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Autore: Vanclau    19/11/2019    1 recensioni
È quando l'oscurità si fa più fitta che la luce risplende più fulgida. Proprio per questo, nell'ora più tetra dell'umanità, sette fiaccole ardono intense come guide degli uomini; sette spade, sette ragazzi uniti da un destino comune, sette Altari del passato che riemergono nel futuro per scrivere un'altra volta le pagine dei libri di storia.
Genere: Fantasy, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Julius rimase con calma ad ascoltare l’uomo che si era presentato come Merlino. Victoria era stata portata in ospedale per degli accertamenti ma a parte qualche lieve ustione ne era uscita miracolosamente illesa, anche se il giovane credeva che parte del merito andasse alla Dama del Lago, o Nimue come Merlino l’aveva chiamata. Stesso era accaduto per la bambina, anche se Julius continuava a rivedere i volti in lacrime del marito e del figlio della donna morta prima che potesse arrivarci e sapere che almeno la piccola s’era salvata non sembrava essergli di consolazione. Lui non era mai stato un eroe e non avrebbe dovuto fingersi tale con quelle parole mosse più da egoismo che da un verso senso d’altruismo. L’unica reale cosa a cui aveva pensato era stata che comunque sarebbe entrato a cercare Victoria e che quindi poteva anche provare a trovare madre e figlia, ma non era mai partito con la reale intenzione di salvarle, solo con l’idea che fosse un compito aggiuntivo al suo egoistico scopo personale. L’aveva forse presa per una missione secondaria di un videogioco?
«Ci penso io» mormorò, dando un violento pugno al muro carico di tutta la sua frustrazione, gli occhi arrossati dalle lacrime che fino a poco prima gli stavano scendendo a rigare le guance. «Come ho fatto a essere così arrogante ed egoista?» urlò infine tutta la sua rabbia.
O’Brian gli si avvicinò posandogli una mano sulla spalla. «Non è stata colpa tua» si limitò a dire.
«Ho detto che le avrei salvate entrambe» rispose Julius voltandosi verso il professore, gli occhi che di nuovo si stavano inumidendo. Forse l’ultima volta che aveva pianto così tanto risaliva alla morte dei suoi genitori.
«Hai salvato la bambina» provò a intervenire Merlino, che venne immediatamente fulminato con lo sguardo da Julius.
«Ma avrei dovuto salvarle entrambe!» sbottò il giovane.
«Non si può sempre salvare tutti, Julius, questa è la cruda realtà.» Julius si voltò verso il computer aperto sull’unico tavolo del salone nell’appartamento di O’Brian, da dove proveniva la voce. Sullo schermo appariva la finestra di un programma per fare videochiamate e il volto di un ragazzo che poteva avere due o tre anni in più, una rada barba scura e capelli corvini. Parlava un buon inglese, seppur con una cadenza che tradiva il suo essere francese.
«Tu non eri presente, non hai visto quel che ho visto io!» Julius non voleva saperne di essere consolato, non credeva di meritarselo. Aveva peccato di superbia e quello era il risultato.
«Forse hai ragione, non posso sapere quel che hai vissuto, ma pur continuando a struggerti per quell’unica vita che non sei riuscito a salvare continui a comportarti da egoista.» La voce di Edgard, così si era presentato, risultava molto accusatoria alle orecchie di Julius, che lo guardò interrogativo. «Pensaci per un attimo. Hai detto di non essere riuscito a salvare quella donna, ma è forse stata l’unica vittima dell’incendio? Quante famiglie credi che abbiano perso i loro cari? Il conteggio delle vittime sta diventando immenso, molti sono i dispersi che si spera di ritrovare in vita e tanti ancora che hanno riportato danni permanenti! Pensare a quell’unica donna morta non è forse da egoisti?»
Julius si asciugò le lacrime, cercando di calmarsi. L’avevano definito un vero eroe quel giorno, ma se davvero lo fosse stato avrebbe salvato anche la donna, o questo pensava prima di sentire la parole di Edgard che, pur non volendo ammetterlo, aveva ragione. Un vero eroe non avrebbe proprio permesso che ci fossero vittime. Lui non era mai stato un eroe, la sua stessa sopravvivenza, quella di Victoria e della bambina, le doveva a qualcun altro.
