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Autore: paige95    25/11/2019    3 recensioni
Un amore travagliato quello tra Rose Weasley e Scorpius Malfoy. Le loro due famiglie, come i Capuleti e i Montecchi (per citare una famosa opera di Shakespeare), non accetteranno il repentino avvicinamento tra i due giovani.
Ma chissà se qualcosa prima o poi possa far cambiare loro idea ... senza arrivare al famoso tragico epilogo.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Ron Weasley, Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Draco/Astoria, Harry/Ginny, Ron/Hermione, Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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Déjà vu

 

Ron ed Hermione, alla notizia della partenza della figlia e del genero, dovettero sedersi, quell’ennesimo e repentino cambio di programma li sconvolse. Rose era un’adolescente agli esordi della sua vita, ma loro iniziavano a non essere più i suoi giovani genitori e avevano perso la vitalità di quell’età. Il rischio di un mancamento fu piuttosto concreto, immaginare quei due ragazzi soli a gestire i gemelli non fu facile. Erano stati loro ad obbligare Rose a prendere quella decisione, ma ciò non significava non sperassero fino in ultimo che rifiutasse per restare a Londra. In cuor suo Ron sapeva che sarebbero giunti a quella triste soluzione, non si aspettava però che avrebbero allontanato da loro anche i nipotini. Erano scivolati dalla padella alla brace nel giro di poco. Lanciò uno sguardo allusivo alla moglie, si dovette mordere la lingua per non ricordarle quanto fosse stata rigida con Rose facendo pressione ai ragazzi. Hermione era convinta si volessero lasciare, ciò non l’aveva resa particolarmente entusiasta, anzi era salita una certa tensione tra madre e figlia, ma ora era nuovamente davanti a Rose per un confronto e non sapeva ancora come accogliere quella notizia. Videro il Ministro rattristarsi, tutti i volti dei presenti erano concentrati su di lei, senza un’apparente motivazione, eppure erano in attesa di una sua razionale opinione. Ron attese qualche minuto, ma iniziava seriamente a fargli tenerezza la reazione della moglie, così decise di prendere pacatamente la parola, dando probabilmente voce agli stessi pensieri di Hermione.
«Ragazzi, non è necessario che i bambini vengano con voi. Noi comprendiamo il vostro punto di vista, ma con due neonati è impensabile un soggiorno così lungo ad Hogwarts, per non dire assurdo»
Si sforzò di essere comprensivo, sua figlia aveva in più occasioni sottolineato quanto si sentisse delusa dai suoi genitori e questa opinione, come era normale che fosse, feriva Ron. Non si era mai mosso con destrezza nel suo ruolo di padre, spesso era succube dell’insicurezza. Negli ultimi mesi non aveva fatto altro che scontrarsi con un’adolescente ribelle che voleva a tutti i costi seguire il proprio cuore. A sedici anni lui era stato tutt’altro che determinato a confessare il proprio amore ed anche Hermione non mostrava mai troppo apertamente i suoi sentimenti, almeno non a quell’età, quindi da chi mai poteva aver preso Rose tanta audacia?
«Se per voi va bene, possono stare con noi, così, se Scorpius lo desidera, può tornare anche lui a frequentare le lezioni. Forse non possiamo offrire ai vostri figli gli stessi agi dei tuoi genitori, Scorpius, ma ci prenderemmo cura di loro, infondo abbiamo un po’ di esperienza. Vero, Hermione?»
Si voltò verso di lei in cerca di un appoggio, sua moglie era seduta sul divano del soggiorno accanto a lui, ma, nonostante fosse presente, la sua fu per la maggior parte del tempo una presenza silenziosa. Le parole di suo marito la riscossero dai pensieri. Aveva ascoltato e inteso le parole dei due giovani, Rose e Scorpius non erano alla ricerca di un permesso, li stavano semplicemente informando delle loro intenzioni. Hermione si rese tristemente conto di non avere più voce in capitolo, sua figlia, minorenne o maggiorenne, era sposata e forse non lo aveva ancora del tutto realizzato, almeno fino a quel momento, quando poté toccare con mano la sicurezza con cui decideva di affrontare quel viaggio con la propria famiglia, quella che insieme a Scorpius aveva costruito. La proposta di Ron la lasciò basita, non perché fosse pessima, ma non se la sarebbe mai aspettata da parte sua. Certo che avevano esperienza, ma non l’esperienza di due neonati in un colpo solo ed erano passati molti anni dall’ultima volta che un lattante aveva alloggiato tra quelle mura. Suo marito la fissava in cerca di una conferma, forse convinto di aver detto qualcosa di sbagliato, in quel momento fece fatica ad interpretare lo sguardo dolcemente perplesso di Hermione posato su di lui. Sembrava una di quelle poche occasioni in cui senza volerlo veramente la colpiva al cuore sorprendendola piacevolmente, o almeno quello suggerivano i suoi occhi luminosi e sognanti che erano il segnale di un tuffo nel passato.
«M-ma certo. Severus e Astoria-Jean possono restare con noi. Ragazzi, avete sedici anni, prendete entrambi quel diploma, non ha alcun senso che Scorpius venga fino in Scozia solo per accompagnarti»
Non avevano pensato a nulla di simile quando avevano raggiunto Ron ed Hermione, cogliendo l’occasione di un pomeriggio libero per entrambi. Non c’era alcun motivo per Scorpius di non voler riprendere gli studi, tranne la lontananza dai suoi figli. Aveva sedici anni, ma, a differenza della ragazza che aveva preso in sposa in così giovane età, non aveva mai pensato al suo futuro lavorativo o almeno alla sua possibile realizzazione. I suoi suoceri però lo spronarono a riflettere, infondo non avrebbe fatto nulla di male a diplomarsi, se non fosse che proprio in quell’istante la sua vista cadde sulla culla da passeggio, parcheggiata poco distante da loro, dove due neonati stavano dormendo serenamente. Per loro aveva dato una svolta radicale alla sua vita e non si era mai dato la possibilità di ritornare sui suoi passi.
«Scorpius»
I pensieri e l’attenzione fissa sul respiro lento dei suoi figli non gli avevano consentito di sentire la voce di Rose che lo richiamava. Dal tono che la ragazza aveva impiegato doveva essere la seconda volta che pronunciava il nome del marito.
«Scorpius, mi hai sentita? Ti ho chiesto cosa pensi della proposta di mio padre»
«Non lo so, Rose. Tu sei d’accordo?»
Cercava un confronto con lui, proprio perché ella stessa non sapeva se accettare di buon grado l’aiuto da parte dei suoi genitori. Si era entusiasmata quando aveva pensato di trascinare in Scozia la sua famiglia al completo, il suo cuore desiderava che le fossero accanto, ma non aveva alcun diritto di negargli quella possibilità che senza la presenza dei figli sarebbe stata fattibile. Gli sorrise, i loro bambini sarebbero stati in ottime mani e lei doveva iniziare a dimostrargli amore. Le aveva confessato, anche se in un momento di tensione tra loro, di aver accantonato le sue aspirazioni, era giunto quindi il tempo di perseguirle.
«Mi mancheranno, Scorpius, ma li rivedremo presto, infondo sono in ottime mani»
 
