Capitolo
22
Lenzuola
stropicciate
-
Dorian? Sono io.
Fernand
avanzò tentoni nella penombra, non prima di essersi richiuso la porta alle
spalle. Braccia strette sul petto, si lasciò andare accanto al focolare spento,
il sole cocente di mezzodì che arroventava l’aria al di là delle imposte chiuse,
il caldo alito primaverile sopraggiunto troppo bruscamente a infiacchire i suoi
passi – e il bizzoso mutare del vento, troppo secco e repentino, verso sera, per
rinunciare allo scudo simbolico di un rigido soprabito, ingombrante carezza
sulle spalle.
Un
profumo dolciastro di fiori di campo catturò i suoi sensi come un assalto
prepotente, forzò le maglie sottili del silenzio e della penombra che facevano
da taciturni compagni alla sua attesa, e Fernand considerò quanto non fosse
propriamente un toccasana, per uno che rientrava da un
funerale.
Scosse
il capo, vano tentativo di sgombrare la mente dalle accidentali, confuse
corrispondenze che sentiva propagarsi spontanee in lui, dalla mente fino alle
estreme propaggini sensoriali, destabilizzandolo. Sospirò: lui desiderava solo
un rifugio momentaneo in qualche breve istante tranquillo, la mente vuota e i
secondi che scorrono fra le dita, ma un senso d’oppressione al petto gli
impediva d’ingannarsi fra innocui dettagli.
Pensò
al funerale. Aveva voglia di piangere.
Ambrosie:
non l’aveva individuata subito nel chiaroscuro della navata gremita, nella massa
priva di colori e di volti – solo vesti scure, bisbigli e sguardi palpitanti, e
un senso soffocante d’attesa.
Solo
in un secondo momento i suoi sensi erano riusciti a modellarsi su quella sorta
di composto estraniamento, i fumi densi d’incenso che gli bruciavano in fondo
alle pupille.
Ecco
i suoi ribelli, macchie d’inchiostro solitarie, disseminate nella moltitudine,
qua gli uomini, là le donne; Ambrosie celata sotto la veletta scura, Auguste che
non sembrava più neanche umano; e il brusio e i graffi delle spine di rosa
nell’atto di deporre i fiori sulla bara, nell’intreccio caotico di mani
pietose.
E
quel persistente, ineffabile timore che gli pungeva il petto, trepidante sentore
di assenza che gli scavava una voragine nel cuore.
La
paura che Auguste cedesse al gelo della sconfitta. Che da un momento all’altro
venisse a mancargli l’aria, soffocato, sprofondato in quell’ossimoro di caotica
solennità; che perdesse le redini di quell’irreale autocontrollo, smarrito in
fondo al cieco labirinto della propria disperazione.
Perché
sarebbe caduto con lui.
E i
Mirand. Li aveva scorti di sfuggita, solo un attimo, al termine della funzione,
nello spiazzo antistante alla chiesa – doveva presumibilmente averli avuti
dinnanzi agli occhi per tutta la durata delle esequie, pur essendosene avveduto
solo in quel momento.
Un
persistente campanello d’allarme gli era esploso nella mente, mentre gli occhi
scrutavano spasmodicamente ogni volto lungo la sua traiettoria in un caotico,
infernale viavai. Alla ricerca di lui.
Ma
Auguste aveva provveduto quanto prima a sottrarsi alla
vista.
E
questo, Fernand non l’aveva previsto. E da lì l’aveva perso.
-
Fernand, sono in camera. Io… Non credevo fossi già di
ritorno.
Fernand
lo ringraziò mentalmente per aver provvidenzialmente spezzato il suo
involontario, meticoloso ripercorrere ogni istante del proprio limbo. Sbatté le
palpebre sotto i colpi leggeri di quel richiamo suadente, ovattato, e fece per
raggiungerlo.
-
Tu… Tu sei un incosciente! Si può sapere cosa ti passa per la
testa?
Fernand
si prese il volto fra le mani, le palpebre ostinatamente socchiuse nello strato
denso di vapore che l’aveva schiaffeggiato in pieno petto, i sensi invasi da
quel profumo delicato che ben presto si era sostituito di prepotenza ad un
preesistente sentore d’amarezza, di ombra indecifrabile che gli martellava nella
mente.
Che
l’aria stessa possa risentire della paura appiccicata alle
pareti?
L’abisso
che non conosci, può avere un odore?
Vide
Dorian inarcare placidamente il sopracciglio, immerso fino al petto e alle
ginocchia in quella tinozza d’acqua calda, i capelli bagnati che gli
gocciolavano sulla schiena nuda, la mano coperta da una fasciatura sottile
tenuta compitamente fuori, le dita che sfioravano distratte il pavimento, e ogni
piega di tensione dissolta sul suo viso.
Fernand
deglutì, cercò di distogliere lo sguardo, l’impatto fresco della visione che gli
rimbalzava nella mente, attutita dal caliginoso strato di vapore che ottundeva i
contorni.
-
Cosa c’è che non va, stavolta, mon
ami? Preferivi che me ne stessi tutto sfatto?
-
Sei pazzo! Se… se per disgrazia ti fossi sentito male, non ci sarebbe stato
nessuno ad aiutarti: a questo avevi pensato?
-
Basta così, Fernand… – Dorian lo liquidò in un mugolio annoiato, gesticolando
pigramente in quella che pareva una blanda negazione – Io. Sto. Bene. Non so se
dovrò scrivermelo da qualche parte e firmarlo dieci volte, prima che te ne
convinca del tutto, ma sto così bene che potrei
addormentarmi.
-
Ecco, appunto. Può bastare.
Fernand
indugiò davanti alla porta, incerto se restare oppure uscire, lasciandogli il
tempo di risistemarsi.
-
No, resta! – gli occhi di Dorian si dischiusero limpidi su di lui, precedendolo,
quasi avesse deciso solo in quel momento di degnarlo della sua completa
attenzione.
Incrociò
le gambe con disinvoltura, il movimento flessuoso appena percepibile tra le
crespe sfilacciate di schiuma. Le linee sinuose d’ambra pallida, l’intreccio
delicato della muscolatura che emergeva in controluce, a Fernand parevano
configurarsi davanti a lui come parte integrante della caligine sottile che
intrappolava le sue percezioni.
Sbatté
le palpebre, i sensi impigliati fra contorni evanescenti, soffusi. Non era
pronto a riprendere il controllo, a costringere il suo volto in una maschera
risoluta, a dirgli vestiti, ora, Dorian,
ho bisogno di parlarti. Troppo fragile, la mente imbrogliata
altrove.
-
Fernand, ti senti bene?
Il
giovane annuì, gli occhi lucidi.
-
Auguste? – azzardò Dorian.
-
Sparito così com’è arrivato – gli soffiò impercettibilmente Fernand, quasi a
voler allontanare i suoi pensieri come pulviscolo
nell’aria.
