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Autore: WhiteLight Girl    17/11/2019    1 recensioni
Papillon è stato sconfitto e Gabriel Agreste è in prigione; Marinette non ricorda come sia successo, né riesce a smettere di preoccuparsi per la sparizione improvvisa di Adrien. Con Chat Noir che le si rivolta contro e cerca di ucciderla, Maestro Fu irreperibile e la scatola dei Miraculous dispersa, Ladybug si ritrova da sola a cercare di capire cosa sia successo dopo che, durante la battaglia finale contro il suo peggior nemico, ha perso i sensi.
Genere: Angst, Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Plagg, Tikki
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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LA DIMORA DELL’OSCURITÀ

Il giorno in cui Papillon fu sconfitto:

L’agente Roger lasciò Villa Agreste con espressione vacua, passo tra i pochi colleghi rimasti senza destare alcun sospetto e, superando il blocco della polizia, percorse il resto della strada che aveva davanti a sé in silenzio. Procedette a passo di marcia, mettendo meccanicamente un piede dietro l’altro, le braccia immobili contro i fianchi e le dita abbandonate a sfiorare il pantalone della divisa.

Nessuno lo fermò, nessuno gli domandò nulla e nel frenetico vivere tipico della metropoli nessuno fece caso al suo sguardo spento e privo di vita.

«Scusi, mi sa dire in che direzione è Notre Dame?» gli domandò un turista di mezz’età, quella che probabilmente era la moglie stretta a braccetto.

L’agente Roger li superò senza neppure notare le loro espressioni perplesse e contrariate, quel poco di lui che riusciva a rendersi conto di ciò che stava facendo non poté che lasciarseli indietro ricordando solo vagamente le loro sagome ed i loro capelli ingrigiti dal tempo.

Non si fermò ai semafori pedonali, poiché ciò che lo controllava non sapeva cosa fossero, né si preoccupò di evitare di andare addosso ai passanti. La direzione in cui doveva andare gli era tanto chiara che gli pareva essere dipinta nell’aria, ondeggiante e scintillante, prepotente e incantevole.

Quanto fu arrivato, dopo poco più di tre quarti d’ora di cammino, dischiuse la porta dell’edificio senza annunciarsi, quasi sorprendendo il vecchio che stava nel corridoio.

Estrasse la pistola dalla fondina, prese la mira e sparò prima che l’uomo potesse rendersi conto di ciò che stava accadendo.

Maestro Fu crollò a terra con un rantolo, la macchia di sangue iniziò ad allargarsi attorno a lui subito dopo. L’agente Roger, comandato dall’ombra che in quel momento lo possedeva, se ne andò.

***

Ladybug precedette Carapace e Rena Rouge e sorrise all’agente all’interno. Il ragazzo fece loro un cenno dall’altra parte del vetro e premette il pulsante. La porta principale della centrale si aprì con uno scatto e, oltre essa, l’agente Roger pareva aspettarli.

I lo seguirono, Attraversarono la sala d’aspetto passando davanti alle poche persone che sedevano in attesa, e l’uomo li condusse lungo il corridoio che Ladybug aveva già percorso una volta e poi fino alla stanza in cui aveva parlato con Gabriel.

Richiusa la porta dietro di loro osservarono la stanza, attorno al tavolo c’erano solo tre sedie, ma comunque né Ladybug né gli altri avevano intenzione di sedersi. Ladybug incrociò le braccia, l’agente era ancora sulla porta, la mano alla pistola, li osservava con sguardo fisso, senza sbattere le palpebre e senza muovere un solo muscolo.

«Tutto bene?» gli domandò Rena Rouge, ma lui non aveva occhi che per Ladybug.

Non le rispose, non si voltò a guardarla, non diede segno di aver visto né lei né Carapace. Estrasse la pistola e la puntò verso Ladybug, che sgranò gli occhi.

Il colpo partì prima che potesse rendersene conto, tanto veloce che non vide neppure il proiettile. Ma vide la scia verde di Carapace che si parava davanti a lei, sentì le sue mani che la spingevano via, la schiena che urtava contro la parete alle sue spalle.

Gemette, la vista le si offuscò ed il mondo si fece nero per alcuni secondi. La testa pulsò ripetutamente e le gambe le tremarono mentre provava a tirarsi su, quando riuscì a tornare a mettere a fuoco ciò che aveva davanti scoprì Carapace che teneva lo scudo sollevato per difenderla. Rena Rouge suonò il suo flauto, così che un’altra versione di Ladybug potesse esistere al centro della stanza. Ora che Carapace impediva all’agente Roger di vederla, l’attenzione dell’uomo era tutta per l’illusione. I proiettili la attraversarono, rimbalzarono contro la parete e, quando finirono, l’agente Roger continuò a premere il grilletto come se non se ne fosse accorto.

Ladybug era ancora stordita, quando gli altri poliziotti irruppero nella stanza e lo immobilizzarono, disarmandolo, bloccandogli le mani dietro la schiena e costringendolo a terra.



