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Autore: RedeNetele    16/11/2019    2 recensioni
A quasi ventinove anni, Anna si trova di fronte a una scelta: lasciare la sua vecchia vita per ottenere un lavoro oppure rimanere disoccupata. Anche se a malincuore, Anna lascia Lorenzo, il suo ragazzo, e si trasferisce a più di duecento chilometri di distanza, nella città che l'ha vista crescere, dove l'aspetta un posto come impiegata nell'ospedale cittadino.
La vita da single è più difficile del previsto, soprattutto se a complicare le cose ci si mettono un vicino di casa ostile, irritante e con due occhi di ghiaccio e il suo cane-killer costantemente a caccia dei gatti di Anna. Ma chissà che non sia proprio Yaroslav, levriero apparentemente bipolare, ad alleviare la solitudine di Anna e a farle vedere sotto una nuova luce anche lo scostante Oleksander?
Ma l'imprevisto è sempre dietro l'angolo e, quando Lorenzo si dimostrerà più tenace del previsto, Anna dovrà fare i conti con l'amore, un sentimento che non ha mai compreso fino in fondo.
Una storia di umani, cani e mostri da sconfiggere.
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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La mattina seguente, Anna marciò decisa verso la propria auto. Le bastò allontanarsi di pochi metri dal cancelletto della sua abitazione per iniziare a fremere di rabbia. È ancora lì! Pensò furiosa, scorgendo l'imponente sagoma nera dell'Audi che sovrastava quella più piccola e colorata del suo Panda.

Quando raggiunse la portiera, la ragazza controllò nervosamente l'ora sbirciando il quadrante dell'orologio che portava al polso sinistro. Nel giro di venti minuti avrebbe dovuto essere al lavoro: il percorso in macchina richiedeva all'incirca dieci minuti, il che significava che ne aveva altrettanti per trovare il proprietario del SUV, insultarlo e costringerlo a spostare quel bestione da lì.

Cosa faccio? Si chiese Anna, mentre le mani iniziavano a pruderle dal nervosismo. Doveva iniziare a suonare un campanello dopo l'altro, sperando che il proprietario dell'Audi non risiedesse proprio nell'ultima casa a cui avrebbe bussato? Così arrivo in ritardo di sicuro!

Forse avrebbe potuto suonare a un solo campanello, chiedendo alla persona che le avrebbe aperto di indicarle il colpevole. Ma se mi ignorassero? Non sono ancora le otto: e se le persone che sono ancora in casa stessero dormendo? Ci potrebbe volere un sacco di tempo!

La ragazza rimase immobile per qualche istante, ragionando sul da farsi. Sì, non c'era che una soluzione: non era elegante e probabilmente le avrebbe attirato qualche antipatia, ma non poteva davvero rischiare di arrivare in ritardo già la seconda settimana di lavoro. Aprendo di scatto la portiera, Anna scivolò sul sedile dal lato del conducente e impugnò saldamente il volante, chiedendosi per l'ultima volta se fosse davvero il caso di affrontare la questione di petto. Eh, sì! Mi dispiace, ma questa cosa va risolta.

Il clacson risuonò nella via silenziosa; un urlo che, nella quiete del mattino, alle orecchie di Anna parve assordante. La ragazza interruppe il suono per qualche secondo, poi premette nuovamente sul volante: una, due, tre volte, ogni volta lasciando che la pressione durasse un po' più a lungo.

E che cazzo! Pensò, mentre la rabbia e la frustrazione le serravano la gola. È possibile che stiano veramente dormendo tutti? Sono sordi o cosa?

Quando stava per suonare una quinta volta, la porta della casetta singola davanti alla quale era parcheggiato il Panda si aprì, lasciando intravvedere il volto arrossato di una donna sulla sessantina. Giudicando dal pigiama a fiori che indossava e dal golfino che si era gettata in qualche maniera sulle spalle, Anna giudicò che dovesse trattarsi di una casalinga.

