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Autore: NyxTNeko    10/11/2019    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Ajaccio, 30 settembre

Napoleone era arrivato sull'isola da quasi un mese e ciò che trovò fu il caos, la situazione politica era sempre più instabile, le imposte non venivano più versate, il numero di omicidi era aumentato senza freno dall'inizio della Rivoluzione, arrivando a 130.

Tuttavia, per il giovane tenente le preoccupazioni, al momento, erano altre: era giunto principalmente per avere un posto nella guardia nazionale corsa, ma da quando seppe del peggioramento delle condizioni del prozio, l'arcidiacono Luciano Buonaparte, aveva accantonato i suoi sogni di gloria. Continuava a dedicarsi ad essi, come pure lo zio gli aveva consigliato, con meno assiduità, però: la famiglia era la famiglia e veniva prima di ogni cosa.

- Napoleone, sei venuto a trovarmi anche oggi - emise l'anziano signore, disteso sul letto, non appena lo vide arrivare dalla penombra taciturno e rispettoso come al suo solito. Poi tossì.

- Non sforzatevi troppo, zio - gli riferì il tenente sistemando un po' la coperta e il cuscino. Evitò di guardare i simboli religiosi che vi erano in quella stanza, e di criticare quella credenza, al suo parere sciocca, per non infangare la dignità e l'intelligenza dello zio Luciano.

- Dovresti pensare al tuo futuro, ragazzo mio, non ad un povero vecchio - insistette guardandolo fisso.

- Il futuro può aspettare per il momento, zio - proferì il ragazzo senza scomporsi troppo - Voi siete più importante, sono stato lontano per un bel po' e vorrei recuperare il tempo perduto - proseguì sedendosi accanto a lui - Siete stato un secondo padre per me, quando il primo non c'era... - si fermò anche se avrebbe voluto aggiungere altro. Non gli parso giusto parlar male di persone scomparse, seppur con queste non si avesse avuto un buon rapporto.

- Sei rimasto sempre lo stesso ragazzino ribelle e testardo - ridacchiò leggermente Luciano. Vide nello sguardo del pronipote tristezza, era davvero in pensiero per lui, il suo affetto era sempre stato sincero e non agiva, in questo caso, per proprio tornaconto - Carlo sarebbe orgoglioso di te, ti adorava già allora...

Napoleone si morse le labbra, strinse i pugni sulle gambe, mostrando un'impertubabilità che non possedeva, in quell'istante. Il padre era la sua nota dolente e non era ancora riuscito a superare il 'trauma' e il senso di colpa. Forse non ce l'avrebbe fatta mai.

- Nabulio ti conosco bene, non cercare di frenare quello che hai in corpo, fa più male tenerselo dentro - gli consigliò l'arcidiacono - Non lo dirò a nessuno, se questo ti crea disagio - ammiccò complice. Sapeva del suo carattere orgoglioso, introverso, acuito dall'addestramento militare.

Il pronipote lo guardò, il volto pieno di rughe, cadente, bensì sereno, privo di qualsiasi inquietudine o paura, saldo come la roccia di fronte al mare in tempesta. Quanto avrebbe voluto trovare quella pace nel cuore, purtroppo non riusciva ad affidarsi ad un fantomatico Dio o alla fede, era più forte di lui, non capiva se era per orgoglio o per vanità illuminista. Senza rendersene conto, liberò le lacrime in un pianto silenzioso: gli mancava tanto, erano passati poco più di 5 anni dalla sua morte e il rammarico per non aver mai potuto chiarirsi con il padre, diventava sempre più insopportabile.

- Carlo ti ha già perdonato ragazzo mio - confessò Luciano.

- Cosa? - domandò Napoleone alzando la testa bruscamente, come fosse punto da un insetto.

