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Autore: Stellato    02/11/2019    8 recensioni
Siamo nel 1775, rispetto alla storia originale Rosalie manca (manca?), il conte di Fersen è ancora in Svezia e le giornate scorrono monotone in quel di Versailles tra un brutto tiro e l’altro della Polignac e i capricci di Maria Antonietta.
E se Oscar avesse avuto un’amica?
Questo, signori, è il folle tentativo di innestare un po’ di frivolezza nella stoica esistenza di madamigella Oscar.
Ad aiutarmi nell’impresa ci sarà una tizia bizzarra inventata di sana pianta, naturalmente André, un viaggio nella profumata Provenza, delle illustrazioni ad acquerello e probabilmente degli scivoloni fuori personaggio perché questa sarà una storia (insostenibilmente) leggera.
Forse.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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La ricetta di Sabine
 
Uno dei privilegi concessi ad André crescendo a casa Jarjayes era stato quello di avere una stanza propria, uno spazio tutto per sé, diversamente da altri domestici anche molto più grandi di lui che continuavano a condividere la camera con due o più persone. Persino sua nonna, pur disponendo della stanzetta più comoda e luminosa tra quelle concesse alla servitù, la condivideva con due giovani ragazze.
Certo non si trattava di un ambiente lussuoso, ma in quelle quattro mura con lo scarno mobilio e una serratura con cui volendo poteva chiudere all’esterno il resto del mondo, il ragazzo aveva sempre visto una delle maggiori espressioni della considerazione che aveva per lui la famiglia di Oscar, ed era certo l’aspetto materiale della sua situazione di cui più era grato.
 
Proprio davanti alla porta di questa stanza, un’esile figura bionda se ne stava impalata a fissare un punto indefinito del legno, incerta sul bussare o meno.
Lo sapeva a letto da due giorni e ancora senza voce; la nonna le aveva proibito nel modo più assoluto di avvicinarsi ai malanni del nipote e non aveva potuto intrufolarsi con lei a visitarlo, né d’altra parte ci aveva provato prima di quel momento.
Il risentimento senza nome che aveva provato quella domenica si era dissolto, sostituito dalla preoccupazione per la sua salute e la voglia di raccontargli delle ultime novità, di rivederlo.
 
Al bussare ovattato seguì una risposta ancor più impercettibile: un suono rauco seguito da un sibilo, come il vapore che sfugge dalle pentole in cottura.
André aveva l’aria stropicciata e pallida di chi non riesce a svegliarsi del tutto e senza le energie per tirarsi su a sedere rimase raggomitolato tra le coperte in disordine, ma sorrise ugualmente nel vederla entrare.
Provò ad articolare un saluto con il filo di voce straziata che l’aveva accolta, ma lei bloccò il suo eroico tentativo, accomodandosi senza cerimonie sulla sedia accanto al letto.
“Non avevo idea che stessi ancora così male... mi spiace, André.”
L’altro rispose con un sospirone a occhi chiusi. Poi optò per una smorfia dissimulatrice, qualcosa che doveva significare un non è nulla, ma in quello stato risultò poco convincente.
“Tua nonna sta preparandoti delle mele cotte, credi di riuscire a mangiare qualcosa?”
Lui scosse piano la testa con un’espressione affranta.
La cosa suonò come un campanello d’allarme per Oscar: André che rifiutava le mele cotte non si era mai visto nei secoli dei secoli amen.
“Ma hai la febbre?”
Lui annuì e richiuse gli occhi lucidi, e di lì a poco riscivolò in uno stato di semi incoscienza febbricitante. Aveva il respiro affannato, la camicia allentata a rivelare più pelle del solito, i capelli sciolti e sparsi in onde scure e liquide sul guanciale ricamato.
 



Stava diventando un bell’uomo, realizzò Oscar.
Non aveva nulla che non andasse, oltre al viso regolare e alla figura atletica aveva una gran bella testa. Era un animo gentile, ma sveglio. Dotato di un intuito e un’empatia per il genere umano che cresceva negli anni e che a volte la lasciava senza parole, sapeva mettere a suo agio le persone; non a caso era lui a raccogliere informazioni quando era necessario. Inoltre aveva studiato; per certe materie poteva dirsi più preparato di lei e l’educazione non gli era mai mancata.
 
