79
Mille anni
Un
sogno. Doveva essere un sogno. In quella notte di dicembre, con il
freddo che
solo lievemente infastidiva le membra, la vedeva danzare lungo quel che
restava
dell’antico porto di Costantinopoli. Con i lunghi capelli
rossi sciolti alla
brezza della sera, quel corpo sinuoso si muoveva per omaggiare la luna
che
splendeva in cielo. Mihael osservava quel ballo, in silenzio, incapace
di
parlare. “Carmilla” voleva chiamarla ma la sua
mente gli ricordava che Carmilla,
la sua amata Carmilla, era morta. E quindi quella donna chi era? Chi
riusciva a
destare in lui ricordi così vivi del suo unico amore?
“Carmilla!”
udì, e l’Arcangelo sobbalzò.
A
pronunciare quel nome, una figura che camminava nel buio. Quando i
raggi della
luna finalmente illuminarono colui che aveva parlato, Mihael trattenne
il
fiato. Lo sguardo ambrato brillò nella notte e di nuovo
pronunciò quel nome:
Carmilla.
“Keros…”
sussurrò l’abitante del Paradiso, rimanendo celato
alla vista e continuando ad
osservare.
Erano
secoli che non vedeva il proprio figlio, il tempo era trascorso e non
se ne era
reso conto. Quel che vedeva ora non era più un giovane
mezzodemone ma un adulto
fiero, con qualche cicatrice in più ed una voce
più profonda ed inquietante. Per
qualche secondo fu tentato di aprir bocca, di parlare a quel suo frutto
proibito e sapere cosa era successo in tutti quegli anni. Si trattenne,
capendo
che probabilmente loro due non avevano ormai più nulla da
dirsi.
E,
se quello era Keros, allora la fanciulla doveva essere sua figlia!
Com’era
cresciuta e com’era diventata straordinariamente bella!
“Carmilla”
chiamò ancora Keros “Dobbiamo andare
adesso”.
“Arrivo,
papà” annuì la ragazza, invitando il
genitore a danzare con lei.
Mihael
continuò ad ammirarli, mentre padre e figlia improvvisavano
un breve ballo e
poi si allontanavano per raggiungere il portale che li avrebbe
ricondotti all’Inferno.
Possibile che Keros non si fosse accorto della sua presenza? O forse lo
aveva
semplicemente ignorato, preferendo godersi lo splendore emanato della
figlia
alla luce della luna. Quel che era certo, era che in quei secoli, in
quei due
millenni trascorsi dalla morte della donna che amava,
l’Arcangelo non l’aveva
scordata ed anzi… il suo cuore ancora sobbalzava al solo
pensiero di riaverla
accanto.
Al
palazzo infernale erano da poco terminate le celebrazioni per i due
millenni di
Keros e ci si preparava per gli ormai prossimi mille anni dei principi.
Dopo un
grandioso torneo, in cui Espero era stato il rappresentante della
famiglia
reale nonché il vincitore, re Lucifero aveva concesso a
tutto il regno un’intera
settimana di festa. Il sovrano, seduto alla scrivania, sorrise quando
vide
rientrare l’erede, che gradatamente riprendeva
l’aspetto da demone.
“I
tuoi cuccioli sono pronti per i mille anni?”
domandò il Diavolo.
“Anche
se non lo sono, ormai il tempo è giunto”
ghignò Keros, orgoglioso dei propri
figli.
“Il
regno ha proprio bisogno di festeggiare e rilassarsi. Ho riservato
anche per
loro qualche sorpresa…”.
Di
recente si era conclusa l’ennesima guerra agli Inferi, che
aveva coinvolto il
palazzo reale ed i suoi abitanti. I giovani principi erano stati tenuti
al
sicuro, con grande disappunto di Nasfer che aveva espresso il desiderio
di
combattere in prima linea, e Keros aveva marciato a fianco di Lucifero.
La battaglia
aveva donato al mezzodemone un paio di piccole corna in più
ed una cicatrice
sul viso, che ne segnava il sopracciglio sinistro e parte della
guancia. Era cresciuto,
era divenuto molto più potente, e non aveva più
mostrato le ali. Rassegnato al
fatto che sarebbero sempre rimaste da angelo, scomode per volare
all’Inferno,
le teneva sempre celate.
“Dov’è
Espero? Anche lui fa vacanza oggi?” ipotizzò il
sanguemisto.
“Sta
giocando con Asmodeo…” sorrise Lucifero
Keros
trattenne una risata. Espero giocava con Asmodeo come un gatto gioca
con un
topo. Il ragazzo, seppur ancora molto giovane, era incredibilmente
forte e
dotato di energia ineguagliabile. Con discrezione, il sanguemisto
osservò dalla
finestra le mosse di colui che era l’unico suo allievo.