Chloe tornò nella sua camera d’albergo a denti stretti e passi svelti, nessuno era riuscito a rallentarla o a farsi dire cosa fosse accaduto, a farsi spiegare perché non fosse a scuola. Lei aveva un solo pensiero in testa: trovare Adrien e domandargli perché girasse la voce che Chat Noir avesse affrontato Ladybug a pochi metri dalla scuola.

Quando spalancò la porta della sua camera, trovò l’amico in ginocchio, la schiena china sull’enorme libro con cui si era presentato a casa sua solo poche sere prima ed il cellulare posato accanto al proprio piede. Plagg, invece se ne stava seduto sul bracciolo del divano poco distante e, nonostante la grossa fetta di camembert che aveva davanti, continuava ad osservare il suo portatore con occhi tristi.

«Allora? Cosa mi sono persa?» domandò Chloe.

Il ragazzo non si voltò, girò pagina per continuare a cercare qualcosa su quel vecchio libro, le spalle tremanti.

«Ehi, guarda che sto parlando con te.» insistette.

Si avvicinò al ragazzo, si chiese se fosse il caso di fargli capire che era lì dandogli una spintarella con la punta del piede, ma si fermò dopo aver caricato il colpo e sospirò per sforzarsi di mantenere la calma. Invece, si costrinse a sedersi accanto al ragazzo e posargli una mano sul braccio.

«Adrien?» domandò.

Lui sollevò il capo, era pallido, aveva gli occhi lucidi e la mano che non stringeva l’angolo del foglio da voltare stretta a pugno così forte da tremare.

Chloe deglutì; non lo aveva più visto così sconvolto da quando aveva saputo che sua madre non sarebbe più tornata a casa.

«Ne vuoi parlare?» gli domandò, anche se non aveva poi così tanta voglia di ascoltarlo. Eppure, lo sapeva, se c’era anche solo la possibilità che lui potesse lasciarsi sfuggire di poter essere una minaccia anche per lei, si disse che sarebbe stato meglio scoprirlo al più presto.

«C’è questa cosa, nella mia testa...» disse Adrien. «È così carica d’odio e vuole così tanto ferire Ladybug...»

Chloe sbuffò; anche nella disperazione e durante quel tentativo di porre resistenza alla qualunque cosa stesse cercando di prendere il controllo su di lui Adrien riusciva a lasciare comunque trapelare tutta la sua devozione verso quella ragazza ed il suo desiderio di restare sempre al suo fianco e mai contro di lei.

«Ho paura che non riuscirò a resistere molto, che la prossima volta non arriverà nessuno a salvarla e ad impedirmi di ucciderla.»

La voce del ragazzo si spezzò sulle ultime parole, le dita che stringevano il foglio si contrassero in uno spasmo mentre lui chinava ancora una volta il capo.

«Dovresti riposare.» gli disse Chloe. «Da quando sei qui non ti ho visto dormire una sola volta, come pretendi di resistergli se non avrai neanche la forza di reggerti in piedi?»

Lo afferrò per un braccio, ma lui la spinse via. Traballando, Choe riprese l’equilibrio e scorse con la coda dell’occhio Pollen che la affiancava e si preparava a difenderla nel caso qualcosa andasse storto.

«Tu non puoi capire.» disse Adrien.

Chloe sapeva che aveva ragione, neanche una settimana prima avrebbe gridato a gran voce di essere la persona che conosceva meglio Adrien, che loro due erano uguali, oppure che erano destinati a stare insieme per il resto della loro vita. Da quando aveva scoperto di Chat Noir, però, aveva capito che non era così e forse, probabilmente, iniziava a pensare che Adrien potesse non piacerle più quanto prima. Era tutta colpa dello Chat Noir che era in lui, si disse, che portava a galla lo spirito da sempliciotto impulsivo che probabilmente aveva nascosto fin troppo bene nel corso degli anni. Per non parlare, poi, del suo bisogno ossessivo di trovare un modo per non fare del male a Ladybug.

«Magari non posso capire, o magari un po’ sì, ma questo ora non è importante, perché se tu ora non dormi sono sicura che le occhiaie saranno l’ultimo dei tuoi problemi.» gli disse. Lo afferrò per il colletto, pronta a tirarlo su a forza, ma lui le diede una manata e la allontanò.

«Non ho tempo per dormire!» le disse, alzandosi in piedi. Plagg lo raggiunse e lo afferrò per l’orlo della camicia stropicciata, pronto a trattenerlo se avesse deciso di provare ad aggredirla, Pollen si parò tra loro per fare a Chloe da scudo.

Lei, invece, dopo un istante di esitazione inspirò forte e tornò calma.

«Potrebbe prendere il controllo in ogni momento.» spiegò Adrien con voce rotta ed il capo chino. «Non posso fare di nuovo del male a Marinette. Non posso.»

