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Autore: kurojulia_    15/11/2019    1 recensioni
«Me ne stavo lì, in piedi... e poi mi dissi: ma che stavo facendo? Per me, era tutto finito. Quindi... che stavo facendo? Perché provavo a fare qualcosa? Perché continuavo, testardamente, a cercare una soluzione per... salvarmi? Mi coprii il viso con le mani. Volevo piangere, ma non una sola lacrima varcava i miei occhi. “Non fermarti”. Così udii alle mie spalle. Una voce, femminile, dolce, vellutata. Quando la sentii, iniziai a piangere senza nemmeno rendermene conto. Mi voltai di scatto, ma qualcosa mi spinse e caddi oltre la porta, in quel buio senza fondo. L'ultima cosa che vidi fu un bagliore dorato».
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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07.




Era una mattina sfolgorante. La luce della finestra, accanto al letto, si stagliava sul pavimento come una lama, illuminando anche un'ampia porzione del materasso. Takeshi, che dormiva nella parte destra e più interna, si godeva il calore delle coperte, sdraiato sul fianco. Spostò la mano lungo il materasso, per sotterrarla sotto al cuscino, ma a metà strada si scontrò contro una gamba – morbida e tiepida.
Takeshi aprì lentamente gli occhi, sbattendo le ciglia svariate volte, intontito dal sonno. Sollevò lo sguardo, fin quando non incontrò il profilo della sua ragazza, ancora profondamente addormentata.

Stava supina, con le braccia appoggiate sullo stomaco, e respirava flebile. I raggi del sole non riuscivano a toccare la sua pelle – dalla finestra lì vicino – ma rifulgevano sull'ormai corta chioma bianca.

 

Stentava ancora a crederci. Poi tutti gli eventi che lei aveva passato gli tornarono alla mente e serrò le labbra, frustrato. Lo sapeva, era inutile arrabbiarsi o incolparsi di qualcosa: lui, come gli altri, non avevano la più pallida idea di cosa le stesse accadendo. Razionalmente lo capiva. Eppure...

Sospirò, e in cuor suo si disse di lasciar perdere quei pensieri. Adesso voleva solo godersi la sua presenza.

Si alzò, sostenendosi su un gomito, e si protese su di lei per guardarla in viso. Aveva un espressione così tranquilla e distesa, come se tutto il peggio fosse passato – Takeshi sorrise, dolcemente, e si chinò su di lei. Piano, facendo attenzione a non svegliarla, incastrò le labbra tra le sue. Non voleva svegliarla, ma il desiderio di baciarla era così forte.
Quando lui si allontanò, proiettando penombra su di lei, la mezzosangue aveva gli occhi socchiusi. E le guance leggermente arrossate.

Sorpreso, il bruno alzò le sopracciglia e le sorrise. «Ehy», sussurrò.

«Uhm... ehy», rispose Yuki. Lui la vide agguantare il bordo delle coperte e tirarle il più possibile per coprirsi il volto. «Sei un po' troppo vicino per... ».

«Per?».

«... per una ragazza appena sveglia e senza un filo di trucco».

Sentendo quelle parole, il dolce sorriso che gli aleggiava sulle labbra cambiò rapidamente carattere – cedendo il posto alla malizia. «Ti ho visto in condizioni peggiori. E migliori», alzò gli occhi verso il soffitto, meditando. «E ieri notte eri decisamente nella tua condizione migliore».

«Ti prego!». L'albina riuscì finalmente a coprirsi la testa con la coperta, con uno strattone violento. Ormai aveva il viso in fiamme e aveva il forte dubbio che quello stupido mentecatto l'avesse notato, con quell'occhio vigile – che adoperava, sostanzialmente, solo per quelle idiozie. Dannazione, che imbarazzo. «Smettila, se non vuoi che mi sotterri nel vostro orto».

«Vostro orto?», ripeté Takeshi, appoggiando il palmo della mano sulla sommità della testa di lei. Con gentilezza, le tolse dalle mani il lenzuolo, e scosse la testa. «Il “nostro” orto, vorrai dire». Sospirò, un po' esasperato. «Questa è anche casa tua, adesso. Che tu lo voglia o no. Non ti lasciamo andare da nessuna parte».