∞∞∞
 
A Rose era mancata la sua divisa di Hogwarts, sentire quella stoffa tra le dita la fece sentire nuovamente a casa, forse perché proprio tra le mura di quella Scuola iniziò tutto. La sua vecchia stanza, dai colori accesi della sua squadra preferita – i Cannoni di Chudley-, si era trasformata, o meglio, suo padre l’aveva riprogettata per poter ospitare i suoi nipotini. Fin da bambina aveva ereditato la grande passione di Ron per il Quidditch, era nata e cresciuta in una famiglia dove aleggiava una notevole aria di tifoseria. Da quando la sua vita venne sconvolta, anche i suoi desideri cambiarono. Volare sulla sua prima scopa all’età di otto anni le aveva infuso tanto entusiasmo – un po’ meno quello di sua madre -, avrebbe giurato all’epoca di voler intraprendere la carriera della zia Ginny ed invece tutto era mutato dall’oggi al domani.
Sfiorò la sua cravatta dai familiari colori, si domandò se ne sarebbe stata ancora all’altezza. Forse no, il suo cuore infondo non era così nobile. Si voltò dalla parte opposta rispetto all’armadio in cerca del suo letto, non era nella stessa posizione, ma conoscendo suo padre non lo aveva rimosso con la speranza che lei fosse un giorno ritornata a casa, erano state sicuramente queste le sue speranze prima del matrimonio. Il suo materasso era morbido, ritrovarsi nuovamente in quella stanza le fece fare un tuffo in un passato non troppo lontano. Ricordava, come fosse passato un solo giorno, quel primo settembre di cinque anni prima, era agitatissima, ma anche entusiasta, non riusciva nemmeno lei a mettere ordine tra le sue emozioni.

 

Come era logico che fosse, anche quella mattina a Casa Granger-Weasley le discussioni non mancarono. Rose si trovava già sulla porta, pronta al suo viaggio attraverso la Metropolvere, ma sua madre era troppo arrabbiata per rimandare quella lite con suo padre e raggiungerla. La ragazza si era accomodata con la schiena contro il muro, erano rimaste solo due ore prima della partenza dell’Hogwarts Express, ma era fiduciosa sul fatto che Hermione non l’avrebbe fatta tardare. Quando le parve che le urla fossero cessate, tentò un timido richiamo.
«Mamma. Papà. Possiamo andare?»
Vide scendere il suo fratellino di nove anni, il quale le lanciò un’occhiata triste, convinto che lei l’avrebbe colta. Solo qualche minuto dopo percorse anche sua madre le scale. Era di fretta, il suo soprabito era ancora slacciato e qualche capello le svolazzava sugli occhi. Ron la seguiva, ma un dettaglio a Rose non sfuggì: suo padre aveva le stringhe delle scarpe slacciate. Temette per lui in quel breve frangente, le avevano sempre insegnato quanto fosse pericoloso correre sulle scale in quelle condizioni. La ragazza tirò un sospiro di sollievo quando superò l’ultimo gradino, sua madre però sembrava non aver ancora terminato la discussione.
«Ti rendi conto del casino che hai combinato?! Tua figlia deve essere tra non molto in stazione e non ha la sua divisa. Mi spieghi perché mi affido a te per le commissioni importanti? Accidenti a me! E allacciati quelle scarpe, mi sembra di dovermi occupare di tre bambini in questa casa!»
Quando Hermione si voltò con uno scatto verso la porta, Ron alzò gli occhi al cielo obbedendole e facendo sorridere sua figlia, che rimase impassibile ad osservare la scena.
«Guarda, Hermione, che non ho fatto apposta. Stavo solo mostrando un innocuo incantesimo a Hugo e accidentalmente la divisa di Rose si trovava sulla traiettoria»
«Un innocuo incantesimo?? Vuoi che apra la parentesi anche su questo?»
Quella lite stava degenerando e l’unica a poterla sedare era Rose. Si allontanò dal muro, afferrò la mano della madre e cercò di attirarla verso la porta.
«Dai, mamma, non fa niente, sono certa che Madame Malkin risolverà tutto in un secondo, abbiamo ancora un paio di ore, ma non perdete tempo a litigare»
Hermione fece cadere il discorso solo perché fu sua figlia a chiederglielo e Ron non ebbe nulla in contrario. Attraversare Diagon Alley la mattina stessa della partenza dell’Hogwarts Express significava camminare tra una fittissima folla di studenti e famiglie in preda alla frenesia degli ultimi acquisti; proprio per quella ragione Hermione aveva deciso nell’ultima settimana di provvedere in anticipo alle compere per la figlia, come era solita sempre fare in ogni occasione. La maggior parte dei nervi di Hermione era saltata e persino la presenza di suo marito la innervosiva, così decise di spedire lui e il figlio alla gelateria Fortebraccio per occupare il tempo. Rose quella mattina si era ritrovata da sola, in balìa della furia di sua madre che in breve tempo dovette accampare scuse sull’incidente che la divisa aveva avuto – di certo si sarebbe vergognata a dire la verità –, pregando l’anziana Madame Malkin di confezionare in breve tempo una nuova divisa.