-
Mi dispiace, Fernand. Avrei dovuto esserci – Dorian si morse nervosamente
l’unghia – Anche se Auguste… Non mi voleva, sì, si era ben
capito.
-
Volevi goderti un po’ di sana, ingessata formalità. E certe facce…! – Fernand
rabbrividì – Beh, alla fine ti consolerà se non altro sapere che Raphäel era con
lui. Già, Raphäel, l’amico di tutti; la sua presenza era da
protocollo.
- O
magari… Che ad Auguste servisse la solita spalla per la sua commedia quotidiana.
A questo hai pensato, Fernand?
-
Non parliamo di Auguste, per favore! Almeno, non in questi termini. È già
distrutto di suo, senza bisogno che qualcuno infierisca.
-
Se davvero volessi elencarti ogni singolo motivo su cui poter eventualmente infierire, Fernand, allora fai finta che
non abbia mai detto nulla! Auguste dovrebbe almeno imparare a non nascondersi
dietro al solito dito. Oh, sono troppe, troppe le cose che non sai! – soggiunse
Dorian in un sussurro appena udibile – D’accordo: come non detto – lo anticipò –
Non ho voglia di litigare.
Ma
Fernand non lo ascoltava più; tratteneva il fiato, la mente rapita da ciò che
vedeva emergere lentamente dinnanzi ai suoi occhi nella sua struttura portante:
la crescente certezza, dentro di lui, che ancora una volta Dorian stesse
giocando senza scoprirsi: sornione, vestito solo di sottili ricami di vapore,
tergiversava, scagliava il dardo, saggiava di soppiatto le sue reazioni e
prendeva le misure, studiando il momento esatto per colpire, in che modo
colpire, quali corde far vibrare.
Veloce,
si liberò della giacca, la camicia allentata sul collo che si arricciava in
pieghe sottili sui gomiti e sulle spalle. Boccheggiava, la gola inaridita, il
ribollio del sangue a percuotergli le tempie per il repentino accesso di calore
al viso. Gli occhi lacrimavano sotto l’impertinente, destabilizzante carezza di
quel profumo ingannevole.
Nulla
era casuale. Dorian aveva qualcosa in mente: aveva allestito la scena con
l’accortezza di uno stratega, e gli sguardi penetranti e furtivi che di tanto in
tanto gli piantava in volto, dovevano di certo far parte di quella fine,
complessa strategia illusoria. Persino la nudità sfacciata, appena celata sotto
nubi leggere di schiuma.
Che
scherzo è questo, Dorian?
Bastardo:
tu avevi previsto. Avevi previsto ogni sfumatura.
Si
sentì vacillare.
-
Fernand? Sei sicuro di star bene?
Il
giovane riuscì per un soffio ad evitare di scivolare sul pavimento umido. Si
costrinse ad allacciare nuovamente lo sguardo a quello di Dorian, vago desiderio
di rubare il segreto, la chiave di lettura dalla superficie di quelle iridi
agitate da uno scintillio mutevole.
-
Tu, piuttosto. Mi stupisce come possa non bruciare di caldo, là
dentro.
Dorian
scosse le spalle.
-
C’è davvero tanto caldo qui dentro? Sarà la tua
impressione.
-
No, non credo – Fernand agitò il braccio in un ampio gesto, cercando di diradare
quella caligine opprimente che, con ogni probabilità, doveva esistere unicamente
nella sua testa, come parto imperfetto di una mente che amplifica le
percezioni.
In
silenzio, Fernand si portò alle sue spalle. La pelle bagnata riluceva di deboli
bagliori, sottili rivoletti d’acqua che si confondevano lungo la curva della
schiena.
-
Scusami se la situazione… – Dorian si tirò indietro i capelli fradici,
descrivendo un minuscolo ricamo di gocce d’acqua sul pavimento retrostante –
Come dire, potrebbe risultare… imbarazzante.
Fernand
si strinse nelle spalle e sorrise compiaciuto.
E
qua sei stato prevedibile, Dorian: sei meno astuto di quanto tu pensi,
nonostante tutto.
- A
dire il vero, non sono io quello che potrebbe eventualmente sentirsi in
imbarazzo.
-
Bravo.
Dorian
si portò nuovamente sulla spalla la massa dei capelli intrisi d’acqua, scoprendo
la base del collo.
Un’idea
balenò furtiva nella mente di Fernand, fugace, repentina. Per un istante, fu
tentato di scagliargli addosso qualcosa di poco contundente – un cuscino avrebbe
fatto al caso suo. Poi sentì l’impronta rasserenante di un sorriso distendergli
meccanicamente i muscoli del viso.
Dorian:
lui, ancora una volta. Il Dorian che conosceva. Fantasioso, lunatico.
Indecifrabile. Immagini contraddittorie in sospeso nella sua mente, realtà in
apparente contrasto, caselle immaginarie prive d’incastro.
Aveva
temuto da un certo momento in poi che la questione Raphäel prima, in un secondo
momento Auguste, potessero in qualche modo segnare il discrimine fra loro. E lui
avrebbe certo preferito che Dorian smettesse una volta per sempre di opporre
quel muro di amarezza e sarcasmo, utile soltanto a distorcere ulteriormente la
realtà, ogni qual volta il nome di Auguste rimbalzava sulle sue labbra. O quanto
meno provasse a renderlo partecipe di quelle che potevano essere le sue ragioni.
Gliene avrebbe parlato, ma non ora. Aveva detto e fatto
abbastanza.
Nella
sua mente si configurava la sola costante che, nel suo immaginario, fosse
riuscito a circoscrivere su Dorian. L’amico affettuoso e comprensivo, i baci che
si erano scambiati, il liquido contatto che bruciava su di lui. La reticenza
apparente, le guance accaldate che bruciano di desiderio e qualche strascico
d’imbarazzo. Un istante, un soffio, le labbra che si uniscono in un ipnotico,
rasserenante tepore simile all’incoscienza. E magari era anche giusto che fosse
andata così, o forse no. Non sapeva dirlo.
L’ossessivo,
continuo ripetersi di un gesto, scandito dal trascorrere dei giorni e dalla
paura di privarsene. Innamorarsi ogni giorno di una medesima scena di una
medesima pièce, senza che l’emozione della novità venisse meno, ogni volta
ignorandone paradossalmente l’epilogo sospeso a metà. Un puntuale ripercorrersi,
con la stessa enfasi ossessiva, voluto, ricercato; rivivere il medesimo istante,
le medesime sensazioni replicate all’infinito, sospese in un irrinunciabile
rituale, con un prima e un dopo a far da momentanea
cornice.
Seguì
la curva delle sue spalle, l’armonia dei contorni.
