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Autore: Fe_    19/11/2019    3 recensioni
[Storia sospesa]
I semidei erano stati scoperti.
Troppo potenti per essere davvero sterminati, gli umani avevano iniziato a temerli, confinandoli prima in aree limitate e, una volta capito che segregarli in distretti fomentava ribellioni ed insurrezioni, relegandoli con muri di vetro all'interno della società.
Il marchio del semidio partiva dalle scuole, scuole speciali per giovani di esclusiva discendenza divina, veniva posto nei documenti e continuava nel lavoro, nella vita privata persino: nessun umano sano di mente avrebbe sposato un semidio.
Poi erano iniziate le battaglie: ogni anno, una classe delle scuole esclusivamente semidivine non veniva semplicemente portata in gita, ma sorteggiata per una gara all'ultimo sangue per divertire la popolazione, esorcizzando lo spettro di un terrore che lo stesso governo provoca.
Uno solo è il vincitore della Battle Divine, ma riuscirà a sopportare il peso di dover uccidere i suoi simili, i suoi compagni di classe ed amici?
Fanfiction interattiva: Iscrizioni chiuse
Genere: Avventura, Dark, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Mostri, Nuova generazione di Semidei, Semidei Fanfiction Interattive
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Battle Divine
Gioco pericoloso


➊ Angelica- Conforto
1.27 pm, 16 maggio 2xx7, Esterno della scuola


on avrebbe mai pensato che potesse diventare un punto di riferimento, per lei.
Eppure eccola lì, a dividere il pasto con qualcuno che gli umani la costringevano a pensare come un nemico. Angelica allungò le gambe magre e stirò le braccia, cercando di controllare il tremore delle mani.
-È perfettamente normale.- Mormorò con tono calmo Hide, davanti a lei. Con gentilezza le porse alcune foglie intrecciate che contenevano dei germogli verdi: il sapore non era il massimo, ma almeno non le avevano ancora fatto venire mal di pancia o puntini rossi su tutto il corpo, come altre piante che aveva provato a mangiare, scambiandole per commestibili.
Lo ringraziò con un cenno del capo, poi allo stesso modo gli passò una delle sue due bottigliette, piena dell'acqua purificata dal ragazzo. Il loro pasto era decisamente frugale, ma li manteneva in forze e riempiva lo stomaco, oltre a fornire una discreta scusa per potersi riunire: da quando avevano trovato il cadavere decapitato della Johnson, Angelica trovava quel rituale una confortevole banalità.
-Non lo so, non mi sento io così. È come se avessi perso la mia positività.- Confessò la ragazza, abbassando lo sguardo sulle mani abbronzate dalle unghie una volta perfettamente ovali: ora erano scheggiate e macchiate di erba e terra. Frustrata, gettò indietro il collo ed un dolore alla nuca le ricordò come dormisse malissimo negli ultimi tempi. Il cielo era terso e limpido, una giornata perfetta, tiepida e con una lieve bava di vento che avrebbe dovuto scacciare ogni brutto pensiero.
-Non credo sia possibile, sai? Sei ancora tu,- mormorò l'asiatico, facendo una pausa brevissima prima di continuare, -solo che è un brutto periodo.-
-Lo è davvero, per tutti. Però almeno non ci danno compiti.- Angelica accennò un sorriso. Fiacca, come nota positiva, ma il ragazzo le sorrise ugualmente, con gli occhi tristi.
-Dovremmo cercare Simon.- Continuò poi la brunetta. Il figlio di Apollo non doveva stare da solo, o almeno così credeva. Erano amici, buoni amici, ed ora che...
Scosse la testa di riccioli castani, impedendosi per un soffio di aprire il cassetto rosa in cui aveva imprigionato il ricordo di MJ. La situazione era già abbastanza una merda, non serviva aggiungerci altro.
-Potrei essere d'accordo, se non fosse un'idea suicida. Lo hai visto, si è allontanato verso la foresta.- Le fece notare Hide. Entrambi, con un gesto perfettamente sincronizzato, voltarono il viso verso il minaccioso confine che, idealmente, segnava la fine di alleanze e civiltà: nelle loro menti si era insinuata l'idea, ad una seconda occhiata ovviamente falsa, che restare alla luce del sole, accanto alla scuola, li avrebbe protetti dal dover entrare nel vivo della battaglia. Dal dover uccidere. Pie illusioni.
Sentì con chiarezza il sospiro di Hide e tornò a guardarlo, mordendosi le labbra delicate. I loro visi erano estremanente diversi, per conformazione ed emozioni espresse, ma entrambi avevano una cosa in comune: erano troppo giovani per esprimere tutta quella preoccupazione. Si era messo a rassettare, con movimenti precisi, conservando anche la più piccola traccia di ciò che sarebbe potuto tornargli utile.
-D'accordo. Ci vediamo domani, stessa ora, stesso posto?- Riprese, cercando di ravvivare il tono della conversazione. Hide la inchiodò con la sola forza dei suoi occhi, serio, come se l'ultima cosa che volesse fosse essere positivo.
-No, troviamoci davanti alla porta principale: essere abitudinari ci ucciderà.-