Quale sarebbe stata la compagna ideale di un uomo simile? Non riusciva ad immaginare qualcuno accanto al suo compagno d’infanzia, né a figurarsi la vita di André dopo di lei, come padre di famiglia circondato da marmocchi, ad esempio.
Riusciva però a immaginarselo innamorato. Per quelle che erano state le sue interazioni col gentil sesso di cui era stata spettatrice, non era mai stato meno che cortese e di lì non ci voleva molta fantasia ad immaginare quelle attenzioni diventare struggimento.
Inoltre l’aveva visto tante volte leggere poesie d’amore negli ultimi anni, ricopiarne stralci nei suoi taccuini, o addirittura ne aveva condiviso entusiasta la bellezza dei versi migliori con lei.
Tra loro il cultore dei titoli romantici era sempre stato lui, mentre lei li aveva snobbati a lungo per partito preso, con il suo stare sulla difensiva verso ciò che era considerato tipicamente femminile.
Crescendo, era riuscita a smantellare molte delle sue idiosincrasie in merito al voler dare una certa immagine di sé, e l’impegno che da piccola aveva messo nel sembrare un vero uomo si era spostato a favore dell’essere irreprensibile a lavoro e a migliorarsi come essere umano.
Ma non era semplice disinnescare tutti quei meccanismi e solo di recente aveva imparato ad apprezzare delle letture più “leggere”: arrivata alla conclusione che comunque avrebbe sempre trovato in ogni libro delle sotto-trame amorose, si era arresa anche a quel filone letterario, riuscendo pure ad apprezzare molti romanzi consigliati da André.
Forse sarebbe finito a fare il precettore con quell’entusiasmo nei confronti della letteratura e il suo slancio nel coinvolgere gli altri nelle sue scoperte.
 
Respirava davvero male, sembrava affaticato e scosso da brividi.
La febbre doveva essere molto alta, considerò lei sentendosi inutile.
Immerse nell’acqua fresca una delle pezze lasciate accanto al catino sul comò dalla nonna e con quella provò a dargli un po’ di sollievo passandogliela sulla fronte imperlata di sudore.
Al contatto con la stoffa fresca lui strinse le spalle in una difesa immaginata, i sensi infreddoliti nel corpo bruciante. Oscar sollevò con l’altra mano le coperte accartocciate per poi rimboccargliele con cura sotto il mento. Il paziente sembrò affondarci volentieri; si immerse in quel rifugio fino al naso e ancora una volta Oscar ne sistemò l’orlo, per esser certa che potesse respirare.
Fu in quel momento che la mano bollente di André strinse la sua, inaspettata.
Gli occhi dischiusi e complici del ragazzo la puntavano colmi di gratitudine, sbucando dal bozzolo che gli aveva costruito.
 
Per alcuni istanti non disse nulla. Lasciò che quel contatto calmasse i suoi timori sul loro futuro, lo prese come una rassicurazione: loro due erano lì, non andavano da nessuna parte per adesso, poteva tirare un sospiro di sollievo.
Poi sistemò meglio la mano di André nella sua, ricambiando la stretta con tenerezza.
“Vedi di stare meglio presto, d’accordo? Ci sono un sacco di cose che…”
“COSA CI FAI QUI DENTRO, OSCAR?”
 