«Se sono vivo è solo grazie alla Dama del Lago, non sono e mai sarò un eroe» disse in un sussurrò. «E se poteva salvare me» aggiunse alzando il tono di voce. «Perché non ha salvato anche altri? Ci sono state tantissime vittime, è vero, ma noi tre siamo riusciti a sopravvivere. Io non ho praticamente veri e propri amici, e come parente ho solo mio nonno. In pochi avrebbero pianto la mia morte e invece molte famiglie sono state distrutte.»
«Ti ha salvato perché sa chi sei, e cosa sei destinato a compiere.» La voce di Merlino ebbe l’effetto del sale sulle ferite aperte per Julius.
«Quindi sono vivo solo grazie al destino che fu scelto per me ancor prima che nascessi?» La rabbia divampò nuovamente nel suo cuore. «Bene, se dunque per questo motivo altri sono dovuti morire ho una ragione in più per non prendere mai Excalibur! Da quando qualcun altro ha deciso la mia strada non ho mai veramente avuto alcuna felicità. Non credo la morte dei miei genitori sia collegata, ma l’essere tormentato da quei sogni per tutta la vita e da bambino sentirsi dire che erano solo incubi, anche se li avevo praticamente ogni notte… E ora quest’incendio e tutte queste morti…» Julius regolarizzò il respiro, rendendosi conto che aveva di nuovo iniziato a urlare. Quando finalmente fu calmo guardò i presenti uno a uno, poi spostò gli occhi sull’orologio digitale che aveva al polso. «Io vado a trovare Victoria e sentire come sta» disse incamminandosi verso l’uscita.
«E dopo che farai?» La voce di Edgard lo fece fermare sulla soglia della porta.
«Dopo non vorrò più sentire parlare di questa storia, di Excalibur, di Merlino, di Arthur Pendragon o Camelot.» Non era riuscito a dire loro quel che la Dama del Lago gli aveva chiesto, quel favore sul proteggere una certa Jeanne che non sapeva neanche chi fosse. Forse sperava davvero che non avrebbe più sentito parlare di tutto quello e che la sua vita sarebbe tornata alla normalità.
 
Merlino sospirò. Tante volte si era immaginato l’incontro con l’erede del suo Re, ma non aveva mai pensato a quanto il carattere potesse differire da quello del sovrano di Camelot e primo possessore di Excalibur. In parte comunque poteva capirlo e un po’ gli ricordava l’incredulità di Arthur quando fu lui a estrarre la spada di Uther, iniziando la propria leggenda. «E ora cosa facciamo?» chiese Edgard, strappando Merlino a quei pensieri.
«Dobbiamo accelerare i tempi. Trovare Durlindana prima che sia troppo tardi.» Lo sguardo di Merlino era piuttosto eloquente mentre guardava il volto del giovane attraverso lo schermo del computer.
«Ho letto più volte la storia dell’Orlando Furioso di Shakespeare e tutto ciò che fu teorizzato dai vari storici sulla sua ubicazione, però potrei aver bisogno di una mano con il tuo teletrasporto.» Anche con l’assenza di Julius, Edgard e Merlino avevano continuato a parlare inglese per far comprendere meglio a James O’Brian, che si limitava ad ascoltarli. «Si tratterebbe di cercare in due posti ben distanti tra loro e con la tua magia farei prima. Anche se mi preoccupa Fafnir.»
«In che senso?» Merlino era sempre stato curioso di sentire i pareri di Edgard, che tra i tre che aveva avuto modo di conoscere di persona e l’ultima, la spagnola, con cui non era ancora riuscito a prendere contatto, gli sembrava il più calmo e riflessivo. Forse ciò grazie anche all’età più matura rispetto ai sedici anni di Julius e i quindici di Jeanne.
«Fafnir compare nella mitologia nordica e in quella germanica, in entrambe viene sconfitto dalla spada Gramr, appartenuta all’eroe conosciuto come Sigurd per i norreni e Siegfried per i germanici» spiegò Edgard. «E ha detto chiaramente che incontrarti non era tra i suoi compiti, giusto?»
