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Autore: thithdouthchebag    01/11/2019    1 recensioni
Il tempo di Asahi e Nishinoya sta per scadere; quello di Bokuto e Akaashi deve ancora iniziare.
Per Oikawa e Iwaizumi non c'è tempo da perdere; per Kuroo e Kenma tutto il tempo che hanno non è abbastanza.
Genere: Angst, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Piove sulle tue ciglia nere sì che par tu pianga ma di piacere

ATTO PRIMO:
Ottobre, o meglio
Tetsurou viene perquisito e pensa a Kozume.

___________________


 

Tetsurou non aveva mai visto un incendio da vicino, perciò, anche se quella che stava bruciando nel giardino di Sawamura era una pila di sedie, foglie secche e immondizia, ne rimase comunque impressionato. Anche se era piccolo, anche se Tetsurou non si era avvicinato più di tanto come invece avevano fatto Yaku e una decina di altri invitati, sentiva comunque il calore delle fiamme sul volto.

I pompieri ci misero poco ad arrivare e ancora di meno a spegnere l’incendio.

La polizia ci mise un po’ di più e passò mezz’ora prima che riuscisse a convincere una folla di adolescenti su di giri a rientrare in casa. A discolpa dei due poliziotti, Tetsurou doveva ammettere che buona metà delle persone che si aggiravano attorno alla pila mezza bruciata era ubriaca o quasi e l’altra metà era solo elettrizzata all’idea di disobbedire alle autorità.

Piano, con la lentezza tipica degli studenti del liceo, Tetsurou e i suoi compagni di scuola tornarono nel salone dove si era tenuta la festa, che adesso era illuminato a giorno.

Quando i genitori di Daichi Sawamura irruppero in casa propria, trovarono cinquanta paia di occhi estranei a fissarli. La madre, in tailleur e con dei tacchi vertiginosi ai piedi, sembrava una giraffa. Il padre, invece, era alto e quadrato, un grattacielo.

Strinse la mano a un poliziotto, poi all’altro, e si presentò con voce chiara e forte, in modo che tutti i presenti sentissero le sillabe del suo nome rimbombare nelle loro menti. Sawamura Takahiro, piacere.

“Quello è Daichi tra trent’anni,” bisbigliò Yaku.

Nello stesso istante in cui Tetsurou rise alla battuta, si alzarono degli sghignazzi da dove Iwaizumi e i suoi amici erano appollaiati sul bordo del divano.

“Silenzio!” sbraitò uno dei poliziotti.

“Non ci credo che hai riso,” disse Kai.

“Non ci credo che hai rischiato di soffocare,” replicò lui.

Touchè.

“No, il francese mi fa venire da vomitare,” disse Sugawara, pressato tra Azumane—che lo stava sorreggendo con un braccio attorno alla vita— e la spalla di Tetsurou. “Che figura ci faccio con i genitori di Daichi, poi?”

Tetsurou avrebbe voluto rispondergli che il fatto che fosse ubriaco fradicio era evidente anche a metri di distanza e in nessun universo poteva sperare che la madre impeccabile del suo ricchissimo fidanzato non avesse notato lo stato pietoso in cui si ritrovava, ma Sugawara era ubriaco fradicio, appunto, e prese a canticchiare sottovoce la Vie en Rose.

“Ve lo chiederemo e voi risponderete,” disse uno dei poliziotti, quello che non era occupato a squadrare Sawamura dalla testa ai piedi. “Cercate di collaborare. Chi è stato ad appiccare l’incendio?”

Sawamura si tolse il distintivo finto dalla camicia e raddrizzò la schiena. “Non lo sappiamo.”

Quelli che prima erano solo bisbigli aumentarono consistentemente di volume. Un coro dissonante di “Io non sono stato di certo!”, “Noi eravamo di sopra”, “Che festa assurda!” riempì la stanza, solo per essere smorzato in fretta dai poliziotti.

“Chi ci dice che il colpevole non sia scappato prima del vostro arrivo?” La voce di Daishou si alzò nel silenzio che seguì e le cinquanta paia di occhi si diressero verso di lui, in piedi, appoggiato allo stipite del balcone. “Quando eravamo tutti fuori?”

Tetsurou scosse la testa. “Adesso stiamo giocando ai piccoli detective,” borbottò.