- Non dovrei dirtelo, ma è giusto che lo sappia, Napoleone - cominciò il prozio - Me lo riferì Giuseppe, non molto tempo fa, ma non voleva rivelartelo... - si fermò e si voltò per vedere la reazione del ragazzo: la sua espressione era curiosa e al tempo stesso grave - Perché sapeva quanto fosse spinoso questo argomento per te...

- Continuate pure, vi ascolto - disse lui guardandolo fisso, gli occhi chiari tempestosi e rapaci.

"Quello sguardo...dove l'ho già visto?" pensò tra sé, lo fissò a sua volta e continuò - Giuseppe mi ha detto che durante i deliri pronunciava il tuo nome, ti voleva vicino...

- Giuseppe esagera sempre, vi avrà riferito ciò solamente per non farvi impensierire più del dovuto, è fatto così - lo interruppe Napoleone chiudendo gli occhi, trattenendo l'agitazione interiore - È troppo simile a nostro padre, vorrebbe vedere armonia nella famiglia - sviò il discorso.

Il prozio lo assecondò - Tu non la vuoi? - domandò.

- Certamente, zio, armonia, per me non vuol dire arrendersi alla realtà, accontentandosi delle briciole - sbottò Napoleone impetuoso - Ma lottare tutti insieme per il bene comune, stabilire e mantenere l'ordine a qualsiasi costo...

- In questo momento sei tu ad assomigliare a Carlo, non Giuseppe - rivelò l'arcidiacono compiaciuto nel vederlo arrossire involontariamente - Hai la sua stessa passione e lo stesso ardore nel ribadire le idee, se fosse vivo sono certo che avreste
formato una bella coppia - Il prozio non comprese appieno il significato delle parole del nipote, a volte era così difficile seguire i suoi discorsi, però, lo attraevano, fin dall'infanzia aveva mostrato un'intelligenza sopra la media, cogliendo aspetti che a quell'età di solito non si captano. Rimase colpito dalla sua mente acuta.

Napoleone spostò lo sguardo dall'altra parte, mascherando la sua totale disapprovazione. Luciano aveva notato nel pronipote diffidenza e permalosità. Era cambiato parecchio rispetto a quando era bambino, non solo esteriormente: doveva essere stata dura, per lui, studiare e vivere in Francia, questo lo sapeva benissimo, allo stesso modo di Carlo. Tante volte, infatti, gli aveva confessato di sentirsi in colpa per averlo lasciato da solo in quel Paese 'ostile' accanto ai suoi invasori, ai suoi nemici. "Ma cos'altro potevo fare zio?" a quella domanda disperata di Carlo, neppure lui, considerato da molti l'uomo più saggio della città, seppe dare una risposta convincente.

Napoleone si alzò di scatto, facendo sussultare il prozio, gli rivolse le spalle - Devo andare zio, ci vediamo - fece laconico - Non sforzatevi troppo, mi raccomando - consigliò avvicinandosi alla porta, uscendo dall'abitazione, dopo aver salutato la serva dell'arcidiacono. L'eco riecheggiava i suoi passi svelti e autorevoli.

Quando aprì si trovò davanti rispettabili uomini di chiesa, venuti, probabilmente, per ottenere gli ultimi favori da lui. Vociavano animatamente, uno dei chierici si accorse del giovane ufficiale ed emise - Voi siete uno dei parenti dell'arcidiacono, vi ho visto spesso da queste parti

- La cosa vi disturba? - fece Napoleone a braccia conserte. Li scrutò dalla testa ai piedi.

- Assolutamente no! - si giustificò il chierico ipocritamente. A Napoleone bastò solamente un'occhiata per riconoscere i loro pensieri, nonostante ciò sorvolò, non aveva nessuna voglia e intenzione di discutere con gente che non stimava affatto.

- Lasciatemi passare e senza fare storie, allora! - imperò severo, aveva necessità di ampi spazi e di solitudine, quella marmaglia pomposa lo stava facendo soltanto imbestialire. Quelli si ammutolirono e, spaventati dal tono incredibilmente duro e autoritario per la sua giovanissima età, lo lasciarono passare.

