Storie originali > Soprannaturale > Licantropi
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Autore: BabaYagaIsBack    25/11/2019    0 recensioni
●Book I●
Aralyn e Arwen anelano alla libertà. Fin dall'alba dei tempi quelli come loro sono stati emarginati, sfruttati, ripudiati, ma adesso è giunto il momento di cambiare le cose, perché nessun licantropo ama sottomettersi, nessun uomo accetta la schiavitù. Armati di tenacia e coraggio, i fratelli Calhum compiono la più folle delle imprese, rubando a uno dei Clan più potenti d'Europa l'oggetto del loro potere. In una notte il destino di un'intera specie sembra cambiare, peccato che i Menalcan non siano disposti a farsi mettere i piedi in testa e, allora, lasciano a Joseph il compito di riappropriarsi del Pugnale di Fenrir - ma soprattutto di vendicarsi dell'affronto subìto.
Il Fato però si sa, non ama le cose semplici, così basta uno sguardo, un contatto, qualche frecciatina maliziosa e ogni cosa cambia forma, mettendo in dubbio qualsiasi dottrina.
Divisi tra il richiamo del sangue e l'assordante palpitare del cuore, Aralyn e Joseph si ritroveranno a dover compiere terribili scelte, mettendo a rischio ciò che di più importante hanno.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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56. I'll follow you

Ventiquattro ore.

La fuga di Aralyn era avvenuta solo il giorno prima, ma per Joseph sembrava essere trascorsa un'eternità.

Non aveva fatto altro che entrare e uscire dallo studio di Douglas, rispondendo a qualsiasi domanda gli venisse rivolta su Kyle, che ormai doveva essere stato seppellito da qualche confratello in un angolo remoto degli acri della Villa. 
Nessuno lo aveva ritenuto degno di essere accolto nelle Lande Selvagge con i dovuti onori dei licantropi, men che meno quelli del loro casato.
Per tutti lui non era altro che uno schifoso traditore, ma per il secondogenito dell'Alpha era qualcosa di diametralmente opposto. Era la persona migliore che si potesse avere al proprio fianco, un compagno leale, un eroe folle, un guerriero che per chi amava avrebbe compiuto imprese titaniche - e lui lo aveva ucciso senza esitazioni, ma non certo rimorsi; quelli, sfortunatamente, se li sentiva muovere alle spalle al pari di fantasmi e, se si fosse concesso il lusso di sfilarsi di dosso la maschera dell'erede di quel casato, certamente lo avrebbero aggredito con il chiaro intento di soffocarlo. Ad ogni modo però, non poteva ancora lasciarsi sopraffare da loro - non ora che tutti gli occhi del clan, alleati o meno, erano puntati su di lui.

Seppur fossero separati dal velo sottile frapposto tra morte e vita, comunque, Joseph non avrebbe mai smesso di ringraziarlo per ciò che aveva fatto: Kyle gli aveva guardato le spalle ancora una volta, gli aveva ridato un misero stralcio di serenità, ben lontano però dall'avvicinarsi alla felicità provata in quel branco di lupi a metà.

Con un sospiro, il ragazzo schiacciò il mozzicone della sigaretta nel posacenere, lanciando un ultimo sguardo malinconico verso l'orizzonte. 
Quanto avrebbe voluto non essere lì. Quanto desiderò potersi spogliare del nome dei Menalcan per fuggire lontano e tornare alla vita che aveva condotto fino a una settimana prima, in mezzo al clan di Arwen e con lei.

Eppure, non gli era possibile.

Doveva restare per riuscire a deviare le informazioni, per impedire a Gabriel e Douglas di mettersi sulle giuste tracce di quel branco. Doveva tener duro e sopportare la solitudine che lo avrebbe accompagnato da quel momento in poi, perché il suo migliore amico era morto, la ragazza che amava non avrebbe più voluto vederlo per il resto dei suoi giorni e Leah, sua sorella, non sarebbe tornata a Villa Menalcan se non per motivi seri – e per quel che ne sapeva, al momento non ve n'era nessuno.