Addestrare il figlio
del Diavolo si era rivelato un compito gravoso ed impegnativo, e lo
aveva
coinvolto totalmente, portandolo ad abbandonare il ruolo di tentatore.
Sapeva
che era una situazione temporanea, perché presto Espero
sarebbe divenuto così
potente da non aver più nulla da insegnargli. Non vedeva
l’ora di poter tornare
a fare il tentatore a tempo pieno, riscoprire il mondo umano che tanto
era cambiato
in quei secoli, rivedere l’alba…
“A
che pensi?” si sentì dire e sobbalzò
per la sorpresa.
“A
niente” si affrettò a mentire, riconoscendo la
sagoma di Arikien.
“Che
pessimo bugiardo…” ghignò
l’erede di Alukah.
Anche
lui aveva preso parte alla guerra, ottenendo una medaglia al valore per
aver
ucciso uno dei generali sovversivi. Non era cambiato molto in quegli
anni, si
era solo fatto più sadico. Giocherellando con i capelli di
Keros, che
ricadevano lungo tutta la schiena, Arikien si fermò qualche
minuto a spiare
Espero che picchiava di santa ragione il povero Asmodeo.
“Dove
sono i ragazzi?” domandò il principe, riferendosi
a Koknos, Mavros e Vasilissa.
“A
lezione. Ora li raggiungo…”.
Keros
annuì. Arikien era riuscito a divenire un maestro di recente
ed ora seguiva una
piccola classe di giovanissimi demoni, addestrandoli sul mondo umano.
“Comunque
quel ragazzo fa paura” ridacchiò il vampiro.
“Deve
ancora imparare una cosa fondamentale” mormorò il
principe.
“E
sarebbe?”.
“Ad
infrangere la barriera angelica. Quando imparerà,
sarà invincibile. Quando imparerà,
il mio compito sarà terminato come maestro. E lui
sarà pronto per la guerra
contro gli angeli”.
“E
quanto credi che avverrà?”.
“Presto.
Temo molto presto…”.
Le
urla e le risate sadiche di Kaya si espandeva per tutto il girone. La
giovane
principessa aveva scelto di divenire una punitrice di anime peccatrici
e stava
imparando nuovi metodi per farle soffrire. Il suo maestro, Abbaddon,
era fiero
di quella ragazza. Era crudele, spietata, e nulla la fermava dal suo
intento:
punire. Con due grosse catene in mano, Kaya le faceva ruotare e
percuoteva le
anime, volando sopra di esse. Era ancora piccola, e doveva essere
seguita dal
maestro, ma presto avrebbe potuto ottenere un settore tutto per
sé in cui
torturare a proprio piacere.
“Sorella!”
la chiamò Vixa, fermandosi sulla riva del lago ribollente in
cui Kaya stava
frustando anime.
Le
due gemelle erano pressoché identiche. Minute, con lunghi
capelli scuri ed
occhi viola, assomigliavano molto alla madre. L’unica
differenza chiaramente
visibile in quel momento era il vestiario che indossavano. Kaya era
vestita in
pelle, con pantaloni e blusa aderenti, con un pesante trucco nero sul
viso.
Doveva incutere molto timore e le catene, gli occhi incavati ed i
canini in
vista aiutavano molto. Vixa aveva scelto una carriera ben diversa.
Addestrata da
Lilith, imparava a divenire una perfetta Succubus. In abiti succinti e
tacchi
alti, dimostrava qualche secolo in più rispetto alla
gemella.
“Non
hai lezione oggi?” domandò Kaya, raggiungendola.
“Lilith
mi ha concesso il pomeriggio libero. Ha detto che deve aiutare Lucifero
a
preparare la festa per i nostri mille anni”.
“E
sappiamo già in che modo lo aiuta” fece
l’occhiolino Kaya, mentre Vixa
arricciava la coda con fare malizioso.
“Vuoi
provare a frustarne una?” invitò poi la punitrice,
notando la curiosità della
sorella.
“Magari!
Dai, fammi provare!”.
“Prego.
Son tutte tue…”.
Un
ghigno apparve sul volto di entrambe, mentre un’anima colpita
lanciava un grido
di dolore.
