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Autore: alga francoise14    24/11/2019    10 recensioni
Perché ogni anima, anche la più nobile, nasconde un lato oscuro...
Genere: Avventura, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Victor Clemente Girodelle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Acque Nere

Le acque nere della Senna iniziavano a riflettere il tenue chiarore dell’aurora, quando in sella al suo baio Victor de Girodelle raggiunse finalmente il porto di Bercy[1]. Benché l’oscurità avvolgesse ancora buona parte della Rive Droite, guidato dalla luce tremula dei radi lampioni sfuggiti alle mire degli ubriaconi[2] e dal vociare concitato dei mozzi intenti a scaricare le merci sul molo, l’ufficiale riuscì a individuare agevolmente la sagoma della grande chiatta ormeggiata a riva.
Celando la tensione, con una noncuranza che era ben lungi dal provare si avvicinò al pontile d’approdo, luogo concordato per l’incontro, tentando di confondersi tra i primi mercanti, per lo più vinai, che iniziavano ad assieparsi in cerca del buon affare. Tuttavia, mentre fingeva di osservare con interesse le grandi botti stipate sui barrocci, non poté fare a meno di alzare il bavero del mantello e calcare il cappello sulla testa. Per meglio confondersi tra coloro che affollavano il molo aveva ovviamente escluso di indossare la divisa e, dopo aver scelto un modesto e anonimo completo scuro, aveva quindi legato la lunga capigliatura; tuttavia la prudenza non era mai troppa e il rischio che un dettaglio potesse attirare l’attenzione e compromettere gli sforzi degli ultimi giorni, andava minimizzato. 
Infatti, pur ricorrendo alla fitta rete di spie di cui talvolta lui e Oscar si erano avvalsi ai tempi degli intrighi della Du Barry[3] non era stato affatto facile raccogliere informazioni, tanto più che i brutti ceffi di cui Grammont si era avvalso per liberare André e che, a quanto pareva, negli ultimi tempi facevano la spola tra Bercy e La Rapée offrendosi come uomini di fatica per sbarcare il lunario, si erano rivelati tanto diffidenti quanto parchi di parole. Trovare quel tale disposto a parlare era stato pertanto un vero colpo di fortuna, ed ora finalmente era a un passo dalla meta... una meta però dal sapore amaro, si ritrovò a pensare, perché rappresentata da quella verità che da tempo aveva intuito ma non cercato, svuotato com'era dallo sforzo che gli era costato aiutare colei che amava a sparire per sempre dalla sua vita, e che suo malgrado aveva  finito col renderlo apatico verso il resto del mondo, compreso il destino di una giovane innocente.
Sì, aveva sbagliato, avrebbe dovuto seguire il suo intuito, riscuotersi e agire prima e non dopo aver incontrato su quel dannato ponte  lo sguardo vacuo di Aurore de Grammont.
Victor non avrebbe mai dimenticato il giorno successivo al suo rientro da Villebone. Quella notte, come da copione, si era recato immediatamente a Versailles, in modo da essere nel suo ufficio alle prime luci dell'alba. Nessuno aveva notato il suo allontanamento – aveva opportunamente congedato il piantone di guardia alle sue stanze, per potersi muovere in libertà – e così  quando, poche ore dopo, un furibondo  Generale Jarjayes si era precipitato da lui per chiedere conto della liberazione di André e della sparizione di sua figlia, simulando una viva sorpresa aveva respinto con sdegno ogni accusa, sostenendo di aver trascorso la notte nella reggia e sfidando l'anziano gentiluomo a interrogare i suoi sottoposti, se pensava che mentisse.
Nessuna minaccia, nessun insulto di Augustin de Jarjayes avevano scalfito la sua gelida fermezza.
"Non finisce qui!" aveva ringhiato alfine il Generale, sconfitto ma non domo,  prima di uscire sbattendo rumorosamente la porta.
Soltanto allora Victor aveva tirato un sospiro di sollievo, ma il malumore lasciatogli da quel duro confronto, sommato alla tristezza che si portava dentro e all’apprensione per le sorti di Oscar, lo aveva accompagnato per tutta la giornata fino a diventare insopportabile, inducendolo a lasciare anzitempo la reggia nel tentativo di placare con una cavalcata le inquietudini del cuore. Così, dopo aver delegato i suoi compiti all'ufficiale, fresco di nomina, che ricopriva il suo antico ruolo, varcati i cancelli della reggia si era lanciato al galoppo lungo la via, rallentando l’andatura del cavallo soltanto alla vista dei tetti di Parigi.