Quel ricordo la fece sorridere, infondo era stata solo una routinaria e rocambolesca mattina vissuta dalla sua famiglia. Sentì una presenza sulla soglia della camera e la suola leggera delle scarpe di sua madre - quelle che era solita indossare quando in ufficio necessitava di comodità -, si era fermata all’altezza dello stipite della porta. La donna le sorrise a sua volta, quando Rose si voltò verso di lei.
«Stavo pensando al mio primo treno per Hogwarts … a quella mattina»
«E ai pasticci di tuo padre?»
Anche Hermione con il senno di poi ricordò con divertimento quell’episodio. Per quanto però il passato alleggerisse la tensione, un velo di malinconia incupiva la figlia. Quelle erano forse le prime parole che madre e figlia si scambiavano dopo giorni di silenzio tra loro. Rose poteva presupporre che l’idea di prendersi cura dei suoi nipotini avesse addolcito Hermione o forse si era semplicemente rassegnata a lasciare che l’uccellino volasse via dal nido. Era assurdo che sua madre si fosse arrabbiata così tanto quando riteneva fosse giusto porre fine alla sua relazione con Scorpius, lei la sopportava solo perché sapeva quanto sua figlia amasse quel ragazzo, ma non certo perché la ritenesse opportuna. Hermione aveva quasi sicuramente pensato quanto fosse stato irresponsabile il desiderio di lasciarlo con la presenza di due figli, la proposta di Ron sembrava aver trovato un giusto compromesso, anche se, per certi aspetti, doloroso per tutti. Si sedette con grazia accanto a sua figlia, come forse non faceva da diverso tempo, da quando quella ragazza si era allontanata dalla casa della sua infanzia.
«Rose …»
«No, mamma, aspetta. Mi dispiace. Tu e papà state sopportando tutte le mie assurde scelte, voler lasciare Scorpius è stata solo l’ultima delle tante ed è comprensibile che tu ti sia arrabbiata. Non vi meritate una figlia sconclusionata come me, come io non merito genitori attenti come voi»
La madre afferrò la mano della ragazza posata sulle ginocchia, intenta a stringere la sua divisa. Le dita di Rose mollarono la presa sulla stoffa, lasciando che il lembo delle maniche della camicia penzolasse lungo le sue gambe, per poterle intrecciare a quelle di Hermione. La vicinanza da parte della madre le offrì un’immensa consolazione.
«Tesoro, noi non ti sopportiamo, noi ti supportiamo. Non dovete preoccuparvi per i bambini. Terminate gli studi e tornate a Londra ogni volta che potete, noi tutti vi aspetteremo a braccia aperte»
Le lasciò una carezza sul viso, scostandole i capelli che accidentalmente erano scivolati sugli occhi azzurri. Hermione avrebbe probabilmente sciolto la commozione in lacrime, se non avesse lasciato la porta aperta e avesse sentito il respiro leggermente affannato di suo marito che aveva affrontato con una certa energia le scale. Ron rimase fermo sulla soglia, restio ad interrompere quella conversazione. Aveva intuito fosse un momento riservato a donne e in particolare a madre e figlia ed era inoltre convinto che Hermione, tra i due genitori, fosse la più indicata per affrontare in quelle circostanze un dialogo con Rose. Con prudenza diede un leggero colpetto alla porta spalancata accanto al muro e si schiarì la voce un po’ a disagio per attirare la loro attenzione.
«Disturbo? Rose, vi fermate a cena?»
Hermione gradì particolarmente la proposta del marito e lo comunicò con un grande sorriso alla figlia, nonostante gli occhi velati esprimessero malinconia. Rose era convinta che sua madre soffrisse, non glielo stava dicendo apertamente, solo perché desiderava davvero che la figlia fosse felice, ma niente e nessuno avrebbe potuto cancellare dal cuore di Hermione la preoccupazione e la mancanza. Strinse più forte la mano della madre nel tentativo di rasserenarla, per poi rivolgersi a suo padre.
«Sarete stanchi, avete lavorato, sono certa gradiate un po’ di tranquillità stasera»
«Hermione, tu sei così stanca?»
«Assolutamente no, tesoro, i ragazzi e i nostri nipotini possono restare quanto vogliono»
Ron si avvicinò a loro, la complicità tra i suoi genitori fece sorridere Rose, era un evento più unico che raro, forse avere a disposizione la casa tutta per loro aveva contribuito e lei poteva solo immaginare come i suoi genitori sfruttassero quel vantaggio, era felice di aver favorito una maggior dose di armonia tra loro. Suo padre si inginocchiò ai piedi del letto, proprio davanti alla figlia e posò la mano su quelle della figlia e della moglie che erano rimaste intrecciate.
«È bello vedere che andate d’accordo e che non litigate più per causa mia»
Ron le sorrise con dolcezza, accarezzando le mani che custodiva nel palmo e sfiorando lo sguardo di Hermione, il quale era già posato su di lui. Non era da Ron abbandonarsi ai sentimentalismi, sua moglie avrebbe dovuto prevedere che si sarebbe limitato a quello, un segno sufficiente per capire che condivideva il pensiero della figlia. Rivolse alla ragazza invece un mezzo sorriso beffardo e divertito, lanciando a sua moglie una frecciatina.
«Sapessi per me, Rose, tua madre arrabbiata è una furia, se posso evito volentieri di aizzarmela contro»
Si guadagnò una prevedibile occhiataccia da parte dell’interessata, Hermione provò persino ad allontanare la mano da quella del marito, ma lui la bloccò, concentrandosi sulla divisa di sua figlia.
«Allora, tesoro, sei pronta? L’hai indossata l’ultima volta ai G.U.F.O»
«Già, qualche mese fa e da allora sono cambiate tante cose. Scorpius non ha potuto sostenere gli esami per colpa mia, dovrò aiutarlo a recuperarli»
 