➋ Kay- Speranza
1.28 pm, 16 maggio 2xx7, Foresta


l sole nel cielo era alto in maniera quasi fastidiosa: si schermò gli occhi scuri con una mano, visto che le ciglia corte non fornivano alcun riparo, e li strizzò nella speranza si abituassero più velocemente alla penombra in cui cercava di sbirciare.
Sapeva di star compiendo una scelta pericolosa, andando a cercare proprio lui tra tutti i semidei disponibili: Kay non era un ragazzo socievole, nonostante gli sarebbe decisamente piaciuto esserlo, ma cercare di fare amicizia con Damian, tra tutti, era praticamente chiedere di essere il prossimo morto.
Non avrebbe saputo dire perché, tra tutti, si fosse intestardito a cercare proprio il tenebroso moro; forse perché era certo avesse minime, se non nessuna, possibilità di ottenere altri alleati, o forse perché gli sembrava un tipo forte, qualcuno su cui poter contare, qualcuno a cui non avrebbe mai potuto far del male.
Si morse le labbra carnose, mentre i pensieri dirottavano verso lande pericolose, aprendo per l'ennesima volta quel cassettino che si sforzava con tutte le sue forze di tener chiuso: sarebbe stato capace di uccidere ancora, se necessario? Ma soprattutto, sarebbe riuscito a sopravvivere a questo nuovo rimorso?
Un fruscio leggero lo distraette, per fortuna, e costrinse la sua figura di sedicenne a farsi minuta contro il tronco che lo ospitava. Dall'alto aveva una visuale perfetta, e poteva anche stare allungato sul ramo sotto al sole, senza paura di essere notato.
Il bosco sotto di lui era irregolare, pieno di rametti e piccoli arbusti che rendevano difficoltoso il cammino e facile individuare i percorsi, e alberi dai tronchi così larghi che si chiedeva quanti anni potessero avere. Era facile perdere l'orientamento e, in ogni edizione, i posti come quello erano il maggior terreno di scontro, quello che più facilmente si impregnava di sangue.
E sangue era quello che aveva notato, dopo aver aguzzato la vista, brillante ed ormai asciutto ma ancora rossiccio sulla corteccia, uno sbuffo a circa un metro e mezzo da terra: scese con circospezione dall'albero, poi vi si avvicinò e incurvò le spalle, come dopo una ferita. La sua mano si posava esattamente su quel punto per sorreggersi perciò, a logica, chi aveva lasciato l'impronta era ancora abbastanza vicino e più o meno della sua altezza. Solo, se per scelta o perché il suo compagno lo avesse tradito non sapeva dirlo, o forse braccato da qualcun altro.
Il suo istinto lo portava a credere si trattasse proprio di Damian, e quale occasione migliore di aiutarlo per guadagnarsi la sua fiducia?
Ora che sapeva cosa cercare le tracce erano più evidenti, e si chiese come avesse fatto a non notarle prima: in quella direzione il terreno era stato smosso da poco, rivelando il suolo più umido e fertile sottostante, e persino qualche insetto che si agitava idignato per esser stato esposto ai pericoli. Però qualcosa era sbagliato... le tracce erano troppo confuse, come se fosse stato qualcosa di davvero grosso. Magari c'era qualche animale e Damian cercava di cacciare?
Si sarebbe posto poi il problema, ora che poteva agire doveva coglierne l'occasione: un semidio non era fatto per attendere e, anche se non era certamente il più avventato della classe, aveva ripassato il suo piano troppe volte nei giorni che aveva passato a proteggersi. Non ne poteva più di stare fermo.
Il bruciore dei muscoli era piacevole mentre correva, anche se lo stomaco gli faceva male per i pasti saltuari ed esigui che aveva consumato da quando era partito da casa.
Mentre gli occhi castani seguivano il percorso si sentiva bene, anche notando come il suo passo fosse leggero e silenzioso, fattore non dovuto alla sua grazia o attenzione ma alla sua magia: in quel momento di bisogno il suo controllo della Foschia si era acuito, come i sensi fanno quando uno di loro viene a mancare; sentiva con chiarezza i limiti di quella che una volta gli era parso un peso ed era era un panno, elastico e morbido, che si adattava con facilità ai suoi desideri. Era ragionevolmente sicuro che nessuno lo avrebbe individuato ad una prima occhiata, e questo gli dava una sensazione di sicurezza che non avrebbe mai pensato di poter provare in quella situazione.
Nel mentre, però, le sue orecchie erano tese al massimo per cogliere ogni altro rumore, ed infatti...
Un muggito?
Sì, un muggito meccanico, ed uno sbuffo affaticato.
Si fermò di colpo, per poi sbirciare la scena da dietro un pino massiccio. Era Damian, aveva ragione, i capelli neri erano striati di rosso per via di un taglio sul capo che non sembrava profondo ma sanguinava in maniera preoccupante, a suo avviso, ed il bel viso femmineo era contratto in una smorfia più infastidita che affaticata o sofferente.
Stava affontando da solo un Toro della Colchide, un bestione di due metri che però pareva messo in difficoltà da qualcosa che gli legava fermamente le zampe.
-Maledetta vacca, mi lasci in pace?!- Sentì sbottare il moro, che stava prendendo a bastonate il mostro come se potesse farlo fuori così o, per lo meno, convincerlo ad andarsene. Nonostante i movimenti rallentati ed impacciati, però, quello stava avendo la meglio sul ragazzo.
La cosa migliore sarebbe stata decisamente girare i tacchi ed andarsene: nella sua dotazione, oltre ai viveri ed una mappa stilizzata del luogo, non aveva trovato armi, solo una padella. Però poi il toro riuscì a liberare le zampe e la corda si afflosciò inerte a terra. Damian avrebbe avuto la peggio, era già in difficoltà.
Kay brandì la padella come un'arma e si buttò in mezzo, colpendo il mostro sul muso; era impreparato ad un attacco del genere, perciò riuscì facilmente nel suo intento nonostante a scuola non fosse mai risultato tra i più forti: il testone schizzò di lato, e Kay potè aproffitarne per far spostare un incredulo Damian dietro un altro albero. La magia scorrè libera e disperata, con un impeto che quasi spaventò i due semidei che potevano avvertirla, ma sufficiente a nasconderli dagli occhi del muccone che corse, furioso, oltre loro nella speranza di riacchiapparli.
Ripresero a respirare solo quando quello fu sparito dalla loro visuale.
Damian aveva ripreso la sua espressione da poker, lo squadrò da capo a piedi e si alzò. Non gli porse la mano né tentò di mostrarsi amichevole, nonostante gli avesse, di fatto, salvato la vita.
-Prego, eh.- Borbottà Kay, alzandosi e rassettando i pantaloni. La padella era ammaccata, praticamente inservibile, ma non la lasciò andare ugualmente: era comunque meglio che prenderlo a pugni, in caso.
-Nessuno ti ha chiesto nulla.- Ribattè sulla difensiva: probabilmente era in imbarazzo per essersi fatto beccare in quella situazione, qualunque fosse il motivo per cui ci si fosse trovato, ma il figlio di Ecate non se ne curava molto, visto che il suo lato più bellicoso iniziava a bussare agli angoli del suo cervello, mandandogli il fumo negli occhi e rendendolo davvero poco tollerante.
-Ah, la prossima volta ti lascio morire allora. Uno in meno, no?- Sbottò, stringendo un pugno, e l'altro ragazzo gli rivolse un'occhiata assassina.
-Già. Tanto lo sappiamo come va 'sta cosa: uno solo sopravvive. Perciò è una stronzata far finta di essere amici.- Lo passò come considerasse finita la conversazione, e Kay ebbe l'istinto di prenderlo a pugni. Chi cazzo si credeva di essere?
-Quindi non voglio alleati. Grazie, a mai più.- Continuò Damian, poi si chinò per raccogliere la corda ed arrotolarsela attorno al braccio con cura.
-Sei davvero uno stronzo. Hai già ammazzato qualcuno?- Sputò come veleno, e a quel punto il ragazzo si fermò. Davvero, bastava così poco per invitarlo ad una rissa?
-Io non sono un assassino. Non mi lascerò morire, e non giocherò al bravo ragazzo perché so che sopravvivere significa sporcarsi le mani, ma non è una cosa che mi diverte. Quindi puoi andare a cercarti un amichetto diverso, qualcuno che finga per poi pugnalarti alle spalle.-
Non si era mai voltato a guardarlo ma era certo che l'espressione sul suo viso fosse tutt'altro che amichevole. Prese ad allontanarsi e, quando fu appena udibile, aggiuse.
-Non sono neanche uno stronzo. Te ne devo una, Jenkins.-
Kay strinse gli occhi, poi si ficcò le mani in tasca e se ne andò.
Era stata una perdita di tempo.
Che palle.