Per un attimo aveva ponderato di tornare indietro, il sole iniziava a tramontare, ma poi improvviso, fra i tanti pensieri che avevano  accompagnato la sua cavalcata, gli era venuto alla mente il celebre detto di Eraclito, “Panta Rei”, e con esso l'idea  che nella vita tutto scorre come l'acqua di un fiume e che anche quel dolore che provava in fondo al petto prima o poi sarebbe passato. Un po’ rinfrancato da quella considerazione aveva dunque deciso di proseguire lungo la Senna, ritenendo che la compagnia di quello scorrere incessante potesse in qualche modo giovare al suo animo ferito, aiutarlo a lasciar andare la malinconia e a rinascere a nuovi e più fausti pensieri. Si era così trovato nei pressi di Pont Neuf.
Era stato in quel momento che l’aveva vista. Su uno dei balcons che si affacciavano sul fiume, c’era una donna; del tutto indifferente al viavai delle carrozze alle sue spalle, continuava a fissare le acque sottostanti, stringendo convulsamente l’allacciatura dell’elegante cappa grigia che aveva indosso.
Era sola, e già questo era strano, visto che dagli abiti non poteva certo essere una popolana; il suo atteggiamento poi, il modo in cui fissava il fiume, la sua immobilità e allo stesso tempo la tensione emotiva che emanava l'intera sua figura, aveva qualcosa di preoccupante. Senza pensarci due volte, Victor si era diretto verso di lei… appena in tempo per vederla posare i palmi sul parapetto e sporgersi pericolosamente. Solo per miracolo era riuscito a smontare da cavallo e ad afferrarla, un attimo prima che si lasciasse cadere giù.
“Che cosa volete? Lasciatemi, lasciatemi vi dico!” aveva gridato la sconosciuta, cercando di divincolarsi.
Al suono della sua voce, il Visconte aveva sgranato gli occhi, incredulo, lasciandola di colpo.
 “Madame de Grammont… ma… ma cosa…”
Con un’espressione altrettanto attonita, Aurore de Grammont si era  voltata indietro… e Victor era impallidito.
“Dio mio… che cosa vi è successo?”
Per tutta risposta, la giovane aveva abbassato la fronte balbettando incoerentemente qualcosa.  
“Cosa vi è accaduto, Aurore? Chi vi ha fatto questo?” aveva insistito lui, sollevandole con delicatezza il mento e guardando inorridito l’ampio livido bluastro sotto lo zigomo della fanciulla. “Vi hanno aggredito? Qualcuno vi ha fatto del male? Vi prego, parlate!”
“No… non mi ha aggredito nessuno… è stato un incidente… solo un incidente!” aveva detto lei, sottraendosi alla sua presa “È stato solo un incidente…” aveva quindi ripetuto tirandosi sulla testa il cappuccio foderato di seta cremisi che la faceva apparire ancora più pallida.
“Un incidente piuttosto grave se stavate per gettarvi nella Senna…” l’aveva incalzata cupo il gentiluomo.
Sopraffatta, Aurore de Grammont si era nascosta il viso tra le mani e si era accasciata sulle ginocchia, mentre la gonna si gonfiava attorno a lei in una nuvola di seta.
 “Io… io volevo soltanto un po’ di pace” aveva sussurrato, mentre un singhiozzo le saliva alla gola.
 Victor si era chinato davanti a lei e le aveva sfiorato una spalla in un gesto di conforto.
“Pace?” aveva ripetuto guardandola confuso , lei aveva scosso la testa.“Aurore, vi prego... Fatemi capire... spiegatemi… che cosa vi è accaduto per indurvi a desiderare un tale terribile oblio, che motivo avete per…” Si era interrotto bruscamente, le parole gli erano morte sulle labbra trafitte dal lampo improvviso della consapevolezza “È stato lui...”aveva pronunciato tra rabbia e sconcerto... “È stato lui... È stato vostro marito!”
Colpita da quella  rivelazione, Aurore aveva spalancato gli occhi e mentre con le ciglia ancora imperlate di lacrime e le labbra rosee leggermente tremanti lo guardava sgomenta, si era rialzata scuotendo lentamente il capo in un silenzioso diniego.
“No... non è vero, non è stato Jean…” aveva mormorato fissandolo come un angelo dagli occhi tristi.
Victor, paralizzato dalla vista di tanta pena e dal peso delle sue stesse parole, era rimasto immobile nel punto dov'era seguendola con lo sguardo e trovando nel suo volto e nella voce flebile con cui si era affrettata a negare, la conferma alla sua intuizione. Si era quindi rialzato e facendosi vicino alla fanciulla aveva mormorato con dolcezza il suo nome.