In pochi istanti si ritrovò scaraventata fuori dalla stanza, la nonna non accettava compromessi sul punto. Il dottore aveva detto che con le brutte placche che si ritrovava, André avrebbe dovuto sfebbrare ancora per qualche giorno, ma che sarebbe andato tutto bene vista la costituzione solida del ragazzo.
“Puoi stare tranquilla, Oscar, guarirà presto. Pensa piuttosto a non prenderti i malanni di questo sciagurato, non solo si ammala, poi mette anche a rischio la salute di madamigella!” concluse tra sé e sé la nonna, sfogando qualche passo di frustrazione nel corridoio. “Benedetto ragazzo, ma tu guarda che inutile…”
“Non dirlo, Nanny” la fermò Oscar. “André non è affatto inutile, è fondamentale.”
L’anziana rimase interdetta da quel tono serio. Per di più quando era ovvio che lei stava solo scherzando, mentre Oscar sembrava tormentata, come se dietro quell’obiezione ci fosse molto altro.
“Piccola mia, lo so bene che non è inutile…” portò una mano rugosa alla guancia fresca della ragazza e Oscar piegò impercettibilmente la schiena per seguirne la carezza a occhi chiusi, gustando il momento.
Da quanto tempo era diventata così piccola la sua Nanny?
“Chi avrebbe potuto immaginare che sarebbe durata così a lungo? Che sareste cresciuti così uniti, voi due, nonostante tutto…”
Oscar sembrò risvegliarsi.
“Perché parli in questo modo? C’è qualcosa che dovrei sapere?” chiese Oscar liberandosi dalla carezza e afferrandole le spalle in una stretta salda.
La nonna la guardava enigmatica, provando a capire il motivo di quella smania.
“André ha intenzione di andar via? Te ne ha mai parlato?” chiese ancora la giovane piantando gli occhi vividi nei suoi pieni di sorpresa: erano anni che Oscar non si esponeva a quel modo con lei.
Disorientata, si chiese se fosse accaduto qualcosa di cui non era a conoscenza, sempre terrorizzata che quel delicatissimo equilibrio che li riguardava potesse infrangersi. Fece mente locale e proprio non riuscì a cogliere cosa potesse esserci nella mente della ragazza.
Eppure quell’apertura le permise di essere sincera, di parlarle di quell’argomento spinoso per la prima volta, visto che gliel’aveva servito su un piatto d’argento. Sospirò, prima di rispondere.
“Ma no, no che non vuole andar via… solo che prima o poi succederà, tu questo lo sai bambina mia, vero?”
Quella reazione così come era arrivata andò via e si spense. Gli occhi di Oscar erano di nuovo lontani, impenetrabili.
“Non sono più una bambina.” Glissò lei con un sorriso a metà.
“No, non lo sei, Oscar, non lo sei. Per molti aspetti sei diventata grande fin troppo presto, l’ho sempre pensato. Ma tu per me sarai sempre la mia bambina, lo sai.”
Si lasciò abbracciare, e stringendo a sua volta la nonna si sentì travolgere dalla nostalgia. Non riusciva a ricordarsi dell’ultima volta che era accaduto, di quando aveva sentito così vicino a sé l’odore rassicurante di caminetto e di cucina della sua Nanny.
 
***
 
Mentre seguiva con lo sguardo la figura di Oscar svanire nel buio del corridoio, le venne in mente un episodio di quando la sua pupilla era ancora uno scricciolo e suo nipote era in casa da poco più di un anno.
Avevano iniziato molto presto ad essere inseparabili in ogni attività, e André pareva essere resuscitato. Da quel bambino mesto e un po’ spaventato che aveva portato con sé dalla Bretagna era riemerso un cucciolo d’uomo gioviale, con un carattere mite ma allegro, spensierato, che le ricordava quello del figlio alla sua età.
Una sera aveva messo a letto Oscar ancora esagitata da una giornata di giochi in cui non era riuscita ad avere la meglio sul suo amico, che nella lotta corpo a corpo si dimostrava un osso duro, mentre con la spada non c’era storia.
Allora quella peste bionda travestita da angelo le aveva chiesto quale fosse il punto debole di André. Insisteva che le rivelasse il suo segreto, così poi lo avrebbe sconfitto, diceva, sentendosi una vera stratega.
Nanny ci aveva riflettuto per qualche secondo, ma poi le aveva riposto che la cosa più cara in assoluto, ciò che senza dubbio era il tesoro più prezioso per André…
- ricordava perfettamente la bambina pendere dalle sue labbra in quell’attesa -
… era proprio lei, Oscar.
Al che seguirono calci nelle coperte e musi e recriminazioni, ché quell’informazione era assai inutile ai suoi fini bellici.
 
Il guaio era che la debolezza di André non era mai cambiata.
Con il passare degli anni, suo nipote aveva solo imparato a rendere meno ovvio ciò che lei vedeva ancora con chiarezza e che ad Oscar invece sfuggiva.
 
