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Autore: Miharu_phos    17/11/2019    0 recensioni
Quando c’era lui a Caleb bastava scivolargli affianco ed abbracciarlo per poter riprendere a dormire.
Ma da quando lui se n’era andato era impossibile riaddormentarsi, la sua assenza era martellante e Caleb non tollerava più quel maledetto materasso che sapeva ancora di lui.
Dove Caleb è stato lasciato da Jude e continua a vivere nei ricordi.
~
Sarà una storia composta principalmente da flashback.
Per il titolo mi sono ispirata ad una frase della canzone “animal” di troye sivan.
Genere: Angst, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Caleb/Akio, Jude/Yuuto
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Quando si torna a star bene dopo la perdita di una persona?

 

La risposta esatta sarebbe “mai”.

 

Perché è vero, il tempo aggiusta tutto, ma non importa quanti mesi passino, quante nuove persone incontri, quanto tu riesca a distrarti; nel primo momento di sconforto sarà a quella persona che penserai, sala lei che vorrai al tuo fianco, anche se dentro di te l’avevi rinnegata, anche se credevi di aver dimenticato il male che ti ha fatto, anche se credevi di aver smesso di soffrire per lei.

 

Caleb era tornato a frequentare le lezioni dell’Università.

 

Non sapeva esattamente come o perché aveva deciso di farlo ma una mattina, di punto in bianco, aveva infilato la giacca ed il cappellino ed era uscito di casa, diretto verso la propria facoltà.

 

Si era seduto, si era guardato in torno, sentendosi uno del primo anno, nonostante fosse molto probabilmente uno dei più vecchi del corso in quel momento.

 

Aveva aspettato l’arrivo del professore, aveva firmato il foglio presenze, aveva cominciato a prendere appunti.

 

Non aveva senso, ne era consapevole, riprendere un corso dalla metà -in realtà era quasi alla fine- e soprattutto senza aver ripassato almeno un po’ i suoi vecchi appunti di quando lo frequentava.

 

Ma c’era stato qualcosa che lo aveva spinto, quella mattina, a buttarsi giù dal letto.

 

E Caleb sospettava che fosse qualcosa di molto simile all’amore per se stesso.

 

O forse era solamente il bisogno impellente di cambiare, di smettere di piangersi addosso e ricominciare a vivere.

 

E ci stava riuscendo, davvero: aveva ripreso a studiare, anche se solo per quel breve corso, aveva prenotato l’esame e l’aveva dato.

 

Ventidue su trenta non era un cattivo risultato in fondo, per uno che era certo di venire bocciato.

 

Per un po’ Caleb aveva creduto di essere ritornato a respirare.

 

Si stava rimettendo sotto con lo studio, aveva risistemato casa e gettato via tutte le piccole cose che Jude aveva dimenticato.

 

Aveva lavato la casa da cima a fondo, aveva ripreso a farsi la barba ed a lavarsi i vestiti.

 

Fino ad allora era sempre stato Jude ad occuparsi di queste cose, si era preso lui cura di Caleb in tutti quegli anni, perché conosceva bene la sua sciatteria.

 

Negli ultimi tempi però aveva cominciato a fregarsene anche lui, prima di sparire nel nulla.

 

Così, dopo mesi passati nella trascuratezza, Caleb si era dovuto rimboccare le maniche e darsi una ripulita.

 

Stava uscendo da quel tunnel di depressione finalmente, o almeno questo era quel che credeva.

 

Perché in uno di quei giorni in cui ritornava a casa a piedi dalla facoltà, gli sembrò ad un tratto di intravedere Jude, seduto ad un tavolino da bar assieme ad un altro ragazzo.

 

Lo aveva riconosciuto dai capelli, nessuno li portava così, o almeno non nella loro città.

 

Si era fermato, aveva guardato meglio.

 

“Non può essere” aveva pensato.

 

Solo tre mesi, tre fottuti mesi e Jude aveva già un altro ragazzo.

 

Caleb non poté fare a meno di pensare che, molto probabilmente, il tizio castano seduto con lui ai tavolini era il motivo per cui Jude lo aveva lasciato di punto in bianco.

 

Si sorridevano e chiacchieravano, si guardavano negli occhi.

 

Jude non portava neanche più gli occhiali.

 

Caleb sentì una fitta al petto, fortissima.