∞∞∞
 
Respirare nuovamente l’aria di casa fu per Astoria una liberazione. Forse avrebbe potuto godere poco di quella serenità, ma non voleva perdere nemmeno un giorno che il cielo le avrebbe concesso accanto alla sua famiglia. Al bambino che aveva dato alla luce con tante difficoltà aveva dato il nome di suo padre. Le faceva male pensare che lui fosse così in contrasto con l’uomo che amava, quella situazione dopo anni che esisteva avrebbe dovuto essere l’abitudine, invece troppe volte Astoria aveva desiderato un miracolo che nemmeno la magia del Natale aveva potuto realizzare, per loro non c’erano mai state festività da condividere in famiglia. Sperò che il suo piccolo non avvertisse il suo leggero tremore, mentre gli reggeva il biberon nella culla. Era appoggiata con fatica al legno del bordo, Draco non avrebbe gradito, ma era l’unico modo che aveva per essere accanto a suo figlio senza rischiare che la sua debolezza lo facesse cadere dalle braccia della mamma. All’improvviso delle braccia più forti delle sue la catturarono alle spalle in un dolce abbraccio. Non era abbastanza stabile per non vacillare, ma lui la resse senza troppe difficoltà per sporgersi insieme a lei oltre la culla, in verità era solo una scusa per essere certo che non crollasse al suolo e neppure si sforzasse a reggersi in piedi.
«Dovresti sederti e lasciar fare ad altri»
«Altri chi, tu?»
Draco tentennò, non era mai stato abile a soddisfare i bisogni primari dei neonati, ma infondo loro potevano sfruttare la presenza degli elfi, di certo chiedendo loro di nutrire un neonato non li maltrattavano, ma Astoria su questo non transigeva da quando era diventata la signora Malfoy.
«Mi sembrava strano che volessi»
Rimase in silenzio all’evidente provocazione da parte della moglie. Nella voce di Astoria c’era una nota malinconica. Si rivolse al marito continuando a guardare il figlio e a reggersi al legno della culla, nonostante si trovasse tra le sicure braccia di Draco.
«Non lo prendo neppure in braccio per paura che mi scivoli. Non posso dare a mio figlio nulla di ciò che ha bisogno: nutrimento, affetto»
«Astoria, è tutto normale. Non potevamo pretendere che riuscissi ad allattarlo. Il fatto che tu e lui siate vivi è un regalo immenso per me»
Si voltò come poté verso di lui, lo trovò appena oltre la sua spalla, a pochi millimetri dal suo viso, talmente vicino da essere costretto ad allontanarsi leggermente per non incrociare la vista.
«Mi dispiace per mio padre, non ti meriti il suo disprezzo»
«Non ci faccio nemmeno più caso. Ha paura di perderti almeno tanto quanto me»
Draco era riuscito a comprendere le motivazioni con cui sua suocera provava a giustificare il marito, forse era normale di quei tempi una certa dose di risentimento verso colui che aveva peggiorato le condizioni di salute di Astoria e lo aveva fatto nel corso degli anni. Il loro bimbo attirò l’attenzione nel bel mezzo di un profondo dialogo tra i due coniugi, spaventando la sua mamma quando si accorse che un po’ di latte gli era andato di traverso.
«Tesoro, attenta»
Si accorse tardi di aver inclinato troppo il biberon, concentrata com’era su suo marito. Si spaventò e allontanò il latte dal piccolo Gareth con uno scatto; provò persino a sporgersi oltre la culla per poterlo stringere al petto, ma il timore che l’agitazione e la debolezza potessero mettere in grave pericolo l’incolumità di suo figlio la portarono ad esigere l’intervento del marito.
«Draco, tiralo su!»
La ascoltò, non poté fare altrimenti, sollevò il bambino e lo strinse tra le braccia per farlo respirare meglio. Lo ondeggiò leggermente per tranquillizzarlo e per rasserenare la tensione che stava agitando anche la madre del piccolo. Astoria aveva il respiro corto dallo spavento e dal nodo in gola che lo sconforto le aveva creato. Non riusciva ad esprimere a parole quanto fosse mortificata, ciò che le uscì dalle labbra fu appena un filo di voce. A Draco spettava l’arduo compito di consolare la moglie e il figlio, così con la mano libera sfiorò dolcemente il braccio ad Astoria.
«Mi dispiace»
«Non è successo niente, tranquilla, Gareth sta bene»
«Per poco lo soffocavo»
«Astoria, non stavi facendo nulla di simile, deve essergli solo andato di traverso un po’ di latte»
Le si era avvicinato, nel tono della sua voce c’era grande determinazione e convinzione, cercava di infonderle forza. Come aveva fatto senza di lui in quegli infiniti mesi al San Mungo, dove ogni giorno le energie le venivano a mancare sempre di più? Ciò che suo padre non era mai riuscito a capire era quanto lei per prima necessitasse di lui, sia nella buona che nella cattiva sorte.
«Per fortuna ci sei tu. Draco, ho bisogno di stendermi»
«Ti accompagno»
«No, resta con il bambino. Tra non molto dovrebbe passare mia sorella per una visita. Se hai bisogno di qualcosa, ti aiuta»
La mano di Draco era ancora posata su di lei e stavolta con il suo istinto protettivo l’avrebbe guidata fino al loro comodo letto per potersi riposare; Astoria però non accolse l’apprezzabile pensiero di suo marito e lo allontanò dolcemente da lei, invitandolo a reggere con entrambe le mani il neonato. Gli lanciò un mezzo sorriso, prima di avviarsi con poca stabilità verso la camera. Draco non la perse di vista, almeno fino a che non oltrepassò la soglia della porta e girò l’angolo, l’unico accorgimento dell’uomo fu quello di stringere a sé il figlio che sgambettava contro il suo stomaco. Il citofono della Villa lo distrasse quasi subito, non pensò che avrebbero potuto aprire gli elfi la porta - forse era distratto da altri pensieri o forse l’influenza di sua moglie aveva avuto un certo effetto su di lui -, si fiondò lui giù dalle scale scortato dal piccolo.
«Ciao, cognato»
Come sua moglie aveva preannunciato, Daphne era davvero passata per fare loro visita. Draco non ricordava di averla vista così spesso alla Villa negli ultimi anni come in quell’infinito periodo di sofferenze fisiche e emotive, non avevano perso i contatti certo, ma la malattia di sua sorella le aveva dato l’occasione di dimostrare quanto tenesse a lei. La donna, di un anno più grande di Astoria, dopo aver salutato Draco, si concentrò quasi subito sul suo nuovo nipotino. Sorrise al bimbo, porgendogli una carezza sulla nuca per salutarlo.
«Ciao, Daphne»
La fissò sulla soglia della porta, impacciato su ciò che avrebbe potuto dire o fare. Non era mai stato abile nei rapporti umani, Astoria gli aveva insegnato ad essere più umano, il che per lui equivaleva ad essere più cordiale.
«Che c’è? Non mi fai entrare?»
«Scusa»
Al rimprovero di Daphne, si scostò subito un po’ in imbarazzo. Non vi era alcun motivo di essere così in soggezione con una sua vecchia compagna di scuola, con la quale in comune aveva forse solo lo stemma sulla divisa e qualche amicizia. Negli ultimi anni le discordie tra lui e i suoceri non avevano reso facili i loro rapporti, ma non per questo Daphne era del tutto scomparsa dalla loro vita, certamente non era un’abitudine vederla aggirarsi alla Villa, come invece stava succedendo in quei tempi per la malattia di Astoria e l’arrivo del loro secondogenito. Draco non poteva negare però che fosse in parte grazie a Daphne e ai loro amici in comune che lui si accorgesse di Astoria.
 

