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Autore: Stellato    08/11/2019    10 recensioni
Siamo nel 1775, rispetto alla storia originale Rosalie manca (manca?), il conte di Fersen è ancora in Svezia e le giornate scorrono monotone in quel di Versailles tra un brutto tiro e l’altro della Polignac e i capricci di Maria Antonietta.
E se Oscar avesse avuto un’amica?
Questo, signori, è il folle tentativo di innestare un po’ di frivolezza nella stoica esistenza di madamigella Oscar.
Ad aiutarmi nell’impresa ci sarà una tizia bizzarra inventata di sana pianta, naturalmente André, un viaggio nella profumata Provenza, delle illustrazioni ad acquerello e probabilmente degli scivoloni fuori personaggio perché questa sarà una storia (insostenibilmente) leggera.
Forse.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Le imperfezioni
 
 
Fosse stato per lei, Sabine non avrebbe avuto la minima fretta di sposarsi.
Quale unica rampolla della famiglia più abbiente di Grasse, la sua esistenza si spiegava dorata e senza asperità, come il paesaggio collinare che vedeva dalla sua stanza rosa a Maison Florentin.
In questa immensa magione che faceva anche da sede principale all’omonima casa di profumi, i genitori l’avevano allevata ricoprendola di affetto senza ritegno – complice anche la sentenza dei dottori riguardo l’impossibilità di avere fratellini o sorelline per la piccola Sabine -  e le avevano insegnato tutto ciò che c’era da sapere sull’arte delle essenze floreali, il loro mestiere da generazioni.
Suo padre in particolare stravedeva per lei.
La piccola gli si era messa alle costole non appena aveva potuto, preferendo ai giochi con la tata ciò che lui le insegnava nei giorni di raccolta, nei campi, ai tavoli dell’enfleurage e nelle distillerie per gli olii essenziali.
Laurence Florentin non amava le esagerazioni, ma vedeva nel naso di sua figlia del miracoloso. Quando la bimba era ancora un soldo di cacio e sapeva pronunciare solo una manciata di parole, queste erano per lo più nomi di fiori, di cui aveva imparato a distinguere il profumo prima ancora che a camminare, a detta del padre.
Crescendo, i suoi insegnamenti si erano allargati all’amministrazione di quella produzione sempre più grande e lei non l’aveva deluso neppure in quel caso, dimostrandosi svelta di comprendonio e assai furba nella gestione del denaro. Le redini delle attività di Maison Florentin non potevano finire in mani migliori, decretò.
La madre di Sabine però non la vedeva così. Non metteva certo in dubbio le capacità della figlia, ma sognava per lei un futuro diverso, principesco, nello sfarzo che lì a Grasse potevano solo immaginare, per quanto i loro commerci potessero arricchirli.
Voleva per lei l’aristocrazia. Parigi. La vita di corte. Un buon matrimonio, insomma.
La ditta di famiglia l’avrebbero gestita i figli di Sabine, che sarebbero arrivati con meno parsimonia di come era accaduto nel suo caso, ne era certa.
 
Così, il giorno del suo diciottesimo compleanno, Sabine sposò il barone Raymond Théophile de Plantier; uno spilungone occhialuto e timido che aveva incontrato sì e no dieci volte, e solo l’ultima di queste era riuscita a parlargli da sola nel soggiorno di casa.
In quell’occasione non aveva le farfalle nello stomaco come ci si sarebbe aspettati da una futura sposina, ma un discorso in mente che sentiva di dover mettere in chiaro con chi si stava vincolando per la vita.
 
Non c’era bisogno di infiocchettare ciò che stava accadendo tra loro, gli disse sentendosi pratica, con il distacco di chi non aveva nulla da perdere, come suo padre le aveva insegnato a condurre una trattativa.
Quel matrimonio era un affare e come tale andava affrontato: sempre rispettandosi reciprocamente, lui poteva continuare a indulgere nei viaggi di cui sembrava appassionato, continuare a perdersi in quegli studi così eccentrici su un argomento repellente come gli insetti (i nemici assoluti di Sabine poiché predatori dei suoi fiori). A lei bastava conservare abbastanza libertà e gliene avrebbe garantita altrettanta, ma senza prendersi in giro con sciocchezze sentimentali, che dal suo punto di vista avrebbero reso la loro situazione penosa e insincera.
 