Merlino annuì. «Dove vuoi arrivare?»
«L’incendio a Southwark mi ha fatto pensare molto e sono giunto a una conclusione che poteva essere tanto scontata da non essere notata subito.» Edgard fece una breve pausa, poi fisso i suoi occhi in quelli di Merlino. «Chiunque sia colui che vuole portare l’oscurità in questo mondo… Sa di noi?»
Merlino fu improvvisamente colto da una consapevolezza, un fatto che come diceva Edgard non aveva mai attraversato la sua mente, forse proprio perché fin troppo scontato. «Intendi forse dire che l’obiettivo del piromane fosse Julius?»
«Sì, o il fatto che Victoria abitasse in quel quartiere sarebbe una strana coincidenza. Pensandoci bene il tutto assume un senso, Julius vive da solo con il nonno e non esce mai con i suoi amici» e nel dirlo mostrò il dito indice per formare un uno, come stesse per fare un elenco. «Victoria al contrario sembra avere diverse amiche, almeno da quanto afferma Julius, e quando non esce con lui si ritrova con loro.» Formò un due con l’indice e il medio. «I nostri nemici non sono onniscienti e hanno solo informazioni sommarie su di noi, senza conoscere le nostre abitudini o le nostre residenze nello specifico.» La mano formò un tre, aggiungendo l’anulare.
«Hanno scoperto dove abitava Morrison per attirare Klein e poterlo attaccare!» disse James inserendosi nella conversazione.
Edgard annuì. «È proprio quello che penso anche io, ma visto come stava andando la discussione non ho voluto renderlo partecipe delle mie supposizioni. Allo stato attuale dunque dovremmo fare più attenzione a quando ci muoviamo e radunare gli altri prima che sia troppo tardi, anche se non sarà facile né trovarli né reperire le spade, anche perché tre sono ancora sconosciuti.»
«Quindi Jeanne che ha già preso Gioiosa potrebbe essere in pericolo.» Merlino quasi non si rese conto di aver espresso quel pensiero involontario ad alta voce.
«Lei è l’ultimo dei miei pensieri al momento» rispose però Edgard suscitando altri sguardi curiosi che sembrarono farlo sorridere. «Mi duole ammetterlo ma la situazione di senzatetto di Jeanne potrebbe salvarle la vita, non avendo una fissa dimora e di conseguenza una routine quotidiana sarà più difficile trovarla. Fafnir invece poteva star cercando il possessore di Gramr per ucciderlo prima che prenda la spada, quindi forse era diretto nella penisola scandinava.»
«È difficile stabilirlo, non abbiamo prove che i possessori delle spade nascano nei paesi di origine delle stesse, o nel luogo dove esse si trovino, o dei loro predecessori.» Merlino osservò Edgard, notando che c’era altro che sembrava turbare il ragazzo e sollecitandolo a parlare.
«È solo una supposizione ma… Cosa sappiamo realmente di Jeanne?»
La domanda colse alla sprovvista Merlino. «È una ragazzina molto sveglia e capace, ottimista nonostante la non facile vita che ha avuto e praticamente negli ultimi anni l’ho cresciuta io.»
«Capisco.» La voce di Edgard non sembrava molto convinta in quella risposta ma non aggiunse altro in merito. «Ora devo andare, ma prima riusciamo a raggiungere Durlindana meglio sarà. Ho un brutto presentimento riguardo a questa storia.»
«Allora possiamo andare domani, oggi proverò ad andare a Barcellona entrando in contatto con la quarta.»
Chiusa la chiamata, gli occhi di Edgard si posarono sui fogli che aveva davanti, raffiguranti diverse pagine stampate da internet e prese da molteplici libri di mitologia e storia. A completare il tutto alcuni articoli di giornale sulle esposizioni al Louvre e sui tesori di Vienna, e gli argomenti erano gli stessi tre, la spada Gioiosa, Carlo Magno e il Cavaliere della Tavola Rotonda Lancillotto. In tutti si riportava praticamente la stessa notizia, che i tre luoghi dove si pensava la spada Gioiosa fosse conservata erano il Louvre, tra i tesori imperiali di Vienna o nella tomba di Carlo Magno, suo ultimo possessore. «Cosa può significare?» mormorò pensieroso.