«Marinette?» domandò Chloe, il cuore che le mancava un battito al pensiero di ciò che significava sentirgli dire quel nome.

Adrien si strofinò una mano dietro la nuca e tornò a guardare il libro. «Devo liberarmi di questa cosa.» «Marinette?» chiese ancora Chloe, ma lui già non la ascoltava più, probabilmente non si era neanche reso conto di aver detto il suo nome.

Chloe strinse i denti, mentre lui e Plagg tornavano a occuparsi del libro, e strinse gli occhi. Guardò oltre il vetro della propria finestra, nella direzione in cui sapeva essere la scuola e la panetteria su cui Marinette Dupain-Cheng viveva. Ovviamente doveva essere lei ed ovviamente lui si era innamorato di lei. Stupida Coccinella fortunata.

Non disse altro, mentre aspettava che Adrien tornasse a sistemarsi sul divano e si addormentasse. Diverse ore dopo, a fatica, prese sonno anche lei.



La pelle di Marinette è calda sotto le dita di Adrien, la sensazione del cuore di lei che palpita sotto i polpastrelli piacevole come non avrebbe mai potuto immaginare. Ma è lo sguardo della ragazza, che più lo riempie di gioia e di sollievo; quei due grandi occhi azzurri sgranati così pieni di dolore e terrore mentre lei resta senza fiato, mentre i capillari esplodono nel bulbo oculare a causa della mancanza di ossigeno. Adrien sorride, mentre le dita di lei affondano nella pelle del suo braccio, mentre le sue unghie gli graffiano il polso e lei cerca di aggrapparsi a qualcosa per toglierselo di dosso e fargli allentare la presa. Ma lui non molla ed anche quei graffi lo fanno sorridere; quell’ultimo tentativo disperato di aggrapparsi alla vita che vorrebbe durasse il più possibile.

Le dita di Marinette si contraggono, lei strizza gli occhi inondati di lacrime e rantola. Quello che potrebbe essere il suo ultimo respiro sfiora il dorso delle mani di Adrien mentre lui sente il cuore di lei rallentare sotto i polpastrelli. Passano pochi secondi, prima che Marinette si accasci senza vita contro il camino di mattoni e lui la lasci andare.

Non ha il tempo di restare a guardarla cadere giù dal tetto, anche se non aspetta altro che il cadavere rotoli giù in strada. Chat Noir si china su sé stesso e Ladybug è sotto di lui, ha il costume strappato, sta urlando e lui non vuole assolutamente che smetta, quindi affonda gli artigli nella sua coscia, lacerandole di netto un pezzo di pelle. Ladybug strilla e lo colpisce, piega un braccio davanti al viso per parare un ceffone che non riesce a fermare mentre con l’altro braccio cerca di spingerlo via. Un altro colpo di artigli arriva abbastanza a fondo da farle piegare la schiena indietro per il dolore e Chat Noir sorride e le morde il collo. Ladybug piange e grida, sempre più debole mentre lui la inchioda a terra, e Chat Noir gioisce per il modo in cui solo lui può costringerla ad arrendersi. La sente piangere e non gli importa, finché all’improvviso si sente precipitare e si sveglia.

Adrien sentì le lacrime sulle guance, seppe che Plagg era sveglio subito, poiché vide i suoi occhi risplendere del riflesso delle luci provenienti dall’esterno. Chloe dormiva profondamente nel suo letto, non sembrava essersi accorta di nulla.

Con un sospiro, Adrien si scrollò di dosso la coperta e si alzò barcollando dal divano per raggiungere il bagno.

Una volta lì accese la luce e, con un sussulto, notò che Plagg l’aveva seguito.

«Cosa mi sta succedendo?» domandò al Kwami. «Perché questi sogni? Perché tutto quest’odio? Io non le farei mai del male. Mai. Piuttosto morirei...»

Aprì il rubinetto e raccolse una manciata d’acqua, se la gettò in faccia con tutta la forza che riuscì a trovare in quel momento, poi rimase a fissare nello specchio il proprio volto scavato, la matassa ingarbugliata che erano diventati i suoi capelli, le occhiaie scure che preferiva di gran lunga a quelle visioni oscure di cui non riusciva a liberarsi.

Ripensò per un istante al cellulare che aveva lasciato, spento, sul tavolino accanto al divano, alla possibilità di telefonare a Marinette per assicurarsi che stesse bene, a quanto sarebbe stato bello poter sentire la sua voce anche solo attraverso la cornetta. Forse, se avesse optato per una chiamata anonima e poi riagganciato non sarebbe successo nulla.

Poi ripensò al sogno che aveva fatto. Sarebbe stata davvero al sicuro, se la cosa che aveva dentro avesse sentito la sua voce? Avrebbe potuto guardare almeno le sue foto senza temere che la furia omicida si risvegliasse?

«Come faccio a farlo smettere?» domandò ancora a Plagg.



   
 
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