Sarebbe rimasto per pagare il suo debito con Mànagarmr, che aveva risposto alle sue preghiere trovando un modo per risparmiare Aralyn.

E chissà dove era lei, ora. Chissà se aveva rivelato a tutti il suo tradimento, se aveva giurato vendetta o chiesto alla Madre Luna di farlo uccidere nel peggiore dei modi. Chissà se si era già buttata tra le braccia di suo fratello, provando a dimenticare il sapore dei suoi baci con le labbra di lui. Perché purtroppo era un'eventualità da non sottovalutare e lui le aveva dato un pretesto per vendicarsi e voler dimenticare tutto - dal primo incontro al primo bacio, dall'unica notte passata insieme alle promesse che avrebbero potuto farsi.

A quel pensiero, la rabbia gli fece ribollire il sangue nelle vene. Detestava anche la sola idea che qualcun altro potesse sfiorarla, bearsi del suo profumo, riempirsi gli occhi con quel sorriso dolce, in particolare se si trattava di Arwen Calhum – ma soprattutto odiava non poter più essere lui a gioire di tutto ciò.
Lui che, stringendosi una mano al petto, poteva ancora avvertire i lasciti del calore e della completezza che Aralyn gli aveva donato, nonché l'ombra della vita che aveva tanto anelato durante l'adolescenza e che gli era sempre stata negata.

Con una fastidiosa freddezza si ricordò ancora d' aver combinato un casino tanto grande da non saper come ignorarne le conseguenze, dalla prima all'ultima e, in un gesto incontrollato, colpì il posacenere, mandandolo in frantumi e riversando fuori i resti delle sigarette fumate fino a quel momento.

Arwen alzò gli occhi sulla sorella, aspettando una risposta. Le aveva chiesto cosa fosse successo in quei quattro giorni di prigionia, senza domandarle nulla in particolare. Voleva che lei si sentisse libera di parlargli di ciò che più credeva fosse opportuno e, dalle sue parole, lui avrebbe trovato gli appigli per indagare.
Aralyn si grattò la nuca, spostando lo sguardo ovunque tranne che sull'albino. Pareva quasi che avesse paura, che stesse cercando di nascondergli qualcosa, ma ormai non poteva più evitarsi di affrontare quel momento e, volente o nolente, lui le avrebbe strappato almeno uno stralcio di confessione.
«Ci hanno attaccati nel cuore della notte...» iniziò lei, venendo però subito interrotta.
Per quanto l'Alpha fosse partito con buoni propositi, ciò che desiderava era solo il racconto di quello che nessuno, a parte lei, aveva vissuto.

«Parlami di quello che non so, Ara. Di come vi hanno attaccato penso di aver sentito già abbastanza» involontariamente, Arwen prese a mordersi il labbro, provando a trattenere l'agitazione; ogni secondo di silenzio che lei faceva passare, però, tentava la sua pazienza. Non avrebbe mai pensato di dover far tanta fatica per riuscire a parlare con Aralyn di una missione, della sua fuga o di qualsiasi altra cosa che non fossero i sentimenti che nutrivano l'uno per l'altra, eppure eccoli lì.
La ragazza si lasciò andare a un lungo e pesante sospiro, spostando infine lo sguardo su di lui.
Lo fissò con occhi vacui, lontani. Lo fissò con il chiaro intento di dirgli che, qualsiasi cosa gli avesse detto, non avrebbe mai capito; ma lui era disposto a tutto pur di farlo, pur di riuscire ad avvicinarsi a lei come sua sorella lo aveva fatto durante la sua degenza.