Guardò Bokuto, accanto a Daishou, corrugare le sopracciglia, incrociare le braccia per poi lasciarsele ricadere lungo i fianchi. Tetsurou cercò di attirare la sua attenzione agitando una mano, ma Sugawara gli diede uno scossone. “Sta’ fermo.”

“Forse non avete capito,” sbottò il primo poliziotto. “Appiccare un incendio è un crimine perseguibile per legge. È una cosa grave. Fareste meglio a parlare.”

Tetsurou pensò che era vero che l’incendio doloso fosse un crimine, ma era anche vero che quel piccolo falò nel giardino di Sawamura non aveva causato alcun danno irreversibile e nessuno era rimasto ferito. La notte di Halloween succedevano cose ben peggiori di quella. Forse che i poliziotti l’avessero dimenticato?

Un nuovo coro di voci indignate si alzò in risposta all’uomo.

“Potrebbe essere stato chiunque da fuori,” disse qualcuno. “Non è colpa nostra.”

“Io devo tornare a casa per mezzanotte,” fece qualcun’ altro.

“Oh no!” esclamò Sugawara. Si piegò su se stesso, stringendosi lo stomaco. Poi, barcollante e con una mano premuta sulla bocca, corse via. In lontananza, si sentì un conato di vomito.

La madre di Sawamura guardò il figlio con l’espressione più incredula che Tetsurou avesse mai visto e Sawamura, dall’altro lato della stanza, si grattò la nuca e fece segno ad Azumane di andare dietro a Sugawara.

“Ragazzini,” sputò il secondo poliziotto. “Va bene: mi sono stufato. Chiamate i vostri genitori, fatevi venire a prendere. Tutti.”

Adesso le voci divennero vero e proprio baccano. “Perchè?” ,“Io abito a due minuti da qui.” ,“È ridicolo.”

Papà sta dormendo, pensò Tetsurou. Domani deve andare a lavoro presto.

“Non si discute,” disse il poliziotto, tentando di sovrastare il gran vociferare. “Dobbiamo controllare che nessuno di voi corra pericoli. Muovetevi. Altrimenti di qui non ve ne andate.”

“Per favore, ragazzi.” Il padre di Sawamura assunse una postura che tradiva la sua esperienza nel parlare alle folle e, pian piano, tutti si zittirono. “So che è un fastidio per voi e i vostri genitori, ma cerchiamo di risolvere la questione pacificamente.”

Tetsurou sbuffò. Mentre recuperava il cellulare dalla tasca dei jeans notò Tooka imboccare un corridoio e sparire. L’aveva persa di vista, prima, quando si era sparsa la voce dell’incendio e tutti si erano affrettati in giardino.

Questo è il mio numero di telefono, gli aveva detto. Se ti va chiamami, o messaggiami.

Tetsurou sospirò e aspettò che suo padre rispondesse.

Vide che Sugawara era riemerso dalle tenebre e ora era seduto sul divano accanto ad Azumane, che si guardava intorno con un’espressione preoccupata in volto. Sembrava lui quello sul punto di vomitare, adesso.

Vide Bokuto fissare Daishou ad occhi spalancati e Daishou sorridere un sorriso lento, viscido, da vipera.

Vide Iwaizumi portarsi un cellulare all’orecchio, incontrare il suo sguardo e stringersi nelle spalle.

Ci vollero tutti gli squilli perchè suo padre rispondesse al telefono.

“Che succede?” chiese, la voce incrostata di sonno.

Tetsurou si sentì terribilmente in colpa. L’ultima cosa che voleva era che il suo esausto padre si mettesse in macchina a notte fonda e guidasse per mezz’ora solo per recuperarlo da una festa a cui per poco non gli aveva neanche dato il permesso di andare. “Puoi venirmi a prendere? C’è stato un incendio e adesso la polizia—”

Tetsurou sentì il frusciare delle coperte, immaginò il modo in cui suo padre era saltato giù dal letto e si diede dello stupido. “Tetsurou! Che stai dicendo? Tu stai bene? Un incendio?”

“Sto bene, sto bene. Non è successo niente,” disse, frenetico. “È solo che non ci fanno andare via senza un adulto.”

“Arrivo subito. Non muoverti di lì.”