➌ Gabriel- Irragionevole
1.57 pm, 16 maggio 2xx7, Foresta


palancò gli occhi, ingoiando a vuoto, cercando di registrare la notizia.
Non era una cosa così impensabile, anzi, se lo avesse chiesto qualcun altro lo avrebbe trovato così ragionevole da non doverci pensare più di qualche secondo prima di accettare.
Ma non era una persona qualcunque davanti a lui: un metro e sessanta senza tacchi, curve morbide quanto il sorriso che le rivolgeva, ed invitanti allo stesso modo, mani delicate che non avevano mai tenuto nulla di più pericoloso di un ago, un viso pulito ed adorabile. Non riusciva proprio ad immaginarla col ghigno del guerriero, non era affatto nella sua natura, le sue battaglie non erano fisiche anche se potevano fare molti danni.
Lucien boccheggiò qualche secondo, incapace di rispondere, e Lucrèce schioccò seccatamente le dita davanti al suo viso.
-Pronto? Lu, dammi segni di vita!- Le sopracciglia erano alzate, in trepidante attesa, ma aveva una mano sul fianco, pronta a richiamarlo di nuovo con ben poca pazienza.
-Io... sì... no! È una follia, non sei addestrata!- Riuscì a mettere insieme senza soffocarsi con le parole.
Era incredibile... impossibile! Lucrèce, la sua Luce... non poteva chiedergli di avere un'arma. Era completamente atipico. Preoccupante.
Portò le braccia ad incrociarsi sul petto, per segnare con maggiore convinzione la sua contrarietà, e l'espressione della ragazza si indurì; gli occhi verdi come foglie parevano smeraldo, gelidi, ed assunse la sua stessa posizione in un riflesso incondizionato.
-Ah, non vuoi sappia difendermi? Vuoi attaccare tu, davvero, ferire qualcuno, magari ucciderlo?- Sibiliò. Non si aspettava tanta cattiveria, né un rimando così diretto al suo passato, il segreto che aveva promesso di custodire.
-Oh ma sì, basterai di certo, specie se arriva Cordelia... no?- Che stronza. Non lo infastidiva che si comportasse male con gli altri, ma non era minimante pronto alle sue frecce avvelenate rivolte contro... di lui. Doveva essersi accorta di aver esagerato, perché le si dipinse in viso un'espressione sconcertata e di rimorso.
-No, Lu... non volevo dire...- La bloccò con un cenno della mano, voltandosi e rifiutando un'ulteriore presa in giro.
-Certo, non volevi. Eppure lo sai come ci si sente a perdere un fratello.- L'accenno a Marianne era stato un colpo basso, ne era pienamente consapevole, ma non se la sentiva di voltarsi. Era certo che fosse a causa sua che aveva deciso di armarsi, ma andare a cercare Cordelia o Marie non avrebbe certo riportato in vita i loro cari. Non sapeva se qualcuno tenesse alle ragazze, ma se così fosse stato, chi erano loro per portargliele via? Avrebbero continuato la catena d'odio e basta. Un conto era uccidere per necessità, per sopravvivere, ma iniziare una guerra solo perché lo si poteva fare... lui non lo capiva.
Furono delle mani lievi a distralo dai suoi soschi pensieri, quelle di Luce che si insinuavano sui suoi fianchi e poi sul petto, la fronte posata contro la sua schiena. Tremava appena.
-Lo so. E non avrei dovuto dirlo... voglio solo che tu sappia che non devi difendermi. Ogni tanto, posso essere io a proteggere te. Ma mi servono gli strumenti, e la tua spada è troppo grossa per me, a stento la sollevo.- Le sue parole erano un sussurro lievissimo, il battito d'ali di una farfalla avrebbe potuto coprirle.
Lucien sapeva che aveva ragione, ma... era tutta quella fottuta situazione ad essere tremendamente sbagliata. Solo dei pazzi instabili potevano apprezzare la vista di ragazzini, amici, che si ammazzavano a vicenda per una vittoria fasulla.
-... a cosa pensavi, e come volevi procuratela?- Chiese alla fine, con un sospiro sconfitto. Era pronto a cercare di dissuaderla, in caso proponesse di derubare qualcuno, ma la sua risposta, come spesso accadeva, la sorprese.
-Abbiamo due figli di Efesto, quella tua arma potrebbero anche averla costruita loro. Posso provare a chiedere se me ne fanno una.-