«Siamo stati fregati, Arwen, ecco cosa è successo» Aralyn fece una pausa, socchiuse le palpebre per riuscire a soppesare meglio le parole e, quando le riaprì, nel suo sguardo si era fatta viva una durezza insolita per lei: «Siamo stati così ciechi da non notare uno di loro tra noi» disse infine.
A quelle parole, il cuore dell'Alpha perse un colpo e la confusione prese a muoversi in lui. La sua mente però, in un lampo, trovò un nome e un volto a cui associare il commento della sorella e, quando si rese conto di ciò che tutto quello volesse dire, capì di essere stato uno stupido.

«Josh...?»

Lei annuì, mentre il petto prese a gonfiarsi, probabilmente a causa della rabbia o della frustrazione.
«Josh... o Joseph Menalcan, vedi tu come preferisci chiamarlo».

Nuovamente il cuore dell'uomo perse un colpo, mentre lo sconvolgimento ebbe la meglio su di lui, mozzandogli il fiato.

Joseph?
Quel Joseph? Stava forse parlando dello stesso licantropo che aveva condannato la sua vita da otto anni a quella parte? No! Non poteva essere lui. Non poteva essersi scordato di quel tipo, del suo odore o del suo ringhio soffuso dopo ciò che gli aveva fatto. Il suo sesto senso non poteva averlo tradito a tal punto da fargli considerare quella feccia come un amico, un alleato.

Eppure...

Aralyn si alzò dalla poltrona, avvicinandosi a lui e prendendogli una mano tra le proprie. Si mise ad accarezzargli il dorso, soffermandosi sui tendini tesi: «L'ho pensato anche io» sussurrò poi, seguendo le vene sotto la pelle: «Come abbiamo fatto a non riconoscere il figlio di Douglas? Non ne ho idea, ma è successo» confessò, forse mettendosi subito dopo la lingua.
Il contatto tra loro però, non riuscì a distrarre Arwen dalla questione principale, così come le parole di lei. Ciò che sua sorella gli aveva rivelato andava ben oltre a qualsiasi cosa si sarebbe potuto aspettare, lo aveva stravolto. Pensare ad altro pareva difficile, uno sforzo che Arwen non era certo voler fare.
Nuovamente, la ragazza riprese il discorso, cercando di chiarire la situazione: «Eravamo così preoccupati che i Menalcan si sarebbero presentati a noi a frotte, che non ci siamo accorti ci avessero già trovato. Però Arwen...» le mani di lei smisero di accarezzare la sua. L'Alpha si accorse di quel cambiamento solo a causa della pressione che ora stavano esercitando sul dorso e sul palmo.

Con le sopracciglia aggrottate spostò tutte le sue attenzioni su di lei, scrutandole il viso da cima a fondo.

«Però...?» le domandò, senza capire dove volesse andare a parare con quella sospensione. Come poteva mettere dei "ma" in un discorso del genere? Come poteva cercare di difendere i Menalcan? Non si trattava di un clan qualunque, ma dei loro acerrimi nemici, del branco il cui Alpha possedeva il potere di cambiare le sorti di ogni singolo licantropo in Europa – sorti legate a leggi che impedivano agli Impuri di essere considerati degni di partecipare alle scelte e sedute del Concilio, che li differenziavano in modo evidente dai Nobili.

Sua sorella si morse il labbro inferiore, aggrottando poi le sopracciglia: «Però ti devo confessare che è stato lui a lasciarmi libera. Joseph ha organizzato la mia fuga... Credo che si sentisse in debito» quella frase aizzò Arwen come poche altre e, senza riflette, sfilò la propria mano dalla presa di lei. 
Con un movimento repentino si tirò dritto e, involontariamente, le afferrò il colletto della maglia, tirandola bruscamente verso di sé. La strattonò tanto che Aralyn per un attimo parve perdere l'equilibrio e, se non ci fosse stato il suo braccio nel mezzo, probabilmente avrebbe finito con lo sbattere contro la scrivania.

