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Autore: EleWar    08/11/2019    10 recensioni
L’aria era satura di elettricità, immobile.
Due persone si fronteggiavano sulla terrazza di un palazzo di mattoni.
Una tempesta stava per scoppiare.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba, Saeko Nogami
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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Cap. 5 Ritorni
 
Era passata già più di un’ora dalla partenza di Ryo, e Kaori si dibatteva nel sonno in preda a incubi spaventosi, come la notte precedente, ma stavolta non c’era la presenza rassicurante del suo socio a calmarla. Continuava a rigirarsi nel letto e si lamentava: quel turbinio di immagini incomprensibili ed angoscianti la facevano agitare, e più si agitava, più si riacutizzava il dolore dell’ustione lungo la schiena. Tentava disperatamente di riemergere da quell’inferno onirico, e quando, infine, riuscì a svegliarsi, era madida di sudore e ansante.
Si passò una mano tra i capelli umidi, cercando di normalizzare il respiro e di calmare il cuore impazzito.
Quando si sentì sufficientemente tranquilla, la mente sgombra e lucida, si sedette sul letto e si prese la testa fra le mani: perché non riusciva a fare ordine nei suoi pensieri?
Aveva bisogno di risposte, aveva bisogno di uscire da lì; quella stanza, quella casa, la stavano soffocando.
Si alzò e si diresse al cassettone dove la mattina prima aveva trovato l’anello, lo prese e, dopo averlo rimirato lungamente, se lo mise al dito.
In bagno si sciacquò il viso sudato e pallido; l’immagine che le rimandò lo specchio era preoccupante: i suoi occhi cerchiati sembravano enormi e quasi non si riconosceva.
Quando tornò in camera si vestì in fretta, poi infilò la porta dell’appartamento e scomparve nel buio della notte.
Non pensò neppure per un istante che Ryo si sarebbe preoccupato non trovandola al ritorno; doveva uscire!
Girò senza meta per la città. Tutto le appariva così familiare, ma anche così sconosciuto; la brezza notturna, però, le dava un piacevole refrigerio.
Si ritrovò, inspiegabilmente, di fronte al cancello sbarrato del cimitero.
Un secondo dopo lo aveva agilmente scavalcato, ed era già dentro, a girare per i vialetti ordinati, e le lapidi grigie e spettrali. Ma lei non aveva paura: una forza misteriosa guidava i suoi passi e sapeva dove portarla. Esattamente lì.
La luna, che aveva giocato a nascondino con le nuvole tutto il tempo, scelse quel momento per mostrarsi, e un raggio blu-argenteo illuminò una lapide in particolare. Lei si fece avanti e ne lesse il nome.
Un grido improvviso, quasi sovrumano, squarciò il silenzio della notte: era un lamento come di animale ferito, che si affievolì fino a diventare un mormorio indistinto.
 
Ryo aveva fatto visita a tutti i capi della mala, trincerati nei vari privée dei night più rinomati del quartiere. Aveva ascoltato tutti, aveva mediato, aveva minacciato, aveva dovuto scolarsi qualche drink per omaggiare l’ospitalità di quei personaggi sordidi e potenti. Aveva anche finto d’interessarsi alle donnine che, sculettanti e ammiccanti, gli si strusciavano addosso. Ma il suo pensiero correva sempre da lei, all’unica donna che contasse veramente per lui, e che dormiva beata nel suo letto, a casa sua, così indifesa, così lontana.
Quella sera il suo lavoro, seppure di routine, gli pesava enormemente: non voleva essere lì, non voleva essere lo sweeper numero 1 del Giappone, non gli interessava nemmeno di essere lo stallone di Shinjuku. Voleva correre a casa, ed essere semplicemente il compagno affettuoso e premuroso di quella donna fantastica, che il destino gli aveva messo accanto, e nulla di più.
 
Alle prime luci dell’alba riuscì a portare a termine il suo lavoro di mediazione; per un po’ quella stupida guerra fra bambini troppo cresciuti, sarebbe stata rimandata.
Prese la macchina e filò per le vie semi-deserte della città. Per le strade, solo gli ultimi tiratardi e i primi mattinieri che si recavano al lavoro.
Era distrutto, la tensione per quelle trattative interminabili e la preoccupazione per Kaori iniziavano a farsi sentire.
 