➍ Zakiya- Curiosità
2.13 pm, 16 maggio 2xx7, Foresta


a loro piccola fucina improvvisata era tremendamente funzionale: forniva calore, permetteva loro di sterilizzare l'acqua del fiume, cucinare il pesce che avevano catturato... tutto sommato, se non consideravano la loro prossima morte come possibilità più concreta, sembrava quasi una vacanza.
Quella situazione le ricordava oncredibilmente la sua infanzia, un momento apparentemente idilliaco in compagnia di un familiare che si sarebbe risolto con una tragedia: questa volta, però, non era certa di riuscire a sopravvivere.
Zakiya stava appunto girando le freccie che aveva trovato nel suo pacchetto e, anche se a dire il vero in un primo momento le aveva considerato piuttosto inutili senza arco, ora si stava ricredendo sui loro effettivi quanto incredibili scopi nascosti. Erano ad esempio perfetti come bastoncini per cuocere, come strumenti di precisione e, in maniera molto minore, per cercare di ripulirle gli ingranaggi da polvere e terriccio.
Un rumore alle sue spalle, e si voltò giusto in tempo per vedere una massa di pelle abbronzata e ricci castani le fu addosso.
-Lenta e sorda!- Esclamò una voce familiare ridendo, e con uno sbuffo seccato ed una certa fatica Zakiya alzò di peso il suo stupido fratellastro divino che avrebbe dovuto essere più grande e più saggio.
-Sai, come si dice dalle mie parti...- Iniziò la ragazza, gli occhi grigio-ottone che brillavano di una luce che rendevia chiaro che non fosse effettivamente arrabbiata, ma anche che probabilmente non avesse idea di come finire la frase non avendo in mente alcun detto che potesse adattarsi alla situazione. Allen le rispose con un sorriso, lo stesso sguardo ad illuminargli il volto in un'espressione che prometteva qualche cazzata, e con tutta l'agilità dei suoi novanta chili di muscoli si alzò ed esibì nel più impacciato ma serio inchino che era in grado di produrre. -Grazie, grazie, grazie per avermi graziato con la vostra presenza!- la interruppe, per poi iniziare a cantare con una voce lievemente stonata e gracchiante.
-Good afternoon, Sir. What can I do, Sir?- Ammiccò nella sua direzione ma, consapevole di quanto fosse in realtà polemica quella canzone, la ragazza affondò le dita meccaniche della mano sinistra nel terreno e prese una manciata d'erba, che venne prontamente lanciata contro AJ. Il ragazzo si zittì, per fortuna, assumendo un'espressione ferita ed offesa.
-Ma ti pare il caso, Schoema? Ed io che ti stavo onorando con delle doti canore degne non solo della progenie di Apollo, ma di tutte le Muse in persona!
... divinità. Insomma, quello che sono.- Si abbassò alla sua altezza in una posizione instabile e mezza accucciata, le ginocchie larghe e le braccia appoggiare sulle cosce. -Ed io che ti ho portato qualcosa!-
La ragazza strinse le labbra in un'espressione che cercava di dissimulare la sorpresa e l'attesa, ma si sporse un poco per vedere se il ragazzo le avesse portato quello che le serviva: con un gesto svolazzante, come un mago o un idiota, dal sacco che gli pendeva mollemente dalla schiena estrasse una lattina di olio per motori e glielo lanciò.
-Avevi ragione, erano nel tuo armadietto. Anche quest'anno ci hanno lasciato dei regali, ce n'erano tre.- Continuò scuotendole piano: la stoffa era tesa verso il basso per via del peso, e sentiva un lieve clangore che tradiva la presenza di altre cose al suo interno.
-Sei andato anche al tuo? Ti hanno fatto passare?- Con la sua stazza, un'azione stealth era decisamente fuori discossione, ma ora che lo osservava più attentamente aveva un graffio lungo il braccio e maglia e viso sporchi di qualcosa di nero, poteva essere terra o polverein egual misura, probabilmente entrambi.
-Si, si, quello che vedi è il risultato di una caduta dal pino che abbiamo visto ieri: avevi ragione, c'è una telecamera, e avevi ragione, non si aspettano che qualcuno le tocchi. Ma che non ci siano protezioni, non vuol dire che non ci saranno ripercussioni...-
Quell'atteggiamento era più congeniale a Vik, la loro responsabile sorellona che li proteggeva ed aveva crisi di nervi ogni volta che venivano spediti alla fucina, finendo per far sfrigolare le sue lacrime salate sulle braci che dovevano servire a costruire le loro armi. Zakiya scosse la testa sospirando, poi si sforzò di sorridere: era certa che fosse obbligata a guardare, e non voleva si preoccupasse anche dei loro sentimenti oltre che delle loro vite. Con movimenti calcolati e tranquilli aprì l'olio e se lo passò lungo le giunture, un gesto vecchio, familiare e confortante in tutto quel casino, e che l'aiutava a mettere insieme i pensieri.
-Che ci siano delle coseguenze è ovvio,- mormorò con il tono più basso possibile, così tranquilla che lei stessa quasi non si sentiva, -ma credo dovremmo provarci. D'accordo, Allen? Allen?. ripetè e, quando alzò lo sguardo, vide che il moro non la stava neanche ascoltanto. Le dava le spalle, guardando da qualche parte verso la foresta.
Seguendo il suo sguardo, si rese conto che qualcuno stava arrivando... una ragazza minuta accanto ad un ragazzo grosso, il cui maggior segno distintivo era una brutta cicatrice sul volto.
-Eh? Che ci fanno loro qui?-