«Cosa diamine stai dicendo? In debito? I Nobili non sono e non si sentiranno mai in debito con noi!» gridò a ridosso della guancia di lei, ora pallida come un cencio. Stava ringhiando e il viso aveva preso connotati tutt'altro che innocui. Vedeva chiaramente la paura, mista al riflesso delle sue zanne, negli occhi della ragazza, ma ciò non gl'impedì d'imprecare a causa di quella sua stupida affermazione.

Perché mai Joseph Menalcan avrebbe dovuto sentirsi in debito? Al massimo avrebbe potuto sentirsi colpevole, ma di ché, visto che per sua natura e formazione odiare gli Impuri era cosa normale? Perché avrebbe dovuto salvare Aralyn?
E poi, una scintilla gli trapassò la mente. Un sospetto che non volle chiedersi se avesse fondamenta o meno. Possibile che lo avesse fatto per lei e lei soltanto? Possibile che un Menalcan, in più tra i peggiori, si fosse invaghito della sua Ara?
Nonostante non avesse nulla a confermare quell'ipotesi, la cosa fu sufficiente a convincerlo a non cambiare i propri piani.
Se il figlio di Douglas aveva anche solo una vaga mira ad appropriarsi di ciò che era suo, lui gli avrebbe fatto cambiare idea.

«Una settimana da ora, Ara, ricordatelo bene, poi ripagherò quel bastardo con la stessa moneta con cui ha pagato me otto anni fa» e, furente, mollò la presa.


Aralyn provò a colpire il sacco da boxe, ma appena il pugno arrivò a destinazione mugolò di dolore. La guarigione stava procedendo più lentamente del solito e, nonostante i due giorni passati e le cure di Marion, i miglioramenti nel suo fisico faticavano a farsi vedere.
Di quel passo, si disse, non sarebbe mai riuscita a rimettersi in sesto per prendere pare all'attacco che suo fratello aveva annunciato di voler ancora portare a termine. Una follia a cui era certa lui non avrebbe rinunciato – non ora che conosceva la vera identità di Joseph.
Prima di entrare nello studio del suo Alpha, era certa che Fernando gli avesse già detto tutto, invece lui non era nemmeno stato convocato e lei, alla fine era stata la miccia della sua rabbia.

Infuriata per essersi fatta fregare a quel modo, provò a dare nuovamente un colpo al sacco, ma ciò che ottenne fu l'ennesima stilettata di dolore e il guaito che ne seguì. No, in meno di una settimana non avrebbe fatto alcun progresso se non si fosse totalmente dedicata al riposo, ma ciò avrebbe comportato anche una preparazione inferiore per il combattimento e, visto i pochi allenamenti a cui aveva preso parte nell'ultimo periodo, non era certa avrebbe potuto partecipare attivamente.
Sbuffando, Aralyn picchiò la fronte sull'involucro dell'oggetto di fronte a sé.
Che fare, quindi? Come riuscire a impedire ad Arwen di morire? O di fargli uccidere Joseph?

«È inutile che ti alleni, Ara. Tuo fratello non ti ha compresa nel suo attacco» il vocione di Garrel risuonò per tutto il magazzino degli attrezzi, arrivando dritta ai suoi timpani.
Crucciata, la ragazza si volse verso di lui: «Che vorresti dire?»

«Quello che ho detto. Tu non vieni» nonostante la serietà con cui la stava fissando, la ragazza non poté che trovare quella risposta uno scherzo di pessimo gusto. Non poteva esserci alcun fondo di verità in quelle parole.