Quando però suo padre arrivò effettivamente, la maggior parte degli invitati si era dileguata e uno dei poliziotti lo stava perquisendo.

In cerca di droga e altro.

Hanshiro Kuroo fece il suo ingresso nel salone accompagnato da Takahiro Sawamura e se Yaku fosse stato lì avrebbe detto, “Quello sei tu tra trent’anni.”

Si era infilato un cappotto sopra il pigiama, aveva delle scarpe da ginnastica ai piedi che non si era tolto per entrare in casa, e i capelli piegati dal lato che aveva tenuto premuto sul cuscino.

“Oh, grazie al cielo,” disse, quando lo vide. Poi si rivolse al poliziotto che gli stava infilando le mani nelle tasche del camice. “Che cosa ha fatto?”

“Protocollo, signore,” rispose l’uomo. “Questa cos’è?”

“Una provetta,” rispose Tetsurou. C’era della polverina rossa dentro, che il poliziotto agitò allegramente. Era del banalissimo gesso colorato che lui e Kozume si erano divertiti a polverizzare quel pomeriggio per simulare il fosforo. “Sicuro?” Il poliziotto aprì la provetta e si versò il contenuto sul palmo della mano.

“Guardi che è gesso,” rispose Tetsurou, irritato. “Può anche annusare, se vuole.”

“Tetsurou!” Hanshiro incrociò le braccia e prese a battere ritmicamente un piede sul pavimento.

Tetsurou deglutì. “Mi scusi,” disse al poliziotto.

“Vai vai,” rispose quello agitando due dita.

Prima di andare via, Tetsurou salutò Sawamura con un colpetto sulla schiena e disse. “Bella festa, Daichi.”

I genitori di Sawamura lo fissarono a bocca aperta. I pochi ragazzi ancora presenti nel salone, tra cui Daishou, presero a bisbigliare, guardandolo di sbieco. I poliziotti rizzarono le orecchie.

Hanshiro, a quel punto, lo strattonò per una manica, strinse la mano al padre di Sawamura— il grattacielo, Takahiro Sawamura, che lo faceva sembrare un fuscello, a confronto— e fece un mezzo inchino.

“Scusatelo, non sa quello che dice,” ridacchiò. Una volta in macchina, Hanshiro gli disse che doveva smettere di scherzare, che quella era una cosa seria e qualcuno sarebbe potuto finire in prigione. Tetsurou guardò le sue occhiaie e i suoi capelli spettinati e pensò alla nonna, a casa, che li stava sicuramente aspettando in cucina, a leggere da sola, e decise di fare il bravo figlio e dargli ragione.

Durante il tragitto in auto si rigirò il cellulare tra le mani. Adesso aveva un nuovo numero in rubrica e non sapeva che farsene.

Voleva mandare un messaggio a Kozume. Aveva voluto farlo per tutta la serata, ma temeva di sembrare disperato, perciò si era trattenuto.

Lui e Kozume stavano insieme solo da due mesi, ma era una vita che Tetsurou pensava a lui e sentiva la sua mancanza ogni volta che non c’era e voleva scrivergli anche solo per dirgli che aveva innaffiato il suo nuovo cactus con un contagocce.

“Ti piacciono ancora, i maschi?” gli aveva chiesto Kozume, a fine agosto. Pioveva a dirotto.

Tetsurou aveva inghiottito a vuoto. “Mi piaci tu.”

Kozume l’aveva baciato.

Era la seconda volta che lo facevano.

La prima—quando era stato un Tetsurou quattordicenne a chinarsi su di lui e a premere le loro labbra le une contro le altre, tremando dalla testa ai piedi—Kozume aveva detto, “Due ragazzi non possono stare insieme, Kuro” e gli aveva spezzato il cuore.

Cosa gli avesse fatto cambiare idea, in quasi tre anni, Tetsurou non lo sapeva.

C’è stato un incendio, sto tornando a casa,
gli scrisse adesso, anche se si era ripromesso di non farlo prima di arrivare a destinazione.

La risposta di Kozume fu quasi immediata. Che cazzo dici?

Poi, Sei serio?

Poi, Stai bene?