“Aurore...”
La ragazza si era voltata, lui le aveva messo le mani sulle spalle che avevano tremato scosse da un singhiozzo trattenuto; delicatamente l'aveva costretta a tornare a guardarlo.
“Non è stato lui, non è stato Jean” aveva nuovamente ripetuto con voce lamentosa.
Victor aveva scosso la testa.
“Quei lividi sul polso, le vostre parole di quella sera… “aveva detto con gli occhi verdi incupiti di costernazione “Adesso è tutto chiaro… Ah, perdio, se solo lo avessi tra le mani…” era esploso infine, incapace di trattenere il disprezzo. Tuttavia quelle ultime parole avevano causato una reazione inaspettata nella ragazza, che d'improvviso si era scossa e liberandosi dalle sue mani che ancora le tenevano le spalle, gli aveva gridato:
“No!Voi non capite! Lui l'ha fatto a ragione! È colpa mia...Sono io che... che...l'ho costretto, è stato il mio atteggiamento... Mio marito mi vuole bene, mi ama… e comunque questa storia non vi riguarda affatto, Colonnello Girodelle! Voi non sapete niente di com'è lui! Non capite!Non potete capire… nessuno può capire!”
Victor l’aveva fissata incredulo.
 “Che cosa c’è da capire, Madame Aurore? Un uomo del genere non sa cosa sia l'amore! Un uomo che picchia una donna non è un uomo, è un vigliacco!” aveva ribattuto, accalorandosi ulteriormente “Dannazione, quale marito amorevole, quale uomo d’onore farebbe questo alla donna che ha giurato di rispettare e proteggere davanti a Dio?”
Sentirsi dire apertamente quella verità che tante volte aveva negato a se stessa e che tuttavia aveva finito col portarla su quel ponte in preda alla più cupa disperazione, l'aveva definitivamente svuotata delle ultime forze che le erano rimaste. Aurore si era sentita fragile e impotente come una foglia alla mercé del vento, stanca, come non lo era mai stata in vita sua.
“Vi prego, Colonnello… voglio solo andare a casa” aveva mormorato disperata a voce bassa, ma per quanto quelle parole fossero state un sussurro quasi  impercettibile, nella loro cupezza erano echeggiate alle orecchie di Victor come un grido di disperazione, che lo aveva disarmato facendolo ammutolire e perdere d’un tratto tutta la sua foga.
“Come volete, madame de Grammont” aveva capitolato  con un sospiro “Permettetemi però di accompagnarvi” si era quindi offerto porgendole la mano affinché vi si potesse appoggiare. Tuttavia Aurore aveva esitato e lo aveva fatto per un momento tanto lungo che egli aveva temuto che rifiutasse. “Vi prometto che non tornerò più sull’argomento di poc’anzi, a meno che non siate voi a farne parola per prima” si era pertanto affrettato ad aggiungere.
Posando silenziosamente la piccola mano guantata su quella di lui, Aurore aveva accettato. Rinfrancato, il Visconte l’aveva fatta salire sul suo cavallo e, montato a sua volta in sella dietro di lei, aveva imboccato Quai de la Ferrille[4] in direzione di  Place Royale. La distanza non era molta, ma ben presto, sfinita, la ragazza si era addormentata tra le sue braccia e lui aveva volutamente rallentato il passo, cercando di raccogliere le idee per poter liberare la giovane da quell’essere indegno che aveva avuto la sfortuna di sposare.
Ormai non c’era alcun dubbio, aveva concluso tra sé il gentiluomo, Jean de Grammont non era chi voleva far credere di essere. Era un violento e uno spregiudicato, che celava dietro i modi affabili e in apparenza schietti, un uomo ambiguo e brutale, capace di muoversi con disinvoltura nei salotti dell’alta società come nei bassifondi… e i pendagli da forca che avevano liberato André e manifestato un’obbedienza sospettosamente familiare nei suoi confronti, ne erano la dimostrazione.
Chi erano veramente quegli uomini? Perché mai a Grammont quasi bastava un cenno perché l’intendessero, che legame potevano avere con lui?  
Era iniziato tutto così: Victor si era sentito in dovere di dare una risposta a quelle domande e non perché credesse che Oscar fosse in pericolo, dal momento che ormai era lontana, né perché gli importasse di chi il Generale avesse deciso di mettersi in casa, ma perché, semplicemente, non avrebbe avuto il coraggio di guardarsi allo specchio se avesse lasciato Aurore de Grammont tra le mani del suo aguzzino.
