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Autore: Cassandra Morgana    31/07/2009    1 recensioni
Un tiranno ed una città a un soffio dalla guerra civile.
Un gruppo di ragazzi improvvisati ribelli, persi nelle sfuggenti sfaccettature del loro essere e del loro ruolo, fra le trame di un complesso interagire nel mondo.
Una minaccia soffusa che aleggia nell'aria...
Un luogo immaginario e un momento storico immaginario, "riconducibile" al XVIII secolo europeo.
Benvenuti a Noir Trésor!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Noir Trésor ~'
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Capitolo 22

Lenzuola stropicciate

 

 

- Dorian? Sono io.

Fernand avanzò tentoni nella penombra, non prima di essersi richiuso la porta alle spalle. Braccia strette sul petto, si lasciò andare accanto al focolare spento, il sole cocente di mezzodì che arroventava l’aria al di là delle imposte chiuse, il caldo alito primaverile sopraggiunto troppo bruscamente a infiacchire i suoi passi – e il bizzoso mutare del vento, troppo secco e repentino, verso sera, per rinunciare allo scudo simbolico di un rigido soprabito, ingombrante carezza sulle spalle.

Un profumo dolciastro di fiori di campo catturò i suoi sensi come un assalto prepotente, forzò le maglie sottili del silenzio e della penombra che facevano da taciturni compagni alla sua attesa, e Fernand considerò quanto non fosse propriamente un toccasana, per uno che rientrava da un funerale.

Scosse il capo, vano tentativo di sgombrare la mente dalle accidentali, confuse corrispondenze che sentiva propagarsi spontanee in lui, dalla mente fino alle estreme propaggini sensoriali, destabilizzandolo. Sospirò: lui desiderava solo un rifugio momentaneo in qualche breve istante tranquillo, la mente vuota e i secondi che scorrono fra le dita, ma un senso d’oppressione al petto gli impediva d’ingannarsi fra innocui dettagli.

Pensò al funerale. Aveva voglia di piangere.

 

Ambrosie: non l’aveva individuata subito nel chiaroscuro della navata gremita, nella massa priva di colori e di volti – solo vesti scure, bisbigli e sguardi palpitanti, e un senso soffocante d’attesa.

Solo in un secondo momento i suoi sensi erano riusciti a modellarsi su quella sorta di composto estraniamento, i fumi densi d’incenso che gli bruciavano in fondo alle pupille.

Ecco i suoi ribelli, macchie d’inchiostro solitarie, disseminate nella moltitudine, qua gli uomini, là le donne; Ambrosie celata sotto la veletta scura, Auguste che non sembrava più neanche umano; e il brusio e i graffi delle spine di rosa nell’atto di deporre i fiori sulla bara, nell’intreccio caotico di mani pietose.

E quel persistente, ineffabile timore che gli pungeva il petto, trepidante sentore di assenza che gli scavava una voragine nel cuore.

La paura che Auguste cedesse al gelo della sconfitta. Che da un momento all’altro venisse a mancargli l’aria, soffocato, sprofondato in quell’ossimoro di caotica solennità; che perdesse le redini di quell’irreale autocontrollo, smarrito in fondo al cieco labirinto della propria disperazione.

Perché sarebbe caduto con lui.

E i Mirand. Li aveva scorti di sfuggita, solo un attimo, al termine della funzione, nello spiazzo antistante alla chiesa – doveva presumibilmente averli avuti dinnanzi agli occhi per tutta la durata delle esequie, pur essendosene avveduto solo in quel momento.

Un persistente campanello d’allarme gli era esploso nella mente, mentre gli occhi scrutavano spasmodicamente ogni volto lungo la sua traiettoria in un caotico, infernale viavai. Alla ricerca di lui.

Ma Auguste aveva provveduto quanto prima a sottrarsi alla vista.

E questo, Fernand non l’aveva previsto. E da lì l’aveva perso.

 

- Fernand, sono in camera. Io… Non credevo fossi già di ritorno.

Fernand lo ringraziò mentalmente per aver provvidenzialmente spezzato il suo involontario, meticoloso ripercorrere ogni istante del proprio limbo. Sbatté le palpebre sotto i colpi leggeri di quel richiamo suadente, ovattato, e fece per raggiungerlo.

 

- Tu… Tu sei un incosciente! Si può sapere cosa ti passa per la testa?

Fernand si prese il volto fra le mani, le palpebre ostinatamente socchiuse nello strato denso di vapore che l’aveva schiaffeggiato in pieno petto, i sensi invasi da quel profumo delicato che ben presto si era sostituito di prepotenza ad un preesistente sentore d’amarezza, di ombra indecifrabile che gli martellava nella mente.

Che l’aria stessa possa risentire della paura appiccicata alle pareti?

L’abisso che non conosci, può avere un odore?

Vide Dorian inarcare placidamente il sopracciglio, immerso fino al petto e alle ginocchia in quella tinozza d’acqua calda, i capelli bagnati che gli gocciolavano sulla schiena nuda, la mano coperta da una fasciatura sottile tenuta compitamente fuori, le dita che sfioravano distratte il pavimento, e ogni piega di tensione dissolta sul suo viso.

Fernand deglutì, cercò di distogliere lo sguardo, l’impatto fresco della visione che gli rimbalzava nella mente, attutita dal caliginoso strato di vapore che ottundeva i contorni.

- Cosa c’è che non va, stavolta, mon ami? Preferivi che me ne stessi tutto sfatto?

- Sei pazzo! Se… se per disgrazia ti fossi sentito male, non ci sarebbe stato nessuno ad aiutarti: a questo avevi pensato?

- Basta così, Fernand… – Dorian lo liquidò in un mugolio annoiato, gesticolando pigramente in quella che pareva una blanda negazione – Io. Sto. Bene. Non so se dovrò scrivermelo da qualche parte e firmarlo dieci volte, prima che te ne convinca del tutto, ma sto così bene che potrei addormentarmi.

- Ecco, appunto. Può bastare.

Fernand indugiò davanti alla porta, incerto se restare oppure uscire, lasciandogli il tempo di risistemarsi.

- No, resta! – gli occhi di Dorian si dischiusero limpidi su di lui, precedendolo, quasi avesse deciso solo in quel momento di degnarlo della sua completa attenzione.

Incrociò le gambe con disinvoltura, il movimento flessuoso appena percepibile tra le crespe sfilacciate di schiuma. Le linee sinuose d’ambra pallida, l’intreccio delicato della muscolatura che emergeva in controluce, a Fernand parevano configurarsi davanti a lui come parte integrante della caligine sottile che intrappolava le sue percezioni.