Raymond l’aveva ascoltata senza fiatare, stupefatto, e poi aveva abbassato il capo qualche istante, come per riflettere. Come lei aveva del rosso nella capigliatura, e i riflessi del sole pomeridiano nella stanza giocarono col suo biondo fulvo, col carota acceso della sua barba corta e curata.
Sabine ebbe paura di aver passato il limite e di averlo offeso, ma l’espressione che lesse dietro i suoi occhiali quando tornò a guardarla era della più tenera complicità.
 
Acconsentì alla sua proposta, complimentandosi con lei per la sua onestà, anche.
Si ritrovarono a discutere nel modo più semplice possibile di ciò che desideravano da quella unione in cui le loro volontà contavano poco e trovandosi allineati su tutto non ci vollero che pochi increduli minuti. Lui parlava in modo pacato e chiaro, talora soffermandosi su una parola con l’incertezza scientifica di chi sa sempre mettersi in discussione ed è abituato a riflettere ad alta voce.
 
Il loro matrimonio di interessi l’avrebbe quindi vista amministratrice di una cospicua fortuna e di tutte le loro proprietà; era un compito impegnativo che le delegava volentieri, non ci fu bisogno nemmeno di contrattare; era evidente che quell’uomo ricchissimo dei soldi se ne infischiava.
Sabine però doveva risiedere tra Parigi e Versailles come rappresentante de Plantier alla corte di Luigi XVI: entrambe le loro madri si aspettavano questo da lei, era una questione di prestigio.
Mentre lui… lui avrebbe viaggiato, senza farsi troppi scrupoli.
 
“Però sarebbe bello andare d’accordo, Sabine” concluse con un sorriso timido, seduto molto più vicino di quando avevano iniziato quella chiacchierata.
 
Nessuno dei due aveva accennato all’argomento figli o a tutto ciò che li precedeva e Sabine si chiese se quella fosse un’allusione.
 
Una nota leggera di bergamotto le solleticò il cuore. Con essa affiorò in lei per la prima volta il dubbio di aver commesso un errore clamoroso; ricordava l’istante con precisione.
 
“Sono certa che rientri nelle nostre possibilità, Raymond.”
 
***
 
Chi avrebbe mai pensato, allora, che avrebbe atteso a questo modo una sua lettera?
 
Tutto le era sfuggito di mano e a giudicare dai tempi dilazionati che aveva preso la corrispondenza del marito, forse in modo irreparabile.
Era stata cieca e orgogliosa, era ovvio che col tempo la situazione sarebbe andata a rotoli, con quelle premesse gelide e quella distanza tra loro che perdurava. Ma invece di iniziare una sobria ritirata aveva deciso di provarle tutte.
E adesso questa storia con madamigella Oscar…
 
Appoggiò la fronte al vetro appannato di una piccola finestra della cucina, il contatto fresco interruppe i pensieri in ebollizione.
Da quell’angolo poteva vedere la porta di servizio, l’ingresso della servitù del suo palazzo di Parigi, a cui ogni giorno più o meno a quell’ora bussava il postino.
 
Chissà se oggi avrò sue notizie.
 

 
***
 
Toccava ad Oscar scegliere cosa avrebbero fatto nella prima delle due uscite su cui si erano accordate e senza grandi sforzi di immaginazione aveva proposto a Sabine di aggregarsi ad un impegno preso in precedenza: un ritrovo culturale a casa del marchese de Ravelins.
Letture di classici latini, alcune tele in mostra e un concerto di musica da camera seguito da un leggero rinfresco, col sommo fine di promuovere le arti e i giovani spiantati che le praticavano.
 