Le lezioni di Storia della Magia erano una noia mortale, forse più senza vita del professor Binns, si usciva da quell’aula con la totale mancanza di voglia di vivere. Draco non osava nemmeno immaginare se anche in vita quel fantasma fosse stato così dannatamente tedioso, si augurava per i suoi vecchi allievi che fosse stato il contrario. Il sonno che quella notte non aveva fatto in tempo a smaltire, a causa della sveglia quasi all’alba, era stato stimolato dalla lezione sulla Prima Guerra Magica. Ironia della sorte, in quel suo sesto anno stava per contribuire allo scoppio della Seconda. In quel momento però desiderava solo abbassare le palpebre e lasciare che la sua mente si chiudesse ai mille pensieri. La voce squillante della sua ragazza, Pansy Parkinson, richiamò la sua attenzione.
«Draco. Dove vai? Pensavo che dopo queste ore di inattività ti andasse di infastidire qualche pivello del primo anno»
Si voltò scocciato verso di lei e la fissò come se la primina in questione fosse lei, era così inutilmente euforica e incurante di ciò che la circondava. Beata lei, ma lui non aveva tempo da perdere con le sue sciocchezze, gli era stato affidato un compito che Pansy nemmeno si sognava.
«Non ne ho voglia, ci vediamo più tardi a pranzo»
Non le diede modo di opporsi, la lasciò confusa nel mezzo del corridoio al primo piano per dirigersi verso i Sotterranei e imboccare in tutta tranquillità la Sala Comune dei Serpeverde. Si avvalse del passaggio dietro al ritratto, convinto che a quell’ora tutti gli studenti fossero impegnati nelle aule, perciò non ebbe il timore di incontrare qualche fastidiosa presenza. Avrebbe dovuto riscoprire, secondo le sue più rosee aspettative, la stessa aria di piacevole solitudine anche in Sala Comune, invece il respiro pesante di una studentessa giunse quasi subito alle sue orecchie. Lanciò con poca accortezza il volume di Storia della Magia su un tavolino e si tolse il mantello della divisa, gettandolo sulla sedia lì accanto non prestando la minima attenzione all’ordine, di certo la smania di essere il padrone di tutto ciò che lo circondasse non l’aveva persa nel corso degli anni. Si diresse verso la compagna sdraiata su un fianco sul divano, le afferrò con fastidio le gambe per le caviglie e si sedette, posandosele addosso come fossero un sacco delle patate che gli elfi domestici nelle cucine sbucciavano dall’alba al tramonto. Daphne si svegliò di soprassalto come se ci fosse un pericolo imminente, una ciocca di capelli per lo spavento le aveva coperto una parte del viso, ma nonostante ciò intravide quella faccia di bronzo di Draco Malfoy. Anch’essa classe 1980, stesse compagnie, ma di certo aveva molta più grazia, educazione e cortesia di lui, il pavoneggiamento non era nell’indole della giovane Greengrass.
«Draco! Ma che modi sono?!»
«Il divano è di tutti, non solo tuo»
«Parli proprio tu che ti impossessi della Sala Comune a tuo piacimento?? Avresti potuto svegliarmi gentilmente»
Le rispose con un tono muto e distrattamente, l’indifferenza faceva senza dubbio parte della cafonaggine del suo compagno. Aveva chiuso gli occhi e si era appoggiato alla spalliera del divano, in apparenza era innocuo, Daphne avrebbe potuto lasciar correre e non discutere per la sua mancata cortesia, infondo avrebbero potuto giovare entrambi di un angolino libero e di un po’ di riposo. Daphne si ricoricò, incurante che le gambe di Draco fossero diventate un cuscino per i suoi piedi, peggio per lui, ma non sarebbero stati soli e in silenzio per molto. Quando le porte della Sala Comune si riaprirono nuovamente, l’animo burrascoso di Draco diventò irrefrenabile.
«Che altro c’è ancora! Chi è che scoccia?!»
Il ragazzo aveva aperto gli occhi con uno scatto e aveva fulminato il nuovo arrivato in via preventiva, prima ancora di conoscere la sua identità. Peccato che il soggetto in questione fosse una ragazza e lui si fosse totalmente incantato alla sua vista.
«Vi chiedo scusa, ho dimenticato il libro di Difesa Contro le Arti Oscure, se Piton entra in aula prima di me rischio l’espulsione»
Astoria impiegò una voce flebile che non avrebbe di certo ostacolato il tono perentorio di Draco. Non aveva mai notato quella ragazza aggirarsi per i corridoi di Hogwarts, preso com'era dal Signore Oscuro non si era accorto di altro, anzi tendeva ad ignorare tutto e tutti, compresa la Parkinson, era perciò un viso sconosciuto, ma aveva qualcosa di inspiegabilmente familiare. Era chiaramente una Serpeverde, la sua cravatta parlava per lei, ciò che lo colpì di più però furono i suoi occhi azzurri e tremendamente limpidi, sinceri. A Draco parve di aver appena inalato una forte ventata di aria fresca, come se il buio in cui era avvolto in quel periodo per un istante si fosse dissolto. La fretta che Astoria aveva di ritornare in aula - che era qualche piano più sopra della Sala Comune dei Serpeverde - non le impedì di soffermarsi qualche secondo in più a scrutare quel giovane, di cui la sorella maggiore sporadicamente le aveva accennato. Era la prima volta che aveva con lui un incontro così ravvicinato ed ora che si trovava a poco meno di un metro da Draco comprese i famosi occhi di ghiaccio che Daphne le aveva sempre descritto, quasi criticandoli … quasi, o almeno così le era sembrato, dalla posizione in cui li aveva trovati si fece altre idee.
«Non ti preoccupare, sorellina, tanto con Malfoy tra i piedi è impossibile riposare … intendo tra i piedi in senso letterale»
Draco non colse nemmeno il disprezzo nel tono di Daphne, ciò che lo stupì in ciò che la ragazza gli aveva appena rivelato fu altro.
«Sorellina??»
«Si, Draco, ho una sorella ed è proprio davanti a te. Non mi stupisce che tu non lo sappia, non ti sei mai preso la briga di conoscermi meglio»
Fece scivolare i piedi dalle gambe di Draco, tanto lui non aveva nemmeno colto lo sguardo allusivo abbinato al rimprovero della coetanea, ma in quel modo Astoria, particolarmente attenta, si accorse della posizione in cui la sorella era stata fino a quel momento e si imbarazzò.
«S-scusatemi, davvero, Daphne non mi avevi detto che stavate insieme, vi ho disturbati ed io devo sbrigarmi»
Sì fiondò verso le scale del dormitorio femminile a passo svelto; non terminò nemmeno di parlare, la fretta e il disagio la guidarono. Sia Draco che Daphne si affrettarono a risolvere il malinteso, soprattutto Draco ne sentì il bisogno.
«Sta con Pansy, Astoria, non certo con me»
«Già Pansy ... in effetti le cose con lei non funzionano molto ultimamente»
«Sarebbe ora che ti liberassi di quella vipera»
Non la stava nemmeno ascoltando, ma gli occhi parlavano per lui. Daphne era quasi certa che Draco non avrebbe tardato a rivendicare il solito dominio su sua sorella, ma stavolta era diverso, lo sguardo di entrambi lo dichiarava e Daphne non avrebbe fatto alcuna resistenza.