Soddisfatta dal fatto di essere riuscita ad attirare l'attenzione di qualcuno e appena leggermente imbarazzata dal modo in cui era riuscita a ottenere quel risultato, la ragazza balzò giù dall'auto, sistemandosi meglio la scollatura del vestito, che tendeva sempre a scendere un po' più del dovuto. «Mi scusi, eh!» esclamò, avvicinandosi alla donna. «Sa di chi è questa macchina? È parcheggiata male e io non riesco a uscire!»

La donna aggrottò la fronte e si strinse il maglioncino sulle spalle per proteggersi dall'aria frizzante di inizio ottobre. «È del...» la donna si interruppe, fissandola in volto come se l'avesse appena messa a fuoco. «Scusami, ma tu chi sei? Abiti da queste parti?»

Sofia annuì, fermandosi a pochi passi dall'uscio sul quale si trovava la casalinga. «Sì, mi chiamo Anna: ho appena preso in affitto uno degli appartamenti al numero cinque» spiegò. «Mi scusi se mi sono attaccata al clacson, ma tra un quarto d'ora devo essere al lavoro e non riesco proprio a passare... bisogna essere proprio dei somari, per parcheggiare così!»

La donna la guardò con aria comprensiva. «Eh, quello fa sempre così, sai? Come si dice? A posto lui, a posto tutti!»

«Ah, perfetto!» borbottò Anna. «E chi sarebbe, 'sto genio? Gliela faccio spostare io, la macchina.»

La casalinga le rivolse un sorrisetto che alla ragazza parve quasi di compassione e si sistemò dietro a un orecchio una ciocca di scarmigliati ricci biondi. «Guarda, abita proprio di fianco a te: sta anche lui al numero cinque. Di cognome fa Čumak, o come diavolo si pronuncia.»

«Co... come?» balbettò Anna, confusa dal suono articolato dalla donna.

La donna si strinse nelle spalle. «Čumak» ripeté. «Non so dirti come si scrive, ma basta che scorri i campanelli: è l'unico con un nome non italiano. Credo che venga dall'est.»

Se possibile, Anna sentì l'antipatia nei confronti del proprietario dell'Audi crescere ancora di più. Un russo del cazzo! Pensò, tremando quasi dall'indignazione. Me lo sentivo! Facendo un respiro profondo, la ragazza rivolse un cenno di ringraziamento alla sua vicina di casa. «Grazie mille, signora...?»

«... Aurelia» le venne in aiuto la donna.

«... Signora Aurelia» ripeté Anna con un cenno del capo. «E mi scusi di nuovo per il disturbo.» Dopo aver salutato con un cenno della mano la vicina di casa, la ragazza controllò di nuovo l'ora. Ah, merda! Constatò con una punta di desolazione. Dovrei essere in ospedale tra meno di quindici minuti. Ormai è matematico: arriverò in ritardo.

Rassegnata, pescò il cellulare dalla borsetta che portava sulla spalla destra e digitò rapidamente un messaggio che poi inviò a Giulia, la sua responsabile, nel quale spiegava che aveva un problema con l'auto e che sarebbe arrivata un po' più tardi. Per tutelarsi ulteriormente, scattò una foto alle due automobili, documentando così la causa evidente del suo inevitabile ritardo.

Se mi fanno il culo per colpa sua, giuro che, quando torno, gli buco tutte le gomme! Pensò inviperita. A onor del vero, Giulia era piuttosto accomodante e non era certo una stacanovista, considerate tutte le pause caffè che faceva nel corso della mattinata, ma Anna era comunque a disagio per il fatto di essere in ritardo. Non so nemmeno se lo devo recuperare in qualche modo...

Con passo sicuro, la giovane raggiunse di nuovo il cancello del numero cinque e si fermò davanti alla colonnina dei citofoni. Le etichette che riportavano i nomi delle famiglie che abitavano nelle villette erano retroilluminate da una tenue luce blu e Anna le studiò con cura, notando, tra le altre cose, che quella corrispondente al suo appartamento era l'unica a essere rimasta in bianco.

Eccolo qui, pensò la ragazza, individuando rapidamente l'unico nome esotico. Oleksander Čumak.