Sbatté le palpebre, i sensi impigliati fra contorni evanescenti, soffusi. Non era pronto a riprendere il controllo, a costringere il suo volto in una maschera risoluta, a dirgli vestiti, ora, Dorian, ho bisogno di parlarti. Troppo fragile, la mente imbrogliata altrove.

- Fernand, ti senti bene?

Il giovane annuì, gli occhi lucidi.

- Auguste? – azzardò Dorian.

- Sparito così com’è arrivato – gli soffiò impercettibilmente Fernand, quasi a voler allontanare i suoi pensieri come pulviscolo nell’aria.

- Mi dispiace, Fernand. Avrei dovuto esserci – Dorian si morse nervosamente l’unghia – Anche se Auguste… Non mi voleva, sì, si era ben capito.

- Volevi goderti un po’ di sana, ingessata formalità. E certe facce…! – Fernand rabbrividì – Beh, alla fine ti consolerà se non altro sapere che Raphäel era con lui. Già, Raphäel, l’amico di tutti; la sua presenza era da protocollo.

- O magari… Che ad Auguste servisse la solita spalla per la sua commedia quotidiana. A questo hai pensato, Fernand?

- Non parliamo di Auguste, per favore! Almeno, non in questi termini. È già distrutto di suo, senza bisogno che qualcuno infierisca.

- Se davvero volessi elencarti ogni singolo motivo su cui poter eventualmente infierire, Fernand, allora fai finta che non abbia mai detto nulla! Auguste dovrebbe almeno imparare a non nascondersi dietro al solito dito. Oh, sono troppe, troppe le cose che non sai! – soggiunse Dorian in un sussurro appena udibile – D’accordo: come non detto – lo anticipò – Non ho voglia di litigare.

Ma Fernand non lo ascoltava più; tratteneva il fiato, la mente rapita da ciò che vedeva emergere lentamente dinnanzi ai suoi occhi nella sua struttura portante: la crescente certezza, dentro di lui, che ancora una volta Dorian stesse giocando senza scoprirsi: sornione, vestito solo di sottili ricami di vapore, tergiversava, scagliava il dardo, saggiava di soppiatto le sue reazioni e prendeva le misure, studiando il momento esatto per colpire, in che modo colpire, quali corde far vibrare.

Veloce, si liberò della giacca, la camicia allentata sul collo che si arricciava in pieghe sottili sui gomiti e sulle spalle. Boccheggiava, la gola inaridita, il ribollio del sangue a percuotergli le tempie per il repentino accesso di calore al viso. Gli occhi lacrimavano sotto l’impertinente, destabilizzante carezza di quel profumo ingannevole.

Nulla era casuale. Dorian aveva qualcosa in mente: aveva allestito la scena con l’accortezza di uno stratega, e gli sguardi penetranti e furtivi che di tanto in tanto gli piantava in volto, dovevano di certo far parte di quella fine, complessa strategia illusoria. Persino la nudità sfacciata, appena celata sotto nubi leggere di schiuma.

 

Che scherzo è questo, Dorian?

Bastardo: tu avevi previsto. Avevi previsto ogni sfumatura.

 

Si sentì vacillare.

- Fernand? Sei sicuro di star bene?

Il giovane riuscì per un soffio ad evitare di scivolare sul pavimento umido. Si costrinse ad allacciare nuovamente lo sguardo a quello di Dorian, vago desiderio di rubare il segreto, la chiave di lettura dalla superficie di quelle iridi agitate da uno scintillio mutevole.

- Tu, piuttosto. Mi stupisce come possa non bruciare di caldo, là dentro.

Dorian scosse le spalle.

- C’è davvero tanto caldo qui dentro? Sarà la tua impressione.

- No, non credo – Fernand agitò il braccio in un ampio gesto, cercando di diradare quella caligine opprimente che, con ogni probabilità, doveva esistere unicamente nella sua testa, come parto imperfetto di una mente che amplifica le percezioni.

In silenzio, Fernand si portò alle sue spalle. La pelle bagnata riluceva di deboli bagliori, sottili rivoletti d’acqua che si confondevano lungo la curva della schiena.

- Scusami se la situazione… – Dorian si tirò indietro i capelli fradici, descrivendo un minuscolo ricamo di gocce d’acqua sul pavimento retrostante – Come dire, potrebbe risultare… imbarazzante.

Fernand si strinse nelle spalle e sorrise compiaciuto.

 

E qua sei stato prevedibile, Dorian: sei meno astuto di quanto tu pensi, nonostante tutto.

 

- A dire il vero, non sono io quello che potrebbe eventualmente sentirsi in imbarazzo.

- Bravo.

Dorian si portò nuovamente sulla spalla la massa dei capelli intrisi d’acqua, scoprendo la base del collo.

Un’idea balenò furtiva nella mente di Fernand, fugace, repentina. Per un istante, fu tentato di scagliargli addosso qualcosa di poco contundente – un cuscino avrebbe fatto al caso suo. Poi sentì l’impronta rasserenante di un sorriso distendergli meccanicamente i muscoli del viso.

Dorian: lui, ancora una volta. Il Dorian che conosceva. Fantasioso, lunatico. Indecifrabile. Immagini contraddittorie in sospeso nella sua mente, realtà in apparente contrasto, caselle immaginarie prive d’incastro.

Aveva temuto da un certo momento in poi che la questione Raphäel prima, in un secondo momento Auguste, potessero in qualche modo segnare il discrimine fra loro. E lui avrebbe certo preferito che Dorian smettesse una volta per sempre di opporre quel muro di amarezza e sarcasmo, utile soltanto a distorcere ulteriormente la realtà, ogni qual volta il nome di Auguste rimbalzava sulle sue labbra. O quanto meno provasse a renderlo partecipe di quelle che potevano essere le sue ragioni. Gliene avrebbe parlato, ma non ora. Aveva detto e fatto abbastanza.

Nella sua mente si configurava la sola costante che, nel suo immaginario, fosse riuscito a circoscrivere su Dorian. L’amico affettuoso e comprensivo, i baci che si erano scambiati, il liquido contatto che bruciava su di lui. La reticenza apparente, le guance accaldate che bruciano di desiderio e qualche strascico d’imbarazzo. Un istante, un soffio, le labbra che si uniscono in un ipnotico, rasserenante tepore simile all’incoscienza. E magari era anche giusto che fosse andata così, o forse no. Non sapeva dirlo.

L’ossessivo, continuo ripetersi di un gesto, scandito dal trascorrere dei giorni e dalla paura di privarsene. Innamorarsi ogni giorno di una medesima scena di una medesima pièce, senza che l’emozione della novità venisse meno, ogni volta ignorandone paradossalmente l’epilogo sospeso a metà. Un puntuale ripercorrersi, con la stessa enfasi ossessiva, voluto, ricercato; rivivere il medesimo istante, le medesime sensazioni replicate all’infinito, sospese in un irrinunciabile rituale, con un prima e un dopo a far da momentanea cornice.