 
«Quando potrò andare a casa?» la voce di Thea era appena un sussurro mentre guardava sua madre seduta accanto al letto della sua stanza d’ospedale.
«Vogliono tenerti in osservazione almeno fino a domani, poi ce ne andremo, te lo prometto» fu la risposta espressa con un sorriso in cui Thea scorse comunque un pizzico di tristezza.
Dopo essere quasi impazzita dinnanzi alle immagini del telegiornale avevano raccontato a Thea che era praticamente collassata a terra priva di sensi, in un sonno che per sua fortuna non aveva portato altri incubi, ma pur avendo dormito per circa quattro ore dallo svenimento non riusciva a sentirsi riposata. Le immagini di quell’incendio vissuto da spettatrice erano ancora vive nei suoi ricordi, così come lo era la prima cosa che aveva visto dal suo risveglio, attraverso la finestra della sua stanza. L’occhio incombeva sulla città, andando a delinearsi con il trascorrere del tempo, lo stesso occhio protagonista dei suoi incubi. Spaventata da quella visione aveva chiesto a sua madre di guardare in quella direzione, ma lei non sembrava in grado di vederlo e aveva detto che la stanchezza e il trauma ricevuto dovevano averle causato un’allucinazione, ipotesi condivisa dai medici. Inizialmente anche da lei stessa aveva pensato così, ma quella cosa cui non riusciva a dare un nome continuava a rimanere fissa nel cielo illuminato dai raggi del tramonto.
Nei suoi incubi esso circondava il sole, che prendeva il posto di una pupilla altrimenti assente, ma doveva essere solo una casualità e ora con l’arrivo del crepuscolo poteva vederlo per quel che realmente era, un ovale a tratti irregolare composto da puro fumo nero, anche se pareva in costante movimento, come se la sostanza che lo componeva continuasse a ruotare in maniera quasi impercettibile. Sospirò, chiudendo gli occhi e provando a riprendere sonno con la flebile speranza che l’indomani tutto potesse andare per il meglio, con l’ovale scomparso, gli incubi finiti e la sua vita tornata alla normalità.
Dovette essersi realmente addormentata perché quando riaprì gli occhi sua madre non c’era più e le luci rossastre del tramonto erano state sostituite dall’oscurità della notte, l’illuminazione dei lampioni e sul cielo campeggiava la falce della luna. Però l’ovale continuava a stare là, circondato dai puntini luminosi delle stesse, in uno scenario che ebbe l’effetto di causare ancor più inquietudine in Thea.
Provò a mettersi seduta, facendo dondolare i piedi scalzi dal bordo del letto e portandosi una mano alla tempia, sentendosi la testa esplodere per tutto ciò che era successo fino a quel momento. I capelli neri, normalmente tenuti legati in una coda di cavallo, erano sciolti e le ricadevano fino alla base della schiena coperta solo dal tessuto fin troppo leggero del pigiama e provocandole una sensazione simile a quella del solletico.
Thea digrignò i denti, percependo dentro di sé una rabbia che sapeva non le apparteneva, che non poteva essere di una ragazza tendenzialmente così mite e chiusa in se stessa come lei, eppure si sentiva arrabbiata per un motivo ignoto. Strinse i pugni dandosi alcuni lievi colpi sulle gambe nel tentativo di calmarsi, facendo anche profondi respiri per rallentare il battito cardiaco che aveva iniziato ad accelerare in maniera preoccupante. Nulla sembrava fare effetto, finché una musica non iniziò a riempire l’intera stanza, portandola a guardare il secondo letto dove una ragazza forse sua coetanea la fissava, il cellulare tra le mani che stava riproducendo quella canzone che Thea non riconobbe, ma che ebbe l’incredibile potere di rasserenarla.