E
il suo nome, persino il suo nome pareva inconsapevolmente rimarcare le morbide
volute color grano dei suoi capelli, gli spigoli appena accennati che scandivano
i tratti del suo viso. Dorian: la
durezza iniziale, l’esplosione preceduta dalla lingua che batte sugli alveoli,
per poi scivolare con dolcezza fino a sfumare.
Non
lo stava ingannando. Non mi sto
ingannando, si ripeté.
Voleva
però cavarsi il dubbio, afferrare le sue intenzioni. Ed ora aveva la possibilità
di suggellare, di raccogliere qualcosa che, per qualche istante, aveva temuto di
smarrire.
Dorian
tremò, quando la sua mano gli sfiorò la spalla, indugiando lenta lungo il
petto.
L’avrebbe
baciato di nuovo, fino ad imprimersi in lui, senza perdersi ancora una volta nel
suo alienante vicolo cieco, rivivendo tutto da principio come un’inappagata
ossessione. Perché era stato lui stesso ad innescare il meccanismo, sin dal
momento in cui, fingendo di dormire, aveva ricambiato il suo bacio per la prima
volta.
Avvertì
sotto le sue labbra la pelle sottile dell’orecchio; sorrise, quando lo udì
trasalire: doveva aver catturato il suo punto debole.
-
Fernand…
Dorian
si ritrasse, sornione. Senza vederlo in volto, Fernand ebbe quasi la certezza
che avesse socchiuso le palpebre, anticipando la sua resa. Reclinò il capo
all’indietro.
Attento,
Dorian: sei stato astuto, devo sinceramente complimentarmi con te, ma avevi
dimenticato di mettere in gioco te stesso, il tuo ruolo in primo
piano.
-
Ti piacciono le cose a metà? – il debole sussurro fuggì dalle labbra di Fernand
quasi involontario, sciolto dai vincoli della ragione, confuso intreccio di
parole e pensiero.
Percepì
appena il leggero vibrare della sua voce sulla pelle di
Dorian.
- A
dir la verità, le adoro – Dorian si morse il labbro – Adoro la possibilità di
lasciarmi andare a qualcosa che amo particolarmente. Che forse verrebbe meno,
sottoposto a un razionale divenire.
-
Interessante teoria… – Fernand si chinò su Dorian fino ad assaporarne pienamente
il profumo.
In
silenzio, incurante della propria camicia che s’inzuppava a contatto con il
corpo bagnato, lo circondò con le braccia, la pelle levigata del ventre che
scorreva sotto le sue dita.
Aveva
gettato lì sul tavolo la sua sfida, senza una logica in atto a supportare le sue
stesse azioni, e ora l’avrebbe baciato, un’altra volta e poi ancora, se
necessario, il desiderio che affiorava in punta di labbra, troppo palese agli
occhi dell’altro.
Dorian
parve assecondare la sua tacita richiesta; mosse le labbra sulle sue, poi, senza
preavviso, lo morse delicatamente.
-
Che fai?
-
È… è meglio che mi asciughi.
Era
arrossito.
Fernand
distolse il viso: avrebbe potuto infierire, ma non era il
caso.
-
Buona idea, allora. Ti aspetto di là.
Dorian
annuì col capo, un’impronta di sollievo così tangibile sul volto, che per poco
Fernand non scoppiò a ridere: quasi di certo, a Dorian doveva essere balenato in
mente che sarebbe stato troppo, davvero troppo – rifletté – palesargli di colpo,
così incautamente, la propria eccitazione. Come se ciò non fosse stato
implicito, senza bisogno di scrutarlo in basso, attraverso quel provvidenziale
velo di schiuma che lo celava dalla vita in giù.
Fernand
si limitò ad abbracciare con lo sguardo la stanza
circostante.
Si
erano tessuti a vicenda la stessa rete, e lui si era lasciato annebbiare la
mente come da una melodia tremendamente allettante; complice e vittima, aveva
dato il suo tacito assenso, ed ora non gli restava che completare l’opera
trascinando anche Dorian con sé, senza implicazioni accessorie, senza pensare ad
altro se non a far chiarezza con la sola luce
dell’istinto.
Un
fruscio alle sue spalle ridestò nuovamente la sua attenzione, e la figura di
Dorian riemerse oltre la tenda che divideva la stanza in due
ambienti.
-
Vedo che ora ti senti più a tuo agio – Fernand lasciò scivolare il proprio
sguardo su Dorian, i calzoni indosso e il torace scoperto.
-
Sei strano oggi, Fernand. Cosa ti prende? – Dorian scosse il capo, stranito,
allungando la mano sul suo viso fino a dirigerlo verso di
sé.
-
C’è che… Quel che è accaduto poco fa: avrei potuto anche offendermi – Fernand
eluse con noncuranza la presa di quelle dita sottili sul
mento.
Dorian
sospirò.
-
Volevo che ci pensassi almeno qualche minuto, prima di prendere qualunque
decisione.
Era
serio.
-
Chi dice che ce ne fosse realmente bisogno? – Fernand scosse il capo,
sibillino.
Dorian
gli sorrise, indulgente.
-
Qual è il tuo gioco, Fernand?
Un
ghigno impercettibile attraversò il volto del ragazzo.
-
No, Dorian: qual è il tuo.
-
Nessuno in particolare. A parte, in questo preciso momento, cercare di capire
cosa ti sta dicendo la tua mente.
Fernand
annuì con fare impacciato.
-
Beh, è abbastanza, se ti dico che… ad un certo punto, sembrava volessi chiedermi
di fare l’amore con te, ma è come se qualcosa ti abbia fatto desistere
improvvisamente.
Dorian
distolse lo sguardo per qualche istante, soprappensiero.
-
Può darsi.
-
Non hai che da spiegare. Ci sono
molte cose da cui potresti cominciare – Fernand agitò la mano come a voler
abbracciare simbolicamente la stanza.
Avrebbe
colto la sua provvidenziale occasione.
-
Perché certe contraddizioni mi confondono terribilmente. Devo portare qualche
esempio? L’indecisione che sembra accompagnarti costantemente; questo è qualcosa
che davvero, in effetti, meriterebbe attenzione. Troppi punti in sospeso. Che
motivi hai per non fidarti di Auguste, per dare puntualmente in escandescenze
qualora si parli di fiducia. Cosa ci
trovi in Raphäel. Il… perché dei tuoi atteggiamenti inconciliabili nei miei
diretti confronti: lanci il sasso e ti tiri indietro. Mi baci come… Come se
fosse sempre la prima volta, fingi che non sia successo niente, e poi torni
all’attacco.
-
Non lo so – Dorian si strinse nelle spalle, l’espressione troppo guardinga per
apparire spontanea; sembrava nervoso – Se vuoi prenderla larga e andare di nuovo
a parare su quel che è successo ieri notte, dovrai accontentarti del fatto che
ne so quanto te.