Doveva aiutarla...ma come?
Purtroppo, seppure Aurore avesse trovato il coraggio di denunciare il marito superando il timore del biasimo sociale, anche dimostrando le violenze da lei subite, difficilmente avrebbe ottenuto qualcosa in più che la redazione di un patto di rappacificazione: persino all’interno dei tribunali vigeva la convinzione che lo schiaffo di un marito, per il suo naturale potere correzionale quale capo della famiglia, si rendesse talvolta necessario, e nessun giudice si sarebbe intromesso nell’intimità del legame coniugale. Nella migliore delle ipotesi avrebbe probabilmente consigliato un periodo di separazione. Ovviamente nulla di tutto questo avrebbe liberato Aurore dal suo legame malato, né tanto meno avrebbe toccato in alcun modo Jean de Grammont, che come prassi avrebbe giustificato il suo comportamento adducendo a scusa la petulanza della moglie e l’esercizio del suo diritto[5].
Tuttavia, se fosse riuscito a smascherare Grammont… se avesse trovato quegli scheletri che era convinto nascondesse, Aurore con il supporto di suo zio, il signore di Bellecombe [6], non avrebbe avuto difficoltà a ottenere l’annullamento del matrimonio  e magari quest’ultimo, grazie alla sua influenza, sarebbe riuscito anche a sbattere quel maledetto in una cella, con buona rassegnazione del Generale Jarjayes.
Quel pensiero lo aveva in parte rincuorato. Quando aveva fermato il cavallo davanti all’elegante palazzo in Place Royale, benché ancora frastornata, Aurore aveva finalmente riaperto gli occhi e lui l’aveva aiutata a scendere per consegnarla alle cure della servitù, con la speranza che l’assenza di Jean – l’uomo non sarebbe tornato da Orléans[7] prima di qualche giorno – le potesse dare il tempo di riprendersi nel corpo e nello spirito. Per giustificarne lo stato miserevole, all’anziano valletto che gli aveva aperto, aveva raccontato di una vile aggressione che lui, passando per caso, era riuscito fortunosamente a sventare; una menzogna approssimativa e inutile, dal momento che il fugace sguardo di compassione che Monsieur Duvalle aveva rivolto al volto tumefatto della padrona e il distacco con cui aveva accolto la spiegazione dell’accaduto, gli avevano suggerito che l’uomo conoscesse la vera origine di quei segni e il motivo che aveva portato la sua signora a girare da sola per le strade di Parigi. Con ogni probabilità, le angherie subite dalla Contessa non erano un mistero tra quelle mura… eppure, come spesso accade, nessuno era intervenuto per impedirle.
In un moto di rabbia, Victor strinse con forza le redini tra le mani fino a sentire il cuoio sferzargli la pelle nonostante la protezione dei guanti. Ogni volta, il ricordo del senso d’impotenza e frustrazione  provato quella sera gli faceva ribollire il sangue… forse perché, nei giorni successivi, quella medesima sensazione non  lo aveva mai abbandonato.
All’inizio, infatti, non era stato facile partire con le indagini e aveva disperato di riuscire nel suo intento di screditare Jean. L’unico appiglio alla sua ipotesi, che il Conte avesse una doppia vita, erano i tirapiedi di cui si era avvalso per l’evasione di André. Di certo erano forestieri, alcuni non parlavano neppure il Francese… ma quanti individui del genere potevano popolare la Capitale passando inosservati? Era come cercare un ago in un pagliaio… Poi, però, si era ricordato di un particolare che, durante la notte della fuga, non aveva potuto far a meno di notare, pur non dandogli al momento eccessiva importanza: uno di quei brutti ceffi aveva un grande squalo tatuato sul dorso della mano. Un simbolo insolito, forse riconducibile al mare… d’altronde, Grammont era stato capitano di un mercantile e quegli uomini  potevano far parte della sua antica ciurma.
Le ricerche dei suoi informatori erano dunque partite dagli ambienti portuali della Senna, portando alla scoperta che, in effetti, negli ultimi tempi erano arrivati da Le Havre alcuni marinai che attendevano  di reimbarcarsi. Gente per lo più rissosa, seppur votata alla fatica, di cui si sapeva ben poco e della quale molti avevano paura; forse proprio per tale motivo non era emerso altro sul misterioso equipaggio… fino al giorno prima.
 