Seguì la curva delle sue spalle, l’armonia dei contorni.

E il suo nome, persino il suo nome pareva inconsapevolmente rimarcare le morbide volute color grano dei suoi capelli, gli spigoli appena accennati che scandivano i tratti del suo viso. Dorian: la durezza iniziale, l’esplosione preceduta dalla lingua che batte sugli alveoli, per poi scivolare con dolcezza fino a sfumare.

Non lo stava ingannando. Non mi sto ingannando, si ripeté.

Voleva però cavarsi il dubbio, afferrare le sue intenzioni. Ed ora aveva la possibilità di suggellare, di raccogliere qualcosa che, per qualche istante, aveva temuto di smarrire.

Dorian tremò, quando la sua mano gli sfiorò la spalla, indugiando lenta lungo il petto.

L’avrebbe baciato di nuovo, fino ad imprimersi in lui, senza perdersi ancora una volta nel suo alienante vicolo cieco, rivivendo tutto da principio come un’inappagata ossessione. Perché era stato lui stesso ad innescare il meccanismo, sin dal momento in cui, fingendo di dormire, aveva ricambiato il suo bacio per la prima volta.

Avvertì sotto le sue labbra la pelle sottile dell’orecchio; sorrise, quando lo udì trasalire: doveva aver catturato il suo punto debole.

- Fernand…

Dorian si ritrasse, sornione. Senza vederlo in volto, Fernand ebbe quasi la certezza che avesse socchiuso le palpebre, anticipando la sua resa. Reclinò il capo all’indietro.

 

Attento, Dorian: sei stato astuto, devo sinceramente complimentarmi con te, ma avevi dimenticato di mettere in gioco te stesso, il tuo ruolo in primo piano.

 

- Ti piacciono le cose a metà? – il debole sussurro fuggì dalle labbra di Fernand quasi involontario, sciolto dai vincoli della ragione, confuso intreccio di parole e pensiero.

Percepì appena il leggero vibrare della sua voce sulla pelle di Dorian.

- A dir la verità, le adoro – Dorian si morse il labbro – Adoro la possibilità di lasciarmi andare a qualcosa che amo particolarmente. Che forse verrebbe meno, sottoposto a un razionale divenire.

- Interessante teoria… – Fernand si chinò su Dorian fino ad assaporarne pienamente il profumo.

In silenzio, incurante della propria camicia che s’inzuppava a contatto con il corpo bagnato, lo circondò con le braccia, la pelle levigata del ventre che scorreva sotto le sue dita.

Aveva gettato lì sul tavolo la sua sfida, senza una logica in atto a supportare le sue stesse azioni, e ora l’avrebbe baciato, un’altra volta e poi ancora, se necessario, il desiderio che affiorava in punta di labbra, troppo palese agli occhi dell’altro.

Dorian parve assecondare la sua tacita richiesta; mosse le labbra sulle sue, poi, senza preavviso, lo morse delicatamente.

- Che fai?

- È… è meglio che mi asciughi.

Era arrossito.

Fernand distolse il viso: avrebbe potuto infierire, ma non era il caso.

- Buona idea, allora. Ti aspetto di là.

Dorian annuì col capo, un’impronta di sollievo così tangibile sul volto, che per poco Fernand non scoppiò a ridere: quasi di certo, a Dorian doveva essere balenato in mente che sarebbe stato troppo, davvero troppo – rifletté – palesargli di colpo, così incautamente, la propria eccitazione. Come se ciò non fosse stato implicito, senza bisogno di scrutarlo in basso, attraverso quel provvidenziale velo di schiuma che lo celava dalla vita in giù.

Fernand si limitò ad abbracciare con lo sguardo la stanza circostante.

Si erano tessuti a vicenda la stessa rete, e lui si era lasciato annebbiare la mente come da una melodia tremendamente allettante; complice e vittima, aveva dato il suo tacito assenso, ed ora non gli restava che completare l’opera trascinando anche Dorian con sé, senza implicazioni accessorie, senza pensare ad altro se non a far chiarezza con la sola luce dell’istinto.

Un fruscio alle sue spalle ridestò nuovamente la sua attenzione, e la figura di Dorian riemerse oltre la tenda che divideva la stanza in due ambienti.

- Vedo che ora ti senti più a tuo agio – Fernand lasciò scivolare il proprio sguardo su Dorian, i calzoni indosso e il torace scoperto.

- Sei strano oggi, Fernand. Cosa ti prende? – Dorian scosse il capo, stranito, allungando la mano sul suo viso fino a dirigerlo verso di sé.

- C’è che… Quel che è accaduto poco fa: avrei potuto anche offendermi – Fernand eluse con noncuranza la presa di quelle dita sottili sul mento.

Dorian sospirò.

- Volevo che ci pensassi almeno qualche minuto, prima di prendere qualunque decisione.

Era serio.

- Chi dice che ce ne fosse realmente bisogno? – Fernand scosse il capo, sibillino.

Dorian gli sorrise, indulgente.

- Qual è il tuo gioco, Fernand?

Un ghigno impercettibile attraversò il volto del ragazzo.

- No, Dorian: qual è il tuo.

- Nessuno in particolare. A parte, in questo preciso momento, cercare di capire cosa ti sta dicendo la tua mente.

Fernand annuì con fare impacciato.

- Beh, è abbastanza, se ti dico che… ad un certo punto, sembrava volessi chiedermi di fare l’amore con te, ma è come se qualcosa ti abbia fatto desistere improvvisamente.

Dorian distolse lo sguardo per qualche istante, soprappensiero.

- Può darsi.

- Non hai che da spiegare. Ci sono molte cose da cui potresti cominciare – Fernand agitò la mano come a voler abbracciare simbolicamente la stanza.

Avrebbe colto la sua provvidenziale occasione.

- Perché certe contraddizioni mi confondono terribilmente. Devo portare qualche esempio? L’indecisione che sembra accompagnarti costantemente; questo è qualcosa che davvero, in effetti, meriterebbe attenzione. Troppi punti in sospeso. Che motivi hai per non fidarti di Auguste, per dare puntualmente in escandescenze qualora si parli di fiducia. Cosa ci trovi in Raphäel. Il… perché dei tuoi atteggiamenti inconciliabili nei miei diretti confronti: lanci il sasso e ti tiri indietro. Mi baci come… Come se fosse sempre la prima volta, fingi che non sia successo niente, e poi torni all’attacco.