- È uno dei figli di Carlo, giusto? Che la sua anima riposi in pace... - bisbigliò un giovane prete ad uno più anziano accanto che assisteva, facendosi il segno della croce.

- Sì, il secondogenito, è tornato dalla Francia da un po' di giorni - informò quello, vedendolo allontanarsi velocemente, con la coda dell'occhio - La scuola militare lo ha reso più gestibile, lo conosco fin dalla più tenera età ed era una vera e propria peste, incontrollabile, sempre a fare domande assurde, quando entrava in chiesa poi, era una tragedia, non ne voleva sapere di starsene seduto ad ascoltare e partecipare alla Santa Messa, non ha preso la mitezza e la fede dell'arcidiacono...

- Per tipi irruenti come lui l'addestramento militare è la soluzione migliore - approvava il più giovane aggiustandosi il colletto e la croce che portava sul petto - Calmano lo spirito e capiscono che strada intraprendere, non tutti sono chiamati da Dio attraverso la vocazione - aggiunse con presunzione, riferendosi, presumibilmente, a sé stesso.

"Leccapiedi, non è ancora morto, eppure corrono ad ingraziarselo, come se lo fosse già" si disse disgustato il ragazzo "Perché credere ancora nell'essere umano?" Si allontanò silenzioso, le braccia dietro la schiena, voltandosi ancora un'istante "Che avranno di tanto interessante da dirsi?"

"Napoleone, nipote mio..." riflettè  l'arcidiacono, senza prestare la minima attenzione agli ossequi della gente giunta lì, chiuse gli occhi, pregando i presenti di essere lasciato solo. Desiderava contemplare il silenzio e rimuginare. Non era la prima volta che intravedeva un senso di superiorità nel pronipote, un'ambizione tangibile tenuta volutamente a freno per il bene della famiglia "Quanto spirito di sacrificio e di grandezza c'è in te?"

15 ottobre

Nelle ultime settimane la salute del prozio Luciano era sempre più compromessa, nonostante questo, l'arcidiacono non aveva mostrato alcun timore, anzi gli sembrava quasi una gioia il poter finalmente compiere l'ultimo passo per giungere nel Regno dei Cieli, aveva raggiunto un'età più che riguardevole.

Anche Napoleone considerava la morte un traguardo glorioso, specialmente in battaglia, tuttavia, non immaginava un altrove, non esisteva nulla dopo, per il giovane tenente. La morte era paragonabile al sonno eterno, alla fine di tutto, dei dolori, delle angosce, delle preoccupazioni, oltre che dei piaceri della vita.

Sapendo di tale crollo fisico, l'intera famiglia si era precipitata per rivolgergli l'ultimo saluto - Siete...venuti tutti... - sibilò con un filo di voce aprendo gli occhi stanchi, lo osservavano afflitti - Non...piangete per me... - soffiò affannato, ogni parola che pronunciava era uno sforzo immane, che avrebbe compiuto, doveva farlo, ora che si trovavano tutti lì - È davvero bello... vedervi... qui uniti...ma ma dovete esserlo...adesso più... più che mai...la crisi sull'isola non è finita...

Letizia stringeva forte le sue figlie presenti, Paolina e Carolina, abbracciate anch'esse per farsi forza. Elisa era ancora a Parigi, tenuta costantemente aggiornata sugli eventi, allo stesso modo di Luigi. La balia Camilla teneva per mano Girolamo, l'ultimogenito di 5 anni, rattristato dall'atmosfera tetra e Luciano di 16 che si sporgeva per vedere meglio l'omonimo zio.

- Giu...Giuseppe - riuscì a dire l'arcidiacono voltandosi verso il capofamiglia - Vieni più vicino...devo dirti una cosa...

- Eccomi zio - obbedì il ragazzo avvicinandosi all'amato zio - Sono qui, vi ascolto - confermò, preoccupato e tremante.

