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Autore: Lady Chryseiss    19/11/2019    0 recensioni
"Esisterà certamente qualcuno felice di vivere nel caos, nello smog, circondato da cemento e piccioni; ma forse è felice così perché non ha mai potuto sentire sulla pelle la purezza del bosco d’inverno."
Non tutti gli esseri umani pensano secondo gli stessi schemi mentali. Non tutti gli esseri umani sono portati alla socializzazione e al piacere di relazionarsi l'uno con l'altro. Non a tutti gli esseri umani viene facile trasformare le proprie sensazioni in pensieri definiti, i pensieri in parole dal senso compiuto e poi trovare la voce per pronunciarle.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2. Scarpe e cappotti
Guardo numerose paia di scarpe scorrere sull’asfalto dietro al fumo della mia sigaretta. Scarpe tutte uguali, sotto a cappotti tutti uguali. Cappotti scuri appoggiati su spalle piegate dal peso di borse e zaini. Non vedo nient’altro dal tavolo del bar di fronte all’Università degli Studi di Milano. Gli studenti universitari mi incuriosiscono. Forse un po’mi piace osservarli. È un’occupazione quotidiana che cozza con la mia reputazione di misantropo, ma non sono mai stato un tipo coerente. L’incoerenza. La mia terza grande caratteristica.
 
Alcuni di loro mi colpiscono più di altri. Non c’è necessariamente un motivo. Semplicemente in loro vive qualcosa di più particolare, che li fa risaltare ai miei occhi. Qualcosa di interiore.
Ad ognuna di queste persone ho dato un nome. Suppongo che ne posseggano uno dalla nascita, ma non conoscendolo, ho deciso di trovarne uno di mia iniziativa che credo possa stargli bene.
Barbara e Francesco si scambiano un leggero bacio sulle labbra prima che lui faccia il suo ingresso nella struttura in vista di una lezione. A me piace pensare che Francesco, un ragazzo riccio e bruno, sulla ventina, frequenti la facoltà di filosofia. È stata la massa di capelli ricci e disordinati a colpirmi, e i suoi occhi luminosi che sembrano osservare il mondo in maniera critica ma gioiosa, serena. Barbara fisicamente non ha nulla di speciale, è simile a tutte le ragazze di vent’anni che come lei seguono inconsciamente i canoni dell’immagine femminile dettata dalla società milanese. Capelli castani, lunghi, occhi piccoli e marroni, leggermente truccati. Non faccio a tempo ad accorgermi del suo abbigliamento di oggi, perché viene investita da un gruppetto di amiche ridacchianti. Le amiche di Barbara non mi interessano. Ma lei sì. Ha un’aria intelligente, sveglia, acuta; mi fa pensare a qualcuno di dolce e attento al suo prossimo. La vedrei bene a studiare psicologia. Nella mia testa la relazione tra Barbara e Francesco ha avuto inizio durante il liceo che hanno frequentato insieme. Un amore sincero e innocente sbocciato tra i banchi e che perdurerà in eterno, nonostante le normali difficoltà e forse qualche tira e molla. Francesco non vede che Barbara, Barbara rifiuta numerosi pretendenti anche più belli e ricchi di Francesco. Lui è il solo che possa renderla felice. Disgustosamente romantico.
Giovanna cammina speditamente, con una meta ben precisa. Il suo percorso non prevede deviazioni, non prevede incontri, saluti o risate con gli amici. La testa, invasa da capelli ispidi raggruppati in una coda bassa dietro la nuca, è costantemente abbassata su un qualche libro universitario brulicante di noticine a margine, post-it e nervose  sottolineature a penna. Gli occhi vispi danzano velocissimi lungo le pagine nere di parole, protetti da un paio di lenti tondeggianti circondate da una montatura sottile e metallica, perfettamente intonati alla sua esile corporatura. Freddo. Questa è la prima parola che è nata in me quando ho notato Giovanna. Giovanna ha freddo. Fuori e dentro. Vuole cambiare il mondo, ma ha capito prima di cominciare che non ce la farà. Studia giurisprudenza. Lo so per certo, perché ho visto i titoli dei testi che studia. Lo fa per un senso di dovere, ma senza passione. Non crede più in niente. Io credo che in passato lei abbia conosciuto il dolore.
Laura è l’esatto opposto di Giovanna. È gioviale, loquace, con un sacco di amici. I capelli di una calda sfumatura d’oro e gli occhi grigi le regalano un’aura angelica. È bellissima. Per questo l’ho chiamata Laura. Per questo e per la corona d’alloro con cui le ho visto coronato il capo la prima volta. Laurea breve. Ora è tornata a frequentare l’università per conseguire la magistrale. Non saprei in cosa, ma sicuramente qualcosa che preveda uno scopo benefico e umanitario: nel mio mondo immaginario Laura è conosciuta per il suo altruismo incorniciato da fiori, erba giovane e acqua fresca.
Ma il mio preferito è Dario. Gli ho assegnato questo nome per l’eleganza che avverto rotolare sulla lingua quando lo pronuncio. Lui è eleganza pura, pulita, fatta di gesti netti e semplici, di mani affusolate e passi leggeri. Maglione e cintura. Capelli corti e occhi precisi. Scuri. Vorrei che si dichiarasse a Laura, sarebbero una coppia perfetta, come quelle dei film. Nell’arida realtà non li ho mai visti nemmeno parlare insieme, nemmeno salutarsi. Suppongo che non si conoscano. Forse non si sono mai notati. Nel mio regno fittizio invece Dario e Laura hanno appena fissato una data per il loro matrimonio. Febbraio sarebbe perfetto. Laura sarebbe una splendida sposa d’inverno, con la neve dello stesso colore del suo incarnato.
 