- Non lo so – Dorian si strinse nelle spalle, l’espressione troppo guardinga per apparire spontanea; sembrava nervoso – Se vuoi prenderla larga e andare di nuovo a parare su quel che è successo ieri notte, dovrai accontentarti del fatto che ne so quanto te.

- Non mi riferisco a quello, te l’ho spiegato, e non mi accontenterò di un “non so, non mi va di parlarne, è una storia lunga”.

- Da dove vuoi cominciare? – Dorian prese a spazzolarsi distrattamente i capelli umidi.

- Da Auguste… Ad esempio – rispose istintivamente il giovane.

- Da Auguste… – gli fece eco Dorian, come a voler radunare le proprie idee nel giro di un istante, selezionare ciò che sarebbe stato opportuno dire e ciò che invece non lo sarebbe stato – Non è una cattiva scelta. Prima, però, vorrei chiederti qualcosa anch’io – una luce indistinta gli percorse le iridi, lo sguardo saettò vivido su di lui attraverso lo specchio.

- Cosa…

- Com’eri quando eri piccolo, Fernand? – Dorian accavallò lentamente le gambe, come nel mezzo di una chiacchierata distensiva da assaporare tra ameni ricordi – Sai, me lo chiedevo. Ero curioso.

Fernand spalancò le palpebre, interdetto di fronte al brusco salto di prospettiva.

- Cosa c’entra ora questo…?

- Nulla di che. Pensavo - non chiedermi il motivo - a come fosse Fernand da bambino.

La cadenza della voce tradiva una tenerezza tale che le labbra di Fernand si distesero inavvertitamente in un sorriso.

- Un piantagrane come adesso, temo. Ma… Non capisco il tuo discorso. Sul serio. Ti ho… raccontato tante volte la mia storia, almeno per sommi capi… Sei tu, al solito, quello che parte all’assalto e poi rimane sul vago.

Dorian annuì distrattamente, come a voler fuggire qualche immaginario dettaglio.

- Lo credi davvero? Pensare che fino a stamattina ero in vena di confidenze!

- Ad esempio? – lo incalzò Fernand.

- Ad esempio – Dorian sollevò gli occhi al cielo, l’espressione turbata, le guance deliziosamente chiazzate di cremisi – Forse non ti ho mai raccontato veramente del mio primo periodo in città. Il fatto è che… mi ero invaghito di Lucien. Sì, esatto. La cosa andò avanti per mesi, da parte mia, con una convinzione tale da rasentare il patologico – sorrise dietro ad un improvviso velo d’amarezza – E oggi, guarda oggi, com’è strano che ben tre persone, fino all’ultimo momento e del tutto inconsapevolmente, abbiano quasi congiurato per tenermi segregato in casa senza lasciarmelo neanche salutare per l’ultima volta! Sarebbe quasi buffo, se le circostanze non fossero state così tragiche.

- Dorian, sei stato male tutta la notte, se te ne fossi dimenticato, e non devi assolutamente sentirti in colpa né biasimare chi ha preferito lasciarti tranquillo ed evitarti almeno i funerali. Se vuoi sapere come la penso – Fernand sollevò il viso con petulanza – è molto meglio che Lucien lo ricordi vivo. Per quanto riguarda il resto… Se davvero me ne avessi parlato in precedenza, dubito che avrei potuto dimenticarmi tanto in fretta.

Gli sfiorò la guancia con un tocco leggero, confidenziale, nelle sue parole l’intento di dirottare rapidamente il discorso là dove gli premeva, anche a costo di sommergerlo nel fiume di caotiche curiosità e considerazioni che gli si rimestavano nella mente.

- Hai parlato del tuo “primo periodo in città”, se non sbaglio – riprese – Se ho ben compreso, non era solo la mia impressione, da quando ti ho conosciuto, che anche tu venissi da fuori. Nord, immagino. E… se così fosse, chissà, forse hai anche qualche antenato aristocratico. Molte famiglie nobili hanno ascendenza nordica.

- Basta così, Fernand!

Gli occhi di Dorian luccicavano imperiosi sotto un precario ventaglio di lacrime parzialmente trattenute.

Fernand trasalì. Si costrinse infine a tacere, stordito. Ancora una volta, senza avvedersene, doveva essere andato a sfiorare inavvertitamente corde troppo suscettibili d’essere scosse.

- Dorian? Tutto bene? – riprese in un timido sussurro – Fammi capire almeno cos’ho detto di male, se non chiedo troppo.

- Non… Oh, ti prego, lascia stare! Davvero.

Fernand vide il volto di Dorian infiammarsi di una decisa sfumatura purpurea. Lottava per contenere l’agitazione che gli faceva tremare le dita, le vene percorse dal battito martellante sotto il suo stesso tocco, gli occhi lucidi.

Di colpo, Fernand si trovò chino davanti a lui, seduto sui talloni, le dita sottili strettamente intrecciate a quelle dell’amico, a lenire quell’esplosione d’angoscia repentina.

- No, Dorian. Non lascerò correre – si risolse – Non posso non sforzarmi quanto meno di capire.

Dorian gli accarezzò distrattamente i capelli, l’espressione combattuta.

- Mi hai accennato tante volte al tuo passato, Fernand – riprese con voce pacata in capo a lunghi istanti in cui era parso del tutto assorto a riordinare disorganici ammassi di pensieri – E… Non riuscirò mai a dirti quanto mi abbia fatto piacere. Ti sarai chiesto sicuramente cos’avrò fatto in tutto questo tempo – una pausa grondante tristezza, lo sguardo che fuggiva, l’inquietudine che gli si addensava nella voce – Ecco: me lo sono chiesto anch’io.

- Cosa ti sei chiesto? – di riflesso, Fernand serrò la presa sulle sue mani.

- Cosa sono stati per me gli anni di cui non ricordo quasi nulla, Fernand. Escludendo il raccontino mal costruito che Auguste avrà imbastito anche a te, non appena gli si sarà presentata l’occasione, sul perché mi abbia raccattato, chissà come, chissà dove, e un mucchio di altre balle – soggiunse in un guizzo irritato.

- Non ricordi? C-cos’è che… non ricordi? Posso aiutarti? In… che senso non ricordi? – Fernand sbatté nervosamente le palpebre, interdetto.

Sentì il proprio cuore saltare un battito, e per poco non cadde a sedere sul pavimento.

- Nel senso letterale del termine: che ad un certo punto… c’è come un vuoto, e tutto il resto è incomprensibile e confuso, e non mi fido di Auguste. E questo, almeno, posso provarlo. Ti ho… sconvolto? Ho fugato qualche tua perplessità?