“Buongiorno, monsieur Florian[8]!”
Colto di sorpresa nel sentirsi chiamare con il suo secondo nome, il Colonnello Girodelle si riscosse dalle sue fosche considerazioni e si voltò indietro, rivolgendo un’occhiata perplessa all’uomo basso e corpulento, vestito elegantemente, che lo aveva appena salutato con tanta confidenza. Non c’era ancora luce a sufficienza per vederlo bene in volto o definirne l’età, e una folta barba scura ne celava i lineamenti, ma quando quello distese le labbra sottili in un ghigno sghembo rivelando i grandi denti radi, il volto del gentiluomo si schiuse in un sorriso.
“Monsieur Richard, finalmente!” esclamò allora con tono cordiale, scendendo da cavallo “Avete buone notizie per me?”
“Buona come le dieci botti di Romanée[9]  che ho fatto scaricare poc’anzi” rispose l’uomo stringendogli con calore la mano “D’altronde, non sono il vostro miglior fornitore? Vedrete come saranno soddisfatti i vostri clienti altolocati, monsieur Florian…”aggiunse ammiccando.
Victor non poté fare a meno di sorridere ancora. Richard Dacourt era da anni al suo servizio come informatore e si era dimostrato in più di un’occasione abile e fidato; evidentemente doveva avere buone ragioni per ricorrere a quella pantomima e l’unica cosa che poteva fare era assecondarlo stando al suo gioco.
“Forse lo saranno un po’ meno le mie tasche, stamane, se la cifra resterà quella pattuita…” ironizzò pertanto con prontezza.
“Purtroppo non posso scendere di prezzo, monsieur, il vino è costato anche a me un occhio della testa…  non è stato affatto facile trattare con gli intermediari del principe Conti. Ad ogni modo, se non siete convinto dell’acquisto, potete sempre tirarvi indietro...”
“Non è mia intenzione mancare alla parola data, ma converrete che prima di sborsare una cifra così importante, sia lecito chiedermi se il vostro prezioso vino valga effettivamente tutto l’oro che mi avete chiesto…”
“Ne vale ogni singolo luigi, monsieur… “ replicò Dacourt con aria fintamente offesa “Se è solo questo il problema, sarò ben lieto di porre fine ai vostri dubbi offrendovene un calice”.
“Trovo che sia una soluzione ragionevole. Dov’è dunque questo nettare degli dei?” domandò con leggerezza il Colonnello.
“Se volete seguirmi… il magazzino dove sono state stipate momentaneamente le botti non è molto lontano da qui” rispose l’uomo con uno sguardo eloquente.
“Con vero piacere” annuì Victor.
Ciondolando sulle corte gambe fasciate di velluto, seguito dal suo padrone, Richard Dacourt s’incamminò  lungo il molo, facendosi largo tra i carri e i capannelli di mercanti. In prossimità di una piccola costruzione a un piano, presumibilmente usata come magazzino, svoltò quindi a destra, lasciando la banchina e addentrandosi in una via stretta e ancora avvolta dall’oscurità, delimitata da alcuni palazzi in muratura.
“Ottimo travestimento, Richard… addirittura la barba! Per un momento siete riuscito a ingannare persino me” si complimentò a quel punto Victor, affiancandolo. Per tutta risposta, però, l’uomo gli fece cenno con l’indice di tacere.
“Non siamo ancora lontani da orecchie indiscrete, monsieur… comunque complimenti anche a voi per avermi retto il gioco con disinvoltura nonostante il cambio di programma. Mi dispiace di non avervi potuto avvertire prima, ma…”
“Immagino che abbiate avuto validi motivi” tagliò corto Victor.
“In effetti sì, come avrò modo di spiegarvi… d’altronde, la prudenza non è mai troppa” chiosò serio Dacourt, fermandosi davanti a  una piccola porta di legno posta appena sotto il livello della strada. Senza aggiungere altro, scese i tre gradini che conducevano alla soglia ed estrasse una chiave che si affrettò a infilare nella toppa; dopo essersi guardato intorno, aprì infine la porta con uno strattone “Prego, Colonnello… entrate pure”.
Victor accolse l’invito accedendo per primo nella stanza. Era una cantina umida e buia, rischiarata appena dalla finestrella che si affacciava sulla via soprastante e dalla tremula luce di alcune candele; al centro, dietro a un tavolaccio di legno, sedeva un bel giovane di circa quindici o sedici anni, dal volto pallido e affilato, che si alzò immediatamente all’ingresso dei due uomini.
Victor non riuscì a trattenere un moto di stupore.
“Sarebbe questo il nostro uomo, Richard?”
“Sì colonnello” confermò  Dacourt, impegnato a sprangare l’uscio dopo averlo richiuso a chiave.
“Ma è soltanto un ragazzo!” esclamò contrariato il gentiluomo.
“Sarò anche un ragazzo, ma credo che troverete molto interessante ciò che ho da riferirvi, monsieur” ribatté con fierezza il giovinetto e i suoi grandi occhi scuri, neri come i lunghi capelli che gli ricadevano ribelli sulle spalle esili, si accesero di sdegno.
“Davvero?” domandò il Visconte, squadrandolo senza molta convinzione.
“Vi assicuro che è così, colonnello” intervenne Dacourt “Quando ieri vi ho mandato quel biglietto  per fissare il nostro incontro di stamane, nel timore che cadesse in mani sbagliate non ho potuto spiegarvi molto… ma vi garantisco che una volta ascoltato il racconto di Marcel sarete della stessa opinione”.