Potrei dilungarmi in una lista interminabile di persone con nomi finti e vite finte esistenti solo nella mia testa, ma la maggior parte le ho create solo per noia. Sono Francesco, Barbara, Giovanna, Laura e Dario di cui mi interesserebbe scoprire quanto di quello che ho costruito loro intorno sia reale.
 
Sono già alla terza sigaretta quando anche Dario viene inghiottito dal rosso ingresso della sede universitaria. Lascio la sigaretta accesa a consumarsi nel posacenere. Un giorno o l’altro mi deciderò ad entrare. Io non ho mai frequentato l’università. Non perché non mi ritenga all’altezza, semplicemente niente di ciò che veniva proposto rientrava nel mio interesse. E poi studiare non mi è mai piaciuto. Mi sono diplomato a fatica. Non vengo più definito un preadolescente ottuso, ma soltanto ottuso. Penso sia peggio, perché quando hai dodici anni riesci ancora a sperare che un giorno quell’odiosa etichetta ti verrà tolta; ma quando ne hai ventisei ormai ti rassegni. E impari a strappare le etichette. Un’altra etichetta odiosa mi è stata appiccicata in fronte dopo l’episodio del fiammifero nelle fessure del legno di quella villetta. Piromane. Scritto a caratteri cubitali. Anche se in realtà l’incendio a cui avrei voluto dare vita non è stato quasi per nulla dannoso: è stata una fiammata di pochi istanti, perché allora non avevo tenuto conto del fatto che un fiammifero non sarebbe bastato. Cosa ho imparato da allora? A detestare le vecchie vicine pettegole e spione, e a non fidarmi di chi ti dice di volerti solo aiutare. Altra lezione di misantropia all’università della vita: gli psicologi, psicoterapeuti, psichiatri, educatori, e insegnanti di ogni tipo non vogliono solo aiutarti. Non tutti sono come Barbara. Serve munirsi di un’attenzione speciale quando si racconta di sé a qualcuno. Non l’ho più fatto da quando sono riuscito a convincere i miei genitori e il mio terapeuta che quello sarebbe stato un episodio isolato, che non si sarebbe ripetuto, che era stata una reazione di eccessiva sensibilità per l’essere stato truffato, se così si può dire. La reazione di un preadolescente definito ottuso. Ottuso e impulsivo. Ci sono voluti cinque anni.
 
Mi alzai, e dopo aver nuotato nella corrente gelida di scarpe e cappotti, tornai a rintanarmi nella riposante solitudine del mio appartamento.
 
   
 
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