Inspirando profondamente per calmarsi almeno un po', Anna premette l'indice sul campanello, esercitando più pressione di quanto non fosse strettamente necessario. Stronzo, pensò, prima di rilasciare il pulsante.

La risposta non tardò ad arrivare. «Sì?» chiese alcuni secondi dopo una voce maschile. Anna si rese conto solo in quell'istante che il campanello era dotato di una telecamera e che probabilmente l'uomo poteva vederla così com'era, con le guance arrossate, i capelli scarmigliati e gli occhiali storti. Ma chi se ne frega, pensò, puntando gli occhi direttamente nel riquadro della telecamera.

«Lei è il Signor Čumak?» chiese, per accertarsi che il suo interlocutore fosse realmente chi credeva lei.

«Sì» ripeté l'uomo e, questa volta, ad Anna parve che quella singola sillaba avesse in sé un certo tono di sufficienza.

Oh, benissimo, pensò la ragazza, prendendo fiato. Aveva l'impressione di essersi appena gonfiata come un palloncino pronto a esplodere. «Senta un po'!» sbottò. «Ha parcheggiato la sua macchina direttamente dietro alla mia e io non riesco a uscire. Devo andare al lavoro e sono già in ritardo: venga fuori a spostarla, cortesemente!» gli ordinò, in tono tutt'altro che cortese.

«Io non ho parcheggiato dietro a nessuno» ribatté dopo qualche secondo la voce – e adesso sì, che Anna riusciva a cogliere in essa un accento dell'est. «Ho parcheggiato correttamente nel parcheggio riservato ai condomini: se lei non è in grado di fare una retro, non è un problema mio.»

Con quelle parole, l'uomo chiuse la conversazione e la ragazza rimase a fissare il citofono allibita, incapace di muoversi per diversi secondi. Quando si fu ripresa dalla sorpresa, fece per sollevare una mano e premere nuovamente il pulsante del citofono, ma poi ebbe un'idea migliore.

Ha parlato di “parcheggio riservato ai condomini”, rifletté, con le guance che avvampavano per l'indignazione. Scommetto che pensa che sono una che passa di qui per caso e che può ignorarmi semplicemente rifiutandosi di aprirmi la porta. Ma si sbaglia: oh, se si sbaglia!

Estraendo dalla borsetta le chiavi di casa, Anna aprì il cancelletto e poi indugiò brevemente sul vialetto, facendo due calcoli. Il primo campanello è quello della famiglia Rocca, considerò. Sono quelli che mi hanno salutata la prima volta che sono venuta a vedere la casa con la tipa dell'agenzia. Loro abitano nella prima villetta, al piano terra. Io abito al piano terra della terza villetta, e infatti il mio campanello è il quinto. Quello del disgraziato dell'Audi è il settimo, quindi...

Con un sorriso di trionfo, Anna marciò verso la quarta e ultima villetta, puntando direttamente all'appartamento al piano terra. Siamo proprio vicini di casa, pensò, con un misto di sadismo e angoscia. Tra l'altro, ricordò all'improvviso, se Francesco ci aveva visto giusto, il giorno prima, quel tipo era anche il proprietario del cane che avrebbe ipoteticamente potuto insidiare Cassandra e Calliope. Di bene in meglio, si disse, stringendo bellicosamente i denti.

Raggiunta la porta dall'aspetto ordinario, preceduta da uno zerbino altrettanto anonimo, Anna suonò il campanello, avendo cura di farlo squillare per una decina di secondi. Dall'interno dell'appartamento giunse un suono di passi e pochi istanti più tardi la porta si aprì bruscamente. La ragazza dovette alzare di parecchio lo sguardo per incontrare per incontrare quello di un uomo sulla trentina, più alto di lei di qualche decina di centimetri. A giudicare dai capelli spettinati, di un castano chiaro tendente al biondo, doveva essersi svegliato da poco: indossava infatti quelli che sembravano dei pantaloni della tuta troppo larghi per il suo corpo magro e anche la maglietta, di un rosso sbiadito, doveva aver visto tempi migliori. Gli occhi dell'uomo, dal taglio allungato e di un gelido grigio-azzurro, si puntarono in quelli neri di Anna e la ragazza pensò che non aveva mai visto uno sguardo tanto ostile.