L’idea era quella di partire insieme dalla reggia non appena Oscar si fosse liberata dal lavoro.
Stava proprio prendendo gli ultimi accordi con Girodel per il giorno seguente quando questo si distrasse e fissando un punto indefinito oltre le sue spalle commentò salace: “Devono aver aperto la voliera reale, comandante. C’è un uccello raro che si è perso.”
Indovinò ancora prima di guardare che si trattava di Sabine.
Le imponenti piume magenta nella sua acconciatura doppiavano l’altezza della testa ondeggiando a ogni passo assieme alle ampie gonne color pesca. Queste ultime, grazie all’uso di un panier particolarmente strutturato, si allargavano sul fianco quasi quanto l’estensione delle braccia cariche di bordure in pizzo, così tanto da poter sembrare ali, effettivamente. E il trucco delle labbra spiccava a lunga distanza come il centro scarlatto di un bersaglio sulla piazza d’armi.
“Certo che non sanno più che stravaganze inventarsi, ormai a corte” rincarò Girodel. “Personalmente non riesco proprio a capire come facciano certe dame a…”
“Oscar!” chiamò l’uccello raro con familiarità, localizzandola a dieci passi da loro.
La bionda sorrise benevola mentre il suo secondo diventava paonazzo.
“Perdonate colonnello, io non… potevo sapere…” balbettò quello mentre la figura colorata si avvicinava.
“Girodel, permettete che vi presenti la baronessa Sabine de Plantier.”
La donna rimbalzò in un piccolo inchino gioviale, ma si rivolse di nuovo ad Oscar, mettendo da parte ulteriori cordialità con l’uomo in imbarazzo.
“Volevo solo dirvi che ci sono, vi aspetto nella carrozza sul viale, prendete pure il tempo che vi occorre a finire.”
Era uno svantaggio che Oscar non aveva neppure preso in considerazione, ma ovviamente avrebbero dovuto viaggiare in carrozza, allungando di molto i tempi di spostamento. Con quell’impalcatura che aveva su Sabine, oltretutto, doveva essere necessariamente una vettura bella grande.
Si sforzò di non lasciar trafelare la seccatura.
 
***
 
La serata culturale era popolata da personaggi stravaganti, ma in modo completamente diverso da quello che si aspettava Sabine. Le sembrò solo un mucchio di gente che parlava ad altra gente che parlava; senza nessuno che ascoltasse davvero. Molto simile a Versailles, ma con argomenti diversi.
Aveva finto di capire qualcosa della lettura in latino annuendo molto e glissando su ogni domanda diretta, ma ad un certo punto doveva essersi tradita perché Oscar l’aveva praticamente trascinata via quando una donna dall’aria molto sofisticata aveva iniziato quasi ad interrogarla.
Probabile che anche il complimento alla sua acconciatura piumata fosse sarcastico, maledizione, non c’era arrivata.
Odiava fare le figura dell’ingenua, ma succedeva spesso, ultimamente.
 
