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Autore: Mary P_Stark    31/10/2019    2 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Più volte si era ritrovato nelle vesti di un animale, durante i millenni passati a girovagare per il mondo ma mai, neppure una volta, per sfuggire alle ire di una dea.

Per attirare tra le sue braccia una bella mortale, sicuramente, per ingannare lo sguardo di Era, ben più di una volta… ma come agnello sacrificale? Davvero era una novità, per lui, e la cosa non gli piaceva affatto.

Inoltre, la forma tozza e quasi volgare del cinghiale non si addiceva molto a lui che, dopotutto, era il Signore dell’Olimpo. Poiché quella forma era stata scelta da Artemide, però, e lui si trovava nelle terre a lei sacre di Delo, Zeus non aveva possibilità di cambiarle. Inoltre, non faticava a comprendere i perché variegati di quella scelta in particolare.

O forse, dopotutto, il perché era solo uno. Il cinghiale era la forma selvatica di un animale domestico dalle indubbie capacità organolettiche, ma che veniva spesso usato per insultare gli uomini.

Il maiale.

Non faticava a credere che Artemide avesse usato una buona dose di ironia, nello scegliere quel mascheramento per lui e, mentre balzava goffamente oltre un torrentello coperto di rada neve, seppe comunque coglierne l’ironia.

Peccato che, in quel momento, sua figlia non fosse in vena di scherzi e volesse inforcarlo con una delle sue lance.

Se fossero state frecce, avrebbe dovuto preoccuparsi seriamente, poiché quelle armi in particolare non mancavano mai il bersaglio – anche grazie al tocco di Efesto – e potevano ferire anche un dio ma, trattandosi delle lance, aveva qualche chance di non restare ferito gravemente.

Ammesso e non concesso che Artemide non volesse giocare con lui al gatto col topo, facendogli credere di essere relativamente al sicuro quando, in realtà, non era così.

Rallentando l’andatura non appena raggiunse una grotta in cui nascondersi per riprendere fiato, Zeus-cinghiale si chiese quale strategia di caccia avrebbe adottato Artemide.

Dopotutto, non v’era dea più brava di lei, in quell’attività e, per quanto lui fosse forte, Delo era il sancta sanctorum della figlia, e trovarsi sulle sue terre da nemico non era mai un grande affare.

Nascosto da fronde e pietre, Zeus quindi attese, e attese, ma nulla e nessuno venne a cercarlo e, quando infine la notte calò, tutt’intorno a lui si fece silenzioso e tetro.

Trattandosi di Artemide, la notte non poteva che esserle favorevole, visti i suoi poteri lunari perciò Zeus, più che convinto che la sua furia sarebbe presto giusta, rimase rannicchiato nell’ombra, indugiando sul da farsi.

Il sonno, però, prese il sopravvento sull’ansia e l’aspettativa e, quando infine il corpo tozzo di Zeus cadde a terra addormentato, Artemide apparve dinanzi alla bocca d’entrata della grotta e sorrise.

L’attimo seguente, Hypnos le si accodò e, ghignante, dichiarò: «Era così preoccupato dalle tue mosse da essere diventato una facile preda, per me. Desideri che io faccia altro, Arty?»

Artemide scosse il capo nel sorridere al nero crinito e alato dio del sonno e, nel dargli una pacca sulla spalla, asserì divertita: «Ho in mente per lui una nottata che non potrà mai dimenticare. Credo che sia mille volte meglio che piantargli una lancia nel culo.»

Hypnos sollevò divertito un sopracciglio, replicando: «Opinabile. Ares ti direbbe di no, e che fare a botte è meglio di qualsiasi altra cosa, ma…»

Interrompendosi quando finalmente vide comparire a poca distanza Morpheus, Phobetor e Phantasos, allargò quindi il suo ghigno e terminò di dire: «… visto chi hai assoldato, credo che potresti averla vinta davvero tu. Potrebbe essere assai divertente osservare, oltretutto.»

Scrollando una spalla, Artemide disse: «Fai pure… basta chiedere a Morpheus, dopotutto. Ti farai un giretto nella testa di mio padre, mentre lui rivivrà con occhi diversi tutto ciò che ha fatto finora. Potrebbe essere scioccante, però. Sei pronto all’idea?»

«Dubito che le scappatelle di Zeus possano essere così tremende» celiò Hypnos, fissandola pieno di ironia.

Artemide, però, ghignò perfida e, rivolgendosi a Phobetor, replicò: «Hai già in mente qualcosa, per renderle più terrificanti che mai?»