Carmilla
era rientrata a palazzo. Stava riordinando alcune erbe raccolte con la
luna
piena e sorrideva soddisfatta. Maestro Furcas sarebbe stato fiero di
lei! Aveva
iniziato l’addestramento da guaritrice da giovanissima e
durante la recente
guerra aveva avuto modo di imparare e fare molta pratica. Era fiera di
poter
seguire, in qualche modo, le orme della nonna materna. Molti avevano
tentato di
spingerla verso la carriera di tentatrice, ma la ragazza aveva da
sempre le idee
chiare su chi voleva divenire. Ad una delle figlie di Lilith,
più anziana della
principessa, era stato dato l’appellativo di
“Carmilla” e girava per il mondo
umano come tentatrice, ma a lei poco importava se per tutti la nonna
era solo
tentatrice e non guaritrice. La giovane principessa, legandosi i
capelli, aprì
un paio di boccette di vetro e si preparò a realizzare un
unguento con le erbe
raccolte. Osservava il quadro della sua omonima antenata ogni giorno,
ancora
appeso al muro del corridoio reale, e le sorrideva. Non avrebbe curato
gli
umani, non amandoli particolarmente, ma avrebbe aiutato moltissimi
demoni. Il
percorso era ancora lungo, lo sapeva, ma era certa che sarebbe divenuta
una
guaritrice perfetta!
La
luce del sole illuminava gli occhi ambrati di Nasfer, che rideva
divertito
mentre raccontava un fatto spassoso che gli era capitato
all’Inferno. Sophia
ascoltava e rideva a sua volta. I due giovani, seduti fra
l’erba alta, si
godevano il sereno e la lieve brezza del mattino. Il giovane principe
era
cresciuto, surclassando in altezza il padre ed il re. Nessuno era
riuscito
pienamente a comprendere come mai, dato che i genitori erano entrambi
piuttosto
minuti, quel ragazzo era cresciuto così. Alto e magro, con i
capelli scuri a riflessi
verdi che ricadevano lisci sulle spalle e metà della
schiena, stava
intraprendendo il lungo e difficile addestramento per divenire giudice
degli
Inferi. Di nascosto, quando aveva del tempo libero, si recava nel mondo
umano e
vedeva Sophia, la gemella angelica.
“Cosa
farete in Paradiso per il tuo compleanno?” domandò
Nasfer, curioso.
“Non
lo so” ammise lei “Non si celebrano molti
compleanni in Cielo…”.
“Ma
mille anni è un traguardo importante!”.
“Lo
so. E so anche che all’Inferno faranno grande festa per
te”.
“Per
me e per le nostre sorelle. Non vedo l’ora!”.
“Già.
Saremo adulti a tutti gli effetti. E… immagino che per un
demone cambi molto”.
“Dici?”.
“Noi
angeli siamo sempre uguali. Tu… immagino inizierai ad avere
delle femmine. No? E
cose del genere”.
“Voi
angeli non vi sposate? Non avete dei compagni?”.
“No”.
“E…
scusa la domanda… come nascono nuovi angeli? Li create
plasmando le nuvole come
fossero plastilina?”.
“Non
nascono nuovi angeli. Io sono un avvenimento eccezionale. Gli angeli
non
muoiono, al massimo cadono. Quindi non serve un ricambio. Ogni tanto
arriva
qualche umano particolarmente bravo a cui spuntano le ali, ma ormai
sono molto
rari”.
“Non
è triste? Intendo dire… non provi il desiderio di
avere qualcuno accanto? Di amare
qualcuno? Di…”.
“Noi
angeli non abbiamo certi istinti e desideri. Potrà sembrarti
strano, immagino.
Sarò molto felice però di conoscere la tua futura
compagna ed i tuoi figli”.
“Hei,
non correre! Per carità! Non ci penso proprio di fare come
papà!”.
“Che
ha fatto di male?”.
“Ci
ha avuti per errore, da troppo giovane, con una demone che a malapena
sopporta.
Ci ha ignorati per secoli…”.
“Per
me è stato un bravo papà. Ha fatto molto
più di quanto ci si aspetti da un
demone. Giusto? Non fosse stato per lui, che mi ha affidato agli
angeli, sarei
morta”.
“Può
darsi…”.
Nasfer
era perplesso. Poi sorrise di nuovo, volendo cambiare argomento. Amava
i
momenti che trascorreva con lei e trovava frustrante doverla vedere di
nascosto. Che avrebbero pensato all’Inferno se lo avessero
visto? Il principe che
si perde in chiacchiere con un angelo. Che vergogna!
“Comunque
io non farei mai cambio” ruppe il silenzio Sophia.
“Con
che cosa?”.
“Con
la vita di qualcun altro. Non vorrei essere umana o demone. Vorrei solo
che
quelli come noi fossero liberi di vedersi, senza doversi nascondere. Se
Mihael
sapesse che sono qui con te…”.