-
Non mi riferisco a quello, te l’ho spiegato, e non mi accontenterò di un “non
so, non mi va di parlarne, è una storia lunga”.
-
Da dove vuoi cominciare? – Dorian prese a spazzolarsi distrattamente i capelli
umidi.
-
Da Auguste… Ad esempio – rispose istintivamente il
giovane.
-
Da Auguste… – gli fece eco Dorian, come a voler radunare le proprie idee nel
giro di un istante, selezionare ciò che sarebbe stato opportuno dire e ciò che
invece non lo sarebbe stato – Non è una cattiva scelta. Prima, però, vorrei
chiederti qualcosa anch’io – una luce indistinta gli percorse le iridi, lo
sguardo saettò vivido su di lui attraverso lo specchio.
-
Cosa…
-
Com’eri quando eri piccolo, Fernand? – Dorian accavallò lentamente le gambe,
come nel mezzo di una chiacchierata distensiva da assaporare tra ameni ricordi –
Sai, me lo chiedevo. Ero curioso.
Fernand
spalancò le palpebre, interdetto di fronte al brusco salto di
prospettiva.
-
Cosa c’entra ora questo…?
-
Nulla di che. Pensavo - non chiedermi il motivo - a come fosse Fernand da
bambino.
La
cadenza della voce tradiva una tenerezza tale che le labbra di Fernand si
distesero inavvertitamente in un sorriso.
-
Un piantagrane come adesso, temo. Ma… Non capisco il tuo discorso. Sul serio. Ti
ho… raccontato tante volte la mia storia, almeno per sommi capi… Sei tu, al
solito, quello che parte all’assalto e poi rimane sul
vago.
Dorian
annuì distrattamente, come a voler fuggire qualche immaginario
dettaglio.
-
Lo credi davvero? Pensare che fino a stamattina ero in vena di
confidenze!
-
Ad esempio? – lo incalzò Fernand.
-
Ad esempio – Dorian sollevò gli occhi al cielo, l’espressione turbata, le guance
deliziosamente chiazzate di cremisi – Forse non ti ho mai raccontato veramente
del mio primo periodo in città. Il fatto è che… mi ero invaghito di Lucien. Sì,
esatto. La cosa andò avanti per mesi, da parte mia, con una convinzione tale da
rasentare il patologico – sorrise dietro ad un improvviso velo d’amarezza – E
oggi, guarda oggi, com’è strano che ben tre persone, fino all’ultimo momento e
del tutto inconsapevolmente, abbiano quasi congiurato per tenermi segregato in
casa senza lasciarmelo neanche salutare per l’ultima volta! Sarebbe quasi buffo,
se le circostanze non fossero state così tragiche.
-
Dorian, sei stato male tutta la notte, se te ne fossi dimenticato, e non devi
assolutamente sentirti in colpa né biasimare chi ha preferito lasciarti
tranquillo ed evitarti almeno i funerali. Se vuoi sapere come la penso – Fernand
sollevò il viso con petulanza – è molto meglio che Lucien lo ricordi vivo. Per
quanto riguarda il resto… Se davvero me ne avessi parlato in precedenza, dubito
che avrei potuto dimenticarmi tanto in fretta.
Gli
sfiorò la guancia con un tocco leggero, confidenziale, nelle sue parole
l’intento di dirottare rapidamente il discorso là dove gli premeva, anche a
costo di sommergerlo nel fiume di caotiche curiosità e considerazioni che gli si
rimestavano nella mente.
-
Hai parlato del tuo “primo periodo in città”, se non sbaglio – riprese – Se ho
ben compreso, non era solo la mia impressione, da quando ti ho conosciuto, che
anche tu venissi da fuori. Nord, immagino. E… se così fosse, chissà, forse hai
anche qualche antenato aristocratico. Molte famiglie nobili hanno ascendenza
nordica.
-
Basta così, Fernand!
Gli
occhi di Dorian luccicavano imperiosi sotto un precario ventaglio di lacrime
parzialmente trattenute.
Fernand
trasalì. Si costrinse infine a tacere, stordito. Ancora una volta, senza
avvedersene, doveva essere andato a sfiorare inavvertitamente corde troppo
suscettibili d’essere scosse.
-
Dorian? Tutto bene? – riprese in un timido sussurro – Fammi capire almeno cos’ho
detto di male, se non chiedo troppo.
-
Non… Oh, ti prego, lascia stare! Davvero.
Fernand
vide il volto di Dorian infiammarsi di una decisa sfumatura purpurea. Lottava
per contenere l’agitazione che gli faceva tremare le dita, le vene percorse dal
battito martellante sotto il suo stesso tocco, gli occhi
lucidi.
Di
colpo, Fernand si trovò chino davanti a lui, seduto sui talloni, le dita sottili
strettamente intrecciate a quelle dell’amico, a lenire quell’esplosione
d’angoscia repentina.
-
No, Dorian. Non lascerò correre – si risolse – Non posso non sforzarmi quanto
meno di capire.
Dorian
gli accarezzò distrattamente i capelli, l’espressione
combattuta.
-
Mi hai accennato tante volte al tuo passato, Fernand – riprese con voce pacata
in capo a lunghi istanti in cui era parso del tutto assorto a riordinare
disorganici ammassi di pensieri – E… Non riuscirò mai a dirti quanto mi abbia
fatto piacere. Ti sarai chiesto sicuramente cos’avrò fatto in tutto questo tempo
– una pausa grondante tristezza, lo sguardo che fuggiva, l’inquietudine che gli
si addensava nella voce – Ecco: me lo sono chiesto
anch’io.
-
Cosa ti sei chiesto? – di riflesso, Fernand serrò la presa sulle sue
mani.
-
Cosa sono stati per me gli anni di cui non ricordo quasi nulla, Fernand.
Escludendo il raccontino mal costruito che Auguste avrà imbastito anche a te,
non appena gli si sarà presentata l’occasione, sul perché mi abbia raccattato,
chissà come, chissà dove, e un mucchio di altre balle – soggiunse in un guizzo
irritato.
-
Non ricordi? C-cos’è che… non ricordi? Posso aiutarti? In… che senso non
ricordi? – Fernand sbatté nervosamente le palpebre,
interdetto.
Sentì
il proprio cuore saltare un battito, e per poco non cadde a sedere sul
pavimento.
-
Nel senso letterale del termine: che ad un certo punto… c’è come un vuoto, e
tutto il resto è incomprensibile e confuso, e non mi fido di Auguste. E questo,
almeno, posso provarlo. Ti ho… sconvolto? Ho fugato qualche tua
perplessità?
-
Aspetta, Dorian, aspetta! – Fernand scosse vigorosamente il capo come a voler
rimettere idealmente a posto nella sua testa i frammenti – Io so solo quel che
ha detto Auguste. Della guerra civile… Di come ti ha aiutato a scampare alla
forca. E ti ha nascosto fino al suo ritorno, quando la scia di processi e
condanne a morte era ormai esaurita.