«Credo che apprezzerai. Mi sono ispirato a Jennifer’s Body» sorrise perfido l’oneiroi, giocherellando con una delle sue trecce biondo platino.

Morpheus e Phantasos risero al solo sentir nominare quel film particolarmente splatter, mentre Artemide e Hypnos, vagamente più inquietati dall’idea scelta da Phobetor, si limitarono a una smorfia di disgusto.

Scuotendo mani e capo, la dea della caccia borbottò: «Fai come ti pare, basta che gli serva da lezione per i secoli futuri. Chissà che, per qualche tempo, la smetta di sollevare gonnelle a destra e a manca.»

«Credo che, per un po’, avrà il disgusto del genere femminile» ghignò Phobetor, avvicinandosi al sommo Zeus assieme ai suoi due fratelli. «Va da sé che vogliamo l’immunità diplomatica.»

«Siete figli di una divinità Ctonia… non vi torcerà un capello» sbuffò Artemide, allontanandosi dal padre insieme a un non più convinto Hypnos. «Ma come? Niente capatina nei sogni di mio padre?»

«I film horror mi terrorizzano» gli fece notare lui, facendola scoppiare a ridere dopo un attimo di incredulità.
 
***

Come diavolo aveva fatto a crollare dal sonno? Voleva farsi prendere come un idiota?

Scrollandosi di dosso i residui del sonnellino che aveva schiacciato, Zeus si rese conto di aver ripreso sembianze umane e, un filino più tranquillo, si risollevò dal suo giaciglio di terra e pietre per uscire dalla grotta che lo aveva protetto.

Nel farlo, però, si ritrovò innanzi a uno spettacolo che mai, neppure nei suoi sogni più incredibili, aveva avuto la grazia di incrociare con lo sguardo.

Particolarmente colpito da quella visione paradisiaca, si lasciò andare a un sospiro di pura delizia e, sorridente, si avvicinò allo stuolo di naiadi intente a ristorarsi nelle acque di un fiume.

Nude e splendide, rilucevano sotto la luce del sole mattutino, e la loro pelle ricoperta di perle d’acqua sembrava morbida e setosa come le stoffe più preziose.

Subito, le sue mani formicolarono per il desiderio di possederle, del tutto dimentico del pericolo che lo aveva spinto a rifugiarsi nel punto più oscuro della foresta e, senza darsi pena di mascherarsi, le raggiunse con una falcata imperiosa.

Le naiadi lo videro quasi simultaneamente ma, invece di scappare, si levarono in piedi, chi da terra e chi dalle acque del fiume e, come un gruppo compatto, si avviarono verso di lui con sorrisi carichi d’aspettativa.

Quella vista di seni pieni e forme voluttuose non fece che rinfocolare la fregola di Zeus che, ormai a un passo da quel paradiso in terra, lanciò un grido terrorizzato non appena la prima delle naiadi scostò le labbra sorridenti per mostrare i denti.

Sotto quelle labbra rosse e carnose, splendide alla vista e perfette per essere baciate… si nascondeva la dentatura di uno squalo, pronto a divorare chi si fosse incautamente avvicinato a esse.

Ora del tutto dimentico della passione che lo aveva spinto ad avvicinarsi, Zeus tentò di colpirle con le sue folgori ma, complice la sua presenza a Delo, non riuscì a richiamare le sue potenti saette.

Non potendo fare altro, si vide costretto a scappare ignominiosamente, mentre le voci sempre più alte e seduttrici delle naiadi lo rincorrevano ogni dove.

Più di una volta le zanne di quelle mostruose naiadi furono sul punto di morderlo e, a ogni occasione, Zeus riuscì a stento a sottrarsi da quei baci letali quanto terrificanti.

Apparentemente instancabili, le temibili ninfe dei fiumi continuarono a rincorrere Zeus lungo tutta l’isola di Delo finché, ormai stremato, il Padre degli dèi inciampò nei suoi stessi piedi, carambolando a terra.

Subito, le naiadi furono su di lui, iniziando a morderlo in più punti mentre il dio, stravolto dal panico e dal dolore, gridava loro invano di non ucciderlo, di non divorarlo.

Una di loro, fiammeggiante di capelli e con sguardo sardonico, si sollevò da sopra il suo torace per fissarlo negli occhi e dichiarare: «Ma come? Non ci vuoi più? Non ci ami più, sommo Zeus? Non desideri dunque tutte le creature femminili del mondo?»