***
 
Ricevere qualcuno a casa Jarjayes prevedeva una grande mobilitazione.
Ambienti, argenteria, personale, tutto doveva essere perfettamente in ordine come si addiceva alla casa di un generale (casa che oltretutto aveva come governante la nonna di André, dal piglio militare paragonabile a quello del suo padrone).
“Oscar, ma sei ancora in uniforme, non vai a cambiarti?” cinguettò la madre alla figlia che si guardava attorno nell’ingresso, sorpresa dal fermento, appena rientrata da Versailles.
“Ma che succede?” chiese stupita.
“Sta venendo a trovarci madame de Plantier.”
Oscar cascò dalle nuvole. L’aveva già rimosso.
“Te ne eri dimenticata?” chiese la madre.
Assolutamente sì, avrebbe dovuto rispondere con sincerità. E ancor più sinceramente avrebbe potuto ammettere che non aveva la minima voglia di ricevere qualcuno, men che mai un qualcuno impegnativo come quella baronessa.
“Ma no, madre. Non mi aspettavo questo trambusto, tutto qui. Vado a cambiarmi.”
 
A Marguerite de Jarjayes piaceva avere ospiti. Accadeva sempre più di rado; lei era a Versailles tutto il tempo e le figlie “mondane” tutte accasate, così le visite erano diventate per lo più quelle delle suddette figlie e delle loro famiglie acquisite, ma avveniva più spesso il contrario ed era lei a muoversi, per semplicità.
L’idea del tè con quella giovane ragazza così interessata ad Oscar l’aveva messa d’ottimo umore, il suo educato auto-invito era stato una ventata di freschezza e la incuriosiva capire cosa sarebbe successo con la figlia, quanto quest’ultima sarebbe stata disponibile alla socializzazione. Quali potevano essere i margini di avvicinamento di due personaggi così diversi tra loro?
 
C’era stato un tempo tetro in cui il marito aveva voluto persino che venisse tenuta lontano dalle sorelle pur di non fornirle esempi femminili, pur di non rovinare quella sua opera d’arte. Erano gli anni in cui Oscar credeva ancora di essere un maschio in piena regola e non si stupiva più di tanto di quella severità anche emotiva nei suoi confronti; la bambina aveva sempre avuto una lungimiranza, una fiducia verso tutti loro che la commuoveva, e che a guardare indietro la riempiva di un senso di colpa sconsolato a non aver saputo lottare per lei, o almeno opporsi agli aspetti più severi e inutili di quell’educazione maschile.
Non fosse stato per André, che però lavorava per lei e immaginò non contasse, la sua Oscar era diventata una creatura solitaria.
Circondata da mille persone ogni giorno, ammirata da tutti, eppure infinitamente sola nella sua diversità.
Era fuori tempo massimo sperare per lei che potesse avere un’amica?
 