➎ Allen-
2.16 pm, 16 maggio 2xx7, Foresta


he Kiya non ci sentisse era solo una delle tante, piccole cose di cui si era sorpreso sempre più spesso a pensare con un atteggiamento che raramente adottava a casa. Allen era, senza ombra di dubbio, preoccupato: per la sorellastra, per sé stesso, per Emily che non era mai stata la sua migliore amica ma era comunque morta... e poi, a chi altro sarebbe toccato? A Marianne, che era così dolce rispetto agli altri figli di Afrodite, o a Kay, che non aveva mai potuto conoscere davvero? Alysse, Milo, Simon?
Il figlio di Efesto si era distratto ancora, Zakiya gli stava parlando con un tono basso che non le apparteneva ma lui le dava le spalle e non sentiva assolutamente nulla.
-Non parlare del piano. Non so se possiamo fidarci... conosco bene Lucien, ma Queen WannaBee...- Sospirò, e la ragazza gli lanciò un bastoncino a mo' di avvertimento: sapeva che Lucrèce le era simpatica, talvolta la frequentava persino quando non erano obbligati a starci insieme, ma lui non ne capiva assolutamente il motivo e non gli interessava nemmeno più di tanto, francamente. Si limitò a sbuffare e stringersi nelle spalle, borbottando un "Mica è colpa mia se è una stronza arrivista", ma solo a mezza voce, in modo da non farsi sentire- e rimproverare- una seconda volta.
Nel frattempo i due si erano avvicinati abbastanza da far suonare il suo istinto di autonservazione, e con un gesto rapido e meccanico estrasse il martello che portava legato alla cintura: non era propriamente un'arma né propriamente uno strumento, ma una sorta di sgraziata fusione tra i due che poteva svolgere entrambi i ruoli, seppur non alla perfezione. Strinse le dita attorno al manico e vide Lucien fare lo stesso sulla propria spada, posando l'altra mano sulla spalla della ragazza con lui per impedirle di avanzare ancora.
-Lu, principessa, che ci fate qui?- Chiese, cercando di mettersi sul viso un sorriso amichevole; avrebbe decisamente preferito evitare uno scontro diretto, per tante ragioni, non da ultima la sicurezza che Zakiya non era fisicamente in grado di ferire nessuno nonostante non fosse esattamente una ragazzina minura ed esile. Si lanciò un'occhiata alle spalle, e la vide alzarsi e dirigersi verso verso la coppia; Allen si morse le labbra ma, una volta tornato a prestar loro attenzione, vide che anche Lucrèce stava facendo la stessa cosa, sola.
Okay, okay, cercò di convincere il suo cervello iperattivo a concentrarsi solo su poche, positive possibilità anziché vagliare ogni possibile finale, e ancora più diffile, cercò di capire come raggiungere il migliore dei mondi possibili; Kiya e la principessa dovrebbbero essere amiche. Lei è una stronza, ma non è crudele, e se si è affezionata a...
Troppo tardi, i pochi metri che le separavano si erano ridotti drasticamente nel suo vano tentativo di formulare un piano e Lucrèce sorrideva, vedeva già le zanne di quella cagna sporche del sangue di sua sorella, perciò scattò in avanti. Troppo tardi si accorse che effettivamente la sua posa non era affatto minacciosa, e che entrambe le ragazze avevano le braccia aperte, probabilmente per salutarsi con calore. In un attimo, era tra le due, con la schiena della rossa premuta sullo stomaco ed un braccio attorno al suo collo.
La spada di Lucien era così vicina al suo naso che per guardane la punta doveva incrociare gli occhi, e anche avesse voluto era troppo pericoloso lasciar andare la sua prigioniera: era l'unico motivo per cui il ragazzo non gli aveva aperto la faccia in maniera simile a ciò che era stata fatta a lui, o forse peggio.
Ci fu un solo momento di gelo irreale, qualche istante in cui rimanettero perfettamente fermi, finché una voce bassa ma femminile non interruppe quel silenzio surreale.
-Come si dice dalle mie parti, questo è uno stallo alla messicana. Uno stallo alla messicana in piena regola.- Non ci credeva, Allen, che Zakiya davvero volesse uscirsene in quel modo, ma sentì lievemente le spalle della principessa rilassarsi.
-Anche se forse manca un'arma per lo stallo alla messicana, no? Però nessuno può attaccare l'altro senza finr attaccato a sua volta quindi forsse...- Ecco, Kiya era nervosa e straparlava. Era certo che lo quel modo di dire non fosse tipico delle sue parti- perché avrebbero dovuto chiamarlo "stallo alla messicana" in Africa?- ma quello sciolse un poco la situazione.
-Direi che non è perfetto ma ci si avvicina, però direi anche che possiamo uscirne senza farci tutti male, no? Basta che abbassiate le armi... o allontaniate le mani dal mio collo, eh?- Propose Lucrèce; quelle parole erano decisamente allettanti, anche senza l'aiuto della lingua ammalitrice che la ragazza non possedeva, quindi con calma sciolse la presa. Allo stesso tempo, vide che la lama si allontanava dal suo viso.
-Ottimo! Ora non è neanche più uno stallo.- Sentì distintamente il sollievo nella voce di Kiya mentre le armi venivano abbassate. -Luce, Fall, non è una visita di cortesia alla nostra nuova casetta, vero?-
La figlia di Afrodite scosse la testa poi, con un sorriso allegro e disgustosamente carino si rivolse all'altra.
-No, vorrei mi costruiste un'arma!-
L'espressione stupita sul viso di Kiya fu nulla rispetto al disappunto che notò chiaramente nell'espressione di Lu.
-... come, scusa?- Chiese, e la ragazza si voltò verso di lui ed annuì, come fosse la richiesta più normale del mondo. Non l'aveva mai vista faticare nemmeno durante le lezioni di educazione fisica, ed ogni tanto si chiedeva se a casa facesse qualcosa oltre dormire- sospetto smentito quando, gettando un'occhiata nella sua borsa, aveva erroneamente visto una confezione di preservativi.
-Un'arma! Sapete farlo, no? È il vostro compito, Kiya è stata chiamata solo un paio di volte ma tu Allen sei lì praticamente sempre dopo scuola.- Era... difficile negarle qualcosa.
Non che Allen avesse mai avuto una cotta per quella, ed anche fosse successo era stato tanto tempo fa. I suoi occhioni verdi non gli facevano alcun effetto, nossignore. Però fece un passo indietro dopo averla vista troppo vicina, e sbuffò.
-Non hai trovato nulla nel tuo sacco? Non ti basta una guardia del corpo?- Le rispose, con una punta di acidità, e la ragazza incrociò le braccia sotto al seno, rendendolo ancora più evidente. Zoccola.
-Non mi serve una guardia del corpo. So difendermi, ma se mi trovo uno armato davanti, vorrei uno scontro alla pari.- Pareva stranamente seria, ma nonostante l'espressione accigliata la vita lanciarsi un'occhiata alle spalle, in direzione di Lucien. Non sembrava un tentativo di comunicazione... sembrava seriamente preoccupata. Stavano insieme da abbastanza da non considerarla una storiella da nulla, ma per la prima volta si chiese se si sarebbero protetti a vicenda come avrebbe fatto lui con Kiya. Come una famiglia. Abbassò per un attimo lo sguardo, riflessivo.
Forse la sorellatra non avrebbe potuto crearle un'arma, visto che gli unici progetti seri in cui si era mai imbarcata erano solo repliche di armi da fumetti o romanzi. Questa sua attitudine ribelle le abeba fatto guadagnare un posto nella lista nera di coloro che organizzavano i giochi, visto che i figli di Efesto erano pochi e avrebbero voluto che tutti quelli disponibili creassero macchine di morte spattacolari per i loro giochi. Allen si snetiva effettivamente male a sapere che le sue creazioni venivano usate per uccidere altri semidei anziché per proteggerli, ma non poteva farci molto, se si fosse rifiutato avrebbe avuto dei problemi, e con lui i suoi cari.
-... non potrei neanche volendo. Non ho il materiale nemmeno per un aghetto, figurati per un pugnale o una spada.- Rispose alla fine, e si voltò. -In ogni caso, il ferro non può competere col bronzo celeste, anche se lo avessi.-
-Ho un progetto e un'idea su dove procurarmi il ferro. Me l'hai data tu, Zakiya cara, mentre tornavi qui.- Vide la sorellastra sobbalzare e guardarlo con una lieve sfumatura d'imbarazzo sulle guance. Si era fatta seguire, eh?
-Va bene, dai. Mostraci e ci penseremo... vero, Allen?-
-Non sarà gratis.-