Prima che lui potesse rispondere in un qualsiasi modo, una naiade attaccò con ferocia le sue parti intime e a quel punto, colto da un dolore immane e una paura mai provata… Zeus riprese conoscenza.

Incespicando con le mani, si tastò il corpo madido di sudore in cerca di ferite ma, nulla vedendo se non le sue vesti e le sue carni intonse, esalò un sospiro di sollievo prima di crollare prono sul terreno smosso.

Aveva dunque sognato tutto?

«Sai, paparino… strilli come una bambina di cinque anni, quando hai paura» ironizzò alle sue spalle una voce, mandandolo nel panico.

Strillando – per l’appunto – come una bambina, Zeus si rimise seduto e indietreggiò terrorizzato fino a sfiorare il muro della grotta, e solo per trovare una ghignante Artemide a pochi passi da lui.

Ansimante e pieno di paura, la fissò per diversi istanti con il cuore in gola, il battito a mille e la sudorazione fuori controllo, prima di cominciare a comprendere cosa fosse successo… e quale fosse stata la vendetta della figlia.

Mettendo finalmente a fuoco l’imbocco della grotta, vide infine le figure degli oneiroi, oltre a quella splendida e misteriosa di Nyx, di nero vestita e con le lunghe chiome corvine sparse tutt’attorno come un mantello.

La dea della notte carezzava indifferentemente i tre figli, scrutandoli con espressione assai orgogliosa e soddisfatta e Artemide, nel sorridere loro, dichiarò: «Direi che è andata bene… era nel panico più totale.»

«Che diavolo… hai fatto?» domandò confuso Zeus, cominciando a irritarsi per la soddisfazione della figlia.

Lei lo fulminò con lo sguardo, replicando: «Quello che ti meritavi per aver sempre pensato di poter fare quello che volevi, con le donne. Ti è piaciuto essere soggiogato, preso con la forza e massacrato?»

«Io non ho mai…» tentennò il padre, subito azzittito dalla figlia.

«Maledizione, padre! Hai avuto così tante amanti da aver bisogno di un’enciclopedia, per poterle ricordare tutte! E pensi davvero che il tuo agire non le abbia massacrate dentro? E quante di loro hanno subito la rabbia di Era, perché tu non ti sei preso le tue giuste responsabilità? Devo ricordarti di Io? O di mia madre? O di Europa? Devo citarne altre?!»

Lanciato uno sguardo a Phobetor, Zeus gli domandò roco: «Le hai create di tuo pugno?»

L’oneiroi scosse il capo, ora assai serio e posato, replicando: «Sono i ricordi inquieti delle mortali da te possedute e che, attraverso le acque del Lete, hanno potuto liberarsi e riposare in pace.»

Ciò detto, lanciò un’occhiata grata a Hypnos, che si rivolse a Zeus per dire: «Ho attinto a quelle acque per farne dono a Phobetor, così che potesse rendere il più reale e personale possibile il tuo incubo. Ammetto, però, che non avevo idea che avesse scelto proprio questo genere di incubo. L’ho saputo solo quando ha iniziato a lavorare su di te.»

Rabbrividendo suo malgrado, Zeus borbottò: «Avrei preferito non conoscere così bene le sue attitudini di cineasta dell’horror.»

Nyx sorrise a quelle parole e asserì: «Mio figlio sa essere assai fantasioso, quando vuole. E ora, rispettosamente, torniamo a casa. Ci sono altre persone che hanno bisogno del tocco dei miei figli. Vieni con noi, Hypnos?»

«Certamente, madre» assentì il dio del sonno, esibendosi in un elegante baciamano ad Artemide prima di svanire nel nulla assieme ai suoi familiari.

Rimasta sola col padre, Artemide sospirò, si appoggiò al muro di pietra della grotta e borbottò accigliata: «Tu guarda se una figlia si deve ridurre a questo, per far entrare in zucca qualcosa al proprio padre.»

«Sei stata crudele» mugugnò la divinità, levandosi in piedi a fatica.

Il corpo gli doleva come se fosse stato dilaniato realmente da quelle naiadi in versione cannibale, pur non avendo ferite evidenti a dare credito alle sue sensazioni. Phobetor ci era andato davvero pesante.

«Crudele? Perché, tu pensi di non esserlo stato con quella vacca isterica di Era?» ironizzò sarcastica Artemide, fissandolo con supponenza.