-
Ecco, bravo. Conosci anche tu la versione di Auguste. Ora, prego, dimmi se tutto
ciò sta in piedi. Cinque anni fa, quando il du Lac prese il potere, quanti anni
avevo? Diciotto, esatto. Come sono arrivato ad unirmi alle bande dei ribelli? Un
mistero – Dorian sollevò i palmi delle mani verso il cielo in un gesto
rassegnato – E tu conosci Auguste, non è così?
Fernand
aggrottò le sopracciglia, stranito. Stava per perdere nuovamente il
filo.
-
Ecco, se conosci Auguste, saprai quanto è probabile che lui, proprio lui, che prima di fare qualunque cosa
deve ponderare cento e mille volte, lui che sembra ritenere tutti troppo
avventati o incompetenti o direttamente troppo stupidi per i suoi schemi
cavillosi… Com’è che può aver spedito un ragazzo di diciott’anni allo sbaraglio
nel pieno di una guerra civile, a farsi ammazzare in una dannata polveriera? Non
regge, Fernand, e ho avuto tempo e modo d’informarmi su certi…
dettagli.
- E
conoscendo te, Dorian – azzardò Fernand – Nulla toglie che abbia agito di tua
diretta iniziativa, e che poi sia toccato magari ad Auguste o a qualcun altro
toglierti d’impiccio.
Dorian
gli rivolse un sorrido grondante amarezza.
-
Auguste come lo conosco io, nel suo
unico habitat naturale, intento ad architettare tutto fino allo sfinimento, che
si lascia sfuggire sotto il naso un manipolo di disperati, felici di andare a
far danni mentre fuori infuria una rivoluzione? Piuttosto, mi avrebbe ficcato in
catene dentro una nave e imbarcato per un altro
continente.
Fernand
tacque, a disagio.
-
Quando ormai il mio destino sembrava già bello e pattuito e centellinavo i miei
ultimi giorni in una cella, una nutrita schiera di guerriglieri armati circondò
i carceri… E sì, c’era anche il nostro Auguste, nonostante, ora come ora, sia
ben difficile immaginare che sappia anche solo impugnare un fucile. Il resto è
storia.
Dorian
attese, lo sguardo vigile, quasi a cercar conferma negli occhi di Fernand, se
proseguire oppure no.
-
Altra incongruenza clamorosa. Non riuscendo a cavare il sangue da solo, ho
raccolto informazioni in lungo e in largo da fonti neutre, e sai la conclusione?
Auguste ha infilato un’incoerenza dietro l’altra, come volevasi dimostrare. Un
giorno ti farò vedere il famoso carcere, e poi mi dirai se secondo te è a prova
d’assedio oppure no.
-
Se non è possibile penetrare una fortezza con un regolare assedio, l’inganno può
essere un’alternativa efficace. Infiltrare qualcuno, che so… – tentò di tenergli
testa Fernand.
-
No, c’è di meglio, credimi! Fonti certe, Fernand: all’epoca delle due guerre
civili, le prigioni non avevano esattamente la funzione che Auguste mi ha
descritto in un primo momento. C’era forse l’urgenza sistematica di intasare le
celle di rivoltosi sopraffatti durante azioni di guerriglia, in attesa di
regolari processi che non sarebbero mai avvenuti? I ribelli presi in flagranza
di reato, salvo casi eccezionali, venivano direttamente passati a filo di spada.
Al massimo impiccati, e senza un processo. Se le cose fossero davvero andate
come dice Auguste, ora non starei qui a parlarne con te.
Fernand
socchiuse le palpebre, disorientato; fra le mani, un tentativo di difesa sempre
più effimero.
-
Auguste era presente a questi eventi – insistette – e non è un idiota: se anche
avesse voluto mentire deliberatamente, non si sarebbe invischiato in errori
tanto palesi e smascherabili.
-
Oh, ma è proprio questo il punto – gli occhi di Dorian scintillarono luciferini
sotto le ciglia morbide – A quanto pare, Auguste semplicemente non ha avuto il
tempo materiale di prepararsi una bella bugia a prova di sciocco, e sarà stato
senz’altro costretto ad abbozzare
qualcosa su due piedi all’ultimo momento. Perché all’epoca in cui furbescamente
ha “spostato” gli avvenimenti, lui probabilmente neppure si trovava più a Noir
Trésor; era matematicamente impossibile che potesse afferrarci su ogni singolo
dettaglio e far collimare ogni tassello senza sbavature, nel momento in cui si è
trovato a mentire in quel poco tempo che gli restava a disposizione.
Presumibilmente, Auguste non vide che i primi fuochi della fallimentare
rivoluzione del popolo contro il tiranno: quando le forche a pieno regime e le
palle di cannone cominciarono ad impartire i primi seri “avvertimenti”, Auguste
era già in viaggio con Lucien verso luoghi di cui non ricordo neppure il nome.
Auguste, esatto. E… Se davvero in città correvo tutti questi pericoli, dopo
essere stato tirato fuori di prigione per i capelli, non ti pare un controsenso,
da parte sua, evitare di spedire anche me in qualche posto dimenticato dalla
civiltà, lontano dal duca, ma piuttosto mollarmi in città sotto gli ultimi
fuochi della guerra civile?
Fernand
strizzò le palpebre, stretto in un accesso d’angoscia che gli rimordeva il
petto.
Pensò
ad Auguste: al suo desiderio di soccorrerlo, di stringerlo, di non lasciarlo
precipitare in quella voragine di disperazione spalancata sotto di lui, di cui
non pareva lontanamente quantificabile né dove né quanto se ne estendessero i
confini. Pensò a quel bacio appena accennato, alla sua concezione di ribelle, di
rivoluzione, di essere uomo, a quella patina di tristezza nei suoi occhi, e per
poco non si sentì mancare.
Sempre
peggio, sempre più in basso. Contorni sempre più ingannevoli, soffusi,
sfuggenti. Sempre più giù, verso il baratro.
A
chi doveva credere?
E
poi avvertì la presa di Dorian salda sulle sue spalle, il volto che mutava
espressione, esaurita l’enfasi nervosa del ragionamento in
atto.
-
D’accordo, ho sbagliato ancora una volta – la sua voce tremò sotto lo sfolgorio
indistinto che gli attraversava le iridi chiare – Ti prego solo, Fernand:
ragiona! Tu non c’entri niente con tutto questo. Auguste ti vuole bene…
Qualsiasi cosa nasconda, qualunque idea malata abbia in mente, sono pronto a
credere che non abbia agito in cattiva fede nei nostri diretti riguardi. Certo,
lo detesto un po’ per questo, ma mi rifiuto di credere che sia andata
esattamente così. E Lucien, che è stato al suo fianco fino all’ultimo istante,
non gli avrebbe permesso di giocare sporco nei nostri
confronti.