➏ Minori- Alive
3.21 pm, 16 maggio 2xx7, Esterno della scuola


e mani gli tremavano forte dal momento in cui aveva sentito le sue catene spezzarsi, il legame empatico coi suoi compagni presente ma non sufficiente a nascondere le sue stesse emozioni. Spalancò gli occhi quando sentì lo scricchiolio maligno di un corpo che rovinava a terra senza vita, e spostò lo sguardo dalle sue dita tremanti al terreno, dove Marie era stesa: nell'impeto del momento aveva dimenticato di tenerla e si era occupato solo di sé. Si rannicchiò a terra, coprendosi la testa con le braccia, ed un urlo primitivo carico di angoscia lasciò le sue labbra per un solo secondo, il tempo di accorgersi che il dolore della ragazza pulsava sordo in un angolo del suo cervello, senza sopraffarlo. Era viva.
Confuso e probabilmente pieno di adrenalina scattò verso la serratura della porta, che nessuno si era preoccupato di distruggere, e la chiuse; questo gli avrebbe dato qualche istante per pensare, anche se era certo che a breve avrebbero fatto ugualmente irruzione: Arthur era agitato, irritato; Rune era appena curiosa, ma diffidente; Donovan era... oh, un miscuglio di dolci sensazioni che non aveva mai provato in vita sua. Egoismo, vendetta, rabbia soprattutto, rovente e deliziosa, pù qualcosa che non sapeva distinguere ma che montava nel suo stesso petto in maniera estremamente... semplice. Elementare.
Indugiò qualche secondo in quelle impressioni, la mano destra sul ventre strisciava lenta, un percorso obbligato fino alla gola, dove le sue pulsazioni erano accelerate, il fiato corto. Meraviglioso. Era solo lui nella sua mente, per una volta: non sentiva l'angoscia di Emily, la certezza che si sarebbe uccisa, combattere strenuamente perché i pensieri di lei non lo ingoiassero, costringendolo a prendere il suo posto; non provava lo stesso panico di Amelie, che lo aveva costretto a terra, quasi soffocato, costretto a mentire per mantere obbligatoriamente quel segreto che non era suo. Tutto quello che avevano fatto per lui era rischiare di ucciderlo, senza ringraziare.
Voltò lo sguardo verso la finestra, chiusa ma che prometteva di dargli altro tempo prima di tornare a recitare la parte dello strano, fragile ragazzino che lui sentiva ogni secondo meno sua. In un movimento fluido scivolò sul pavimento e verso quel piccolo quadrato di libertà, e quando l'aria tiepida del pomeriggio di metà maggio gli solleticò le guance i suoi pensieri iperattivi si concentrarono per un solo istante su quanto il mondo fosse diventato matto.
Non gli rimaneva che accettare quella follia ed iniziare a viverla, per una volta non come passivo spettatore, non come una foglia trasportata dagli eventi, ma come... un predatore. Non sarebbe stato più un errore a far cadere un corpo, sarebbe stato lui, ed una volta a terra avrebbe assaggiato quella preda affondando i denti nel suo collo per assicurarsi che non si alzasse mai più. Da solo? Nessuno di quelli che conosceva era abbastanza forte o affidabile da affiancarlo.
Si passò le mani sul viso con una nota di disperazione, la pelle chiara e sensibile che si macchiavava di rosso per quel contatto troppo violento a cui non era abituata, poi tra i capelli perfettamente ordinati: li scompigliò, per cancellare del tutto quello che era una volta. Non lo sarebbe stato mai più.
Mai.
MAI.
Una risata gli sgorgò dal petto: era sbagliato, quello che provava? Forse sì, ma alla fine, chi poteva giudicarlo? Quelli che avrebbe ucciso, che volevano ucciderlo? Ma chisse frega, alla fine, no?
Un tossicchiare delicato lo distratte da quei pensieri e, quando si voltò, la figura minuta di una sua inquietante compagna di classe gli rivolse un lieve, tirato e falsissimo sorriso. Aveva un coltello in mano la cui punta era macchiata di sangue, lo stesso sangue che le si era seccato lungo il braccio opposto in un rivolo sottilissimo, evidente solo perché in forte contrasto con la pelle chiarissima. Proveniva da un piccolo disegno di farfalla, marchiato a lama nell'inteno dell'avambraccio: ne vedeva la deliziosa, piccola ala decorata.
-Signorina Winslet.- La salutò con un'espressione folle, portando le dita a sistemarsi il ciuffo in modo che non gli coprisse gli occhi. Restò miracolsamente tirato indietro, come se il suo stesso corpo si fosse reso conto del cambiamento nella sua personalità.
Cordelia non variò la posizione, indecisa su come proseguire. Sentiva che lei sapeva ciò che provava lui, ma non come reagirne.
-Tu hai paura.- Constatò infine, dopo un istante di silenzio. Non era una domanda, e mentire non avrebbe ingannato nessuno dei due.
-Certo che ne ho, signorina. Ma non chiamarmi Minori. Lui è andato, spero per sempre.- Le confidò, avvicinandosi ed abbassando la voce come se le stesse rivelando chissà quale segreto. Vide le sue dita stringere il manico del coltello, ma con calma allungò la mano e prese quella della ragazza, leggerissimo, cosicché potesse allontanarsi se lo desiderava. Portò il dorso sinistro alle labbra, in un quasi imperfetto baciamano, ma quando fu il momento di sfiorare la pelle schiuse le labbra e assaggiò il sangue che la decorava, evidando di compiere l'ennesimo errore. Aveva un gusto spento, ferroso, che non gli dispiaceva né lo faceva impazzire. Nascose la delusione.
-Chiamami Hyde.- La informò, senza mai scostare le iridi grigie da quelle dlla ragazza che, ad un esame più attento, si rivelarono dello stesso colore. Aveva sempre pensato i suoi occhi fossero neri come l'inferno, ma effettivamente non li aveva mai nemmeno guardati con tanta attenzione. Erano carini, con la rima interna cadente che ne rivelava una nota rossastra, particolari.
-Edward Hyde.-
Doveva essere una ragazza dal gusto sopraffino, o aver trovato qualcosa di quella sua presentazione divertente, perché una risata lieve le sfuggì dalle labbra. Poté percepire del sincero divertimento.