Quell’accenno lo fece accigliare ulteriormente, portandolo a dire: «La chiami vacca, ma le hai portato le bambine. Perché a lei sì, e a me no?!»

Quella domanda suonò querula e infantile persino alle sue orecchie, ma non gliene importò nulla. Odiava il solo fatto che persino Era fosse stata preferita a lui, visto l’odio che era sempre intercorso tra le due dee!

Artemide rise senza alcuna allegria, lanciò un’occhiata verso l’esterno della grotta e mormorò stanca: «Per quanto lei non mi piaccia, e io non piaccia a lei, abbiamo capito come sopravvivere sullo stesso mondo ma, soprattutto, abbiamo compreso che era inutile detestarci, visto che l’odio che ci insudiciava lo avevi creato tu

Zeus ebbe la decenza di non aprire bocca e Artemide, apprezzandolo, aggiunse con minore rabbia: «Intendevo questo, con massacrato. Io ed Era ci siamo massacrate l’anima per millenni, e per cosa? Lei si irritò con mia madre per causa tua. Io arrivai a odiarla per causa tua. Capisci cosa ci hai fatto?»

Suo padre rimase in religioso silenzio per diverso tempo mentre, all’esterno della grotta, la vita della foresta in cui si trovavano riprendeva il suo scorrere regolare e placido.

In quell’angolo di Delo, protetti dallo sguardo degli umani, animali e natura prosperavano, grazie ai poteri di Artemide. Ogni cosa aveva colori splendidi, gli animali erano pacifici e tutto era come avrebbe dovuto essere. Tutto era in pace e in armonia.

Erano solo loro a guastare quella perfezione. Loro e la loro tensione a stento controllata.

Sospirando, infine, Zeus mormorò roco: «Scusami.»

Artemide sgranò gli occhi, di fronte a quella semplice parola e Zeus, approfittandosi del suo silenzio, aggiunse: «Hai… hai sposato un brav’uomo.»

Rabbrividendo, la dea della caccia assentì, borbottò un ‘lo so’ e, senza dire alcunché, svanì dalla sua vista, lasciandolo solo.

Sorpreso da quella reazione, Zeus si guardò intorno confuso, schioccò le dita per tentare di richiamare le folgori e, sempre a sorpresa, esse comparvero, confermandogli che era libero di andarsene.

Il punto era: dove?
 
***

Veder comparire Zeus nelle sue terre era evento più unico che raro, visto che la mancanza di Alekos dall’Oltretomba aveva tolto scusanti valide al fratello per passarlo a trovare spesso come in passato.

Ade, perciò, si stupì non poco quando lo vide apparire all’entrata dei Campi Elisi, l’aria sbattuta e di uno che aveva passato una nottata davvero infernale.

Avvicinandosi a lui con aria guardinga – non si poteva mai sapere, quando un dio era irritato – Ade mormorò cauto: «Qual buon vento, fratello?»

Zeus si volse a mezzo, l’aria quasi spaurita, e si guardò intorno come in cerca di qualcun altro, che però non riuscì a trovare.

Ade, ancor più confuso dalla reazione inaspettata del fratello, disse: «Se cerchi Persefone, è con le Erinni. So che Tisifone voleva farle sentire un nuovo brano che hanno scritto.»

«Oh» gorgogliò Zeus, annuendo stanco.

Non che parlare con sua figlia avrebbe risolto molto. Avrebbe probabilmente ricevuto una manfrina anche da lei, con il risultato di sentirsi ancor più stordito di prima. Quindi, che diavolo era venuto a fare proprio lì?

«Come sta andando, con la tua ricerca di una tregua? No, perché onestamente sembri piuttosto sbattuto, e mi chiedevo se dipendesse da questo» chiosò Ade, dandogli una pacca sulla spalla.

«Arty mi ha fatto vedere i sorci verdi, stanotte, letteralmente, e ha chiarito molto bene quanto mi detesti… e, in fondo, non le posso davvero dare torto» brontolò la divinità, lanciando un’occhiata alle dolci colline in fiore dei Campi Elisi.

Sembrava tutto così piacevole, alla vista, ma quella bellezza non faceva che nascondere abilmente ciò che si celava nelle aree più cupe dell’Oltretomba; i fiumi infernali e il Tartaro. I luoghi più terrificanti in cui un’anima potesse finire.

I luoghi in cui le anime delle sue tante amanti avevano trovato la loro fine, dannate da Era a causa dei suoi continui tradimenti.