Salì quasi di corsa le scale dell’appartamento, ma dovette fermarsi di colpo quando, nella luce fioca del mattino, scorse un’ombra informe, che gli sbarrava la strada.
Il suo cuore perse un battito: riconobbe subito la persona che era rannicchiata lì, ripiegata su sé stessa, con la testa appoggiata sulle ginocchia e le braccia strette intorno alle gambe.
Fu assalito da un vortice di emozioni contrastanti, e mille domande si accavallarono nella sua testa: perché Kaori era lì fuori dalla porta? Perché era uscita? Non doveva uscire! Dove era stata? E Mick? Non si era accorto di niente? L’aveva lasciata che dormiva serenamente, perché non era in camera sua? Dentro casa? Perché era vestita di tutto punto?
Stava per esternare la sua frustrazione nell’unico modo che conosceva, e cioè arrabbiandosi, e già alla bocca gli erano saliti i peggiori rimproveri. Ma non riuscì a dire nulla perché lei, sempre con la testa incassata nel petto, lapidaria gli chiese:
“Perché non me l’hai detto?”
Se in quel momento gli avessero sparato, avrebbe provato meno dolore.
Aveva afferrato all’istante il senso di quelle parole, senza bisogno di ulteriori chiarimenti.
Provò a dire:
“Sugar… io…”
“Non ti avevo proibito di chiamarmi così?”
Ryo trasalì.
Allora aveva riacquistato la memoria? Cosa significava?
Non fece in tempo a pensare altro che lei, sollevando infine la testa, e sorridendogli con un misto di rassegnazione e sarcasmo, aggiunse:
“Ma tu non mi ascolti mai e fai sempre come ti pare”.
Finalmente lo sweeper si decise ad avanzare, e si sedette uno scalino al di sotto della ragazza. Non sapeva come comportarsi: aveva paura di ciò che lei gli avrebbe potuto dire, che non avesse riacquistato la memoria, che avesse sofferto inutilmente.
Appena le fu più vicino, notò subito che aveva pianto, il viso scavato, ancora qualche lacrima le brillava sulle ciglia.
L’ondata di tenerezza che sentì per quella donna meravigliosa fu tale, che non resistette, si protese verso di lei e l’abbracciò, cercando di trasmetterle tutto l’amore che provava.
Non sapeva ancora cosa aspettarsi dal futuro, ma il suo unico desiderio era di poterlo trascorrere con lei, ad ogni costo.
Se non avesse riacquistato la memoria, lui le avrebbe raccontato ogni giorno la storia della loro vita insieme, affinché capisse quanto erano stati felici; le avrebbe parlato di tutte le avventure vissute, dei casi, delle clienti… non le avrebbe risparmiato niente, neanche le volte in cui aveva fatto il maniaco e il pervertito. Le avrebbe anche insegnato a maneggiare di nuovo i martelli, cosicché avrebbero ripreso le antiche abitudini, anche se… non si sentiva più di fare il farfallone in giro come prima. Era come se fosse cresciuto di colpo.
Di sicuro l’avrebbe corteggiata, l’avrebbe fatta sentire importante, proprio come si meritava; si sarebbe preso cura di lei e l’avrebbe resa felice e orgogliosa.
Sempre che avesse deciso di rimanere con lui…
 