- Aspetta, Dorian, aspetta! – Fernand scosse vigorosamente il capo come a voler rimettere idealmente a posto nella sua testa i frammenti – Io so solo quel che ha detto Auguste. Della guerra civile… Di come ti ha aiutato a scampare alla forca. E ti ha nascosto fino al suo ritorno, quando la scia di processi e condanne a morte era ormai esaurita.

- Ecco, bravo. Conosci anche tu la versione di Auguste. Ora, prego, dimmi se tutto ciò sta in piedi. Cinque anni fa, quando il du Lac prese il potere, quanti anni avevo? Diciotto, esatto. Come sono arrivato ad unirmi alle bande dei ribelli? Un mistero – Dorian sollevò i palmi delle mani verso il cielo in un gesto rassegnato – E tu conosci Auguste, non è così?

Fernand aggrottò le sopracciglia, stranito. Stava per perdere nuovamente il filo.

- Ecco, se conosci Auguste, saprai quanto è probabile che lui, proprio lui, che prima di fare qualunque cosa deve ponderare cento e mille volte, lui che sembra ritenere tutti troppo avventati o incompetenti o direttamente troppo stupidi per i suoi schemi cavillosi… Com’è che può aver spedito un ragazzo di diciott’anni allo sbaraglio nel pieno di una guerra civile, a farsi ammazzare in una dannata polveriera? Non regge, Fernand, e ho avuto tempo e modo d’informarmi su certi… dettagli.

- E conoscendo te, Dorian – azzardò Fernand – Nulla toglie che abbia agito di tua diretta iniziativa, e che poi sia toccato magari ad Auguste o a qualcun altro toglierti d’impiccio.

Dorian gli rivolse un sorrido grondante amarezza.

- Auguste come lo conosco io, nel suo unico habitat naturale, intento ad architettare tutto fino allo sfinimento, che si lascia sfuggire sotto il naso un manipolo di disperati, felici di andare a far danni mentre fuori infuria una rivoluzione? Piuttosto, mi avrebbe ficcato in catene dentro una nave e imbarcato per un altro continente.

Fernand tacque, a disagio.

- Quando ormai il mio destino sembrava già bello e pattuito e centellinavo i miei ultimi giorni in una cella, una nutrita schiera di guerriglieri armati circondò i carceri… E sì, c’era anche il nostro Auguste, nonostante, ora come ora, sia ben difficile immaginare che sappia anche solo impugnare un fucile. Il resto è storia.

Dorian attese, lo sguardo vigile, quasi a cercar conferma negli occhi di Fernand, se proseguire oppure no.

- Altra incongruenza clamorosa. Non riuscendo a cavare il sangue da solo, ho raccolto informazioni in lungo e in largo da fonti neutre, e sai la conclusione? Auguste ha infilato un’incoerenza dietro l’altra, come volevasi dimostrare. Un giorno ti farò vedere il famoso carcere, e poi mi dirai se secondo te è a prova d’assedio oppure no.

- Se non è possibile penetrare una fortezza con un regolare assedio, l’inganno può essere un’alternativa efficace. Infiltrare qualcuno, che so… – tentò di tenergli testa Fernand.

- No, c’è di meglio, credimi! Fonti certe, Fernand: all’epoca delle due guerre civili, le prigioni non avevano esattamente la funzione che Auguste mi ha descritto in un primo momento. C’era forse l’urgenza sistematica di intasare le celle di rivoltosi sopraffatti durante azioni di guerriglia, in attesa di regolari processi che non sarebbero mai avvenuti? I ribelli presi in flagranza di reato, salvo casi eccezionali, venivano direttamente passati a filo di spada. Al massimo impiccati, e senza un processo. Se le cose fossero davvero andate come dice Auguste, ora non starei qui a parlarne con te.

Fernand socchiuse le palpebre, disorientato; fra le mani, un tentativo di difesa sempre più effimero.

- Auguste era presente a questi eventi – insistette – e non è un idiota: se anche avesse voluto mentire deliberatamente, non si sarebbe invischiato in errori tanto palesi e smascherabili.

- Oh, ma è proprio questo il punto – gli occhi di Dorian scintillarono luciferini sotto le ciglia morbide – A quanto pare, Auguste semplicemente non ha avuto il tempo materiale di prepararsi una bella bugia a prova di sciocco, e sarà stato senz’altro costretto ad abbozzare qualcosa su due piedi all’ultimo momento. Perché all’epoca in cui furbescamente ha “spostato” gli avvenimenti, lui probabilmente neppure si trovava più a Noir Trésor; era matematicamente impossibile che potesse afferrarci su ogni singolo dettaglio e far collimare ogni tassello senza sbavature, nel momento in cui si è trovato a mentire in quel poco tempo che gli restava a disposizione. Presumibilmente, Auguste non vide che i primi fuochi della fallimentare rivoluzione del popolo contro il tiranno: quando le forche a pieno regime e le palle di cannone cominciarono ad impartire i primi seri “avvertimenti”, Auguste era già in viaggio con Lucien verso luoghi di cui non ricordo neppure il nome. Auguste, esatto. E… Se davvero in città correvo tutti questi pericoli, dopo essere stato tirato fuori di prigione per i capelli, non ti pare un controsenso, da parte sua, evitare di spedire anche me in qualche posto dimenticato dalla civiltà, lontano dal duca, ma piuttosto mollarmi in città sotto gli ultimi fuochi della guerra civile?

Fernand strizzò le palpebre, stretto in un accesso d’angoscia che gli rimordeva il petto.

Pensò ad Auguste: al suo desiderio di soccorrerlo, di stringerlo, di non lasciarlo precipitare in quella voragine di disperazione spalancata sotto di lui, di cui non pareva lontanamente quantificabile né dove né quanto se ne estendessero i confini. Pensò a quel bacio appena accennato, alla sua concezione di ribelle, di rivoluzione, di essere uomo, a quella patina di tristezza nei suoi occhi, e per poco non si sentì mancare.

Sempre peggio, sempre più in basso. Contorni sempre più ingannevoli, soffusi, sfuggenti. Sempre più giù, verso il baratro.

A chi doveva credere?

E poi avvertì la presa di Dorian salda sulle sue spalle, il volto che mutava espressione, esaurita l’enfasi nervosa del ragionamento in atto.

- D’accordo, ho sbagliato ancora una volta – la sua voce tremò sotto lo sfolgorio indistinto che gli attraversava le iridi chiare – Ti prego solo, Fernand: ragiona! Tu non c’entri niente con tutto questo. Auguste ti vuole bene… Qualsiasi cosa nasconda, qualunque idea malata abbia in mente, sono pronto a credere che non abbia agito in cattiva fede nei nostri diretti riguardi. Certo, lo detesto un po’ per questo, ma mi rifiuto di credere che sia andata esattamente così. E Lucien, che è stato al suo fianco fino all’ultimo istante, non gli avrebbe permesso di giocare sporco nei nostri confronti.