Yuki era ancora imbarazzata quando l'ultima frase le giunse alle orecchie. Lo guardò, velatamente preoccupata. Gli prese il viso fra le mani e lo osservò, esaminando ogni centimetro dei suoi tratti. Era così bello e al contempo rassicurante. Le infondeva una serenità incredibile.

«Che c'è?», bisbigliò lui, ridacchiando. «Ti sei incantata?». Takeshi sorrise.

Yuki allontanò le mani dal suo volto. «È che sono felice di rivederti».

Il ragazzo si era lasciato cadere con la schiena sul materasso. Si stava stiracchiando quando aveva sentito la frase della mezzosangue. «Non pensavo avrei mai sentito tanta sincerità da te».

«Non farmi cambiare atteggiamento». Ma il sorrisetto che era appena apparso la diceva lunga su quanto fosse offesa.

 

Scostò le coperte e si mise seduta, sbadigliando piano. Ruotò la schiena, le spalle e il collo, rimettendo in moto tutto il corpo, e si guardò un po' intorno.
La camera di Takeshi era più piccola delle altre, ma a quanto pare era stata una scelta sua, poiché era abituato a spazi più ristretti; le pareti erano dipinte di color sabbia mentre il pavimento, come in tutto il resto della casa, era in parquet. Il letto era incastrato sulla destra, in una rientranza immersa nella penombra, illuminata leggermente dalle due finestre; in mezzo a queste svettava un grande armadio con cassetti nella parte inferiore. Infine, accanto al letto, c'era un piccolo comodino spoglio. In generale, la camera da letto non era particolarmente arredata. Eppure Yuki ricordava che quella di Yoshino contenesse più oggetti, effetti personali, piccole cose che la rendevano riconducile a Takeshi Katugawa.

Yuki si alzò, avvicinandosi alla finestra lì accanto. La luce era forte e calda, ma non fastidiosa come immaginava. Fuori si allargava l'enorme campo verdeggiante.

«Che programmi abbiamo per oggi?», chiese.

«Fammi pensare», rispose il bruno, spostandosi sul bordo del letto. «Beh, dipende un po' da te. Dovremmo andare a recuperare la tua valigia alla tavola calda e poi, forse, fare la spesa».

«Giusto». Yuki si staccò dalla finestra, puntando gli occhi sul ragazzo. «Senti... ».

«Mh?».

«Yumi e Tetsu stanno insieme?».

 

Takeshi, che si stava per alzare dal letto, si fermò nell'atto. Dunque, lentamente, raddrizzò la schiena e si mise in piedi. Si passò una mano tra i capelli, come se volesse dargli una regolata. Ovviamente non aveva avuto successo. «Ecco... ». Dal momento che lei lo stava guardando parecchio insistente, Takeshi non se la sentiva di tergiversare o persino di mentire. Non avrebbe avuto senso. Non sapeva se quei due volevano parlarne per primi, ma al momento non aveva alternative. «Sì. Stanno insieme».

«... da quando?».

«Saranno... due anni?».

«Quindi più o meno da quando siete arrivati in questa casa». Takeshi annuì e Yuki si mordicchiò il polpastrello del pollice con il canino sinistro. Poi tornò sul bruno, con una nuova domanda: «Ma come è successo?».

«Detta così sembra un incidente automobilistico».

«No, per carità. Non volevo dire che... insomma, l'idea non mi dispiace. Semplicemente, mi chiedo cosa diavolo sia successo fra di loro al punto da far nascere... ».

«Un sentimento?».

Yuki annuì.

«Vedila sotto questo punto di vista: loro due, rispetto a noi, non sono partiti da un rapporto di semi antipatia. Come partenza, sono andati molto meglio di noi. Sì, rimane il fatto che lui è un vampiro e lei un umana, ma non penso rappresenterà un problema per loro due. E poi, dammi retta, ne hanno passate parecchie insieme».

«Questo... è vero». Yuki storse la bocca. «Però voglio ancora conoscere le vicende».

«Mi dispiace, ma dovrai chiederle a Yumi».

Yuki fece per protestare, ma Takeshi sorrise divertito. Già. Non avrebbe cavato un ragno dal buco. Al contempo, se lui stava insistendo così tanto per farla parlare direttamente con Sayumi, sapeva che era per una buona ragione.