Kaori si era rifugiata nell’ampio petto del socio, l’unico posto dove si sentiva davvero al sicuro. Fra le sue braccia poteva sentir battere all’impazzata il cuore dell’uomo che amava, ed era al settimo cielo perché finalmente sapeva di essere corrisposta.
Scostò leggermente la testa, e cercando il suo sguardo nella penombra, gli disse:
“Ryo, sono così confusa, non so più chi sono”.
Lui la strinse più forte, incapace di dirle alcunché.
Lei proseguì:
“Mi dispiace che l’altra sera abbiamo litigato, ti ho detto cose orribili”.
L’uomo sussultò: allora era vero, aveva recuperato la memoria! La sua Kaori era tornata.
Con un sussurro le rispose:
“Non fa niente Sug… emmm, volevo dire Kaori-chan”
“Ma, davvero vuoi smettere di chiamarmi così, con quel nomignolo bellissimo, che proprio tu mi hai dato? Mi è sempre piaciuto tanto” e gli sorrise.
Lui sentì il sollievo invadere il suo cuore, e proseguì dicendo:
“E comunque ne avevi tutto il diritto di dirmi quelle cose, ti ho sempre fatto soffrire, e l’altra sera io avrei meritato di essere colpito dal fulmine e non tu! E avrei dovuto restarci”.
Stavolta fu il turno di Kaori, di trasalire:
“Che stai dicendo? Ed io? Come avrei fatto io, senza di te? Avresti voluto lasciarmi qui da sola?”
“Oh no, tesoro mio, ma non vedi? Sono un buono a nulla, capace soltanto di farti del male. E avevi ragione, sono un vigliacco e un codardo…”
“Però questi giorni mi hai fatto sentire così tanto amata, ti sei preso cura di me. Non ricordavo chi tu fossi, ma mi hai conquistato lo stesso… ed io… mi sono innamorata di te!” e seppure arrossendo, lo guardò intensamente, poi proseguì: “Eri così tormentato per la tua socia, per me! E poi mi hai detto delle cose bellissime, come nessuno mai. Quando ho riacquistato la memoria, ho provato un dolore lancinante, era come se avessi perso Maki di nuovo, ero disperata… Però poi ho anche realizzato che non ero da sola, che ero io la donna di cui mi avevi parlato, la collega che ti mancava così tanto; ho creduto alle tue parole… e, be’… ho provato una tale felicità, Ryo!”
“Oh, Sugar… non sai quanto mi sei mancata! Se tu non fossi tornata quella di prima, sarei impazzito! Però sappi che, quando ti ho baciato la prima volta, era te che baciavo, perché desideravo farlo da… da sempre”.
“Ora però sono qui, sono tornata e voglio poterti amare” e gli rivolse uno sguardo dolcissimo, che si accompagnò ad una carezza leggera sul viso; Ryo chinandosi, le regalò un bacio struggente.
Era stato sul punto di perderla non una, ma due volte, e non voleva più lasciarla andar via.
Quando Kaori aveva perso la memoria, lui, con essa, aveva perso la sua identità: perché se lei non lo riconosceva, allora lui non esisteva più.
In quei giorni, in poco tempo, aveva capito quanto lei fosse importante per lui, molto di più di quello che immaginava, ed ora non voleva più perdere altro tempo: voleva solo stare con lei.
Baciandosi, sospirarono con soddisfazione.
 
I primi timidi raggi di sole scesero ad illuminare le scale, e quei due innamorati che, infine, si erano faticosamente ritrovati.
Quel bacio, che era iniziato come una preghiera, come una richiesta, si era trasformato ben presto in un’esperienza intima e intensa, quale nessuno dei due aveva mai provato; si era fatto esigente e pieno di desiderio, un invito ad andare oltre, oltre tutte quelle stupide barriere che li avevano tenuti lontani così tanto a lungo.
Kaori, scostandosi appena da quelle labbra dolci e morbide, gli sussurrò:
“Perché non entriamo?”
C’era ancora una porta da oltrepassare.
“A casa nostra?”
“Sì, a casa nostra”.
Allora l’uomo la prese in braccio senza sforzo alcuno, aprì la porta di quell’appartamento che tanta parte aveva nella loro vita, che li aveva visti così spesso litigare, fare la pace, divertirsi, ridere; che era stato ripetutamente distrutto da criminali, da bombe, da martellate e kompeiti, addirittura una volta da un Cessna, e che da adesso in poi li avrebbe anche visti innamorati e felici.
 
 
 
A volte il passato è un pesante fardello, scomodo da portare come una vecchia valigia; ma senza di esso non saremmo quello che siamo ora, nel bene e nel male: non si dovrebbe mai rinnegare ciò che si è vissuto, ciò che è stato.
 
 
Ed eccoci arrivati alla fine di questa storia, e lo so, il capitolo è il più corto di tutti ed è proprio quello che contiene il finale, ma tutto era stato già detto e doveva concludersi così.
Spero che questa mia storiella, un po’ più “profonda” delle altre, vi sia piaciuta. So che le mie amate Briz65, Valenicolefede, Kaory06081987 e 24giu hanno gradito, e hanno gioito, penato, sperato con me (che l’ho scritta) che tutto andasse per il meglio. Tanto a noi sti due innamorati senza speranza piaceranno sempre e non smetteremo di sognare che “invece” insieme ci si sono messi lo stesso ^_^
Grazie a tutti quelli che hanno letto, anche silenziosamente, o messo fra le preferite/ricordate, la mia fic.
Per il momento è solo un arrivederci (promessa o minaccia sta a voi dirlo ;-) )
A presto
con simpatia
Eleonora

 
 
   
 
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