“Oscar, ditemi… definireste questo genere di intrattenimento tra i vostri preferiti?”
L’altra stava studiando il programma così intensamente che ci mise un secondo di troppo a capire la domanda. “Ovidio non direi... ma è così in voga in questi tempi che… domando scusa, forse intendevate questo incontro?”
“Sì - fece Sabine - la lettura e tutto il resto.”
Oscar sembrò soppesare la sala con gli occhi e un lieve disappunto increspò il suo viso dalle proporzioni auree.
“Magari non questa serata in particolare, però come genere… direi di sì. Soprattutto il concerto… ma ci sono altre cose che preferisco ulteriormente.”
“Ad esempio?” incalzò Sabine.
“Ad esempio suonare io stessa.”
“Cosa suonate?” chiese l’altra, ammirata.
“Il violino e il pianoforte.”
“Il pianoforte… l’ho sentito nominare, ma non ricordo che strumento sia.”
“Somiglia ad un clavicembalo, ma è più grande. E anche il suono è più possente e vario; le corde vengono percosse anziché pizzicate, così il suono varia a seconda della pressione che vien data ai tasti.”
Sabine rimase ammutolita dalla spiegazione dettagliata. E senza il coraggio di ammettere che non ricordava neppure quale fosse il clavicembalo.
“… A voi piace la musica?” provò Oscar.
“Sì, la amo!” si riprese l’altra tornando a sorridere.
“Che generi vi piacciono?”
“Tutto ciò che si può danzare; non sono schizzinosa.”
“Quindi… Boccherini, Lulli…?” sondò Oscar speranzosa.
Sabine fece spallucce. “Fin tanto che si balli.” Scosse la testa e le piume risposero in sobbalzi ipnotici. Era consapevole di trovarsi nell’ennesimo punto della conversazione in cui ciò che lei sapeva non rientrava in tutto ciò che Oscar considerava degno di valore, ed era frustrante.
Cosa potevano avere da dirsi tra loro un papavero e una rosa bianca?
Presero posto tra le file di eleganti poltroncine disposte al centro del salone, il quartetto d’archi avrebbe iniziato di lì a poco il concerto.
“Vedete Oscar, io non conoscevo affatto i balli di corte prima di venire a Parigi. Ho preso così tante lezioni per imparare a danzare un minuetto decentemente che il maestro di ballo ha pensato avessi un debole per lui e cercassi scuse. - roteò gli occhi al ricordo non troppo distante - Per me esisteva solo la musica occitana, le danze popolari con cui sono cresciuta a Grasse. È quella la musica che amo.”
“Non conosco la musica occitana… sarei curiosa di ascoltare qualcosa.” Fece Oscar con rinnovato interesse.
“Magari un giorno mi accompagnerete a fare un salto in Provenza e potrò farvela ascoltare. Qui non credo sia conosciuta… e ci si tocca decisamente troppo ballando, a corte verrebbe considerata un’indecenza, ma…”
“SHHHT!” sibilò la signora alle loro spalle, facendole sobbalzare.
Cominciava il concerto.
 
Sabine non aveva mai ascoltato un concerto.
Ed era davvero un animo sensibile, a concentrarsi sulla melodia le sembrò di sentire il primo movimento de La Primavera di Vivaldi con tutto il corpo, non solo con le orecchie.
La gioia della stagione descritta dai violini le entrò dentro e la trasportò altrove, chiuse gli occhi e volò fino a Grasse, si vide sulle colline fiorite della sua città in una giornata di sole, il mistral carico di profumi gonfiarle le gonne e scompigliarle i capelli.
Non appena la musica si interruppe esplose in un applauso entusiasta e quasi commosso, ma sorprendentemente era la sola.
“SHHHHHHHHT!!!” replicò l’anziana signora di prima, indignata.
Oscar si allungò sull’ampio diametro del suo vestito per sussurrarle di non applaudire durante i movimenti, ma solo a fine concerto.
Annuì mortificata, ne aveva combinata un’altra.
Ma non sarebbe stata l’ultima.
 


Arrivati a L’inverno era ancora rapita dalle note, ma nella tensione dell’ascolto, giocherellandoci, fece cadere a terra uno dei suoi orecchini di perla, che rimbalzò in un sonoro ding per poi perdersi tra le poltrone.
La signora di prima, acida e spazientita, stava per produrre l’ennesimo “SHHHT” quando Sabine mosse all’indietro la testa per provare a localizzare l’orecchino caduto, causando l’ingresso delle famose piume nella bocca aperta della donna.
La dama iniziò a tossire con violenza, quasi rantolando. La musica prima tentennò e poi si spense, mentre Sabine scattava a provare a soccorrerla, urtando con l’ampio panier il bicchiere di vino del vicino di posto che in una catena inesauribile di disastri finì sull’abito della donna seduta ancora dopo.
 