Intuendo che stava per dirle qualcosa, la giovane decise di attaccare per prima. «Come stavo dicendo», scandì, portandosi le mani sui fianchi, «la tua macchina è dietro alla mia. L'hai parcheggiata tutta storta e io non riesco a uscire: levala.» Considerata la scarsa differenza di età tra lei e il proprietario dell'Audi, Anna abbandonò il lei di cortesia e passò a un registro più incisivo.

Lui si passò stancamente una mano sul viso dai tratti sottili, a loro modo eleganti, sfiorando poi la mascella coperta da un leggerissimo strato di barba non rasata. «Come sei entrata?» le chiese, in tono apertamente ostile.

Anna sfoderò un gran sorriso e gli fece penzolare davanti al naso un mazzo di chiavi. «Siamo vicini di casa» spiegò, falsamente affabile. «Abito proprio lì» precisò, puntando un dito contro la porta del proprio appartamento, che si intravvedeva oltre alla recinzione che separava i due giardini e il gelsomino che la ricopriva.

«E da quando?» insistette l'uomo, scrutandola da capo a piedi con i suoi occhi glaciali.

«Da ieri» replicò prontamente lei. «Ma non è questo il punto. Il punto è che...» Anna si interruppe, accorgendosi che lo sguardo del giovane era sceso più in basso e non accennava a risalire. Seguendo la traiettoria dei suoi occhi, si accorse con orrore che la scollatura dell'abito era di nuovo scivolata giù, esponendo la parte superiore del reggiseno blu che indossava quel giorno.

Giuro che lo brucio, questo vestito! Pensò la ragazza, avvampando e strattonando malamente la stoffa arancione per rendersi nuovamente presentabile. Poi lanciò un'occhiata omicida al suo vicino di casa, sfidandolo a commentare il fatto. Quello le rivolse un sorrisetto sarcastico e si infilò le mani in tasca, appoggiandosi mollemente allo stipite della porta.

«Senti un po'!» ringhiò Anna, puntandogli le chiavi contro il petto, quasi fossero un'arma. «Mi hai già fatto perdere fin troppo tempo: a quest'ora dovrei essere in ufficio e non qui a discutere con te. O sposti la macchina e mi lasci uscire, oppure chiamo i carabinieri!» In realtà, non era affatto certa che le forze dell'ordine sarebbero accorse a liberarla, ma confidava nel fatto che nemmeno il suo interlocutore fosse particolarmente ferrato in tema di codice della strada.

Raddrizzandosi con un colpo di spalla, l'uomo allungò il collo, come nel tentativo di dare un'occhiata al parcheggio. «Ho parcheggiato proprio così male?» le chiese, guardandola con aria di sufficienza.

«Giudica tu stesso» sbuffò Anna, allungando lo schermo dello smartphone verso il suo viso e invitandolo a guardare la foto che aveva scattato poco prima.

«Mh» commentò con aria criptica l'uomo. «Dalla foto non si capisce» decretò, allontanandosi dalla porta e rientrando nell'appartamento.

«Ehi!» lo richiamò Anna, resistendo a stento alla tentazione di seguirlo. «Dove stai andando?»

«A mettermi un paio di scarpe» le rispose la voce di lui.

Ah, pensò la ragazza, appena un po' rabbonita. Ferma sull'uscio, cercò di sbirciare all'interno dell'abitazione nel tentativo di individuare qualcosa che rivelasse una presenza canina, ma non trovò nulla.

Pochi istanti più tardi, l'uomo tornò alla porta: era vestito esattamente come prima, con l'unica eccezione che ora indossava un paio di scarpe da ginnastica. In mano reggeva un paio di chiavi con un portachiavi di pelle. «Andiamo a vedere, allora» le disse, guardandola dall'alto al basso. «Sono sicuro che stai esagerando.»