“Sono curioso allora di udire questo racconto. Orsù, tornate a sedere e parlate, ragazzo, vi ascolto” ribatté Victor, trascinando uno sgabello sgangherato dall’altra parte del tavolo e sedendosi davanti al giovane “Vi chiamate dunque Marcel?” domandò scrutandolo attentamente
“Il mio nome è Marcel Philippe La Ville e sono il figlio del capitano Dominique Marie La Ville, comandante della Fortune” rispose con orgoglio il ragazzo, restando in piedi nonostante l’invito a sedersi.
La Fortune?” ripeté Victor tamburellando impaziente le dita sul tavolo.
“Una nave mercantile che faceva la spola tra Saint Domingue e Bordeaux, colonnello” gli spiegò Richard  “Non so se ne avete mai sentito parlare… durante la guerra d’Indipendenza americana è stata anche impiegata per portare rifornimenti ai nostri soldati”.
“No, mai udito questo nome. Passiamo oltre… C’entra qualcosa con i nostri uomini?”
“Oh sì, e più di quanto possiate immaginare, signore!” esclamò con enfasi Marcel “Gli uomini che, a  detta di Monsieur Richard, vi interessano tanto, due anni orsono assaltarono la nave di mio padre per depredarla!”
Lo sguardo di Victor si fece sottile.
“Si tratta di un’accusa molto grave, Marcel…  siete certo che…” obiettò scettico.
“Come è certa la morte, signore! Io ero lì… e non potrò mai dimenticare i loro volti né quello del maledetto bastardo che li guidava!” asserì il ragazzo, stringendo i pugni con rabbia.
 “Dunque avete visto il loro capo in faccia?” chiese attento il gentiluomo.
“Non solo l’ho visto… ho udito anche il suo nome”.
Sempre più interessato, poggiando le mani sul tavolo Victor si protese verso il giovane.
“Ebbene?”
“È un nome che non dimenticherò mai… sono state le ultime parole che mio padre ha pronunciato prima di essere ucciso” sibilò Marcel, il volto trasfigurato in una maschera d’odio.
Victor impietrì. Possibile che…
“Come si chiamava quell’uomo, Marcel? Qual è il nome dell’assassino di vostro padre?” lo incalzò inquieto.
Grammont, signore. Quel bastardo si chiamava Grammont”.  
Grammont? Il Conte Jean de Grammont?!” ripeté esterrefatto, alzandosi di scatto in piedi e facendo cadere il suo sgabello a terra “Ne siete sicuro?”
“Come del fatto che mi chiamo Marcel, signore. Mio padre doveva conoscerlo ed è rimasto di stucco quando lo ha visto saltare sulla tolda con la spada in mano. Io ero poco lontano da loro e ho sentito bene le sue parole… Che diamine state facendo, conte de Grammont, gli ha urlato abbassando la lama, come se non volesse incrociarla con la sua… ma quel vigliacco… non ha esitato un solo istante… e lo ha trafitto al petto senza pietà” gli raccontò Marcel, asciugandosi gli occhi improvvisamente  umidi di pianto “Poi si è chinato su di lui e prima di finirlo gli ha detto qualcosa…  purtroppo non sono riuscito a sentirli”.
“Sapreste descrivermi questo Grammont?” domandò, ancora incredulo, il Visconte.
Lo sguardo del giovane si fece di ghiaccio.
 “Alto, capelli lunghi e biondi, occhi chiari” rammentò lucidamente “Il suo volto si direbbe quello di un angelo… ma un angelo dal cuore nero”.
“Dio mio, è lui… senza ombra di dubbio…” mormorò sconvolto Girodelle, passandosi una mano fra i capelli. “Dunque Jean de Grammont sarebbe… un pirata?”
“Sì, pirata è il termine giusto, monsieur” confermò Marcel “La nave che ci ha assaltato batteva bandiera francese, ma poi, quando ha iniziato ad avvicinarsi, un attimo prima che puntassero i cannoni contro di noi, il vessillo di re Luigi è stato ammainato e al suo posto è stata issata una bandiera nera con un grande squalo bianco al centro”.
Era lo stesso simbolo tatuato sull’uomo di Jean, pensò rapidamente Victor… i nodi stavano finalmente  venendo al pettine.
“A Saint-Domingue si dice che quello squalo sia il simbolo de Le Requin, forse il più feroce e sanguinario degli ultimi filibustieri” continuava nel frattempo Marcel “Chiunque si sia imbattuto in lui o nella sua ciurma, non ha mai potuto raccontarlo: quei pochi che hanno descritto la sua imbarcazione e le sue insegne, sono sempre fuggiti prima dello scontro, nessuno che lo abbia visto in faccia è mai sopravvissuto. Nessuno… tranne me”.
“E come è accaduto che voi siete sopravvissuto?”  chiese a bruciapelo il gentiluomo.
Un intenso rossore imporporò le guance del giovane Marcel.
 “Be’, quando ho visto mio padre morire… io… io ho avuto paura di finire come lui. Ho provato ad allontanarmi senza farmi vedere ma... indietreggiando sono inciampato in una cima e in quel momento Grammont si è accorto di me. Deve avermi considerato troppo innocuo per perdere tempo ad uccidermi e così ha gridato a uno dei suoi tirapiedi di prendermi… ma io sono riuscito a scappare e a nascondermi nella stiva. Sono riuscito a gettarmi in mare da un boccaporto poco prima che  la nave affondasse… ero in mare da due giorni,quando un mercantile olandese diretto a Port-au- Prince mi ha recuperato aggrappato ad una tavola di legno”.
“Sei stato fortunato, ragazzo…”
“Già... Il resto dell'equipaggio, i pochi che ancora erano sopravvissuti allo scontro con i pirati, vennero radunati sul ponte e uccisi uno per volta, prima che quelle canaglie se ne andassero con il bottino. Io li ho sentiti, signore… ho udito le loro grida, le implorazioni di pietà… poi il silenzio. E io… io non ho fatto niente per impedirlo!” proruppe il ragazzo, soffocando a stento un singulto.