 

 


 

***

 

 

 

«Buongiorno!». Sayumi, che fino ad un istante prima era indaffarata con le padelle sui fornelli, si fermò per girarsi in direzione delle scale. Tutto il suo volto si illuminò in un caldo sorriso, gli occhi si strinsero sotto la piega delle guance. 
«Ben svegli», rispose lei. Allacciato al collo e dietro la schiena portava un grembiule giallo che la riparava da eventuali schizzi di olio. Di fronte aveva due padelle, l'una accanto all'altra, su cui friggeva profumato bacon e sostanziose uova. «La colazione è quasi pronta».

Yuki annuì, avvicinandosi all'amica, mentre Takeshi sbadigliava rumorosamente.

«Ti aiuto?», domandò l'albina, appostandosi accanto a Sayumi come un fedele cane da caccia.

«Nah, ho finito», rispose l'altra. «E Tetsuya sta apparecchiando. Puoi sederti, ecco».

«Impegnativo. Vedrò cosa posso fare». Strappando una risata all'amica, Yuki si diresse verso il tavolo, incrociando il vampiro biondo. Tetsuya stava canticchiando a labbra chiuse. Sembrava di ottimo umore. Stava posizionando graziosi bicchieri di vetro sul tavolo e un'ampia ciotola di insalata al centro del tavolo.

«Mai mi sarei sognata di vedere una scena simile».

«Non dovevi sederti?», nonostante la risposta un po' sarcastica, Tetsuya stava sorridendo parecchio. «Anche tu, Take».

«Agli ordini», rispose il ragazzo, che si era abbandonato sul sofà. Con un colpo di reni si riportò sul bracciolo e successivamente in piedi.


Yuki si sedette al posto accanto a Takeshi. La casa era pervasa dal profumo di colazione abbondante, dal bacon scoppiettante e le voci, allegre ma rilassate, dei tre ragazzi. Sayumi ai fornelli, Tetsuya che le diceva qualcosa e Takeshi che si sedeva accanto prendendo in giro il vampiro, come suo solito.
L'albina si sentiva dentro una bolla, ma stavolta, era una bolla che le scaldava il cuore. Era come un sogno pieno di colori.
Ricordò quando, dopo che erano scappati dalle grinfie di Alyon, lei e Sayumi avevano parlato nel suo letto, stringendosi la mano; aveva detto che non era tanto ottimista da pensare ad un futuro. Ad un futuro sereno e bello come quello che stava osservando. E non aveva avuto poi tanto torto, fino ad un certo punto. Ma adesso lo stava impugnando.

 

«Bene», disse Sayumi, quando furono tutti seduti. «Buon appetito».

La colazione proseguì tra risate e chiacchiere di vario tipo. Yuki aveva scacciato qualsiasi pensiero e ricordo vagamente negativo e si era immersa fino alla cima della testa in quella pace. Almeno, questa atmosfera andò avanti per un po', forse dieci minuti.

«Allora... », esordì Tetsuya. Intrecciò le dita fra loro e ci posò sopra il mento. «... mi dispiace romperci le uova nel paniere, ma... volevo parlare dell'argomento Anima».

La mezzosangue si strofinò il fazzoletto sulle labbra, lasciandolo accanto al piatto. «Hai ragione. Sarebbe il caso di parlarne».

«Per quel che abbiamo capito», continuò allora Tetsuya. «alla morte di una Guerriera Dorata, la sua anima finisce all'interno della katana, in un procedimento che non ci è dato sapere. Tutto ciò avviene a causa di un incantesimo di secoli fa, ai tempi degli Imperatori».

Gli altri annuirono.

«E da quello che dici, secondo te... sei stata all'interno di Anima», disse Sayumi. «Ma... quella era una camera funeraria, quindi... ».

«Come fai ad esserne sicura?», chiese Takeshi.

«Non lo so. Ma quel luogo... », Yuki scosse la testa. «Voglio dire, ero morta. L'avete visto con i vostri stessi occhi. Di sicuro non era un sogno».