Fernand
si sentiva girare la testa. La stanchezza, l’angoscia, la frustrazione di non capire, il ribollio emotivo di una
giornata infernale gli premevano sulle tempie doloranti come piccole spade di
Damocle sul suo capo, una sensazione di nebbia davanti agli occhi che gli
ottundeva i sensi.
- E
tu, invece – un flebile mormorio affiorò sulla sua bocca, una cadenza roca che,
in un primo istante, quasi non riconobbe come sua – Sei certo di volermi bene,
Dorian Alexandre Desgrais? –
scandì.
Fernand
percepì la sua stessa presa sugli avambracci di Dorian divenire serrata,
convulsa, attirarlo a sé fino a trainarlo d’inerzia sul pavimento nudo, accanto
a lui. Fece scorrere le dita fra i capelli umidi che, asciugandosi all’aria,
s’inanellavano in un delizioso turbinio sulle spalle nude. Rapito, la mente
oscurata da una sorda, disperata sete di fisicità, percorse con lo sguardo
quelle ciocche ondulate che gli ombreggiavano il viso e la linea nitida, quasi
tagliente, del naso e degli zigomi.
Riemerse
da quel sogno quando le sue dita artigliarono Dorian alla nuca, e le labbra
premettero sulle sue.
-
Basta verità arrischiate, per ora! – biascicò in una punta irriverente, la voce
delirante che gli raschiava la gola – Questo… è reale,
Dorian.
Tacque.
La furia del desiderio impellente di baciarlo, di toccarlo, di sentirlo era tale che per un istante
temette di cadere in deliquio, un formicolio dal sapore oscuro che gli divampava
nel petto.
Inerte,
riuscì a malapena ad assecondare lo sforzo da parte di Dorian di aiutarlo a
tirarsi su in piedi, per poi spingerlo sul letto.
Sentì
il peso del suo corpo su di lui, l’avanzare inarrestabile e repentino delle sue
labbra sulla superficie della gola tradursi ben presto in minuscole fitte, come
spilli conficcati sotto la pelle in un’ondata di concentrica
ostinazione.
La
mano di Dorian esplorava la sua pelle sotto la camicia come guidata da una sorta
di desiderio puntiglioso, spire di puerile curiosità che si accanivano su di
lui. Un gemito roco gli sfuggì dalle labbra strette a fessura, le membra tese,
senza che egli avvertisse più su di sé le redini di quel crudele autocontrollo
atto a contenere il visibile, urlante manifestarsi della sua
eccitazione.
Serrò
furiosamente le dita sulle lenzuola, una fitta particolarmente intensa a
sconvolgere la stabilità delle sue membra e gli impianti mentali che avevano
sorretto e motivato i suoi gesti fino a quel momento, quando Dorian provò a
sfilargli delicatamente la camicia. Avvertì il morbido fruscio della seta sulla
pelle martoriata di brividi, il respiro ridotto ad un rantolo affannoso,
torrido, insufficiente a recare sollievo alla gola riarsa. L’estasi come una
stoccata diretta allo stomaco, tanto intensa da recare con sé, serpeggiando
lungo la spina dorsale, uno strascico quasi doloroso,
lancinante.
-
Fernand? – la voce di Dorian lo riportò alla realtà per qualche breve istante –
Fernand, ti sto solo accarezzando…
Si
era fermato, catturando rapidamente il suo viso in un’occhiata di traverso, una
vena vagamente allarmata sul volto, la mano che gli sfiorava con noncuranza il
torace scoperto ed i capezzoli contratti sotto il suo
tocco.
Fernand
gettò indietro la testa in un mugolio appena
comprensibile.
-
Uhh… C-così è… È peggio!
Dorian
lo soppesò con occhi curiosamente beffardi, per poi chinarsi su di lui e
afferrargli il lobo dell’orecchio fra le labbra. Rise.
-
Così impari a farmi fare certe… “figure”! – gli soffiò, sarcastico, lasciandogli
il tempo d’inquadrare la sottile allusione al problema di non poca rilevanza che
a sua volta gli aveva provocato a tradimento, mentre stava immerso nell’acqua,
senza nulla con cui coprirsi se non un’evanescente coltre di
schiuma.
-
Carogna… – gli sibilò Fernand di rimando, quasi divertito da quell’insolita,
dispettosa schermaglia.
- È
ciò che volevi, Fernand, non è così? – Dorian indugiò febbrile, un lieve
sussurro disturbato dal respiro ansante, sfiorandolo con dita leggere là dove i
calzoni stretti lo costringevano in una morsa impietosa.
Approfittava
delle sue incertezze, della debolezza della sua volontà strettamente impegolata
fra schemi inestricabili e confusi.
Il
giovane annuì disperatamente, un gemito gutturale che si spense in una selva di
ansiti impazienti, il corpo proteso verso Dorian.
Sentì
la stoffa bruciante dell’ultimo indumento scivolare lungo le cosce, le labbra
lucide di Dorian troppo vicine alla sua erezione prepotente, e il suo profumo su
di lui.
Chiuse
gli occhi. Si sentiva esposto, vulnerabile, come se persino l’aria immobile
intorno a lui sfregasse sulle parti scoperte con lo stesso vigore di una brezza
persistente, facendolo sentire scoperto, bagnato, la sensibilità ridotta
all’estrema soglia di sopportazione.
Non
credevo fosse… così. Con un amico che conosce il tuo corpo come conosce se
stesso.
Fernand
sussultò, percosso dalla duplice carezza dei suoi capelli sciolti e del respiro
accelerato che infieriva sulla pelle in fiamme: un’estenuante sensazione di
solletico che fiaccava la sua resistenza. Dorian lo baciò su un
fianco.
-
Fernand, l’hai mai fatto? – un velo d’imbarazzo calò sul volto del
giovane.
Sembrava
soprappensiero, esitante.
Fernand
soffocò un accesso di risa isteriche: era strano provare a impostare qualcosa
che somigliasse a un discorso osservandosi negli occhi da quella prospettiva
così insolita, così intima.
-
Non con un ragazzo – precisò.
Dorian
annuì meditabondo, le mani che gli massaggiavano distrattamente le cosce.
Inaspettatamente, puntellandosi sui gomiti, si portò su di lui e lo strinse
sotto di sé, per poi calare sulla sua bocca indifesa.
-
Shh…
Fernand
inarcò la schiena sotto l’assalto di una carezza, squassato dal respiro
affannoso, due dita delicate che indugiavano intorno al capezzolo arrossato.
Sospirò.
-
Lascia fare a me… – proseguì Dorian – Rilassati e lascia fare a
me!