Victor gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla.
“Non dovete farvene una colpa, Marcel, sarebbe stato impossibile per chiunque fronteggiare da solo una ciurma di pirati, e voi eravate poco più di un bambino…” osservò addolcendo la voce.  
“Avevo tredici anni, non ero più un bambino… e sarei dovuto morire anch’io con loro!”ribatté Marcel scuotendo con forza la testa.
“Vostro padre non lo avrebbe mai voluto”.
“Mio padre avrebbe voluto vedermi combattere con onore per vendicare la sua morte! E per Dio, giuro che è quello che farò!”
“Certo! Se prima non ti farai ammazzare, ragazzino!” s’intromise  Dacourt  con tono severo “Ti ricordo che se non fosse stato per me, ieri avresti fatto una brutta fine!”
“Di che cosa state parlando, Dacourt?” domandò perplesso il Visconte.
“Stavo seguendo uno di quei nostri amici, ma non ero il solo a farlo… vedete Colonnello, c’era anche questo soldo di cacio. Peccato però che si sia fatto scoprire e che quell’uomo lo abbia pure riconosciuto” rispose Dacourt “C’è mancato poco che non gli tagliasse la gola…”
“Sì, era lo stesso uomo che mi aveva inseguito sulla nave…”
“Posso immaginare i motivi che vi avevano messo sulle tracce dell'assassino di vostro padre e dei suoi uomini, quello che non riesco a capire è perché abbiate deciso di cercare vendetta da solo e non denunciare la vera identità de Le Requin, lasciando che ci pensassero le autorità ad arrestare l'inconsapevole Grammont al momento opportuno” obiettò Victor.
"Grammont era un membro onorato della nobiltà con amicizie influenti, e se nessuno avesse creduto al mio racconto avrebbe  facilmente potuto finire ciò che aveva iniziato. Due anni  fa ero uno sciocco ragazzino impaurito e vivevo nel terrore che qualcuno della sua ciurma mi riconoscesse, fu per questo che decisi di tornare in Francia con la prima nave disponibile… ma  quel ragazzino non esiste più, oramai sono un uomo e già da qualche mese meditavo di tornare a Saint-Domingue per farmi giustizia da solo… Potete dunque  immaginare la mia faccia quando ho visto quell’avanzo di galera sul molo di Bercy!”
“Un uomo... “ sorrise Victor “Un uomo che stava per farsi ammazzare...”
“È stata solo sfortuna...” ribatté Marcel piccato
“Sì, certo... Ma ditemi, che ne è stato di quel tizio?” domandò Victor rivolgendosi  a Richard “Non l'avrete mica ucciso?” 
“State tranquillo, colonnello,  l’ho solo... spedito al Creatore! ” rispose quell'ultimo con un sorriso sghembo
“Ottimo. Il fatto che avesse riconosciuto Marcel sarebbe stato un problema, la cosa sarebbe certamente giunta a Grammont, che di conseguenza avrebbe alzato la guardia, oltre a fare di tutto per trovare il ragazzo che, a quanto pare, è l'unico ad essere riuscito a  sfuggire alla sua follia omicida”.
“A dire il vero sono l'unico ad averlo visto in faccia, ma non l'unico ad essergli sfuggito” replicò Marcel “Quest’onore lo divido con  la nipote del governatore…”
Il cuore di Victor mancò un battito.
“Avete detto la nipote del governatore?”
“Sì, Aurore de Bellecombe. Era in viaggio con noi per raggiungere suo zio, mio padre fece calare una scialuppa in mare per metterla al sicuro quando capì con chi avevamo a che fare, poco prima che ci arrembassero... Non so cosa sia stato di lei a dire il vero, ma spero che si sia salvata, era una ragazza simpatica oltre che molto bella... Ma perché vi interessa tanto?” domandò confuso il ragazzo.
Victor non rispose, mentre la sua mente tornava al racconto dell'eroico salvataggio di Aurore ad opera di Jean de Grammont, ascoltato mesi prima dal Generale Jarjayes durante la festa per Sainte Catherine. Quell'uomo era un autentico  maestro degli inganni. Uno spregiudicato millantatore  capace di trasformare un misfatto in un atto di valore, a questo punto era lecito domandarsi se davvero fosse figlio del Generale, sebbene la cosa cambiasse poco, dal momento che al di là dei suoi natali era un criminale e un assassino. Ancora una volta sentì una rabbia sorda crescergli nel petto.
“Dannazione, lo sapevo che c’era qualcosa di strano in quella storia!” ruggì, sbattendo il pugno sul tavolo “Erano tutte fandonie, maledetto! L’ha ingannata, ha ingannato tutti noi!”
“Colonnello, vi prego… calmatevi… potrebbero udirci da fuori” intervenne Dacourt, allarmato per quella reazione così scomposta.
“Sì, avete ragione… perdonatemi” ammise Victor, cercando di recuperare la calma e allentando i lacci del mantello che mai, come in quel momento, gli sembrava che stringessero la gola. Doveva rimanere lucido, si disse… per quanto sconvolgente, quella era la verità che cercava e che avrebbe liberato Aurore.
“Marcel… sareste disposto a ripetere il vostro racconto davanti a Bellecombe o a un magistrato?”
“Senza dubbio, monsieur… ma sarebbe sempre la parola di un mozzo contro quella di un gentiluomo, in assenza di prove…”
Lo sguardo del Colonnello si assottigliò.
“Oh, io penso invece che Bellecombe vi crederà, Marcel… datemi solo il tempo di ragionare sul da farsi e vi prometto che  avrete la vostra vendetta…”
 