Fernand si sentiva girare la testa. La stanchezza, l’angoscia, la frustrazione di non capire, il ribollio emotivo di una giornata infernale gli premevano sulle tempie doloranti come piccole spade di Damocle sul suo capo, una sensazione di nebbia davanti agli occhi che gli ottundeva i sensi.

- E tu, invece – un flebile mormorio affiorò sulla sua bocca, una cadenza roca che, in un primo istante, quasi non riconobbe come sua – Sei certo di volermi bene, Dorian Alexandre Desgrais? – scandì.

Fernand percepì la sua stessa presa sugli avambracci di Dorian divenire serrata, convulsa, attirarlo a sé fino a trainarlo d’inerzia sul pavimento nudo, accanto a lui. Fece scorrere le dita fra i capelli umidi che, asciugandosi all’aria, s’inanellavano in un delizioso turbinio sulle spalle nude. Rapito, la mente oscurata da una sorda, disperata sete di fisicità, percorse con lo sguardo quelle ciocche ondulate che gli ombreggiavano il viso e la linea nitida, quasi tagliente, del naso e degli zigomi.

Riemerse da quel sogno quando le sue dita artigliarono Dorian alla nuca, e le labbra premettero sulle sue.

- Basta verità arrischiate, per ora! – biascicò in una punta irriverente, la voce delirante che gli raschiava la gola – Questo… è reale, Dorian.

Tacque. La furia del desiderio impellente di baciarlo, di toccarlo, di sentirlo era tale che per un istante temette di cadere in deliquio, un formicolio dal sapore oscuro che gli divampava nel petto.

Inerte, riuscì a malapena ad assecondare lo sforzo da parte di Dorian di aiutarlo a tirarsi su in piedi, per poi spingerlo sul letto.

Sentì il peso del suo corpo su di lui, l’avanzare inarrestabile e repentino delle sue labbra sulla superficie della gola tradursi ben presto in minuscole fitte, come spilli conficcati sotto la pelle in un’ondata di concentrica ostinazione.

La mano di Dorian esplorava la sua pelle sotto la camicia come guidata da una sorta di desiderio puntiglioso, spire di puerile curiosità che si accanivano su di lui. Un gemito roco gli sfuggì dalle labbra strette a fessura, le membra tese, senza che egli avvertisse più su di sé le redini di quel crudele autocontrollo atto a contenere il visibile, urlante manifestarsi della sua eccitazione.

Serrò furiosamente le dita sulle lenzuola, una fitta particolarmente intensa a sconvolgere la stabilità delle sue membra e gli impianti mentali che avevano sorretto e motivato i suoi gesti fino a quel momento, quando Dorian provò a sfilargli delicatamente la camicia. Avvertì il morbido fruscio della seta sulla pelle martoriata di brividi, il respiro ridotto ad un rantolo affannoso, torrido, insufficiente a recare sollievo alla gola riarsa. L’estasi come una stoccata diretta allo stomaco, tanto intensa da recare con sé, serpeggiando lungo la spina dorsale, uno strascico quasi doloroso, lancinante.

- Fernand? – la voce di Dorian lo riportò alla realtà per qualche breve istante – Fernand, ti sto solo accarezzando…

Si era fermato, catturando rapidamente il suo viso in un’occhiata di traverso, una vena vagamente allarmata sul volto, la mano che gli sfiorava con noncuranza il torace scoperto ed i capezzoli contratti sotto il suo tocco.

Fernand gettò indietro la testa in un mugolio appena comprensibile.

- Uhh… C-così è… È peggio!

Dorian lo soppesò con occhi curiosamente beffardi, per poi chinarsi su di lui e afferrargli il lobo dell’orecchio fra le labbra. Rise.

- Così impari a farmi fare certe… “figure”! – gli soffiò, sarcastico, lasciandogli il tempo d’inquadrare la sottile allusione al problema di non poca rilevanza che a sua volta gli aveva provocato a tradimento, mentre stava immerso nell’acqua, senza nulla con cui coprirsi se non un’evanescente coltre di schiuma.

- Carogna… – gli sibilò Fernand di rimando, quasi divertito da quell’insolita, dispettosa schermaglia.

- È ciò che volevi, Fernand, non è così? – Dorian indugiò febbrile, un lieve sussurro disturbato dal respiro ansante, sfiorandolo con dita leggere là dove i calzoni stretti lo costringevano in una morsa impietosa.

Approfittava delle sue incertezze, della debolezza della sua volontà strettamente impegolata fra schemi inestricabili e confusi.

Il giovane annuì disperatamente, un gemito gutturale che si spense in una selva di ansiti impazienti, il corpo proteso verso Dorian.

Sentì la stoffa bruciante dell’ultimo indumento scivolare lungo le cosce, le labbra lucide di Dorian troppo vicine alla sua erezione prepotente, e il suo profumo su di lui.

Chiuse gli occhi. Si sentiva esposto, vulnerabile, come se persino l’aria immobile intorno a lui sfregasse sulle parti scoperte con lo stesso vigore di una brezza persistente, facendolo sentire scoperto, bagnato, la sensibilità ridotta all’estrema soglia di sopportazione.

 

Non credevo fosse… così. Con un amico che conosce il tuo corpo come conosce se stesso.

 

Fernand sussultò, percosso dalla duplice carezza dei suoi capelli sciolti e del respiro accelerato che infieriva sulla pelle in fiamme: un’estenuante sensazione di solletico che fiaccava la sua resistenza. Dorian lo baciò su un fianco.

- Fernand, l’hai mai fatto? – un velo d’imbarazzo calò sul volto del giovane.

Sembrava soprappensiero, esitante.

Fernand soffocò un accesso di risa isteriche: era strano provare a impostare qualcosa che somigliasse a un discorso osservandosi negli occhi da quella prospettiva così insolita, così intima.

- Non con un ragazzo – precisò.

Dorian annuì meditabondo, le mani che gli massaggiavano distrattamente le cosce. Inaspettatamente, puntellandosi sui gomiti, si portò su di lui e lo strinse sotto di sé, per poi calare sulla sua bocca indifesa.

- Shh…

Fernand inarcò la schiena sotto l’assalto di una carezza, squassato dal respiro affannoso, due dita delicate che indugiavano intorno al capezzolo arrossato. Sospirò.

- Lascia fare a me… – proseguì Dorian – Rilassati e lascia fare a me!