Sabine si guardò attorno tra la mortificazione e il terrore, paralizzata.
Non sapeva neppure da chi iniziare a chiedere scusa, sentì lacrime d’imbarazzo salirle agli occhi e quelli dell’intera sala su di lei, ma poi si girò a guardare Oscar.
Che rideva.
A crepapelle.
Lei, così misurata e a modo, era passata dallo sbigottimento al riso incontrollato, una risata piena che non immaginava neppure sapesse fare e con la quale la contagiò in pochi istanti.
Sghignazzarono fin quasi alle lacrime, tra goffi tentativi di ricomporsi e di contenere i danni, ma non riuscivano e forse quella prima serata poteva dirsi fallimentare, ma quello fu un bel momento, avrebbe detto Sabine se avesse avuto qualcuno a cui raccontarlo.
 
***
 
Al rientro a casa, Oscar vide una luce nella cucina e vi trovò André, in piedi, avvolto in una coperta di lana, che armeggiava con il necessario per prepararsi una camomilla badando a non far rumore, nella casa già addormentata.
Lo affiancò silenziosa. Si intesero a gesti: di suo avrebbe puntato al vino, ma si lasciò convincere dal profumo dolce di quei fiori essiccati a prendere una tazza dell’infuso anche per sé (forse Sabine stava suggestionandola più di quanto credesse con questa storia degli odori; iniziava a farci caso) e con le bevande fumanti si accomodarono al tavolo, il più vicini possibile al focolare che crepitava lento.
“Stai meglio?” chiese lei piano.
“Decisamente.” Rispose lui con la sua bella voce ritrovata, ma ancora roca, bassa.
Oscar pensò che era intonata a quell’ora, a quella luce mobile e rossastra.
“Ma raccontami tu - riprese – com’è andato il tuo incontro?”
Lei prese tempo soffiando sulla camomilla.
Com’era andato? Bella domanda, pensò lei.
“Non saprei dirti. La baronessa è così… diversa… da me, ma anche da come ci si aspetterebbe dovrebbe essere una signora che frequenta la corte di Versailles.”
“In che senso diversa?”
“È… un po’ goffa.” Ammise Oscar accondiscendente. “È spesso fuori luogo e ha per molti aspetti, vestiario compreso, un gusto che definirei pacchiano” elencò in tono neutrale, come a ribadire che quelle erano considerazioni oggettive. “È gentile, ma qualche volta lo è in modo quasi invadente e riguardo la sua cultura direi che ci sono parecchie lacune che...”
“Hm, capisco” la interruppe André ridacchiando. “Ma io non ti avevo chiesto questo, sembri il suo precettore, Oscar. - prese un sorso di camomilla mentre l’altra lo osservava perplessa. - Quindi hai scoperto che questa persona è imperfetta, ma anche lei dal suo punto di vista potrebbe dire lo stesso di te. Ad esempio potrebbe pensare che sei altezzosa.”
Gli rivolse una stilettata azzurra con gli occhi, indispettita.
“È tutto relativo - fece lui con tranquillità – mettiti nei suoi panni, tu sei difficile.”
“Difficile?”
“Complessa.” Provò a recuperare lui.
Interdetta, sembrò cercare il suo riflesso nella camomilla. Sistemò delle onde dorate dietro l’orecchio, seria. Incantevole, avrebbe aggiunto André, che in quelle complessità custodiva il senso delle sue giornate.
“E sentiamo, André, tu che fai tanto il Minosse della situazione… di te cosa potrebbe dire un osservatore esterno? Secondo te cosa pensano di te le persone che incontriamo a Versailles?”
“Ma è ovvio, davvero non lo immagini?”
“No, dimmelo.”
“Che non sono nobile.”
Il silenzio li inghiottì per qualche istante, mentre il focolare continuava a crepitare.
Adesso Oscar era davvero sorpresa, mentre il sorriso di André prendeva una piega diversa, amara.
Non riuscirono a guardarsi negli occhi; quella barriera invisibile era tanto ingombrante quanto inutile tra loro che erano cresciuti ignorandola, ma esisteva. Per il resto del mondo esisteva.
Chissà quante volte André si era sentito addosso quel giudizio, quante volte qualcuno gliel’aveva fatto pesare e lui aveva fatto buon viso a cattivo gioco continuando a starle accanto.
La sola idea che ne avesse potuto soffrire la atterriva.
“No… tu sei…” ma non seppe come continuare. Era speciale, sì, ma questo non cambiava le cose.
Lei era nobile e lui no.
“Va tutto bene… lo so che tu non la pensi così.” Disse piano André.
Ritrovò la forza di guardare quegli occhi verdi. Dolci. Rassicuranti.
“Insomma, è tutto relativo… i rapporti tra gli esseri umani non si creano mica perché questi sono perfetti.” sviò lui scuotendo la testa e tornando alla camomilla, con qualche battito del cuore di troppo. “Ma anzi, sono portato a credere che si creino proprio attraverso le loro imperfezioni.”
“Nel senso che gli opposti si attraggono?” fece lei ironica.
“No – continuò ad argomentare lui – nel senso che possiamo legarci davvero a una persona quando ne conosciamo le debolezze più che gli aspetti positivi. Sono quelle il collante della sincerità.”
“E quindi?” chiese Oscar.
“Quindi questa Sabine si è riproposta di farti abbassare le difese in due soli incontri e ha già il mio rispetto perché sta cimentandosi in un’impresa impossibile.” Concluse soddisfatto.
Si alzò per andar via, ma Oscar lo fermò.
“Verrai anche tu la prossima volta, vero?”
“Speravo che me lo chiedessi.”
 