Sospirando, Zeus reclinò il capo per la stanchezza provata di fronte alle parole di condanna di Artemide e Ade, sinceramente sorpreso da quella reazione, esalò: «Arty ti ha davvero ridotto uno straccio.»

«Non mi è piaciuto quel che mi ha detto… ma non posso neppure fargliene una colpa, visto ciò che mi hanno mostrato gli oneiroi in sogno.»

Accigliandosi, Ade asserì: «Sai che gli oneiroi non mostrano necessariamente la verità.»

«Queste verità, le hanno ottenute con i ricordi contenuti nel Lete» sottolineò Zeus, fissando aspramente il fratello.

A quelle parole, Ade sospirò e, scuotendo il capo, disse: «Se provengono da lì, allora so perché hai l’aria così sbattuta. Ciò che è contenuto nel Lete spaventerebbe chiunque. Chiedi ad Athena o Alekos se…»

Sgranando gli occhi di fronte alla sciocchezza appena proferita, Ade si interruppe e, spiacente, guardò il fratello prima di aggiungere: «Già, scusa. Non puoi parlarci. Ma forse…»

Accigliandosi, Zeus esalò: «Cosa volevi dire, prima di interromperti?»

Lanciando un’occhiata ai Campi Elisi e alle luminose anime che ivi dimoravano, Ade disse: «Potresti parlarne con qualcuno che ha conosciuto molto bene Athena, e che potrebbe dirti come la pensa tua figlia.»

«Vuoi dire…»

«Sì, voglio dire Miguel. Érebos gli ha restituito i ricordi, perciò non avrà problemi a dirti ciò che Athena pensava di te, e come eventualmente fare per chiudere una volta per tutte questa faida» asserì Ade, scrollando le spalle. «Sono stati sposati, e lui sapeva come prenderla.»

«Non soffrirà?» domandò cauto Zeus. Paradossalmente, l’idea di fare del male a quell’anima, lo turbava infinitamente.

Fu solo dopo qualche attimo, che ne comprese il motivo; indirettamente, avrebbe fatto soffrire Anita e Carlos, oltre alla figlia e il nipote, e lui non lo voleva.

Ade, però, scosse il capo e replicò: «Ci parlo spesso anch’io, e mi sembra felice di condividere i suoi ricordi. E’ un’anima assai particolare. Ti piacerà.»

Zeus si lasciò andare a un sorriso amaro e, tra sé, si rese conto di un altro atroce particolare. Sarebbe stata la prima volta in cui avrebbe parlato a tu per tu con il primo marito di sua figlia. Davvero una cosa miserevole, da parte sua.

Ma, a quel punto, più in basso di così non poteva cadere. Poteva soltanto risollevarsi e risalire. E lo avrebbe fatto.

Dopotutto, era o non era il Padre degli dèi?
 
***

L’anima di Miguel era seduta ai bordi di un placido laghetto, e sembrava intenta a studiare il movimento dell’acqua sospinta da un dolce venticello primaverile.

Nei Campi Elisi, tutto era splendido, verdeggiante e profumato, e persino un animo piuttosto rude come quello di Zeus trovò quei luoghi splendidi alla vista.

Fasulli, certamente, ma un ottimo viatico per la pace eterna per le anime che si erano guadagnate un simile ringraziamento per le buone azioni compiute in vita.

Quando Zeus infine avvicinò l’ex genero, il bagliore dell’anima si intensificò, forse denotando sorpresa e, non appena il dio si accomodò al suo fianco, questa si rilassò, tornando a tonalità più tenui.

Intrecciando le braccia sulle ginocchia ripiegate, Zeus esordì dicendo: «Ti ricordi di me? Ci incontrammo quando Athena portò via Alekos dall’Oltretomba.»

L’anima assentì e una voce tenue e pacata asserì: “Mi ricordo di voi, sommo Zeus. Come mai siete qui? Athena ha fatto i capricci?”

Sorridendo ironicamente, la divinità scrollò le spalle e replicò: «Forse li ho fatti più io, di lei, e ora non so come rimediare. Come ben saprai, non ha un carattere esattamente docile.»

“Su cosa vi siete scontrati, se è lecito chiedere?”

«Sul mio rapporto con le donne.»

L’anima allora rise dolcemente, senza alcuna volontà di deridere Zeus e, con semplicità, disse: “Athena era solita lagnarsi del fatto che, essendo vostra figlia, sentiva fin troppo spesso i vostri pensieri più… sporchi?... e anche per questo si era allontanata da casa. Diceva che aiutava a non sentirli.”