 

Ma il dolore si intensificò e si trasformò in una tortura quando vide Jude allungare il braccio per pulire la bocca del compagno con un tovagliolino di carta.

 

Caleb non riuscì a trattenersi; scoppiò in lacrime.

 

Si coprì con il cappuccio e si allontanò, a fatica.

 

Avrebbe voluto restare, avrebbe voluto continuare a guardare e girare il coltello nella piaga, farsi ancora più male, ancora di più di quello che si era fatto negli ultimi tre mesi.

 

Ma per un momento realizzò di non meritare tutto quel dolore e fu quel pensiero ad aiutarlo nell’allontanarsi.

 

Caleb avrebbe voluto avere uno sfogo, uno qualsiasi, avrebbe voluto trovare un modo per soffocare tutto quel dolore e intrappolarlo, in modo da non sentirlo più finché non fosse sparito.

 

In quel momento invidiò i tossicodipendenti e gli alcolisti; loro anche se per poco ci riuscivano a mettere a tacere il dolore.

 

Il ragazzo si sentì tutto d’un tratto tornato indietro di anni luce, nei suoi piccoli progressi.

 

Gli sembrò tutto inutile, l’università, il lavoro, il prendersi cura di sé.

 

Detestò tutto quanto e provò il profondo desiderio di scomparire e smettere finalmente di esistere.

 

Caleb non aveva nessuno, non un amico, non un familiare da cui andare a piangere per esprimere il suo dolore.

 

Caleb era solo, solo al mondo.

 

Ritornò a casa in lacrime e si diresse in bagno, dove prese a guardarsi allo specchio, le labbra che tremavano, gli occhi che distinguevano a malapena le forme del viso nel riflesso.

 

Ad un tratto realizzò di disprezzarsi e di odiarsi più di quanto avevano fatto gli altri durante il corso della sua vita.

 

Il suo primo nemico era sempre stato lui infondo.

 

Perché Caleb non era un tipo solitario, diversamente da quello che voleva far credere; lui detestava star solo, non avere nessuno con cui parlare, ma aveva dovuto fingere che fosse il contrario per non sembrare patetico se gli altri lo isolavano.

 

E Jude era sempre stato una ventata d’aria fresca, una luce nel buio per lui.

 

Si era cullato, per anni, perché sapeva di avere Jude e di non aver bisogno di nessun altro.

 

E ora che Jude non era più con lui, beh, Caleb si stava rendendo conto di quanto sarebbe stato utile invece farsi almeno un amico, avere una spalla su cui piangere; e si rese conto anche di quanto la sua vita fosse inutile e priva di alcun significato, immeritevole di essere vissuta.

 

Continuava a guardarsi allo specchio, pian piano aveva smesso di singhiozzare, il suo sguardo si era spento, così come il suo volto.

 

Caleb non voleva morire, non era quel genere di persona, sapeva quanto fosse preziosa la vita.

 

Ma non aveva più speranze e non riusciva davvero a vedere una luce in fondo a quel tunnel di disperazione che era diventata la sua esistenza.

 

Quando si perde una persona non si riesce mai ad andare avanti, a rimettersi in carreggiata.

 

Imputerai a quella perdita tutti i tuoi fallimenti, e reputerai tali anche i tuoi successi, perché senza quella persona nessuna vittoria sarà più una vittoria, sarà solo un altro giorno senza di lui.

 

Un altro giorno da sopportare nella consapevolezza della sua inutilità.

 

Caleb non aveva più forze.

 

E si sentì ad un tratto così stupido per essersi illuso per un po’ di essere riuscito ad andare avanti.

 

Si allontanò dal lavandino e si diresse verso il letto, sul quale dormiva beatamente la sua gattina.

 

Dormiva nel centro, come quando c’era Jude.

 

Lei adorava addormentarsi fra loro due.

 

Ora dormiva sola, accanto a Caleb e sentiva più freddo.

 

Anche lui aveva decisamente più freddo, ormai.

 

Si accucciò accanto alla bestiolina e si infilò sotto le coperte, senza neanche cambiarsi.

 

Tentò disperatamente di addormentarsi. Avrebbe tanto voluto non svegliarsi mai più.

 

Prima di prendere il sonnifero però inviò un messaggio al proprio capo, inventandosi che aveva preso l’influenza.

 

Poi abbracciò la gattina ed aspettò di sprofondare nell’unico luogo in cui riusciva a non soffrire, in quello dei sogni.

 

 

   
 
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