«Andando per esclusione, non può essere altro che... Anima». Tetsuya fece un sospiro pesante, appoggiando la schiena alla sedia. Per quanto assurdo sembrasse... indubbiamente, gli mancava qualche tassello. Doveva esserci una spiegazione al perché l'interno di Anima sembrasse una camera funeraria. «E quel bagliore dorato... prova a descrivercelo meglio».

Yuki ci pensò su qualche istante. «L'ho visto solo di sfuggita, perché ero stata spinta giù. Quello che ho visto era una luce e una sagoma umanoide. Mi sembra di aver intravisto delle mani... ».

«Non è molto», constatò il vampiro.

«C'è poco da fare», disse Sayumi. «Non c'è nessun Akawa a cui potremmo chiedere?».

L'albina scosse la testa. «No, purtroppo; che io sappia, i nonni sono morti già da parecchio tempo. Alyon è bello che andato – ma in ogni caso non avrebbe detto una parola. E mia madre... ».

«Sentite», disse Takeshi, le braccia incrociate sul tavolo. «Mi è appena venuta una cosa in mente. Kazumi aveva spiegato che dentro Anima risiedono già le anime delle precedenti Akawa. Giusto? Allora perché Yuki non ha incontrato nessuno?».

«Forse non ha fatto in tempo. D'altronde è uscita relativamente in fretta».

«Fatta eccezione per la figura che ti ha spinta oltre la porta».

 

Yuki, sin da quando era tornata nel mondo terrestre – nel mondo di coloro che respirano ancora – continuava a pensare ininterrottamente alla stessa cosa. Era un chiodo fisso, appuntato alla sua fronte con una puntina. E più ci rifletteva, più le sembrava una sensatissima possibilità, e lei ne aveva bisogno: aveva bisogno di una possibilità che avesse senso.
«Questo vuol dire che mia madre è viva».
Dopo che lei ebbe pronunciato queste parole, un silenzio di piombò calò su quella tavola. Nessuno rispose. Alle loro spalle, dietro la porta che dava sulla veranda, si sentivano gli uccellini cinguettare animatamente.

Non erano sorpresi. Piuttosto, sembravano concentrati.

«Ed è anche il motivo per cui non posso restare», continuò la mezzosangue, con tono di tomba.

Takeshi si voltò di scatto verso di lei. Cavolo. Stava facendo un espressione decisamente atterrita. Non avrebbe voluto apparire così palesemente spaventato.

Ma l'albina non si girò. «Ne sono certa. È una cosa che sentivo già dentro la katana. Kazumi Akawa è ancora viva... da qualche parte, qui, nel mondo. E io andrò a cercarla. Lo devo fare», Yuki chiuse le palpebre. «lo devo fare almeno per Ai. Si merita una madre».

«Ma... », balbettò Sayumi. «Sei appena tornata da noi... ».

«E poi, non dovresti riposarti un po'? Sei ancora debole», disse Tetsuya. «lo percepisco chiaramente».

«Non partirò immediatamente. Se per voi vabbene, rimarrò qualche giorno, e poi comincerò a perlustrare Shizuoka».

Sayumi, che sedeva di fronte a Takeshi e Yuki, rimase a fissare la ciotola dell'insalata ormai vuota – i pezzettini di lattuga attaccati, il filo d'olio sul fondo. La fissò con le sopracciglia basse sugli occhi e le labbra chiuse in una morsa. Poi scattò in piedi, come una molla, e cominciò a prendere i suoi piatti e le sue bacchette. Si girò verso il lavabo, abbandonandoli lì dentro. Lasciò scorrere l'acqua sulla ceramica, le mani strette intorno alla guarnizione del lavandino.
Da quel punto, l'albina vedeva la sua schiena, esile e tremante. «Lo capisco. Lo capisco bene, Yuki-chan. Si tratta di tua madre e anche di tua sorella, quindi è logico che tu abbia preso questa scelta. Chi è che non lo farebbe? Però, sai, Yuki-chan», e si voltò. L'albina si era già aspettata dei grandi lacrimoni negli occhi blu – ma, invece, vi trovò solo uno sguardo vacillante e ferito. «Anche noi siamo la tua famiglia. Anche noi abbiamo sofferto. E tre anni non ci sono bastati per guarire completamente. Ci stavamo ancora riprendendo, quando sei apparsa, e lì ho pensato che non ci fosse più bisogno di essere forte». Sayumi si passò il braccio sugli occhi.