➐ Cordelia- Farfalla
3.46 pm, 16 maggio 2xx7, Esterno della scuola


uella paura era così forte da averla condotta a sé in maniera inconscia, come il profumo di un arrosto attirava certi personaggi nei vecchi film. Cordelia era certa di non star volando, ma la sua testa era leggera come il passo che la portava verso la via più breve verso i suoi compagni.
Senza volerlo si era ritrovata all'esterno, davanti a quella che dopo un breve calcolo degli spazi aveva identificato come la finestra dell'infermeria. Aveva avvvertito il terrore di diversi semidei agitati ed aveva fatto un salto nel passato, quando il suo compito era il cane da caccia: era ragionevolmente sicura che fosse uno dei principali motivi per cui gli altri la temevano, ma allo stesso modo era certa che non sarebbe piaciuta loro lo stesso. Non che le importasse molto, trovava piò soddisfacente l'idea di poter spaventare a morte un tizio come Lucien, alto due volte lei o quasi, che non poter fare amicizia con una come Amelie.
O come Minori, che stava uscendo da quel momento dalla finestra. Il suo profumo era pungente, strano, come qualche alcolico troppo dolce di cui non ci si rende conto del grado finché non brucia nella gola. Tossicchò piano, la sgradevole sensazione che si era trasferita dal naso alla bocca, ed il ragazzo si girò, lo spettro di una risata che gli storceva in modo insolito i lineamenti efebici, quasi da ragazza.
Sentì i suoi occhi scrutarla per qualche istante, ed ignorò le sue parole che di certo sarebbero state non poi così interessanti, più occupata a decidere come comportarsi. Il figlio di Ascelepio era certo strano, in quel momento, ma una costante della sua personalità non era sparita.
-Tu hai paura.- Sentenziò, senza cambio d'espressione o sorpresa. Era una verità che nessuno dei due aveva bisogno di contestare, ma sapeva che per loro natura le persone- specie i ragazzi che avevano bisogno di sbandierare il loro machismo- tendevano ad ignorare, quando non la negavano del tutto; fu quindi sorpresa quando il ragazzo iniziò ad avvivinarsi, apparentemente disarmato e senza intenzioni ostili.
-Certo che ne ho, signorina. Ma non chiamarmi Minori. Lui è andato, spero per sempre.- Le disse una volta che fu abbastanza vicino, un sorriso maniacale sul volto e gli occhi che luccicavano per uno strato di lacrime non liberate. Sembrava le stesse rivenando chissò quale segreto, i loro visi erano vicini ed era certo che qualche altra ragazza avrebbe provato attrazione o spavento; lei no, lei ne era semplicemente incuriosita: quest'edizione contava un numero insolitamente alto di soggetti deboli che cedevano la sanità sotto pressione. Strinse il manico del coltello in un gesto istintivo, anche se non sapeva se dettato dal suo scarso istinto di sopravvivenza o se dal desiderio di vedere se avrebbe urlato, una volta aperto a metà il suo ventre.
Il ragazzo le prese la mano e la portò al viso, e Cordelia distrattamente pensò a quanto era sbagliato quel gesto: certo, non c'era nessuna ragazza in vista a cui avrebbe dovuto riservare lo stesso trattamento, ma allo stesso modo non si doveva fare all'aperto, specie in modo così volgare e cerimonioso: un gesto rapido ed impersonale era la miglior via per non sembrare goffi. Non sarebbe dovuto essere riservato ad una giovane non sposata come lei, poi, ma questo poteva forse essere sorvolato visto che evidentemente nessuno dei due poteva essere interessato all'altra. Aveva preso poi la mano sbagliata, ed era stato fino a quel momento questo l'errore più grande finché, anziché sfiorarle senza toccare il dorso della mano con le labbra, non assaggiò il sangue oltre il suo polso: lui era un rozzo ragazzino senza educazione, ma una come lei sapeva che le aveva praticamente dato dell'amante o prostituta.
Il suo viso probabilmente non riflettè il suo disappunto per quel gesto una volta elgante così martoriato, ma se le avesse chiesto qualcosa non avrebbe esitato a spiegargli in maniera analitica perché avesse appena ammazzato la galanteria.
-Chiamami Hyde.- Le riferì, ed almeno la posizione dello sguardo fu mantenuta corretta: non aveva mai abbandonato i suoi occhi. Hyde... era forse un riferimento al libro inglese, la controparte del dottor Henry Jekyll? Non sperava in una così alta allusione in una classe che a stento raggiungeva la media della C.
-Edward Hyde.- Completò, e Cordelia si lasciò fuggire una lieve risata che le modificò appena i lineamenti, quasi un'espressione troppo viva potesse rompere la pelle di porcellana. Oh, poteva quasi essere interessante averlo in giro.
Voltò di scatto il viso, il suo potere che l'avvertiva che gli altri si stavano avvicinando.
-Vienite con me, mister Hyde. Potremmo divertirci insieme, anche se per poco tempo.- Si voltò senza attendere una risposta, per poi iniziare a correre via: qualcosa le diceva che restare sarebbe stato un suicidio, e lei non era ancora pronta a morire; non lo sarebbe stata mai, non perché avesse conti in sospeso o paura di ciò che sarebbe successo dopo, ma semplicemente perché, nel suo modo di vedere le cose, lei era l'unica che avrebbe potuto sopravvivere senza pentirsi di ciò che aveva fatto, avendo compiuto atti ben peggiori. Non era la prima volta che usava i suoi simili, li vendeva e lasciava morire o peggio, solo per prolungare la sua vita.
Solo quando fu abbastanza lontana, quasi nel suo rifugio, si accertò se il ragazzo l'avesse seguita o meno. Per l'ennesima volta il suo comportamento la stupì, si ritrovò delle mani attorno ai polsi ed una volta che i loro visi furono l'uno di fronte all'altro sentì la sua stretta farsi più salda.
Fu strano, non esattamente confortevole, e per un attimo potè percepire come se le avesse sulle proprie le sue labbra: la pelle non era morbida per tutte le volte che era stata morsa, ed il gusto ferroso del sangue che le macchiava avrebbe reso il tutto rude, affatto romantico, non che lei desiderasse il romanticismo. Tuttavia non si disse delusa quando, dopo aver graggiato con la lama del coltello che ancora teneva in mano il fianco del ragazzo a mo' di avvertimento, Minori si allontanò, sorridendole come nulla fosse.
-Magari la prossima volta mi farete un disegno carino come il vostro, e non solo una linea.- Constatò semplicemente, alzandole con gesto brusco il braccio ed esponendo la splendida opera d'arte che si era incisa nella carne, rosa confetto in contrasto con le sottili, precise linee scarlatte.