 
«Mi sembra solo strano che tu sia qui, è dai tempi della scuola che non ci vediamo tanto spesso»
«Intendi per mio padre? Sa essere ottuso, lasciatelo dire da me che lo conosco da una vita. Hai bisogno di aiuto con il piccolo?»
Gli fece segno di passarglielo. Draco non aveva alcun problema ad affidare suo figlio alle cure della cognata, sapeva di lasciare il bambino in buone mani, infondo nella sua vita si era già occupata di tre neonati.
«Astoria gli ha dato il latte, ma ha sentito il bisogno di stendersi. Sicura che a tuo marito non scocci la tua assenza da casa?»
«Mio marito sa che sono qui e non c’è nessuno che comprenda la situazione meglio di lui, i ragazzi sono ad Hogwarts ancora per qualche giorno e non gli ho lasciato alcuna incombenza, non devi preoccuparti di questo. Se hai bisogno di tempo per fare altro, mi occupo io di Gareth»
«Non ho nulla da fare, Rose e Scorpius sono usciti con i bambini»
Le sorrise grato per la comprensione e nonostante le reticenze, le adagiò comunque il nipotino tra le braccia.
«In effetti una cosa ci sarebbe, ma non so se me la sento»
«Se non sono indiscreta, di cosa si tratta?»
«Vorrei tanto affrontare tuo padre una volta per tutte, non credo che tutto questo astio sia benefico per la salute di Astoria»
«Dovrà rassegnarsi, Draco. Corri da lui e non preoccuparti di altro. Se mia sorella dovesse svegliarsi, la informo io»
Era ancora titubante, non si era preparato alcun discorso convincente da fare davanti al suocero. In quel momento la sua unica forza era quel bambino che sereno si stringeva tra le accoglienti braccia della zia. Il suo istinto paterno gli suggerì di porgere un bacio tra i capelli appena accennati del figlio, un gesto che serviva più a lui per riscoprire il coraggio necessario.
«Avete dato al vostro secondogenito il suo nome, come può restare indifferente?»
«Grazie, Daphne»
L’espressione rincuorante della cognata gli infusa la forza necessaria. Porse una carezza sulla tutina di Gareth e si apprestò a commettere l’ennesima follia per la sua amata sposa.
 
