- Innocente sensualità (113 parole);
- Rossetto (111 parole);
- Una ciocca di capelli che sfiora le labbra (107 parole);
- Ombra (95 parole);
- Pelapatate (98 parole);
- Colore (115 parole);
- Miagolio (112 parole);
- Piacere personale (117 parole;)
Jinora va in giro per casa, coi suoi vestiti addosso, enormi sul corpo minuto. La maglia le scivola su una spalla, le arriva a metà coscia e si intravedono i seni nudi tra la stoffa sottile.
Ha perennemente i capelli in disordine e Bolin non ricorda di averla mai vista truccata.
Non ha la bellezza aggressiva di Asami o quella rude e un po’ mascolina di Korra.
Se Bolin l’avesse incontrata per strada, forse non l’avrebbe neanche guardata. È delicata e comune e ne è consapevole. Qualche volta non è neanche bella, ma poi si mette i suoi vestiti o si morde il labbo o gira senza reggiseno e Bolin la trova irresistibile.
A Bolin piace recitare, anche se a volte lo conciano nei modi più improponibili.
Jinora ride, ridacchia, trattiene a stento un risolino divertito. Ogni volta che la guarda, la becca a fissarlo, con le guance rosse, il viso contratto e gli occhi lucidi.
- Ho qualcosa in faccia? – le chiede a un certo punto esasperato, strofinandosi i palmi delle mani sul viso e arruffandosi la barba.
Jinora gonfia le guance, ride ancora e poi scuote la tesa. Poi sguscia via e lo lascia lì, come un sasso.
Quando la sera si guarda allo specchio e nota l’alone di rossetto rosa sulla sua bocca impallidisce. Tutti, li avrebbe fatti licenziare tutti.
C’è la passione, sfrenata, viscerale. Il bisogno di sentire i propri corpi, uno sull’altro, uno nell’altro. Di consumarsi e spegnere ogni ragione. Jinora è piccola e maneggevole, con i seni minuti e sodi e i capezzoli che si inturgidiscono appena li sfiora.
È umida tra le cosce, quando lo accoglie, ed è calda ed eccitante tanto che a volte Bolin si sente ubriaco e tramortito.
Condividono il letto, la casa, il sesso; nonostante ciò, Bolin non l’ha mai sentita tanto vicina e tanto sua come quando gli si addormenta sul petto, il respiro pesante e tranquillo e i capelli arruffati che gli solleticano gli angoli della bocca.
È piccola e silenziosa; si annida in casa, si nasconde negli angoli più impensabili di casa e lo osserva. Imita i suoi movimenti, studia le sue abitudini, ripete le sue parole e lo segue dappertutto.
La tua ombra la chiamano i suoi familiari e gli amici e Bolin rotea gli occhi e ride, mentre il bambino lo guarda, sorridendo sdentato e cercando di imitare la risata fragorosa del padre.
Parla, mangia, domina come lui e non c’è dubbio alcuno che sia suo figlio, ma talvolta Bolin trova doloroso osservarlo e scorgere il viso di Jinora.
La schiena gli fa male, lo sgabello su cui sta seduto è troppo piccolo e gli dà un’aria ridicola e curva e le mani sono un guazzabuglio appiccicaticcio di vesciche e piccoli tagli.
Ne pela una, poi un’altra e un’altra ancora. Ha perso il conto da un bel po’ ed è così accigliato che gli fa male la fronte e ha iniziato a confondere il pelapatate con le sue mani.
- Tuo padre dovrebbe farsi controllare i nervi – borbotta piccato.
- La prossima volta non rubargli il pranzo – cinguetta divertita Jinora e gli passa un’altra patata.
Il mondo è grigio; tutta una serie di sfumature di grigio che si ripetono monotone e tristi e che acquisiscono colore solo quando si incontra la persona giusta, la propria anima gemella.
Bolin ha creduto di essere innamorato innumerevoli volta – è uno dall’infatuazione facile – ma il mondo non ha mai cambiato colore tanto che a un certo punto ha iniziato a convincersi che fosse solo una stupida leggenda metropolitana.
Un giorno, poi, finalmente li vede e rimane incantato dal verde delle foglie e dal rosa chiaro della sua pelle. È tutto così colorato ed eccitante, tutto perfetto se non fosse che a farglieli vedere, quei colori, era stata la sorellina tredicenne di Korra.
Vivere con Bolin è strano. È invadente, rumoroso e disordinato. Jinora non riesce a meditare, non riesce a fare i propri esercizi di respirazione o a trovare un angolo della casa in cui potersi acciambellare e leggere indisturbata.
La casa è piccola e vecchia e anche l’unica che erano riusciti a permettersi, tutta una serie di cigolii, scricchiolii e rumori sospetti e non ben identificati che la fanno sobbalzate.
- C’è qualcosa di strano – gli dice e Bolin la prende in giro. Fifona.
È con un senso di insospettata gratificazione che lo vede fiondarsi nel letto e nascondersi sotto le coperte.
- Jinora, penso che il nostro frigo stia miagolando –
Bolin ha sempre trovato divertenti, spassose, quelle commedie per adolescenti con i genitori iperprotettivi. Ha iniziato a trovarle un po’ meno divertenti quando Tenzin ha scoperto della sua esistenza e da allora è stata tutta una serie di riunioni di famiglia imbarazzanti e domande scomode.
Tenzin guarda la figlia sperando di cogliere qualche sintomo di follia che spieghi quell’improbabile relazione, ma ogni giorno che passa quella speranza diminuisce, si affievolisce e pian piano muore.
Alla fine si arrende, perché Jinora è felice, felice davvero, e Bolin non è poi così male.
Le riunioni di famiglia si fanno meno imbarazzanti, le domande finiscono, ma, quando lo guarda, Bolin ha sempre l’impressione che Tenzin gli abbia fatto un piacere.