***
 


L’ospite entusiasta arrivò puntualissima con una dama di compagnia al seguito, una giovane donna dalla bellezza gracile e spaventata che sembrava in soggezione lei stessa per i modi esuberanti di madame de Plantier.
Quest’ultima indossava un fresco abito da giorno a righe bianche e rosse, un po’ troppo tirato sul corpetto e sul seno abbondante così che la geometria regolare della fantasia diventava curva in più punti. Ad Oscar ricordò una caramella veneziana, ma ancora una volta trovò che la scarsa sobrietà della mise di quella donna stesse nel trucco: il bianco posticcio del viso era così definito rispetto al colore naturale degli avambracci da sembrare una maschera, i pomelli delle guance marchiati dal rosa più intenso che avesse mai visto.
Eppure il sorriso scanzonato con cui accompagnava il tutto riusciva ad essere più forte del resto, rendendo al massimo pacchiano ciò che a uno sguardo disattento poteva sembrare volgare.
Portava al polso un piccolo cartoccio legato a un fiocco, che si rivelò essere un piatto di dolcetti ancora caldi. Non si era ancora tolta lo scialle che già stava offrendoli e madame Jarjayes sollecitò la servitù per il tè, giacché già iniziavano a mangiare mandando all’aria ogni cerimoniale.
“Ma perché, non era mica necessario madame de Plantier!”
Sabine gongolava, non faceva il minimo sforzo per contenere la felicità che le dava quella visita.
“Dalle mie parti - ah, non so se ve l’ho detto che vengo da Grasse - dicevo, è buona educazione non presentarsi a mani vuote a casa altrui… E poi ci tenevo a farveli assaggiare, sono bocconi alle viole; li ho fatti io stessa con una ricetta della mia famiglia.”
“Hanno un profumo celestiale” commentò Marguerite.
“Vengono meglio quando le violette sono fresche, ma quest’anno la fioritura è stata così breve, le temperature sono salite subito” disse Sabine. Sporse il piattino verso Oscar che se ne stava ancora un po’ in disparte, al di là della cerchia di poltroncine bianche dove il gruppo di donne si stava accomodando. “Assaggiatene uno, madamigella Oscar!”
Lei non se lo fece dire due volte.
I dolcetti tondi erano morbidi all’interno ed emanavano ancora il tepore del forno, i petali scuri del fiore spiccavano nell’impasto chiaro. Il sapore ricordava quello delle madeleine, anche se di certo vi era meno uovo ed erano ancora più soffici, quasi sembrava pasta di mandorla. Il profumo di violetta era una nota delicata, zuccherina, né troppo forte né così debole da poter essere ignorata.
Ne avrebbe potuto mangiare un quintale senza stancarsene.
“Ma sono meravigliosi!” commentò con la bocca ancora in estasi e gli occhi sgranati, per il compiacimento della sua ospite che ad avere una coda avrebbe scodinzolato.
“Non sapete quanto sia contenta che vi piacciano!” chiocciò soddisfatta.
Vennero serviti il tè e altre prelibatezze di casa Jarjayes, dei più comuni sablée d’accompagnamento e del pane al cioccolato, che Oscar amava.
“Essendo cresciuta tra mastri profumieri dovete avere un occhio davvero speciale per i fiori”
osservò madame Marguerite.
“Più che altro ho il naso!” rispose Sabine. “Ho sempre lavorato nell’attività di famiglia, mio padre diceva che ero un ottimo mastro profumiere io stessa. Magari il suo non era un giudizio troppo obiettivo, però il mio olfatto è sempre stato notevole… ci sono così tante cose che ricordo non per suoni e immagini, ma che tornano alla mia memoria nell’odore, note distinte di luoghi e spazi impresse a quel modo…” Chiuse gli occhi immaginando chissà cosa, lasciando fuori le interlocutrici da quel momento. “Non è strano che lo stesso senso dimori in ognuno di noi in misura così differente?” continuò. “Ecco, credo che alla reggia di Versailles in molti abbiano completamente perso l’uso del proprio naso: non è possibile non accorgersi della sgradevolezza di certi odori!” esclamò con veemenza facendo sorridere di gusto madame Marguerite.
Lei ormai non ci faceva più caso, ma quel dettaglio da giovane era stato uno dei motivi per cui non dimenticava mai di portare con sé un ventaglio alla reggia. Non era stato semplice abituarsi.
“Sapete, questa è la prima cosa che mi ha fatto interessare a voi, Oscar.”
L’altra fermò la tazzina di tè a mezz’aria a sentirsi chiamare in causa, l’aria interrogativa.
“Sì - continuò Sabine – voi e il vostro valletto non puzzavate, è stata una ventata d’aria fresca di Marsiglia in un marasma soffocante di… ma perché mi guardate così, ho fatto una gaffe?”
“Baronessa, non è decoroso dire a qualcuno che non puzza.” Sussurrò la dama di compagnia guardando il pavimento.
“Ma non sarebbe più indecoroso il contrario? Non capisco… comunque scusatemi, sono mortificata, non volevo mettervi in imbarazzo, volevo solo dire che si sente che sapete come lavarvi, Oscar”
La dama di compagnia scosse ancora la testa mentre madame Marguerite si lasciava scappare una risata e anche Oscar dovette appoggiare la tazza di tè per non ustionarsi trattenendo le risa.
“Ma cosa ho detto adesso?” chiese Sabine candida, sembrando di dieci anni più giovane.
 