- Rilassarmi? Rilassarmi? D-Doriaan… – Fernand non poté spiegarsi neppure in seguito, neppure a grandi linee, dove stesse attingendo l’energia, l’impulso logico necessario a ribattere alle sue parole; la voce era un lamento appena percettibile, i muscoli rilassati a sottintendere la sua resa – Non ce la faccio…

Dorian lo baciò a labbra chiuse, allungandogli una carezza sulla fronte madida.

- Va tutto bene, Fernand. E… sembra che ti piaccia – lo stuzzicò – Forse un po’ troppo.

 

Basta, Dorian, basta, avrebbe voluto gridargli. Basta giocare, finiscila qui, oppure… Smetti di esitare!

 

Distolse lo sguardo. Avrebbe voluto trovare un rifugio, anche solo per pochi istanti, in qualche recesso razionale in fondo alla sua mente, sfuggire a quel tremito feroce che lo attanagliava fin nelle ossa. E non era facile, non era facile con le labbra di Dorian incollate alla gola a seguire la linea della giugulare, il suo profilo sfocato davanti agli occhi, il contorno delle anche in rilievo che si muovevano sulle sue come un delicato gioco a incastro, e quelle stilettate di piacere sempre più serrate che lo istigavano a perseverare in quella sorta di folle rituale.

Un sibilo acuto gli invase la gola, quando la frustrante scossa del distacco improvviso si manifestò in un’illusoria folata di freddo su di lui, i capelli umidi incollati alle guance, la sensazione bruciante di essere il solo ad aver perso totalmente il controllo. La sua volontà giaceva sul fondo, offuscata dai brividi che gli rimordevano la cute delicata e da un’idea allettante e ingannevole che gli si era radicata nella mente fino a distorcere ogni profilo razionale, convogliando ogni dubbio verso direzioni prestabilite.

Ed ora attendeva, rassegnato e impaziente, la consapevolezza di sé, della sua collocazione, come una visuale sempre più distante: foschia all’orizzonte.

Dorian gli sorrideva fiducioso, e Fernand fu tentato per un istante di dirgli fermati, riflettici ancora un attimo; forse non doveva andare così, ti sto ingannando. Ci stiamo ingannando: era una possibilità troppo invitante, troppo semplice da attuare, troppo attraente per essere abbandonata alla leggera, e noi ci siamo precipitati a capofitto, senza alcuna coerenza.

Solo per un istante.

L’ultimo quadro propriamente nitido dinnanzi a sé fu Dorian accucciato fra le sue gambe – che egli aveva istintivamente spalancato, scalciando pigramente per liberarsi dell’intralcio dei pantaloni arrotolati a mezza coscia. E quelle mani che gli cingevano i fianchi, quasi a rassicurarlo, i capelli biondi sparsi sul suo ventre a celare ai suoi stessi occhi la sua eccitazione.

Socchiuse le palpebre, giocando a indovinare, oltre le proprie ciglia, le linee della figura che sostava dinnanzi a lui, focalizzando l’oggetto della sua attenzione nel caleidoscopio di una prospettiva tanto intima: la testa bionda china su di lui, l’ondeggiamento così sensuale e ipnotico, le labbra sottili e delicate che si dischiudevano su di lui, introducendolo in un universo caldo e sconosciuto, come uno sguardo distratto sull’ignoto.

Fernand gridò, le dita strette ad artiglio sul proprio viso, pallido tentativo di attutire l’urlo che gli era salito in gola. Uno spasimo nervoso gli fece inarcare il bacino, mentre quell’ineffabile, umida sensazione di vuoto lo agitava fino alla punta delle dita. Lo stava sentendo e assaporando con il proprio corpo; lui, l’altro di sé, il suo Dorian, stretto nella debole presa delle sue gambe, un abbraccio immaginario che desiderava tenerlo avvinto a sé il più a lungo possibile.

 

…Forse non è che un singolo aspetto di quel che può dirsi “conoscenza” dell’altro: una profonda e destabilizzante accezione, libera di sofisticati condizionamenti; la perfetta complementarietà di frammenti non omogenei della stessa materia.

 

E lui, loro: la dolcezza di un paio di labbra e di una lingua delicata che saggiavano curiose i suoi rilievi, come un prudente sfioramento; dal lato opposto, il suo sesso eretto, l’appendice più sensibile del suo corpo quale mezzo ricettivo attraverso cui sentire l’altro di sé, il calore di quelle labbra accoglienti, la cavità umida e rovente della bocca, la lingua che si muoveva impaziente sulla pelle in fiamme.

D’istinto, Fernand gli insinuò le dita fra i capelli, accarezzandolo con accorta delicatezza, quasi con il timore di scalfirlo, d’infrangere la sua visione. Si morse le labbra, rabbrividendo, scivolando nell’ombra liquida di un nebuloso oblio.

 

Vivi, Fernand; vivi e chiudi gli occhi. Lasciati vivere.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il mio cantuccio:

 

Buonasera a tutti!^^ Finalmente riesco ad aggiornare in tempi “moderatamente” lunghi… Purtroppo, causa affollamento di esami (due nello stesso giorno, e portati a termine con successo!^^) e, soprattutto, quindici giorni di morte apparente del pc, le cose hanno finito inevitabilmente per protrarsi più a lungo di quanto previsto!

Ringrazio come sempre i lettori, nonché le sempre graditissime new-entry che hanno inserito NT tra i Preferiti o le Storie seguite, per poi passare ad un ringraziamento ad personam a coloro che hanno lasciato i loro commenti e le loro impressioni, ovvero

 