 
 
  
 
 
 
 
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[1] In quelli che erano i limiti della città, questo odierno quartiere del XII arrondissement era il più importante porto fluviale parigino per quanto riguardava il commercio del vino; era qui infatti che arrivavano e venivano stoccate le botti provenienti per lo più dalla Borgogna (fonte wikipedia e altri siti web).

[2] L'illuminazione urbana a Parigi nasce nel tardo 600 con lanterne delle quali in ogni strada la polizia fissava posizione e misure. Per tutto il XVII e XVIII secolo l’illuminazione stradale mantenne lo scopo principale di garantire l’ordine pubblico, e per questo, se da un lato il monopolio statale della luce veniva apprezzato perché prometteva sicurezza, dall’altro, in quanto istituzione di polizia attirava su di sé tutte le antipatie che tradizionalmente erano rivolte a quest’ultima. Non stupisce, quindi, che le lanterne delle strade di Parigi abbiano sin dall’inizio istigato all’aggressività gli ubriaconi e i nottambuli che le prendevano di mira con i loro bastoni e, più tardi, tagliavano le corde che le sorreggevano. Veniva così spento, simbolicamente, il potere che le lanterne rappresentavano: l’oscurità che subentrava era un frammento di disordine e di libertà. Ogni gesto distruttivo era un atto di ribellione contro l’ordine pubblico e, come tale, veniva punito. A Parigi veniva considerato un crimine, mentre a Londra, dove le lanterne non erano simboli di potere assoluto, ci si limitava a pene pecuniarie  (“Origine dell’illuminazione pubblica in alcune città europee” di Gian Luca Lapini).

[3] Riferimento alla puntata n. 7 dell’anime, “Una notte a Parigi”, quando Victor scopre il piano della favorita per screditare Maria Antonietta tramite una falsa lettera indirizzata al conte di Fersen.
 
[4] Oggi Quai de la Méssiggerie, è la via che correva lungo la Senna, chiamata all’epoca Quai de la Ferrille o Quai de la Ferronerie  a causa dei mercanti che spargevano i rottami lungo i muri di sostegno (fonte Wikipedia francese).
 
[5]Ragionamento che facciamo fare a Victor sulla base di ciò che abbiamo letto sull’argomento, in riferimento ovviamente al XVIII secolo.

[6] Amico di vecchia data del Generale ed ex governatore di Saint Domingue, che abbiamo incontrato nel cap 10, “Sainte- Catherine”.
 
[7] Nota necessaria visto che sono passati due mesi dal precedente capitolo: secondo il piano di Jean, lui e i suoi “compari” avrebbero accompagnato Oscar e André fino a Orléans, che non era propriamente dietro l’angolo!
 
[8] Questo è il nome inspiegabilmente usato dalla Ikeda nel Gaiden dedicato a Girodelle, forse per distaccarsi ulteriormente dall’odiato anime!
 
[9] Pregiato vino di Borgogna, proveniente dall’omonima vigna allora appartenente ai principi Conti dopo una lunga diatriba con Madame de Pompadour.
   
 
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