Senza aspettare la risposta della giovane, la superò, si chiuse la porta alle spalle e poi si diresse verso il cancello che dava sulla strada. Anna gli trotterellò dietro, squadrandolo con antipatia. Ma non avrà freddo, in maglietta? Si chiese distrattamente, stringendosi addosso la giacchetta di pelle che aveva indossato per proteggersi dai primi freddi dell'autunno.

L'uomo camminava rapidamente e, quando Anna raggiunse il parcheggio, lui era già lì, che osservava le due automobili con le braccia incrociate e un'espressione seccata sul volto. «Visto?» chiese, indicando il Panda della ragazza. «Ci passavi benissimo!»

La ragazza sgranò gli occhi, chiedendosi se Oleksander soffrisse forse di un qualche disturbo che gli impediva di valutare correttamente gli spazi e le distanze. «Ma cosa stai dicendo?» sibilò. «Come diavolo faccio a passare? Non posso mica passare sul marciapiede, è troppo alto!»

Lui le rivolse un'occhiata di sufficienza. «Non c'è bisogno di salire sul marciapiede, basta che vai indietro dritta per un po' e poi sterzi a destra. Non è difficile.»

«Tu hai dei problemi!» sbottò Anna, portandosi dietro al Panda e allargando le braccia per misurare lo spazio disponibile. «Non c'è abbastanza spazio. Però, se vuoi, ci provo e vediamo come va a finire. Anzi, meglio ancora: provaci tu, visto che sei tanto bravo.»

Così dicendo, gli porse le chiavi dell'auto, decorate da un grazioso portachiavi a forma di maialino. L'uomo la guardò come se gli stesse porgendo il cadavere di un topo. «Non ci penso proprio» ribatté. «Io non ci entro, in quella cosa: arrangiati.»

«Sì, come no» sogghignò Anna. «Così, se per caso ti faccio un graffietto, mi tocca pure ripagarti il danno.»

«E allora cosa facciamo?» la sfidò lui.

La ragazza si strinse nelle spalle. «E allora chiamo i carabinieri» disse, prendendo in mano il cellulare. «Tanto le prove fotografiche ce le ho...»

Oleksander sbuffò e alzò gli occhi al cielo. «Non ti conosco, ma ho come l'impressione che tu sia una grandissima rompipalle: sbaglio?»

Con un mezzo sorriso, Anna si sistemò sul naso gli occhiali tondi. «Solo con chi se lo merita» precisò. «E, comunque, lo prendo come un complimento.»

«Non voleva esserlo, credimi» replicò lui, prima di infilarsi nell'Audi e accendere il motore.

Anna si lasciò sfuggire un sorriso di trionfo. Vittoria! Pensò, mentre l'uomo iniziava a retrocedere, liberandole di fatto il passaggio. Rapidamente, prima che cambiasse idea, la ragazza saltò sul Panda e ingranò la retromarcia, spostandosi tanto velocemente da far stridere le ruote. Lo slancio si rivelò un po' eccessivo e Anna fu costretta a inchiodare, fermandosi a pochi centimetri dal muso dell'Audi di Oleksander che, fermo alle sue spalle, stava aspettando che lei terminasse la manovra. Guardando nello specchietto retrovisore, vide che negli occhi spalancati dell'uomo c'era qualcosa di molto simile al terrore. Ops, pensò, lasciandosi sfuggire una risatina.

Inserendo la prima, Anna fece per accelerare quando, con la coda dell'occhio, scorse un movimento dietro una delle finestre della casa antistante al parcheggio. Era la signora Aurelia che, seminascosta dalle tendine di pizzo bianco, rideva e la salutava con la mano. Senza preoccuparsi di non farsi vedere da Oleksander, la ragazza le rivolse un gran sorriso e tese indice e medio della mano destra in segno di vittoria.

Poi, lanciando un'ultima occhiata all'uomo nel SUV, sgommò via.

♥♥♥

Come sempre, se qualcuno ha voglia di farmi sapere cosa ne pensa di quello che scrivo, io non mi offendo!

   
 
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