➑ Simon- Sorpresa
4.59 pm, 16 maggio 2xx7, Aula del terzo piano


ra decisamente stufo di tutta quella storia. Pareva che quei coglioni che trovavano tanto divertente vedere ragazzini iperattivi ammazzarsi non volessero far altro che convincerlo ad ammazzare per sopravvivere, e lui decisamente non ci stava.
Non perché uccidere non fosse una cosa brutta, Simon aveva provato sulla sua pelle cosa voleva dire sopravvivere a qualcuno che si amava, ma soprattutto perché non voleva dar loro altro potere. Potevano averlo costretto a vivere isolato con i suoi simili, ma non potevano manipolarlo come una marionetta. In un momento di rabbia aveva lasciato un messaggio sulla lavagna, pur consapevole che non solo avrebbero eliminato questa sua ennesima protesta come avevano fatto con tutte le altre, ma anche che probabilmente non ne sarebbero stati felici e ci sarebbero state selle conseguenze.
Quante cazzate.
Si sbattè la porta dell'aula alle spalle, deciso a non aprirla mai più.
Aveva ripensato alle sue convinzioni grazie ad una ragazza che per colpa delle proprie idee era morta, e non avrebbe più commesso quello stesso errore.
Camminava tanto deciso lungo il corridoio da non badare nemmeno a chi poteva incontrare lungo la sua strada; forse fu per quello che non notò l'alto ragazzo probabilmente distratto quanto lui, e finirono per scontrarsi.
Simon si passò una mano tra i capelli castani, ristemandoli piano. Ottimo, la giornata non faceva che peggiorare. Gli lanciò un'occhiata di sbieco e lo identificò come Milo, uno dei pochi semidei puramente romani della loro scuola. Marianne non faceva queste differenze, e lo chiamava fratello come con Luce. Strinse i denti e le dita gli scesero lungo il viso come a cancellare lacrime che non c'erano mai state.
-Che ci fai qui?- Sbottò, rendendosi conto subito dopo di essere stato ingiustamente scortese. Per quanto non gli andasse realmente, rettificò: -Qui ci sono solo io, e me ne sto andando.-
-Sì, ma non credo dovresti restare solo, ora. Sono venuto a proporti di unirti a noi, per stanotte: ti farà bene.- Milo era forse un idiota, ma sembrava gentile e sincero. Anche se invitare un potenziale assassino per un pigiama party non era esattamente la prima cosa che avrebbe fatto al suo posto, ma forse era una forma di coraggio; continuare a preoccuparsi per gli altri, anche quando tutto avrebbe consigliato di essere egoisti.Simon si strinse nelle spalle.
-Per una notte, credo possa andare. Tanto non ho ancora deciso dove accamparmi.-
Vide il ragazzo sorridergli, gli occhi scuri che rivelavano senza alcun pudore la contentezza per quella notizia. Simon avrebbe voluto sentirsi seccato, ma si chiese invece se non avrebbe dovuto iniziare a parlarci prima: in classe, Milo sembrava semplicemente un bravo ragazzo, un po' testardo ma semplice e di poche pretese; il figlio di Apollo aveva sempre pensato che accettasse passivamente la situazione solo perché, a differenza sua o di altri ragazzi come Allen, non si ribellava apertamente.
-Ah, perfetto! Spero che anche gli altri accettino così in fretta.- Aggiunse, e si lasciò sfuggire una risatina leggera che probabilmente in una folla sarebbe stata seguita ed imitata.
-Milo, tu sei bravo in arte?- Chiese alla fine.
-Eh? Uhm... non particolarmente, però ho un buon senso estetico.- Confessò, e fece per voltarsi e scendere lungo le scale, ma Simon gli prese il braccio.
Lo sentì irrigidirsi lievemente, un riflesso da combattimento tutto sommato perfettamente comprensibile, ma non strinse nemmeno il pugno per difendersi.
-Aspetta, vorrei mi aiutassi per una cosa. Ho scritto una cosa sulla lavagna, credo che se entriamo entrambi saranno costretti a mostrarla.- Sussurrò dopo aver avvicinato il viso al suo orecchio. Così sembrava ancora più sospetto, e non credeva avrebbero censurato un possibile scoop per quello.
Vide il moro annuire, ed indicare l'aula.
Entrarono nella piccola aula spoglia e chiusero la porta: era certo ci fosse una telecamera, anche se non era del tutto sicuro di dove, perciò si limitò a portarlo davanti alla lavagna: bianco sullo sfondo nero si leggeva a chiare lettere La violenza è l'ultimo rifugio degli incapaci, senza orpelli o altro.
Milo lo soppesò per qualche istante, poi incrociò le braccia ed annuì come un critico d'arte.
-Degno di un pittore, direi. Mi concede un'aggiunta alla sua opera?- Chiese con tono formale, e Simon sentì un sorriso sincero storcergli le labbra. Fingendo un mezzo inchinò, diede la sua benedizione.
Milo aprì il computer ed aggiunse il nome degli assenti alla lavagna.
Emily
Marianne

Una piccola esitazione, le guance si fecero ancora più pallide. Basta, no? Non c'erano altri moti, vero? Non aveva sentito nulla, forse qualcuno degli esterni? Kay, che se n'era andato e non aveva più fatto avere sue notizie?
Alysse




ℒ'angolo di ℱe
Allora, come andiamo?
Non nasconderò che alcune parti di questo capitolo mi lasciano insoddisfatta, ma confido che nel complesso sia apprezzabile: non è stato facile inserire tutti gli oc, farli interagire, far proseguire la trama e non uccidere nessuno per ben un capitolo!
No, sto scherzando, almeno sull'ultima parte: ho davvero voluto dare una comparsa a tutti, e spero che questo capitolo non risulti "piatto" rispetto al precedente.
I nodi vengono al pettine, qualcuno mostra risvolti psicologi che magari non avevate messo in conto, qualcuno sta per fare una bruttissima fine... chi, però?
Lo scopriremo presto!
Ora, passando alle cose meno importanti: queste fanfiction hanno tanta, tanta lore dietro. Ho creato un mondo che probabilmente non vedrete mai fatto di relazioni, avvenimenti ed abitudini che non posso usare (ma ai quali faccio riferimento ogni tanto, tipo i giochi precedenti o i rapporti implicati sopra). Vi interesserebbe conoscerli, e passare il tempo tra un aggiornamento e l'altro?
Bene! Io ed altre autrici abbiamo aperto una pagina instagram per tenervi aggiornati. Ci saranno curiosità, disegni ed extra riguardo le nostre fanfiction. Potete trovarla qui
Val la pena di seguirla solo per i meme di Ebs (i meme di Ebs > qualsiasi altra cosa)
Ci sentiamo presto (prestissimo, se seguite la pagina sopra)
Fe_
  
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