattamente così.

«Perché quando Cordelia venne estratta, non mi arrabbiai, non mi intristii, non feci niente di tutto questo. Quando Cordelia venne estratta, io fui felice. Perché aveva rubato il posto che era mio di diritto, e per questo era stata punita. E la giustizia aveva finalmente fatto il suo corso.»

Lee era perfettamente immobile. Penelope si sdraiò su un fianco, la faccia verso la parete, e non parlò più. Qualche minuto dopo, la sentì soffocare un singhiozzo.

Senza dire nulla, cercando di essere il più delicato possibile, Lee si sdraiò accanto a lei e la abbracciò da dietro. Penelope si girò, e Lee fu convinto volesse mandarlo via. Si sentì in colpa per aver esagerato, per aver varcato un confine che forse avrebbe fatto bene a non oltrepassare, e fece per sottrarsi e tornare al suo posto.

Ma Penelope non voleva che se ne andasse.

Lee vide i suoi occhi azzurri gonfi di pianto, e si rese conto di non averli mai visti così da vicino. Poi Penelope gli poggiò una mano sulla guancia, lo attirò delicatamente a sé e lo baciò sulle labbra.

Si addormentarono così, abbracciati l'uno all'altra, stremati da una marcia infinita.

Lontano, quasi in un altro mondo, il Distretto Due continuava a combattere.

 

L'alba colse Clove irrigidita e anchilosata. Non sapeva bene perché aveva deciso di passare la notte fuori, dormendo con il sedere sulla dura terra e la schiena appoggiata ad una grossa cassa: probabilmente, non aveva voglia di vedere nessuno.

Tantomeno i miei cari compagni di scudo.

C'era qualcosa, in Ares e Artemisia, che la destabilizzava profondamente. Qualcosa che non riguardava tanto la loro pericolosità – non era certo una stupida pusillanime ribelle – quanto il modo in cui si muovevano, in cui interagivano, in cui controllavano l'ambiente circostante. Qualcosa che aveva a che fare con la loro giovane età, con l'addestramento estremamente speciale a cui erano stati sottoposti e con la certezza di aver già vinto ancor prima di aver iniziato a combattere.

Allora, Clove... mi hanno detto che sei molto brava a lanciare oggetti... soprattutto se sono affilati.

Oh, Caesar... potrei colpire quel signore laggiù in fondo alla sala e staccargli l'orecchio sinistro senza che lui se ne accorga. Se vuoi ti faccio vedere.

Cori di sorpresa, grida, applausi. Le piacevano, ma non tanto quanto ad altri. Vincere, quella era sempre stata l'unica cosa che le era mai interessata.

Chi corre per vincere non si ferma a guardare gli altri.

Si alzò in piedi, stiracchiandosi e sentendo la colonna vertebrale scrocchiare rumorosamente. I due soldati di guardia nel cortile le concessero un'occhiata distratta, niente di più. 

D'altronde, quando hai Katniss Everdeen tra le grinfie tutto diventa improvvisamente secondario.

Katniss Everdeen. Uccidere Katniss Everdeen. Era quello il suo obbiettivo, giusto?

Certo che è giusto. Certo che è giusto! La vittoria era mia. Mia e di Cato. Non uno, ma ben due tributi del Distretto Due a conquistare i Settantaquattresimi Hunger Games. Il massimo della gloria per il Distretto. Il massimo della gloria per me. E nessuno, in nessun luogo e nessun tempo, avrebbe più potuto fare di meglio.

Si girò verso l'edificio dove il resto del gruppo aveva trascorso la notte. Guardò la facciata grigiastra con l'intonaco crepato intorno alle finestre, e si chiese dove fosse Katniss Everdeen.

E come uno spettro evocato dall'oltretomba, Katniss Everdeen uscì dalla porta.

Era scortata, come sempre: quattro soldati solo per lei, così vicini che quasi le toccavano le spalle. Dietro zampettava il capitano, quel povero fesso capitolino, guardando la sua preda quasi stordito, come se non riuscisse a credere di avere avuto tanta fortuna.