-
Rilassarmi? Rilassarmi? D-Doriaan… – Fernand non poté spiegarsi neppure in
seguito, neppure a grandi linee, dove stesse attingendo l’energia, l’impulso
logico necessario a ribattere alle sue parole; la voce era un lamento appena
percettibile, i muscoli rilassati a sottintendere la sua resa – Non ce la
faccio…
Dorian
lo baciò a labbra chiuse, allungandogli una carezza sulla fronte
madida.
-
Va tutto bene, Fernand. E… sembra che ti piaccia – lo stuzzicò – Forse un po’ troppo.
Basta,
Dorian, basta, avrebbe
voluto gridargli. Basta giocare,
finiscila qui, oppure… Smetti di esitare!
Distolse
lo sguardo. Avrebbe voluto trovare un rifugio, anche solo per pochi istanti, in
qualche recesso razionale in fondo alla sua mente, sfuggire a quel tremito
feroce che lo attanagliava fin nelle ossa. E non era facile, non era facile con
le labbra di Dorian incollate alla gola a seguire la linea della giugulare, il
suo profilo sfocato davanti agli occhi, il contorno delle anche in rilievo che
si muovevano sulle sue come un delicato gioco a incastro, e quelle stilettate di
piacere sempre più serrate che lo istigavano a perseverare in quella sorta di
folle rituale.
Un
sibilo acuto gli invase la gola, quando la frustrante scossa del distacco
improvviso si manifestò in un’illusoria folata di freddo su di lui, i capelli
umidi incollati alle guance, la sensazione bruciante di essere il solo ad aver
perso totalmente il controllo. La sua volontà giaceva sul fondo, offuscata dai
brividi che gli rimordevano la cute delicata e da un’idea allettante e
ingannevole che gli si era radicata nella mente fino a distorcere ogni profilo
razionale, convogliando ogni dubbio verso direzioni
prestabilite.
Ed
ora attendeva, rassegnato e impaziente, la consapevolezza di sé, della sua
collocazione, come una visuale sempre più distante: foschia
all’orizzonte.
Dorian
gli sorrideva fiducioso, e Fernand fu tentato per un istante di dirgli fermati, riflettici ancora un attimo; forse
non doveva andare così, ti sto ingannando. Ci stiamo ingannando: era una possibilità
troppo invitante, troppo semplice da attuare, troppo attraente per essere
abbandonata alla leggera, e noi ci siamo precipitati a capofitto, senza alcuna
coerenza.
Solo
per un istante.
L’ultimo
quadro propriamente nitido dinnanzi a sé fu Dorian accucciato fra le sue gambe –
che egli aveva istintivamente spalancato, scalciando pigramente per liberarsi
dell’intralcio dei pantaloni arrotolati a mezza coscia. E quelle mani che gli
cingevano i fianchi, quasi a rassicurarlo, i capelli biondi sparsi sul suo
ventre a celare ai suoi stessi occhi la sua eccitazione.
Socchiuse
le palpebre, giocando a indovinare, oltre le proprie ciglia, le linee della
figura che sostava dinnanzi a lui, focalizzando l’oggetto della sua attenzione
nel caleidoscopio di una prospettiva tanto intima: la testa bionda china su di
lui, l’ondeggiamento così sensuale e ipnotico, le labbra sottili e delicate che
si dischiudevano su di lui, introducendolo in un universo caldo e sconosciuto,
come uno sguardo distratto sull’ignoto.
Fernand
gridò, le dita strette ad artiglio sul proprio viso, pallido tentativo di
attutire l’urlo che gli era salito in gola. Uno spasimo nervoso gli fece
inarcare il bacino, mentre quell’ineffabile, umida sensazione di vuoto lo
agitava fino alla punta delle dita. Lo stava sentendo e assaporando con il
proprio corpo; lui, l’altro di sé, il suo Dorian, stretto nella debole presa
delle sue gambe, un abbraccio immaginario che desiderava tenerlo avvinto a sé il
più a lungo possibile.
…Forse
non è che un singolo aspetto di quel che può dirsi “conoscenza” dell’altro: una
profonda e destabilizzante accezione, libera di sofisticati condizionamenti; la
perfetta complementarietà di frammenti non omogenei della stessa
materia.
E
lui, loro: la dolcezza di un paio di
labbra e di una lingua delicata che saggiavano curiose i suoi rilievi, come un
prudente sfioramento; dal lato opposto, il suo sesso eretto, l’appendice più
sensibile del suo corpo quale mezzo ricettivo attraverso cui sentire l’altro di
sé, il calore di quelle labbra accoglienti, la cavità umida e rovente della
bocca, la lingua che si muoveva impaziente sulla pelle in
fiamme.
D’istinto,
Fernand gli insinuò le dita fra i capelli, accarezzandolo con accorta
delicatezza, quasi con il timore di scalfirlo, d’infrangere la sua visione. Si
morse le labbra, rabbrividendo, scivolando nell’ombra liquida di un nebuloso
oblio.
Vivi,
Fernand; vivi e chiudi gli occhi. Lasciati vivere.
Il
mio cantuccio:
Buonasera
a tutti!^^ Finalmente riesco ad aggiornare in tempi “moderatamente” lunghi…
Purtroppo, causa affollamento di esami (due nello stesso giorno, e portati a
termine con successo!^^) e, soprattutto, quindici giorni di morte apparente del
pc, le cose hanno finito inevitabilmente per protrarsi più a lungo di quanto
previsto!