***
 
Prima che la luce andasse via del tutto, Madame de Jarjayes propose ad Oscar di mostrare il giardino alle ospiti.
Si incamminarono così nei vialetti ghiaiosi del parco, un’ostia a confronto dei giardini della reggia, ma era curato con amore. Sabine non smetteva di riconoscere fiori di cui Oscar non ricordava né il nome né la presenza, ma era certa che a presentarle André sarebbe stata una bella sfida, visto quanto era ferrato sull’argomento.
“Perdonate, ma è normale che la vostra dama di compagnia sia così silenziosa?” chiese infine Oscar, giacché la donna continuava a seguirle tenendo lo sguardo basso e sembrava raccolta in preghiera, senza emettere un suono.
“Sulle prime credevo fosse una spia di mio marito, che fosse una strategia per ascoltare tutto e che fingesse” sussurrò Sabine “Ma no, è proprio così, pare che le manchi un soffio di vita.”
La donna dai capelli ramati sembrò riflettere prima di continuare e domandare ad Oscar: “E il vostro valletto?”
“…Non è un valletto; André è il mio attendente.”
“E che differenza c’è?”
“L’attendente è una figura militare che si occupa di un ufficiale, mentre il valletto è un cameriere.”
“E dove si trova adesso?” chiese ancora Sabine.
Oscar sembrò cercare una finestra precisa della villa con lo sguardo.
“Purtroppo non sta molto bene, una brutta tonsillite lo costringe a letto da qualche giorno.”
“Ed è per lui che avete messo da parte quel boccone alle viole che portate in tasca?”
Oscar inchiodò; ne aveva fatto scivolare uno nel fazzoletto che portava in tasca per darglielo più tardi, ma il tutto era avvenuto nelle cucine. Come poteva saperlo?
“Sì… è molto soffice e di certo riuscirà a inghiottirlo, ma… come avete fatto?”
Sabine si toccò il naso soddisfatta, tornando a camminare.
“Riesco a sentirne il profumo.”
Oscar non sentiva nulla. Poi così, all’aperto.
“Non scherzavate sul vostro naso, madame de Plantier.”
“Vi prego: chiamatemi Sabine. Sono passati quattro anni e ancora non riesco ad abituarmi al cognome di mio marito, ho sempre l’impressione che si parli di qualcun altro, a sentirlo.”
Rimasero qualche momento in silenzio, avvolte dalla tranquillità del parco.
Rondoni sfrecciavano attorno alla casa senza requie, dal nido alla caccia, lanciando il proprio verso acuto nella sera azzurra.
“Mi stupite, Oscar. Non so se interpretare il fatto che non mi chiediate nulla su mio marito come disinteresse o delicatezza nei miei confronti. Spero con tutto il cuore si tratti del secondo caso, ma ad ogni modo è la prima volta che mi succede. Solitamente tutti si affrettano a farmi domande sul perché mio marito passi tanto tempo lontano da me.”
Si voltò verso la dama di compagnia: “Genevieve, ve ne prego, non state qui a prendere inutilmente l’umido della sera, aspettatemi pure all’interno col vostro ricamo, volete?”
Quella stava ancora racimolando la prima sillaba di una lunga risposta di cortesia che già Sabine roteò gli occhi e tagliò corto: “No, davvero, ve ne assicuro: posso fare a meno della vostra compagnia per un po’, suvvia, andate pure.”
La dama trottò verso la villa senza aggiungere altro, solo un piccolo inchino.
Sabine si beccò un’occhiata stupefatta da Oscar, che per la prima volta aveva intravisto i suoi modi più spiccioli alla carica.
“Lo so che l’ho bistrattata, lo so. Ma tutta questa educazione è così lenta, avrebbe rifiutato almeno ancora un paio di volte e io sto già rubando così tanto del vostro tempo!
Tornando a noi, in realtà io non capisco cosa stia succedendo con mio marito, sono spaventata. Abbiamo anche smesso di scriverci spesso, lui viaggia molto per suoi interessi… è un esperto di entomologia” disse scandendo bene la parola, inorgoglita dal conoscere un termine così tecnico.
“Insetti, insomma.” Concluse in modo molto meno aulico. “Scrive articoli, libri, e fa ricerche sul campo perché da quando questo svedese, questo von Linné, ha scritto un trattato lui ed altri si sono precipitati ad iniziare una catalogazione delle specie, ma sembra non finire mai, così… Aaah Oscar, io temo che voglia lasciarmi, non so cosa succederà la prossima volta che lo vedrò, nelle sue lettere è diventato anche più freddo. E non che prima fosse un campione di poesia, ma almeno sembravo ancora tra le sue priorità!” concluse sconsolata accomodandosi su una delle panche di pietra nel parco.
L’impaccio provato da Sabine durante la conversazione prendendo il tè sembrò avesse contagiato Oscar, mentre si accomodava anche lei sulla panca a tentoni.
Cosa era giusto dire in casi simili?
Simili confidenze erano una vera stravaganza per lei, un primato assoluto. L’istinto suggeriva di minimizzare a prescindere, per tranquillizzare Sabine, ma il raziocinio la esortò a saperne di più prima di esprimersi.
“Non capisco…” provò. “Il vostro rapporto quindi prima andava bene - nonostante la distanza - e poi ha iniziato a non andar più bene… perché…?” e sembrò chiedere alla donna di continuare, pur non essendo certa di avere il capo del filo.
Però Sabine fu magnanima, perché si accorse della difficoltà dell’altra e le risparmiò quella conversazione. “Dovete perdonarmi Oscar, sono una confusionaria, credo di non avervi fatto capire nulla. Alle volte mi esprimo senza né capo né coda, ma se vorrete concedermi ancora del tempo per una passeggiata uno di questi giorni potrei provare a raccontarvi meglio, con più calma. E anche voi potreste raccontarmi cosa vi passa per la mente; è così che si diventa amiche.”
 