Si alzò e con passo incerto si avvicinò al letto dell’altra paziente di quell’ospedale. «Eri arrabbiata per qualche motivo?» chiese lei con voce che lasciava traspare una pura e innocente curiosità, forse un po’ troppo acuta e più simile a quella di una bambina piuttosto che quella di una quindicenne, così come quasi infantili erano i suoi grandi occhi marroni e le due codine nelle quali erano legati i capelli castani. Thea si ritrovò a pensare che in quell’infantilità mostrata la ragazza fosse anche molto graziosa.
«Io… Penso di sì, ma non so cosa mi facesse così arrabbiare» ammise Thea, che non riuscì nemmeno a trovare un modo per mentire dinnanzi a lei.
«A volte capita anche a me, però da quanto sento questa canzone mi tranquillizzo» rispose lei esibendosi in un ampio sorriso innocente.
«Chi sono?» chiese Thea non riconoscendo il gruppo.
«Si chiamano Solar Eclipse» rispose lei. «Stanno diventando piuttosto famosi ultimamente e il chitarrista è bravissimo.» Nel presentarlo, la ragazza aveva indicato il volto di un ragazzo nell’immagine di copertina della canzone riprodotta dalla rubrica musicale del telefono. Thea dovette riconoscere che era un bel ragazzo, sebbene i capelli lunghi sui maschi non le fossero mai piaciuti molto, dalla pelle ambrata e uno sguardo penetrante dal quale ne rimase attratta.
«Si chiama Clovis Rocha» continuò la ragazza. «Anche se ha un nome inglese il gruppo è brasiliano, ma ho sentito che faranno un concerto a Barcellona alla fine di questo mese e mi piacerebbe molto andarci anche se…» La giovane si interruppe e per la prima volta sembrò essersi intristita. Thea non ebbe il coraggio di chiederle nulla e attese che fosse lei a riprendere il discorso. «Non penso potrò andarci» disse lei infine. «A breve dovranno operarmi e probabilmente prima di Luglio non potrò uscire dall’ospedale.»
«Mi dispiace» riuscì solo a dire Thea, senza sapere come si sarebbe dovuta comportare in una simile circostanza.
«Però tu potresti andarci! Sempre se puoi e ti va, ma se dovessi riuscirci prometti che mi dirai come è stato?»
Thea rimase sinceramente spiazzata da quella richiesta, anche perché avrebbe dovuto prima di tutto chiedere ai suoi genitori se potevano portarla a Barcellona per quel concerto e pur sapendo quanto cercassero di non farle mancare niente non aveva nessuna idea del prezzo di un biglietto aereo per la Spagna. Non ebbe però il coraggio di esprimere quei dubbi alla ragazza che sembrava davvero dispiaciuta di non poter andarci, così fece un cenno d’assenso. «Va bene» acconsentì. «Io mi chiamo Thea!»
La giovane strinse la mano che Thea le aveva allungato. «Io sono Katrina!»
In quel momento un’improvvisa consapevolezza si fece largo tra i pensieri di Thea.
 
«Un caffè per il signore al banco» disse Beatriz rivolgendosi alla collega, mentre Merlino non perdeva alcuna occasione per scrutare con occhio attento colei che doveva essere un'altra predestinata a far risplendere la luce nell’Era Oscura. Sembrava una ragazza come tante, che lavorava per potersi pagare gli studi all’Università, con un carattere vivace, piena di energia e pareva sinceramente divertirsi a chiacchierare con i clienti, i quali parevano apprezzarla molto. Non aveva nulla di particolare, non mostrando né le spiccate doti riflessive e intellettive di Edgard, il carattere forte e un po’ difficile di Julius o la vita non certo rosea di Jeanne; quel pensiero metteva ulteriori interrogativi su cosa realmente accomunasse i Sette, e perché personaggi tanto differenti tra loro potessero essere le luci guida di quel mondo, un quesito rimasto insoluto per secoli, sin dall’inizio della sua ricerca. Forse non c’era un vero e proprio motivo dietro quel destino che li accomunava, forse era stato semplicemente il caso a prendere sette persone tra i diversi miliardi che popolavano la Terra e a decidere per sempre il loro futuro, volenti o nolenti.