Aralyn soffocò una risata: «Sì, certo...»
L'uomo strinse le enormi braccia al petto, squadrandola con un'espressione ancor più torva in viso; peccato che dopo Joseph, non avrebbe più creduto alle parole di nessuno, se non quelle del suo Alpha – l'unico che, nonostante tutto, non le avrebbe mai mentito.
«Ara, non sto scherzando» affermò, avvicinandosi sempre più: «Il capo ti ha messa alla guida dei licantropi che hanno scelto di non partecipare a questa battaglia» concluse infine, arrivando a poche spanne da lei. Ora, a distanza così ravvicinata, volente o meno, Aralyn dovette ammettere di non vedere in lui alcuna traccia d'ilarità – il ché voleva dire che non si trattava affatto di una presa in giro. Suo fratello l'aveva realmente esclusa dall'attacco ai Menalcan.

Incredula, la lupa si scagliò contro l'amico, afferrandogli la pelle degli avanbracci con le unghie affilate – più simili ad artigli che a qualsiasi cosa potesse essere definita umana.

«Non può farlo!» sbottò, sgranando gli occhi, ma Garrel non parve affatto cedere. La sua espressione rimase immutata, anche se nello sguardo gli si poté leggere una sorta di compassione – dettaglio che mandò ancor più su tutte le furie la sorella dell'Alpha.

«Io devo partecipare a questa cosa» nel dirlo però, la voce prese un'incrinatura tutt'altro che piacevole. Sì, perché la paura di restare all'oscuro di ciò che sarebbe potuto succedere ad Arwen o Joseph la mandava in crisi – non poteva né permettersi di perdere uno, né l'altro.

«Non sei nelle condizioni per farlo, lo sai anche tu».
E, senza rifletterci, infilando gli artigli nella carne dell'omaccione di fronte a lei, Aralyn sputò il commento più crudele che si fosse mai fatta sfuggire: «Io? Io sono la cosa migliore che sia capitata a mio fratello! Sono nella fottuta squadra d'élite di questo clan... uno storpio non può decidere del mio destino!»

Non capì la gravità delle proprie parole fin quando, negli occhi scuri dell'amico, non apparve un annichilante sconvolgimento. La sorpresa di Garrel la colpì dritta nello stomaco e, appena si rese conto di aver additato suo fratello nel peggiore dei modi, si sentì un mostro.
Per anni aveva aggredito qualsiasi persona si rivolgesse a lui in quella maniera, sapendo quanto la cosa lo avesse ferito e quali tipi di sofferenze avesse dovuto affrontare, eppure ora si ritrovava a essere esattamente al loro posto; se il gorilla di fronte a lei avesse deciso di colpirla, non l'avrebbe affatto biasimato.

Lui però non si mosse. Rimase fermo a guardarla in quel modo umiliante, facendola sentire sempre peggio.

«I-io... io non volevo dirlo»

Garrel a quel punto si scrollò di dosso le sue unghie, sospirando.
«Credi che non sappia che la sua sia una follia? Siete entrambi in pessime condizioni. Tu ferita, lui menomato e fermo da anni. Però...» lo vide abbassare lo sguardo, portarlo sui segni rossi che lei gli aveva procurato: «però preferisco perdere un Alpha, che due. Se tuo fratello non dovesse sopravvivere...»
Aralyn lo fermò subito, iniziando ad agitare la testa con foga: «No. Non dirlo. Non azzardarti a farlo Garrel» la voce spezzata, le guance rosse come pomodori. Sapeva benissimo cosa stesse per dirle – e non volle sentirlo.

«Ascoltami Santi'iddio!» urlò, afferrandole le spalle e scuotendola: «Se lui muore, tu ne prenderai il posto! Sei l'unica a poterlo fare».
Per quanto terribile, il commento del licantropo aveva fondamenti di verità, ma a prescindere da questo, lei non avrebbe mai rinunciato a partire al loro fianco. Poteva anche essere l'unica a poter sostituire Arwen nel clan, ma non lo avrebbe fatto, non dopo ciò che era successo e ciò che sentiva agitarsi dentro al solo pensiero di tornare dai Menalcan.
Alpha o meno, sarebbe scesa in battaglia con i suoi confratelli, impedendo a Joseph e Arwen di ammazzarsi a vicenda.

 


 
   
 
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