Luciano notò la sua esitazione e sentenziò - Tu sei il... primogenito... Giuseppe, ma ricordati...che lui - indicò Napoleone con lo sguardo, accanto al fratello, certo della sua fermezza - Lui sarà il capo...

Giuseppe spalancò gli occhi e si girò verso Napoleone, ansimante, il quale finse di non aver ascoltato nulla. Fin dall'antichità ai morenti era concessa la possibilità di apprendere il futuro della propria discendenza, il che significava che era la verità. Del resto era prevedibile che Napoleone lo avrebbe superato un giorno, fin da bambino, d'altronde, aveva mostrato di essere superiore, era lui ad avergli fatto da guida. "Come Esaù usurpato da Giacobbe, solo che non ha burlato nessun Isacco" si disse.

Subito dopo aver riferito ciò, l'arcidiacono rivelò che, nel testamento, lasciava tutto il patrimonio alla famiglia - Li ho...accumulati solo... per donarli...a voi, così potrete... vivere più agiatamente...ed estinguere ogni debito...- confessò con voce roca. Li guardò, la vista offuscata, a poco a poco perdeva la sensibilità, il contatto con il corpo e l'ambiente, l'ora era giunta. Non aveva paura, era contento, aveva vissuto con saggezza, coerenza, fede ed umiltà.

Chiuse gli occhi, si rilassò completamente esalando l'ultimo respiro, alla verenanda età di 80 anni. Quando si accertarono della sua dipartita piansero composti. Napoleone si coprì gli occhi con una mano, l'altra la teneva stretta "Non dimenticherò ciò che siete stato per me, zio, né le parole che avete detto, non permetterò a nessuno di infangare il nome della famiglia".

Ai più piccoli, i quali facevano domande su quanto accaduto, veniva data risposta di un lungo viaggio che lo zio aveva intrapreso e che alla fine lo avrebbero incontrato di nuovo. Napoleone fu il primo a ricomporsi, fissò Giuseppe seduto, appoggiato allo schienale della sedia, la testa appoggiata sulle braccia con il volto incupito, l'espressione pensierosa, confortato dagli altri, solo Napoleone era al corrente dell'origine del suo sgomento.

Giuseppe stava assolvendo al suo dovere di capofamiglia con grande dedizione, a volte era in difficoltà, impacciato, privo di polso fermo, per via delle enormi responsabilità, nonostante questo, però, stava andando avanti. Sentire quelle parole dallo zio stesso lo aveva destabilizzato: i suoi sforzi non erano sufficienti, era destinato ad essere spodestato da Napoleone.

- Non preoccuparti fratello - esordì Napoleone sottovoce, una volta soli e vicini - Non ho intenzione di prendere il tuo posto, ora che abbiamo del denaro posso usarne una parte per soddisfare me stesso e la mia ambizione, qui, sulla mia adorata isola - lo fissava ancora, era incredulo - Quando il destino me lo dirà, lo sarò

- Ma allora hai udito anche tu prima? - interrogò, non gli sfuggiva proprio nulla. Era in situazione come quelle che Napoleone dimostrava di essere il vero capo: oculato, perspicace, sapeva sempre e quando agire, parlare, tacere, lo invidiava non poco.

- Sì - annuì - Ne siamo a conoscenza solo noi due, perciò comportati come sempre, fratello, altrimenti se ne accorgerebbero e tu non vuoi mica perdere l'autorità, vero?

Giuseppe riacquistò colore, risollevato. Non avrebbe avuto il coraggio di dire tutto quanto alla madre e ai fratelli, soprattutto dopo un evento così grave, in cui c'era bisogno di sostegno reciproco, non poteva mostrarsi vacillante e indeciso. Napoleone, con il suo atteggiamento, lo aveva salvato anche stavolta, allo stesso modo di quando, da bambino, lo avvertiva del pericolo. Annuì convinto e in cuor suo lo ringraziò. 
 

 

   
 
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