Beatriz gli porse il caffè, ricevendo un distratto ringraziamento da parte dello stregone che si era intanto voltato a guardare il televisore acceso sul telegiornale della sera, riportante la notizia straordinaria dell’incendio di Londra e suscitando diversi commenti contrastanti tra gli spettatori. C’era chi si lamentava dell’enorme sviluppo tecnologico, soprattutto tra i più anziani avventori del bar, che poteva portare a simili conseguenze con un semplice cortocircuito secondo loro; chi invece se la prendeva con i piromani, che dovevano essere rinchiusi tutti in un manicomio; infine chi accusava il terrorismo, un fenomeno che in quella società sembrava essere preso troppo poco sul serio.
Merlino, che conosceva la causa di quell’incendio, non si intromise nelle loro conversazioni continuando a pensare a cosa potesse realmente essere successo e chi fosse il fautore di quell’attacco. Fafnir era da escludere, aveva combattuto contro di lui e non poteva esserne l’artefice e quindi c’era un secondo nemico a Londra che stava mirando a Victoria per attirare Julius. Se solo non fosse intervenuta Nimue a salvare l’erede di Arthur… Merlino non osava pensare alle conseguenze di uno scontro tra lui e Julius, che era sprovvisto di Excalibur.
“Se Edgard ha ragione e Fafnir stava andando alla ricerca di Gramr, l’unica persona che poteva attaccare Julius è…” Già dalla conversazione con Edgard stava pensando ai possibili artefici di quell’incendio e primo fra tutti era un nome che a distanza di secoli non credeva avrebbe più pronunciato. Possibile che fosse proprio lei?
Continuò a guardare il notiziario per qualche istante bevendo il caffè e di tanto in tanto facendo attenzione ai clienti che giungevano nel bar, sperando di non veder sopraggiungere qualche altro nemico alla ricerca di Beatriz, anche se non sapeva chi dovesse aspettarsi. Negli ultimi tempi aveva fatto le sue ricerche, scoprendo Julius come erede di Excalibur, Edgard di Durlindana e Jeanne di Gioiosa, ma ancora ignorava la spada che apparteneva a Beatriz, dunque neanche i suoi possibili “nemici naturali”.
Finalmente il servizio su Londra terminò, con la promessa di ricevere ulteriori aggiornamenti qualora ce ne fossero stati e si passò a quello che negli ultimi giorni era l’argomento principale di molte riviste e servizi televisivi: i Solar Eclipse avrebbero fatto il primo tour fuori dal Brasile, con prima tappa a Barcellona. Merlino, al quale la musica non gli era mai interessata neanche ai tempi di Camelot e tendeva a non apprezzare troppo i bardi, aveva da subito trovato interessante il nome scelto dal gruppo fondato dal loro chitarrista e da quando aveva appreso che sarebbero giunti a Barcellona aveva iniziato ad avere alcuni dubbi, senza mai riuscire a confermarli. Le sue energie lo stavano lentamente abbandonando ed andare in Brasile con la sua magia gli sarebbe costato decisamente troppo, avendo anche passato forse un tempo eccessivo in quegli anni con la piccola Jeanne, la prima dei Sette che era riuscito a trovare, pur non pentendosene minimamente ed essendoci ormai molto affezionato.
Si toccò il mento con fare pensieroso, gesto che gli era rimasto abitudinario sin da quando portava la barba lunga fino al petto e che si era dovuto rasare per adeguarsi ai tempi moderni. “Forse dovrei andare anch’io al concerto” pensò tornando a guardare Beatriz, che sembrava vagamente incuriosita da lui, giudicando gli sguardi che ogni tanto gli lanciava e che non erano sfuggiti allo stregone.
«Desidera altro?» gli chiese con tono gentile e disponibile.
Merlino scosse la testa. «No, stavo soltanto approfittandone per guardare un po’ il notiziario serale.» Aveva parlato in uno spagnolo impeccabile, nella speranza di non far notare le sue origini druidiche e ringraziando intimamente la sua esperienza millenaria che gli aveva permesso di apprendere quasi tutte le lingue del mondo, morte o ancora in circolazione.