Ad ogni nuova notifica, Tetsurou si sentì pervadere da un senso di orgoglio malato e macabro trionfo. Kozume era preoccupato per lui e per un istante ne fu anche felice. Si chiese se con il suo messaggio non avesse voluto provocare esattamente quella reazione in lui e il pensiero gli diede la nausea, perciò iniziò a spiegargli la situazione per filo e per segno, cercando di digitare il più velocemente possibile.

“Kenma?” fece Hanshiro.

“Mh,” rispose Tetsurou. “È a una festa da Yamamoto.”

“Questo Daichi è un tuo compagno di squadra?” chiese suo padre.

A Tetsurou non sfuggì il cambio repentino di argomento. “Il capitano. Chissà se avrà ancora intenzione di festeggiare qui i suoi diciotto anni dopo oggi.”

“Credo di sì” Hanshiro imboccò una curva, poi un’altra. “Insomma, stasera non è successo niente.”

“Speriamo,” disse Tetsurou. Inviò il messaggio chilometrico a Kozume. “Volevo andarci con Kenma.”

Hanshiro strinse i pugni sul volante, sospirò, guardò la strada davanti a lui. “Perchè non ci porti quella ragazza, quella che lavora alla pizzeria. Tooka?”

“Non è con lei che sono fidanzato, però.” Hanshiro sospirò di nuovo, più forte, e Tetsurou ci provò, ci provò davvero a fare il bravo e a lasciarlo stare. Suo padre era stanco, tutto qua. Quando si sarebbe riposato avrebbe capito.

Ma ormai litigavano sempre per la stessa cosa.

“Quand’è che la smetterai con questa storia?” Hanshiro se ne uscì con la sua solita domanda.

“Quand’è che la smetterai di chiamarla storia?” Tetsurou se ne uscì con la sua solita risposta.

Una volta arrivati a casa, Hanshiro andò dritto a letto dicendo che aveva bisogno di dormire e che mancavano poche ore alle sei.

Sua nonna lo salutò, capì immediatamente che Tetsurou e suo padre avevano avuto una discussione—l’ennesima— e insistette per accompagnarlo a letto come quando era piccolo. Quando fu sotto le coperte, allungò una mano e gli sfiorò i capelli, come faceva quando Tetsurou aveva otto anni, sua mamma era appena morta e non riusciva a dormire senza una storia della buona notte.

Misaki Kuroo soffriva di artrite da quando Tetsurou la conosceva, ma aveva sempre insistito sul fatto che accarezzare i nipoti era per lei una cura. Lui ci aveva creduto fino a dieci anni e fino a dieci anni aveva fatto in modo, in presenza di sua nonna, di sfiorarla sempre in qualche modo, perché era convinto di farla stare meglio. Adesso, però, capiva di non essere un qualche amuleto magico e vedeva il modo in cui quel semplice gesto la faceva soffrire.

“Perdona tuo padre,” sussurrò lei, poi. “Si arrabbia perché teme di non conoscerti. Non sa come comportarsi.”

Tetsurou sentì un nodo in gola. Era da quando aveva tredici anni che ripeteva al padre che a lui le ragazze non piacevano, preferiva i ragazzi. Come poteva non conoscerlo?

“Basta con quella faccia,” fece Misaki.

A sua nonna non piaceva quando Tetsurou metteva su il broncio, a suo padre non piaceva che amasse il suo amico d’infanzia.

“L’amore,” disse Misaki, infine, a mo’ di buona notte. “Fa sempre male.”

Tetsurou rimase sveglio a fissare il soffitto per un bel po’ dopo che lei se ne fu andata, senza riuscire a prendere sonno. Il cellulare, sul comodino, si illuminava a intermittenza.

Erano tutti messaggi di Kozume a cui Tetsurou non aveva risposto. Gli ultimi tre erano di quindici minuti fa:

Sto tornando a casa, adesso.

Stai dormendo?

Scusa, che domanda stupida.

Il telefono gli vibrò tra le mani un’ultima volta.

Un Buonanotte apparve sullo schermo, sotto il nome di Kozume, e Tetsurou sorrise.

Inspirò, espirò e, per qualche motivo, riuscì ad addormentarsi non appena ebbe chiuso gli occhi.



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Note:

"[...]Piove sulle tue ciglia nere
sì che par tu pianga
ma di
piacere [...]"- Gabriele D'Annunzio, Alcyone, La pioggia nel pineto.

   
 
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