Witch: carissima, ben ritrovata! Probabilmente non dirò nulla di nuovo, ma il tuo commento mi ha fatto infinitamente piacere^^, non vedo perché non dirlo. Come dire, è bellissimo cogliere le varie sfumature dall’angolazione propria del lettore. “Fumoso, nebbioso, soffocante”: aggettivi che, in effetti, ben s’addicono al capitolo, con il suo intrecciarsi di punti di vista differenti, verità che, in effetti – e lo dico io per prima, proprietaria “di fatto” dei pg, ma forse, per il resto, priva di un controllo effettivo su di loro, sul loro interagire: come dire, hanno *quasi* una vita propria che puoi limitarti solo a registrare fedelmente, a intuire dietro il velo, in base a ciò che pian piano appare –, riflette in sé, idealmente, il progressivo smarrirsi dei personaggi, i misteri che vengono a galla ma senza svelare verità incontestabili. E sono molto contenta che abbia colto sfumature che, quasi inconsapevolmente, ho voluto conferire, in parallelo con il muoversi dei personaggi sulla scena. Poi, certo, non svelerò ora chi di loro effettivamente, tra Auguste, Fernand e Dorian, ha visto giusto, chi mente e chi invece s’inganna. E *se* le loro percezioni saranno confermate dagli eventi oppure no. Mi ha molto colpito il paragone con la “Zattera della Medusa” (giusto per divagare un po’, con questo tuo paragone sono tornata indietro con la mente al periodo in cui ho studiato quest’opera e relativo autore col programma di storia dell’arte della quinta liceo… Che nostalgia, nonostante siano passati appena due anni da allora!): oscurità che sembra non lasciare speranza, una luce ingannevole all’orizzonte. Fra parentesi, adoro quell’opera!^^ Raphäel: un mistero, credo sia il termine che più di ogni altro può calzargli. Un mistero anche per me, in una certa misura. Ed è strano, devo ammettere, gestire l’intrecciarsi delle reazioni degli altri personaggi in sua presenza: quando scrivo di lui, mi è praticamente impossibile tralasciare la mole d’implicazioni, di perplessità, di reazioni contrastanti che muove intorno a sé. Fernand, pur non provando stima per lui ed essendo alquanto sospettoso in merito (ma quel ragazzo è tutto fatto a modo suo, eh: da prendere con le pinze, in effetti), ne è inconsciamente inquietato; Dorian (che, sì, è propriamente sull’orlo di una crisi di nervi, e di certo la sua situazione, le sue angosce, quel vuoto di memoria che gli pesa sulle spalle, sembrano condizionarne non poco gli sviluppi; fa addirittura male, per certi versi, specie quando adotto il suo PoV, che spero essere riuscita precedentemente a rendere senza stucchevolezze di sorta), che da un lato se ne sente un filo soggiogato, dall’altro è spinto ad osservarlo da prospettive inedite, che non necessariamente finiranno per sovrapporsi ai tratti che emergono ad una prima occhiata; e anche Auguste, da un certo momento in poi, sembra riuscire ad andare oltre la figura asettica del complice senza aggettivi che fino a quel momento era stata per lui la visione dominante, a vederne il lato propriamente umano, disposto anche a stabilire un velo d’empatia. Spero davvero di non aver rivelato troppo: il fatto è che quando m’immergo a parlare di *loro* potrei andare avanti per ore. Mi ha fatto molto piacere il tuo commento e spero che questo nuovo capitolo non deluda le tue aspettative (spero soprattutto che la lemon – che poi chiarirò meglio nel prossimo capitolo, ormai ufficialmente “in cantiere” – risulti ben inserita e motivata nel contesto!). Un bacio!

 

Fata: tesoro, innanzitutto, ben ritrovata su questi lidi! Quando ho letto la tua recensione, ad essere sincera, sono rimasta inizialmente senza parole: potrei estendere questo discorso ad ogni commento ricevuto, in privato, in pubblico, qua o su altri lidi, in cui trapela decisamente come il lettore ha “sentito” le vicende, i pg, le implicazioni emotive sottese; l’analisi che sta alla base e che, paradossalmente, permette all’autore di trovare corrispondenze, significati, angolature nuove tramite il lettore. Vi è una reciprocità, in effetti; raramente l’interazione è lineare, parlante-ascoltatore. Per farla breve, mi ha fatto infinitamente piacere, e forse non riesco neppure ad esprimere effettivamente quanto.^^ Partiamo da Auguste: in effetti, a voler proprio sintetizzare il tutto, nei casini l’avevamo lasciato, con poche certezze riguardo alla sua incolumità, e nei casini lo ritroviamo. Devo ammettere innanzitutto che neppure per me è stato facile gestirlo in questi particolari frangenti: un po’ perché ha una sua personalità ben spiccata, poverino, ed è giusto lasciarlo esprimere, dargli carta bianca, nel bene o nel male (se no, entra in sciopero); un po’ perché, anche quando il quadro si palesa – e neanche del tutto, a dire il vero – non è facile tradurlo. Fa male, quasi, vederlo agitarsi in un grigio piombo dalle rare sfumature, con tutta una mole d’implicazioni inattese che sembra precipitargli sulle spalle, quasi senza tangerlo più visibilmente, e, da autrice, dar voce a queste sue sfaccettature. Lucien, Emilie, Fernand: ognuno di loro, in proporzioni differenti, ha o ha avuto per lui un impatto positivo e negativo, che pian piano sta venendo alla luce. Forse Lucien l’avrebbe salvato; forse Auguste ha intravisto qualcosa in Fernand, ma uno scudo sempre presente fra loro, capace di manifestarsi nelle accezioni più differenti, ha rimesso tutto in gioco, regalandogli un dubbio, un “freno” non pienamente definibile. Emilie: per quanto, da “matrigna letteraria”, non condivida alcuni suoi atteggiamenti, mi ritrovo costretta ad ammettere che, con ogni probabilità, forse le cose non sarebbero potute andare altrimenti: o magari sì, ma con un contesto di partenza diverso da parte di entrambi, diversa la cornice, la materia su cui intervenire. In effetti, ben poco fra loro sembra essere nato sotto i migliori auspici, e di certo si potrebbe citare eventualmente, come parziale attenuante, senza giustificazioni o consolazioni di sorta, il fatto che la poveretta si è beccata Auguste nel momento peggiore. Per la faccenda dei forellini sul collo, in effetti, ci sarebbe tanto da dire, se ciò non comportasse cominciare a tirar fuori spoiler grandi quanto una casa – e, considerata la proverbiale logorrea che mi coglie quando si parla di NT, fra le righe qualcosa potrebbe sempre uscir fuori, mea culpa. Le effettive spiegazioni in merito, chissà, potrebbero rivelarsi insospettate. O magari rivelarsi neppure così insospettabilmente fantasiose… Chissà! Per il resto, in una riflessione più propriamente conclusiva (se no il capitolo che sta qui sopra chissà quando finirò per pubblicarlo!), posso dire di aver *adorato* ogni sillaba di questa tua analisi: dalle riflessioni generali sull’impianto della storia – e sono *loro*, in effetti, i personaggi, a dipanare i fili: a me spetta l’onore di riannodarli man mano che la storia procede, e spero di rendere il lavoro al meglio – fino ai singoli personaggi. Come avrò sicuramente avuto modo di dire tante volte, lo sguardo approfondito del lettore rappresenta certamente un momento di riflessione, una prospettiva irrinunciabile che non di rado getta luce su singoli punti, implicazioni, angolature magari rimaste apparentemente nell’ombra. Ed NT, sicuramente, è anche un prodotto di tutto questo. So che mi comprendi! Sperando che questo nuovo capitolo – parzialmente scritto sotto esame, riveduto&corretto in seguito, ma su, son dettagli: ho fatto di peggio!^^ – sia di tuo gradimento (con annessa lemon^^), do appuntamento alla prossima. Un bacio!

 

 

   
 
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