***
 
La baronessa de Plantier era davvero un personaggio sui generis, André non poté che confermarlo quando venne invitato persino ad unirsi a loro a tavola nel bistro affollato in cui Sabine aveva portato Oscar in occasione del secondo incontro.
“André, andiamo!” gli disse con familiarità “Non mi sembra affatto il caso di formalizzarsi, lo sapete che ho questo titolo solo perché ho sposato un barone, no? Pensiamo a far spazio nello stomaco, piuttosto: vi assicuro che è la migliore cucina di Parigi; spero tanto siate delle buone forchette perché qui troverete pane per i vostri denti!”
Il ragazzo incrociò lo sguardo di Oscar e le trasmise la sua approvazione annuendo; gli era proprio simpatica questa tizia.
E anche lei si ritrovò più bendisposta nei suoi confronti; Sabine era più naturale e piacevole lontano dal contesto della corte. Divenne semplice parlare, passare di argomento in argomento. Complice André che sapeva intervistare senza imporsi, e l’alcool che avevano iniziato a bere in quantità perché la cantina del bistro non era da meno dei fornelli.
Sabine a sua volta si sentiva felice. Finalmente le sembrava di intravedere una breccia nel distacco di madamigella Oscar: nel modo più antico del mondo, condividendo un pasto, iniziava a capire qualcosa di quel rompicapo biondo e di quella che doveva essere la sua quotidianità.
La sua severità con se stessa, la sua maschera.
La vedeva riflessa negli occhi profondi di quell’André, che sembrava saperne tradurre ogni silenzio.
Man mano che continuava ad osservarli, man mano che continuava a bere, la visione d’insieme di quei due cominciò a sembrarle sempre più chiara, mentre quella del locale perdeva definizione nei fumi dell’alcool.
Quella vicinanza che non le era mai sfuggita era ancora più profonda di quanto credesse: André era un tassello fondamentale per comprendere il quadro di Oscar!
Come aveva fatto a non capirlo subito?
Il modo in cui lui indovinava il suo pensiero, la nonchalance con cui quella donna così algida aveva preso una forchettata dal piatto di lui…
 
Erano bellissimi.
Sentiva la testa leggera, ma le intuizioni si susseguivano e sembravano avvitarsi in un’unica vertigine, che sapeva di vino, di ricordi, di tempo perduto...
 
  
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