Rimase in silenzio.

«Scusa», bisbigliò.

Tetsuya si alzò in piedi, in silenzio, senza fare un rumore. Si avvicinò al lavandino e avvolse Sayumi tra le braccia, spingendole il volto sul petto, accarezzandole i capelli – lei adorava quando faceva così, ma in quel momento non riuscì a goderselo.

Il vampiro girò leggermente il viso, di tre quarti, in direzione di Takeshi. Chiuse le palpebre una volta, un consiglio muto. Il miglior consiglio che potesse dar loro.

 

«Vieni», sussurrò Takeshi, prendendo la mezzosangue per mano, e conducendola verso la veranda oltre la porta.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Fuori, in veranda, tirava un leggero venticello che smuoveva l'aria calda. Erano in primavera, ma quella giornata sembrava quasi estiva. Sotto al tetto della veranda, accolti dall'ombra, potevano guardare verso la morbida distesa d'erba e la sua vegetazione che cresceva rigogliosa.
In un posto del genere, Yuki si sarebbe svegliata tutte le mattine col sorriso; anche se c'era molto sole ed era un po' debilitante, l'atmosfera in sé era fin troppo paradisiaca.

Le mani appoggiate sul davanzale di legno, il tempo aveva smesso di scorrere. Yuki inspirò l'aria pulita, riempiendosi i polmoni. Aguzzò la vista, notando l'ingresso alla foresta.

«Mi dispiace».

Takeshi era seduto sulla poltrona, a mezzo metro da lei, alle sue spalle. Aveva lo sguardo basso. «Per cosa?».

«Per aver causato questo». Yuki aveva sentito un briciolo di fastidio nella voce del moro. Lasciò perdere il panorama di fronte a lei e si rivolse al ragazzo, girandosi. «E soprattutto, per aver preso questa decisione».

Il ragazzo sospirò flebilmente. Lento, alzò la fronte, guardando Yuki tra le folte ciglia nere. La sua figura era particolarmente luminosa, contornata dalla luce alle spalle.

«Sai, non devi scusarti. Come ha detto Sayumi, è tua madre: chiunque avesse a cuore la propria famiglia lo farebbe. Quindi non hai niente di cui scusarti. Però, capisco perfettamente i sentimenti di Yumi. Non proverò a far finta di essere stato... forte, maturo... è stato distruttivo. È stato un incubo ad occhi aperti. Perché tu eri sparita e non ti avrei più rivista. Perché abbiamo affrontato tutto questo accerchiati dalla polizia, dalle domande e da persone che volevano sapere “come stavamo”. Noi... sì, stavamo lentamente ritrovando la pace. Tutto ciò che avevamo perso per due anni. E poi... ».

«E poi, ci siamo incontrati».

 

Era per questo che non aveva voluto incontrare Ai. Temeva che sarebbe successa la stessa cosa. Forse, però, con Ai sarebbe andata un po' meglio.

«Quando dovresti ripartire?», chiese il ragazzo.

«Probabilmente, tra tre giorni».

«E dove hai intenzione di andare?».

«Scenderò al villaggio e darò un'occhiata veloce. Dopo di ché, mi dirigerò verso la prima città».

«Quanto tempo pensi che ci metterai a trovarla?».

«Non ne ho la più pallida idea. Anche sfruttando la velocità di movimento potrei metterci mesi, se non un intero anno».

 

Takeshi non fece altre domande. Soppesò le risposte che aveva ottenuto, le dita intrecciate e lo sguardo sul pavimento sotto ai suoi piedi. Forse un anno, persino. No. Era fuori discussione. Non poteva aspettarla.«Okay, ho capito».

«Take?».

Il ragazzo sollevò gli occhi su di lei. «Mi dispiace, ma... no. Per me è impossibile».

«Ta... ke? In che senso... ?». Yuki si sentì tremare le gambe. Si appoggiò più saldamente al davanzale dietro di lei. Lo guardò, cercando nella sua espressione impassibile un qualche indizio. Lo vide alzarsi in piedi, dirigersi verso di lei con calma.

Quando furono faccia a faccia, Takeshi sorrise. «Vengo con te».

 

 

 

   
 
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