∞∞∞
 
Poche volte Draco aveva osato varcare i cancelli delle proprietà dei Greengrass. Osato era il termine giusto, visto che ogni volta correva il rischio di una schioppettata in piena fronte per l’affronto che aveva mosso al patriarca di quella famiglia. Il signor Greengrass di norma era un signore estremamente cordiale e accogliente con chiunque, tranne ovviamente verso chi aveva la malsana idea di frequentare le sue figlie senza una richiesta e un’autorizzazione formali. Draco sotto questo punto di vista era il disgraziato che aveva sedotto e plagiato la secondogenita dei Greengrass, allontanata dalla sua famiglia e sposata in segreto dopo averla ingravidata. Non esisteva davvero biglietto da visita peggiore per lui. Ciò che Gareth Greengrass non era ancora ben disposto ad accettare era quanto la loro storia fosse stata guidata dall’amore e da un’immensa paura da parte di Draco di non riuscire a renderla felice. Non avrebbe voluto mai mancare di rispetto alla famiglia di Astoria, ma il desiderio di restarle accanto non era abbastanza forte per contrastare la voglia di salvarla da lui stesso; quella donna per prima non voleva accettare di perderlo e l’egoismo di Draco l’aveva assecondata.
Sperò che ad accoglierlo sulla porta fosse la suocera, il suo conforto avrebbe placato i battiti accelerati del suo cuore, invece non gli fu concesso neppure quello. A trovarsi nei pressi dell’ingresso fu proprio il suocero, il quale non sembrava troppo sorpreso della presenza di Draco, dava l’impressione di aspettarsi una sua possibile visita. Proferire davanti a lui con l’assenza di qualsiasi altra persona, visto che quella casa sembrava essere vuota, lo agitò.
«Signor Greengrass, necessito di parlarle … di me e sua figlia»
«Hai aspettato qualche anno, non credi?»
Il suo tono fu stranamente pacato e quando si allontanò lasciando la porta aperta, a Draco sembrò un invito a seguirlo e così il genero fece. Il padrone di casa condusse il suo ospite addentrandosi nell’abitazione fino ad arrivare ad una grande porta di mogano che Gareth spalancò con una leggera spinta. Draco non aveva la più pallida idea di cosa avrebbe potuto trovare dall’altra parte della parete, forse una stanza delle torture? L’occasione di isolamento in cui si trovavano era al suocero favorevole per punirlo dell’affronto mosso contro la sua famiglia per anni. Era decisamente la soggezione che provava Draco ad avergli messo in testa pensieri assurdi, quella stanza ospitava solo il suo ufficio, si era forse dimenticato che la famiglia Greengrass lavorava ormai da generazioni per l’Ufficio Misteri del Ministero della Magia e ad un impiegato un ufficio nella propria residenza poteva tornare molto comodo.
«Ti posso offrire qualcosa?»
Fece gli onori di casa come se si stesse rivolgendo ad un vecchio amico; doveva senza alcun dubbio essere stata sua moglie a placare gli animi di quell’uomo, in ospedale aveva avuto tutt’altro tono nei confronti del genero. In quel momento Draco avrebbe gradito qualcosa di molto forte da sorseggiare, la lucidità non sembrava andare in suo favore. Si sedette su una poltroncina accanto a lui, non attese nemmeno che il suocero gli desse l’autorizzazione, ma nemmeno fece molti passi all’interno della stanza, come se restando nei pressi della porta avesse l’impressione di essere al sicuro. Non riuscì ad incrociare il suo sguardo, preferì lasciare che vagasse sulle pareti o sul pavimento.
«Voglio solo risolvere il suo astio per me. Signore, io amo davvero sua figlia e non era mia intenzione mancarle di rispetto quando ho scambiato con lei quelle promesse all’oscuro di tutti. Sa, non ho costruito molto nella mia vita, ho compiuto anche azioni deplorevoli che lei come molti conosce, ma sposare Astoria e mettere al mondo i nostri figli sono stati per me gli unici successi. Lo so, non c’è nemmeno bisogno che lei me lo dica, conosco il galateo, forse l’unica buona eredità da parte della famiglia Malfoy, avrei dovuto chiederle il permesso anche solo per poterla frequentare e lei me lo avrebbe negato, ne sono sicuro. Chi mai vorrebbe un Mangiamorte come genero? Non si smette di essere Mangiamorte, la volontà non è sufficiente. Ha tutte le ragioni di questo mondo per odiarmi, ma voglio che lei sappia che non ho mai pensato di macchiare in qualche modo il buon nome di Astoria e della sua famiglia, anzi è stata lei ad avermi reso un uomo migliore … a quella donna devo il regalo di una nuova vita, con lei sono rinato»
Gareth lo fissò in silenzio aspettando che il genero terminasse di parlare; quando Draco notò che il suocero non si decideva a ribattere, posò gli occhi su di lui e rimase sorpreso nel vedere, anche se un po’ da lontano, le pupille dell’uomo diventare umide, le sbatteva nel tentativo di camuffare, ma ormai era stato smascherato.
«Quanto le resta, Draco?»
Aveva finalmente capito la sua reazione, il pensiero che alla figlia potesse succedere qualcosa di irrimediabile lo aveva forse indebolito e aveva reso superfluo ogni tipo di conflitto in famiglia. Draco poteva comprenderlo, anche se non poteva provare un dolore identico a quello del padre di Astoria, sentiva comunque una sofferenza lancinante all’altezza del petto. Vide il signor Greengrass trangugiare un bicchiere di quello che a Draco sembrò Whisky Incendiario, chiudere subito dopo gli occhi per sopportarlo e ovviamente non solo l’alcol.
«Non lo so. So solo che non posso sopravviverle»
«Mia figlia è stata fortunata ad avere avuto il tempo di incontrare l’amore. Non sei solo Draco, io e mia moglie non abbandoneremo né te né i nostri nipoti»
Ciò che aveva appena sentito uscire dalle labbra del suocero lo paralizzò; non avrebbe mai creduto un giorno di essere testimone di quelle parole e fino a qualche minuto prima avrebbe immaginato tutt’altro atteggiamento da parte sua, nonostante le condizioni di Astoria. Aveva solo notato debolezza nel suocero, non si aspettava una totale accondiscendenza, accompagnata da sincera vicinanza. Non fece in tempo a ringraziare quell’uomo per la fiducia forse immeritata che stava ponendo in lui, perché dalla porta ancora aperta si era affacciata la suocera con un mezzo sorriso stampato in volto; la donna doveva aver riconosciuto con ogni probabilità la voce del genero e doveva aver sentito il suo discorso.
«Scusate. Draco, ho preparato la torta, posso offrirtela?»
 