Ora, Oscar era sorpresa lei stessa di come si fosse incuriosita in quelle scarse ore di conoscenza, di quanto poco si fosse annoiata con madame de Plantier.
Era sicuramente una compagnia interessante, anche se il più delle volte aveva la sensazione di essersi messa in un pasticcio ad averle concesso il beneficio del dubbio su quella faccenda che sembrava starle tanto a cuore.
Conoscersi, lasciarsi conoscere soprattutto. La sola idea la stancava da morire.
Tutta quella storia dell’amicizia che lei intendeva coltivare le sembrava una forzatura, le loro esistenze così dissimili, le premesse così inesistenti… Forse due bambine avrebbero potuto, ma loro erano adulte e solo al sentirla parlare di incontri successivi la mise sulla difensiva, il suo animo si richiuse a riccio e Sabine sembrò sentirlo come aveva fatto con l’odore del dolcetto nella sua tasca.
 
Incrociò le braccia e si schiarì la voce.
“Oscar, lo so che vi faccio venire la pelle d’oca quando parlo di questa storia, ormai penserete che io sia matta. Ma vi faccio una proposta precisa, qualcosa che possa mettervi più a vostro agio delle mie chiacchiere indefinite, visto che siete così razionale.
Vediamoci solo altre due volte; una volta faremo ciò che proporrete voi e un’altra quello che verrà in mente a me, vi chiedo solo di collaborare in queste altre due occasioni.
Se nell’arco di questi due incontri non riusciremo a far nascere quel po’ di confidenza necessaria a farvi sentire a vostro agio in mia compagnia, prometto solennemente di non importunarvi mai più con questa storia e di non serbare il minimo rancore a riguardo. Affare fatto?”
 
Oscar sembrò interdetta, più preoccupata che lusingata da quell’ostinazione. Le rispose con il tono più dolce che le riuscì di trovare, sperando di non ferirla, provando solo ad essere chiara come avrebbe potuto fare con un corteggiatore indesiderato, cosa che l’altra donna in questo momento ricordava da vicino.
“Ma Sabine… non vi sembra ridicolo tutto questo? Prendi due persone anche molto diverse, fai trascorrere loro del tempo assieme, falle parlare dei loro interessi… che cosa sarebbe questa? Una ricetta per creare delle amiche?”
 
L’altra sembrò apprezzare.
“Beh… sì.”
 
 
  
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