«Brutta cosa quell’incendio, vero?» chiese d’un tratto Beatriz. «Ancora non riesco a credere come sia possibile che un intero borgo di oltre trentamila abitanti sia finito in quel modo.»
Anche Merlino faticava a crederci, nonostante ne conoscesse le cause. «Ha ragione» si limitò a dire con fare vago.
Il locale nel frattempo si era quasi del tutto svuotato, così Beatriz si rivolse alla collega. «Esco a fumare una sigaretta» annunciò prendendo un pacchetto di sigarette da dietro il bancone e iniziando a uscire dopo aver ricevuto un cenno di assenso dall’altra ragazza. Merlino decise di approfittarne andando velocemente a pagare il caffè (grazie alla magia aveva cambiato delle sterline in euro secondo il cambio corrente) e seguendola fuori, curioso di scoprire la sua reazione alla vista dell’ovale nel cielo. Se aveva ragione, infatti, Beatriz non aveva ancora avuto modo di osservarlo dalla sua apparizione quel pomeriggio, e dunque poteva essere l’occasione ideale per farle comprendere quale fosse il suo destino.
Uscito al fresco della sera, vide la giovane che fumava tranquillamente seduta a un tavolino d’alluminio, quasi contemplando le poche stelle che l’illuminazione concedeva di vedere. Notandolo, la giovane si voltò verso di lui facendo ondeggiare la lunga chioma castana e sorridendogli. «Non c’è bisogno di dire nulla, già so tutto.»
Merlino fu colto di sorpresa da quell’affermazione, che non fu pronunciata in spagnolo ma in un inglese diverso da quello contemporaneo, una lingua che non pensava avrebbe mai più sentito parlare e che lo fece tornare indietro nel tempo. Lo stesso inglese che si parlava ai tempi di Camelot.
«Secondo la mitologia nordica» continuò Beatriz come se non si fosse accorta dello stupore di Merlino. «Sigurd, o Siegfrid, si nutrì del cuore di Fafnir imparando a parlare con gli animali e sempre secondo quelle leggende i draghi potevano parlare tutte le lingue del mondo per ingannare gli umani.» Beatriz si alzò andandogli vicino per poi indicare il cielo e l’ovale. «Immagino che quello abbia a che fare tanto con l’incendio quanto con Gramr, la spada di Sigurd, vero?»
«È così» confermò Merlino senza sapere cos’altro aggiungere. Era stato James a spiegare tutto a Julius, così come lui aveva dovuto spiegare ogni cosa a Jeanne ed Edgard; non sapeva proprio come comportarsi con chi invece pareva già essere a conoscenza di ogni cosa. «Chiunque sia stato, mirava all’erede di Re Arthur Pendragon, il possessore di Excalibur» aggiunse solamente.
«Quindi sei qui perché temi che Fafnir possa mirare a me, come ha detto lui.» Beatriz stava sorridendo. «Ammetto che inizialmente ne ero spaventata, ma tutto ciò che mi è successo in questi anni sta iniziando ad avere un senso.»
«Fino a ora non sapevo neanche quale fosse la tua spada e, quindi, i tuoi possibili nemici» ammise lui con un sorriso imbarazzato. «Ma con chi hai parlato?»
«Non mi ha mai rivelato il suo nome e inizio anche a dubitare che fosse un essere umano» rispose lei scrollando le spalle. «Normalmente non avrei dato peso a una simile storia che sembra uscita fuori da un romanzo o un film fantasy ma dopo tutto quello che è successo e quel che ho visto mi è difficile rimanere indifferente.» Buttò la sigaretta ormai finita a terra. «E così assumerebbe un senso anche la storia dei Sette Altari.»
Merlino, che nel frattempo a sua volta stava per accendersi una sigaretta, si immobilizzò guardando la giovane allibito, incapace anche solo di parlare per la sorpresa e l’interrogativo che Beatriz aveva appena impresso nei suoi occhi.
Lei rise. «Sembra che io sappia qualcosa che tu non sai.»
   
 
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