∞∞∞
 
Non mancava molto al loro ritorno ad Hogwarts, ma troppo poco per realizzare di dover salutare la loro famiglia e di non poterla rivedere per lunghi mesi lontani da Londra. Rose era sempre stata abituata da sua madre a non organizzare i preparativi per la partenza all’ultimo momento, così quell’estate, mentre tutti i parenti e gli amici pensavano solo all’abito da indossare per il matrimonio di Teddy e Victoire, lei si preparava materialmente e psicologicamente per quei mesi lontani da casa, decisamente diversi da quelli che aveva vissuto fino al quinto anno. Per cinque anni aveva solo vissuto l’entusiasmo della magia di quella scuola, ora le responsabilità che in così poco tempo si erano posate sulle sue spalle le avevano dato nuovi pensieri e priorità.
Lì alla Villa l’aria che aleggiava era ancora impregnata di preoccupazione; l’aspetto di Rose quel pomeriggio era grazioso, era pronta per festeggiare in allegria insieme alla famiglia l’unione tra sua cugina e il suo professore, ma il suo cuore per la lontananza che stavano per vivere dai loro bambini e per il malessere dei suoi suoceri non la rendeva affatto serena. Stava chiudendo l’ultima cerniera, quando dalla porta della stanza, che la ragazza condivideva con suo marito da un annetto, fece il suo ingresso proprio il suo compagno, il quale aveva tra le braccia la figlioletta, abbastanza grande da esplorare la stanza circostante sorretta dal suo papà.
«Ecco qui la mamma, piccola»
Il marito aveva attirato la sua attenzione con il suono di un grande sorriso stampato sulle labbra che la fece voltare, ma non la rese meno pensierosa.
«Mi è sembrato che poco fa nostra figlia avesse borbottato mamma»
«Com’è possibile se non sa ancora parlare, ha appena compiuto otto mesi»
Scorpius si avvicinò a lei con la piccola Jean e la fece accomodare meglio tra le sue braccia e poi sulle sue gambe, sedendosi accanto alla valigia di sua moglie. A differenza di lei, lui non aveva ancora recuperato i bagagli dall’armadio, dove non avevano più cambiato posizione da svariati mesi, infondo non c’era alcuna fretta e la voglia di accorciare il tempo a disposizione in compagnia dei suoi bambini era sempre meno. Gli parve che anche Rose, nonostante la smania di concludere i preparativi, forse per l’indole ereditata dalla madre, provasse una certa malinconia per la lontananza da Londra che avrebbero insieme dovuto affrontare.
«Negli ultimi anni ho avuto sempre le valigie in mano. Quest'ultima però è un'avventura davvero molto grande, io sto chiedendo a te di seguirmi fino in Scozia, dove torneremo a frequentare le lezioni come se nulla fosse successo tra noi … tu tra i Serpeverde, io tra i Grifondoro»
«Amore, ora non vedo il problema, ci possiamo vedere in moltissime occasioni»
Le aveva detto quanto anche lui per la sua giovane età fosse pieno di aspirazioni, il ritorno tra le aule di Hogwarts avrebbe potuto aprirgli possibilità per il futuro e lei, grazie al suggerimento di suo padre, non sarebbe stata la causa di qualche rimpianto per suo marito. Era impossibile però vivere serenamente quei mesi di studio, il pensiero di quelle due creature che avevano messo al mondo sarebbe stato costante nella loro mente. La bambina si stringeva al petto del padre e i due giovani si soffermarono ad ammirarla.
«Sai, Rose, nostra figlia sente quando siamo tristi e sa comunicarcelo. In questo momento me lo sta dicendo sfiorandomi e mi sta invitando a riscoprire il sorriso. So che è molto piccola per capire e forse sono io che ho le allucinazioni, ma quando è accanto a me non riesco a non essere ottimista»
La ragazza scostò dal letto i suoi bagagli pronti - quelli che suo padre in un giorno qualsiasi si era premurato di consegnarle alla Villa -, si accomodò accanto al marito e alla figlia e si appoggiò alla spalla di Scorpius stringendosi a lui. Accarezzò la schiena della sua bambina e la mano del giovane, con la quale reggeva saldamente la piccola.
«Non hai le allucinazioni, succede anche a me, Jean ha questa dote stupenda di rendere meno drammatiche le situazioni»
Aveva la folta chioma di sua moglie a pochi centimetri dalle labbra e gli ci volle poco per lasciarle stampato sopra un piccolo bacio.
 
∞∞∞
 
Rose e Scorpius cercarono di partecipare a quel matrimonio con entusiasmo, infondo erano sinceramente felici del lieto evento. Il sorriso stampato sulle labbra di Victoire e Teddy era lo stesso che aveva accompagnato Rose e Scorpius nel giorno più importante e dubbioso della loro vita. Erano l’uno affianco all’altra e seguivano con attenzione le promesse che i loro amici si rivolgevano, con la certezza che la vita dei nuovi sposi sarebbe senza dubbio stata più semplice. Scorpius aveva notato la commozione della sua consorte, allungò una mano per afferrare quella di Rose posata sulla propria gamba. L’istinto della giovane fu subito quello di camuffare il proprio stato d’animo.
«V-Victoire è bellissima, non trovi?»
«Lo eri anche tu al nostro matrimonio»
«Ero una balena, Scorpius»
Il giudizio su se stessa andava ben oltre il mero aspetto fisico. In quel frangente, in cui tutti gli occhi erano puntati sulla sposa vestita in bianco, Rose poté cedere allo sconforto senza essere considerata una guastafeste, infondo solo suo marito, accanto a lei, l’avrebbe notato. Sbagliava però a credere che nessun altro avrebbe colto il suo malumore. Rivivere con la memoria il giorno del suo matrimonio avrebbe dovuto infonderle una dolce sensazione, invece non riusciva a non considerare le mille vicissitudini che avevano attraversato per raggiungere quel giorno e i dubbi che avevano colto quei due ragazzi pochi minuti prima che si scambiassero le loro promesse. Sentì un respiro caldo che preannunciava una presenza vicino al suo orecchio e subito dopo un dolce sussurro da parte di sua madre; la perspicacia di Hermione doveva aver percepito i tentativi di Scorpius di consolarla e le si era avvicinata per capire cosa avesse.
«Rose, tutto bene?»
«Come sempre, mamma. Secondo te, se esco un attimo Victoire si offende?»
La preoccupazione della donna non le consentì di rispondere; Scorpius, se possibile ancora più in pena della suocera, intervenne, cercando di mantenere un tono di voce flebile.
«Vengo con te»
«Tesoro, non è necessario»
Allontanò la mano da quella del marito cercando di tranquillizzarlo prima con una lieve stretta sulle dita. Con più discrezione possibile raggiunse l’ingresso della chiesa sotto lo sguardo perplesso di suo padre, ma confidò che sua madre lo informasse sulla sua breve assenza. Non appena la porta della navata laterale si aprì, il sole caldo le illuminò il viso. Anche il giorno del suo matrimonio il sole era alto nel cielo, da quello stesso piazzale suo padre l’aveva accompagnata all’altare per formalizzare la sua unione con Scorpius. Non le importò del soffocante caldo estivo, infondo il suo vestito era leggero e consono all’occasione, rimase comunque a riflettere e a ricordare in solitudine. Sentì poco dopo un tripudio di acclamazioni rimbombare all’interno delle mura della chiesa e comprese che la cerimonia doveva essere terminata e presto tutti gli invitati sarebbero usciti per congratularsi con i neosposi. Era sempre più convinta che per Teddy e Victoire sarebbe stato tutto molto più semplice, molto più convenzionale rispetto a ciò che continuavano a vivere lei e Scorpius.
 

Continua …
 


Ciao ragazzi!

C’è sempre qualcosa che mi impedisce di dedicarmi alla scrittura come vorrei, perdonatemi per i miei usuali ritardi ☹
Non vi anticipo nulla, vi dico solo che questa storia sta diventando molto più lunga rispetto a quando la iniziai a scrivere ^^’
Vi ringrazio davvero di cuore, mi seguite sempre in tantissimi nonostante tutto, vi sono immensamente grata! <3

Alla prossima!
Baci
-Vale
   
 
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