Nessuno sembrò rendersi conto del fatto che Clove si trovava proprio davanti a loro. Forse avevano deciso di non badarle, tirando dritto e contando sul fatto che al momento del bisogno si sarebbe tolta di mezzo; ma Clove non aveva alcuna intenzione di farsi da parte. Il suo obbiettivo era lì davanti, lei era di nuovo in grado di combattere: un'occasione del genere non si sarebbe mai più ripetuta.

L'occasione perfetta per uccidere Katniss Everdeen. 

Strinse i pugni, e sentì il tempo rallentare. L'adrenalina stava facendo il suo effetto. I muscoli entrarono in tensione, pronti a scattare. Il cervello aveva già calcolato il tempo necessario a prendere il pugnale dal fodero del soldato di destra, uccidere quello di sinistra e poi pugnalare la sua preda dritto nel cuore. Era pronta a colpire.

Poi Katniss Everdeen sollevò lo sguardo, la vide, spalancò gli occhi e si bloccò, talmente in fretta che i due soldati dietro di lei rischiarono di andare a sbatterle addosso.

Il Tributo femmina del Distretto Due e quello del Distretto Dodici si guardarono. I soldati erano immobili. Il resto del mondo era come bloccato, tagliato fuori, impossibilitato a intervenire in una questione a cui mai, in nessun modo e in nessun tempo, avrebbe potuto prendere parte.

«Clove» disse Katniss.

Era la prima volta che le sentiva pronunciare il suo nome.

«Katniss.»

«Non ho mai avuto modo di dirtelo.» I suoi occhi erano grandi, scuri, castani. Come quelli del ragazzo biondo. Come i suoi. «Mi dispiace.»

Clove si vide saltarle addosso, affondarle i denti nella gola, strapparle la vita di dosso con tutto quello che aveva a disposizione. Credeva di averlo fatto, ne era assolutamente convinta.

Poi vide che Katniss le passava accanto, e si rese conto di essersi fatta da parte.

Era tua sorella, e io l’ho uccisa.

Sì.

L’ho uccisa, e tu vuoi uccidermi.

Sì.

Arrivi tardi. L’hanno già fatto.

Mentre il sole sorgeva sul Distretto Due, Clove si rese conto che forse, nonostante ne fosse uscita indenne, celeberrima e con il suo amato tra le braccia, anche Katniss Everdeen era ancora lì, con lei, un'ombra danzante dentro l'arena dei Settantaquattresimi Hunger Games.

 

Baeley era stato convinto che avere, dopo tanto tempo, finalmente un tetto sopra la testa lo avrebbe fatto dormire come un bambino; invece, nonostante fosse riuscito a trovare addirittura un divano su cui sdraiarsi, non aveva praticamente chiuso occhio. Forse perché un pensiero che si era portato dietro fin dal Distretto Quattro ora cominciava a diventare una solida realtà: nonostante tutto il potere, la superiorità tecnologica e le armi dell'Esercito Regolare, i ribelli stavano vincendo. La guerra per Panem, iniziata in un tempo che sembrava allo stesso tempo qualche settimana prima e secoli addietro, era ormai all'ultimo atto. 

E Baeley, ancora una volta, si trovava dalla parte sbagliata della mappa.

«Molto bene, siamo tutti pronti?» disse il capitano Aber, sempre sfavillante nella sua uniforme bianca con la fusciacca rossa in vita. «Forza signori, in marcia!»

Baeley pensò che era un peccato che non ci fossero pifferi e tamburi ad accompagnare le parole del capitano. Ma in ogni caso, doveva ammettere che il suo inossidabile ottimismo aveva un che di rassicurante.

È un imbecille, ma un buon imbecille. E di questi tempi, uno prende quello che può.

La compagnia si immise di nuovo nella strada principale. La lingua d'asfalto, una volta uscita dal villaggio, avanzava dritta per una cinquantina di metri, circondata da alti abeti, per poi compiere una decisa virata a destra. Ancora una volta, la svolta era ignota.

Baeley si mise in testa alla colonna. Come il giorno prima, regnava il silenzio. Questa volta, però, Baeley percepiva qualcos'altro. Una bassa vibrazione, così evanescente da essere quasi impercettibile.