Sospirando, Zeus annuì torvo e borbottò: «Temevo sarebbe successo. Quando partorisci una figlia dal tuo cervello, accadono cose strane.»

“Non vi ha mai rammentato con vera rabbia, però. Sembravano piuttosto le lagnanze di un figlio unico con il proprio genitore un po’ distratto. Un segno di affetto, mascherato da lamentela.”

«Ora, però, la lamentela è reale. E non so come fare per scusarmi» ammise Zeus, reclinando mogio il capo.

Quanto aveva sentito, in effetti, sua figlia, per sentirsi obbligata ad allontanarsi da casa per decenni interi? Quanto, la sua vita dissoluta, aveva finito con il logorarla e renderla così invisa a lui?

Artemide non aveva sbagliato, ad accusarlo di aver massacrato le donne che aveva di avere accanto a sé nel corso della sua esistenza. E non soltanto per quanto riguardava le sue amanti.

Il suo tocco aveva lacerato le anime delle sue figlie e, molto probabilmente, gli aveva reso inviso anche i figli maschi.

“Athena ama i fiori. Regalatele un fiore e delle scuse sincere, dopodiché chiedetele di parlare con lei nel luogo che più apprezza. Ma siate onesto, perché ha la terribile abilità di capire chi dice bugie” dichiarò Miguel dopo alcuni attimi di silenzio.

«Il luogo che più… apprezza?» esalò Zeus, davvero confuso.

L’anima si illuminò, forse divertita dalla sua ignoranza.

“Portatela al Giardino Giapponese di Los Angeles. Lei lo adora, perché dice che quei luoghi le danno pace e serenità, anche quando è irritata con il mondo. Sarà un buon posto dove parlare.”

Zeus assentì e, contrito, mormorò: «Vorrei ringraziarti in qualche modo, ma non saprei davvero come.»

“Fate pace. Sarà bello sapere da Persefone che tutto è andato per il meglio.”

La divinità gli sorrise piena di gratitudine e, nel levarsi in piedi, asserì: «Ade ha ragione. Sei davvero un’anima unica, e ora capisco perché mia figlia ti abbia amato tanto.»

“E’ stato facile amare Athena. E ora che so che sta con una persona che la ama, sono ancor più felice, perché so che non rimarrà mai sola. Ringrazio Érebos ogni giorno, per questo.”

«Anche se è lui, al suo fianco, e non tu?»

“So bene che io non avrei mai potuto che essere una parentesi, nella vita di Athena. Lei è una dea, e io ero un mortale. Per quanto ci amassimo, il tutto era destinato a finire ma, proprio perché l’amavo, e sapevo che lei mi riamava, temevo potesse soffrire di solitudine, una volta che io me ne fossi andato. Quando perciò ho saputo che qualcuno come Érebos la amava e si prendeva cura di lui, sono stato felice, perché il mio desiderio era stato esaudito.”

Zeus assentì gravemente e, dopo un ultimo ringraziamento, si allontanò dall’anima per tornare sull’Olimpo.

Miguel gli aveva posto dinanzi agli occhi l’unica realtà che non aveva mai preso in considerazione durante la sua lunga vita; l’altruismo contrapposto all’egoismo.

Se l’anima del mortale rappresentava l’altruismo, lui era il caposaldo dell’opposto. Dell’egoismo puro e sfrontato.

Questo aveva rappresentato, per millenni e millenni, ed era servita la voce pacata e gentile di un’anima mortale, per rendersene conto.

Sorridendo tristemente tra sé mentre riemergeva dall’Oltretomba, Zeus si chiese se, i fantomatici poteri divinatori di Alekos, non dipendessero in toto dall’anima gentile di suo padre.

Era mai possibile che un semplice umano avesse condizionato così tanto il frutto del suo amore con una divinità?

Da quel poco che aveva sentito, e visto, poteva davvero essere così.

Se un semplice umano era riuscito a emergere a quel modo, divenendo un’anima senziente di rara purezza, lui si sarebbe messo d’impegno per non essere da meno.

In gioco c’era il suo rapporto con le figlie, e non era più il momento di cincischiare. Doveva agire.







N.d.A.: Artemide ha voluto giocare pesante per cercare di smuovere la coscienza del padre e, per tutta risposta, Zeus ha cercato aiuto in Miguel. Il punto è; avrà veramente capito i suoi errori o, come al solito, ne combinerà una delle sue?












 
  
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