“Immagina
la reazione di Lucifero. Mi farebbe rinchiudere. Papà poi,
da quando si è
azzuffato con il nonno, non parla mai di angeli e non mostra mai le
ali. È come
se volesse rimuovere quel lato della famiglia…”.
“La
guerra fra noi c’è sempre stata. E quando
verrà quella finale…”.
“Tutti
si aspettano che lotti al fianco del re. Ma perché mai
dovrei farlo? Io sarò giudice,
manderò le anime peccatrici nel posto che spetta loro, in
base ai peccati
commessi. Di quel che fanno gli angeli, poco mi importa! E
poi… dicono che dopo
la guerra verranno chiuse definitivamente le porte. Nessun passaggio
per il regno
umano, solo Inferno o Paradiso per l’eternità. Non
voglio”.
“Nemmeno
io! Non potrei più sedere sull’erba, cogliere un
frutto o ammirare il Mondo. E non
potrei più vedere te…”.
Lei
sospirò, poggiandosi contro le spalle di Nasfer.
L’aureola solleticò
leggermente il viso del demone, che non sapeva che cosa dire. In quel
momento,
lo sapeva, avrebbe fatto qualsiasi cosa per proteggere colei che aveva
accanto
e per vederla sorridere. Non vederla più? Il solo pensiero
lo opprimeva. Da quel
giorno, quando erano bambini e si erano incontrati e parlati, si erano
rivisti
moltissime volte ed il loro legame si era fatto più forte.
Che fatica
sopprimere quella voce, quel desiderio da demone, che lo spingeva a
desiderarla! Ne era consapevole ormai: lui la voleva. Voleva baciarla,
possederla, danzare con lei ed averla per sempre. Come Lucifero con la
gemella,
ora Nasfer provava lo stesso desiderio. Ma non si sarebbe mai spinto
oltre. Non
avrebbe mai permesso la caduta di quell’angelo, la sua rovina.
“Devo
andare adesso” mormorò.
“Anch’io”
sospirò Sophia “Spero di rivederti
presto”.
Nasfer
non rispose. Era meglio non rischiare di lasciarsi sfuggire qualche
parola di
troppo…
La
cerimonia dei mille anni era stata grandiosa, come tutti si
aspettavano. Giurare
fedeltà al re, ricevere da lui i migliori auguri e consigli,
erano dei momenti
che ogni giovane demone attendeva con impazienza. Keros vedeva i propri
figli nel
gruppetto dei ragazzi che quell’anno erano giunti a compiere
il primo millennio.
Era fiero dei suoi piccoli, anche se erano cresciuti molto in fretta e
vederli
lì, abbigliati in modo sontuoso e regale, lo faceva sentire
quasi vecchio. Ma subito
sorrise, scacciando quell’idea.
“Che
bello vedere dei giovani demoni con così tante aspirazioni
diverse!” parlava
Lucifero, dall’alto della balconata che dava sulla piazza
principale della
capitale “Fra voi so che ci saranno futuri tentatori,
messaggeri, torturatori,
giudici… ogni sorta di categoria demoniaca. È
bello vedere nei vostri occhi entusiasmo
ed energia. Siete il futuro di questo regno, ognuno di voi unico a suo
modo.
Non dimenticatelo mai”.
I
ragazzi sorrisero, emozionati. Per alcuni era la prima volta che
potevano
ammirare così da vicino il sovrano e, dovevano ammetterlo,
metteva in gran
soggezione.
“Ora
siete cittadini adulti del regno dei demoni” aggiunse Keros,
in piedi accanto
al re “Siatene fieri e siatene consapevoli. Agite per gli
Inferi ed agite per
voi stessi. Ogni ostacolo che incontrerete sul vostro cammino
sarà una sfida
che sono certo saprete affrontare. Perché siete demoni. Ed
il futuro appartiene
a noi. A voi”.
Si
alzò un grido d’approvazione. Poi re e principe si
congedarono, lasciando ai
ragazzi la possibilità di festeggiare. Erano stati
organizzati spettacoli e
musica, con liquori e cibi da tutto il regno.
“Sei
preoccupato per le tue figlie?” ridacchiò
Lucifero, incamminandosi lungo il
corridoio buio con le mani dietro la schiena.
“Dovrei?”
storse il naso Keros, mostrandosi tranquillo.
“A
certe feste succedono sempre cose strane…”.
“Nasfer
saprà allontanare presenze non desiderate. Se avranno altri
programmi, non
posso farci molto. Sono grandi, ormai”.
“Ammiro
il tuo autocontrollo. E la fiducia che riponi in loro”.
“Sono
loro padre. Devo avere fiducia in loro. Se non ne ho io, chi
può averne?”.
“Giusto…”.