«Controllate gli alberi, ragazzi» disse ai suoi. Qualcosa non stava andando per il verso giusto. Qualcosa che aveva a che fare con le case vuote, con il vuoto pneumatico che li circondava, con il silenzio assordante tra le fronde degli abeti che avrebbe dovuto essere riempito da insetti, uccelli e altri animali.

Niente si muoveva. Sembrava un mondo finto.

Poi, da dietro la curva, sbucò fuori qualcuno.

Era avvolto da un mantello di tela brunastra, che sembrava essere stato rimediato da una serie di sacchi per alimenti. Era una figura piccola, minuta, solitaria. E stava venendo proprio contro di loro.

Aber estrasse la sua sciabola. «Soldati, linea di tiro! Per due!»

Obbedienti, metà della ventina di soldati ai comandi del capitano scattarono in posizione alla testa del gruppo, formando due file accanto a Baeley. La prima fila si inginocchiò, ed entrambe sollevarono i fucili e li puntarono contro la figura in mezzo alla strada.

«In nome della Federazione e dell'Esercito Regolare di Panem» gridò il capitano Aber. «Fermati immediatamente, o apriremo il fuoco!»

La figura continuò ad avanzare. Si tolse il cappuccio, rivelando un volto di donna e dei capelli corvini legati in due trecce. Stava dicendo qualcosa, ma troppo a bassa voce perché potesse essere udita.

«Soldati, puntare!» comandò Aber, sollevando la sciabola.

La donna non sembrò minimamente sentirlo. Metteva un passo dopo l'altro, lenta ma inesorabile.

E finalmente, Baeley poté udire cosa stava dicendo.

 

Are you, are you

coming to the tree?

They strung up a man

They say who murdered three

 

«Ultimo avvertimento!» gridò ancora Aber. «Fermati immediatamente, o parola mia ti colpiremo lì dove ti ergi!»

 

Strange things did happen here 

No stranger would it be

If we met at midnight

In the hanging tree

 

La spada di Aber rimase levata, e Baeley comprese che, nonostante tutto, ancora non riusciva ad ordinare ad un gruppo di soldati di uccidere una persona apparentemente indifesa. Ma anche se non riusciva a distinguere gli occhi della ragazza, sapeva qual era il suo sguardo. Sapeva che non si sarebbe fermata.

Baeley sollevò il fucile. 

E il bosco cominciò a cantare.

 

Are you, are you

Coming to the tree

Where the dead man called out

For his love to flee

 

Sbucarono dagli alberi, dalla strada, dai tetti delle case dietro di loro. Erano un centinaio, se non di più. E tutti stavano cantando.

 

Strange things did happen here 

No stranger would it be

If we met at midnight

In the hanging tree

 

Il capitano Aber girava freneticamente la testa, come se volesse guardare in un colpo solo tutta quella gente che aveva circondato la sua misera compagnia. Poi, resosi conto di non avere alcuna via d'uscita, abbassò la spada.

Baeley gettò a terra il fucile e sollevò le mani. Uno dopo l’altro, i suoi uomini lo seguirono.

La Terza Compagnia, Ventiduesimo Reggimento, Quinta divisione, Terzo Corpo d’Armata dell'Esercito Regolare di Panem si era appena arresa al nemico.










L'ANGOLO DELLA CHIACCHIERA: E siamo dunque giunti, alla fine, al (in)famoso Distretto Due, che la lore vuole (o se non lo vuole, lo decido io) essere il Distretto più vicino a Capitol City: l'ultima barriera prima della Città – e del cattiverrimo Presidente Snow. E Rorke cheffà, mi direte voi? State a vedere, vi dico io. In ogni caso, sono un sacco contento di aver finalmente potuto inserire qui dentro la canzone degli Impiccati (che, inseme alla scena della diga che la accompagna, è una delle cose salvabili degli ultimi due film) che mi è sempre piaciuta un sacco. Anche se parla di gente impiccata. Questo dovrebbe dire qualcosa sui miei problemi, ma sto già scrivendo una fanfy di Hunger Games, quindi direi che non c'è bisogno di chiarirlo ulteriormente.
Stay Hungry, Stay in copertura e al prossimo capitolo!

 
  
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