Ringrazio
come sempre i lettori, nonché le sempre graditissime new-entry che hanno
inserito NT tra i Preferiti o le Storie seguite, per poi passare ad un
ringraziamento ad personam a coloro che hanno lasciato i loro commenti e le loro
impressioni, ovvero
Witch:
carissima, ben ritrovata! Probabilmente non dirò nulla di nuovo, ma il tuo
commento mi ha fatto infinitamente piacere^^, non vedo perché non dirlo. Come
dire, è bellissimo cogliere le varie sfumature dall’angolazione propria del
lettore. “Fumoso, nebbioso, soffocante”: aggettivi che, in effetti, ben
s’addicono al capitolo, con il suo intrecciarsi di punti di vista differenti,
verità che, in effetti – e lo dico io per prima, proprietaria “di fatto” dei pg,
ma forse, per il resto, priva di un controllo effettivo su di loro, sul loro
interagire: come dire, hanno *quasi* una vita propria che puoi limitarti solo a
registrare fedelmente, a intuire dietro il velo, in base a ciò che pian piano
appare –, riflette in sé, idealmente, il progressivo smarrirsi dei personaggi, i
misteri che vengono a galla ma senza svelare verità incontestabili. E sono molto
contenta che abbia colto sfumature che, quasi inconsapevolmente, ho voluto
conferire, in parallelo con il muoversi dei personaggi sulla scena. Poi, certo,
non svelerò ora chi di loro effettivamente, tra Auguste, Fernand e Dorian, ha
visto giusto, chi mente e chi invece s’inganna. E *se* le loro percezioni
saranno confermate dagli eventi oppure no. Mi ha molto colpito il paragone con
la “Zattera della Medusa” (giusto per divagare un po’, con questo tuo paragone
sono tornata indietro con la mente al periodo in cui ho studiato quest’opera e
relativo autore col programma di storia dell’arte della quinta liceo… Che
nostalgia, nonostante siano passati appena due anni da allora!): oscurità che
sembra non lasciare speranza, una luce ingannevole all’orizzonte. Fra parentesi,
adoro quell’opera!^^ Raphäel: un mistero, credo sia il termine che più di ogni
altro può calzargli. Un mistero anche per me, in una certa misura. Ed è strano,
devo ammettere, gestire l’intrecciarsi delle reazioni degli altri personaggi in
sua presenza: quando scrivo di lui, mi è praticamente impossibile tralasciare la
mole d’implicazioni, di perplessità, di reazioni contrastanti che muove intorno
a sé. Fernand, pur non provando stima per lui ed essendo alquanto sospettoso in
merito (ma quel ragazzo è tutto fatto a modo suo, eh: da prendere con le pinze,
in effetti), ne è inconsciamente inquietato; Dorian (che, sì, è propriamente
sull’orlo di una crisi di nervi, e di certo la sua situazione, le sue angosce,
quel vuoto di memoria che gli pesa sulle spalle, sembrano condizionarne non poco
gli sviluppi; fa addirittura male, per certi versi, specie quando adotto il suo
PoV, che spero essere riuscita precedentemente a rendere senza stucchevolezze di
sorta), che da un lato se ne sente un filo soggiogato, dall’altro è spinto ad
osservarlo da prospettive inedite, che non necessariamente finiranno per
sovrapporsi ai tratti che emergono ad una prima occhiata; e anche Auguste, da un
certo momento in poi, sembra riuscire ad andare oltre la figura asettica del
complice senza aggettivi che fino a quel momento era stata per lui la visione
dominante, a vederne il lato propriamente umano, disposto anche a stabilire un
velo d’empatia. Spero davvero di non aver rivelato troppo: il fatto è che quando
m’immergo a parlare di *loro* potrei andare avanti per ore. Mi ha fatto molto
piacere il tuo commento e spero che questo nuovo capitolo non deluda le tue
aspettative (spero soprattutto che la lemon – che poi chiarirò meglio nel
prossimo capitolo, ormai ufficialmente “in cantiere” – risulti ben inserita e
motivata nel contesto!). Un bacio!
Fata:
tesoro, innanzitutto, ben ritrovata su questi lidi! Quando ho letto la tua
recensione, ad essere sincera, sono rimasta inizialmente senza parole: potrei
estendere questo discorso ad ogni commento ricevuto, in privato, in pubblico,
qua o su altri lidi, in cui trapela decisamente come il lettore ha “sentito” le
vicende, i pg, le implicazioni emotive sottese; l’analisi che sta alla base e
che, paradossalmente, permette all’autore di trovare corrispondenze,
significati, angolature nuove tramite il lettore. Vi è una reciprocità, in
effetti; raramente l’interazione è lineare, parlante-ascoltatore. Per farla
breve, mi ha fatto infinitamente piacere, e forse non riesco neppure ad
esprimere effettivamente quanto.^^ Partiamo da Auguste: in effetti, a voler
proprio sintetizzare il tutto, nei casini l’avevamo lasciato, con poche certezze
riguardo alla sua incolumità, e nei casini lo ritroviamo. Devo ammettere
innanzitutto che neppure per me è stato facile gestirlo in questi particolari
frangenti: un po’ perché ha una sua personalità ben spiccata, poverino, ed è
giusto lasciarlo esprimere, dargli carta bianca, nel bene o nel male (se no,
entra in sciopero); un po’ perché, anche quando il quadro si palesa – e neanche
del tutto, a dire il vero – non è facile tradurlo. Fa male, quasi, vederlo
agitarsi in un grigio piombo dalle rare sfumature, con tutta una mole
d’implicazioni inattese che sembra precipitargli sulle spalle, quasi senza
tangerlo più visibilmente, e, da autrice, dar voce a queste sue sfaccettature.
Lucien, Emilie, Fernand: ognuno di loro, in proporzioni differenti, ha o ha
avuto per lui un impatto positivo e negativo, che pian piano sta venendo alla
luce. Forse Lucien l’avrebbe salvato; forse Auguste ha intravisto qualcosa in
Fernand, ma uno scudo sempre presente fra loro, capace di manifestarsi nelle
accezioni più differenti, ha rimesso tutto in gioco, regalandogli un dubbio, un
“freno” non pienamente definibile. Emilie: per quanto, da “matrigna letteraria”,
non condivida alcuni suoi atteggiamenti, mi ritrovo costretta ad ammettere che,
con ogni probabilità, forse le cose non sarebbero potute andare altrimenti: o
magari sì, ma con un contesto di partenza diverso da parte di entrambi, diversa
la cornice, la materia su cui intervenire. In effetti, ben poco fra loro sembra
essere nato sotto i migliori auspici, e di certo si potrebbe citare
eventualmente, come parziale attenuante, senza giustificazioni o consolazioni di
sorta, il fatto che la poveretta si è beccata Auguste nel momento peggiore. Per
la faccenda dei forellini sul collo, in effetti, ci sarebbe tanto da dire, se
ciò non comportasse cominciare a tirar fuori spoiler grandi quanto una casa – e,
considerata la proverbiale logorrea che mi coglie quando si parla di NT, fra le
righe qualcosa potrebbe sempre uscir fuori, mea culpa. Le effettive spiegazioni
in merito, chissà, potrebbero rivelarsi insospettate. O magari rivelarsi neppure
così insospettabilmente fantasiose… Chissà! Per il resto, in una riflessione più
propriamente conclusiva (se no il capitolo che sta qui sopra chissà quando
finirò per pubblicarlo!), posso dire di aver *adorato* ogni sillaba di questa
tua analisi: dalle riflessioni generali sull’impianto della storia – e sono
*loro*, in effetti, i personaggi, a dipanare i fili: a me spetta l’onore di
riannodarli man mano che la storia procede, e spero di rendere il lavoro al
meglio – fino ai singoli personaggi. Come avrò sicuramente avuto modo di dire
tante volte, lo sguardo approfondito del lettore rappresenta certamente un
momento di riflessione, una prospettiva irrinunciabile che non di rado getta
luce su singoli punti, implicazioni, angolature magari rimaste apparentemente
nell’ombra. Ed NT, sicuramente, è anche un prodotto di tutto questo. So che mi
comprendi! Sperando che questo nuovo capitolo – parzialmente scritto sotto
esame, riveduto&corretto in seguito, ma su, son dettagli: ho fatto di
peggio!^^ – sia di tuo gradimento (con annessa lemon^^), do appuntamento alla
prossima. Un bacio!