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Autore: Samita    26/11/2019    1 recensioni
Devi mimetizzarti, come le zebre.
Luca e Camilla si conoscono da quando erano bambini. Le loro vite si intrecciano continuamente, fa incontri e talvolta scontri, in quella che forse solo loro due sono in grado di definire liberamente amicizia.
Piegato in due per il calcio rotante da poco ricevuto al fianco sinistro, si era pure preso la strigliata dalla maestra.
Va bene, Cami sanguinava dal naso.
Ma era il doppio di lui.
In altezza e in furia.

[Questa storia è presente anche su Wattpad, pubblicata dall'utente Malgari. Sono sempre io.]
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2. La Gloria

 

Luca aveva capito molto prima dell'"incidente della gomma" quanto Camilla potesse essere pericolosa: al secondo anno di asilo l'aveva vista prendersela con uno dei bambini più grandi, per motivi a lui ignoti, e vincere.
Beh, questo lo sapevano lui, Camilla e il malcapitato.
Le maestre, anche allora, sembravano aver ignorato deliberatamente la dinamica dell'accaduto, e avevano passato la mezz'ora successiva a spiegare all'altro (Marco? Michele?) che aveva sbagliato ben due volte: Camilla era non solo femmina, ma anche più piccola di lui. Male, Michele – male, Marco!
Poco importava se la piccola Camilla non era poi così piccola: a ben guardare, forse un centimetro in meno dell'altro. Sull'esser femmina - beh, quello Luca non poteva certificarlo, ma si fidava abbastanza del fatto che la bambina indossasse il grembiule rosa. Giallo, a volte.
Mica blu e verde, come il suo.

Camilla si fece valere, fiduciosa e spavalda, per tutte le elementari.
Prima a esser scelta quando si facevano le squadre di basket a ginnastica. Seconda solo a Simone nella rocambolesca corsa lungo le scale al suonare della campanella – sia in entrata che in uscita da scuola.
Prima in matematica.
Prima anche nel conteggio delle note sul diario: Camilla non ascolta; Camilla legge Topolino; Camilla ascolta musica con le cuffiette mentre i compagni svolgono gli esercizi alla lavagna.
Luca la osservava come un mostro sacro, cercando moderare la distanza fra di loro di modo che la cosa gli fosse conveniente il giusto. A starle troppo vicini, aveva imparato, si finiva come Alessandro – che s'era fatto beccare insieme a Cami a far scoppiare i tetrapak dei succhi di frutta in corridoio, e come sempre capitava in quelle situazioni, aveva pagato lo scotto per entrambi.
Perché se Camilla, da sola, faceva casino, era colpa sua.
Se Camilla, insieme a un'altra bambina, faceva casino, era sempre colpa sua.
Se però il fattaccio avveniva assieme a un maschio – ah! La storia cambiava radicalmente.
Prima si pagava la pena della maestra, che ancora sembrava preferire l'idea che in fondo fossero i maschi quelli propensi alla confusione, e quindi addossava a loro tutte le colpe.
Poi arrivava l'ira di Cami.
In terza elementare Luca aveva imparato una parola perfetta per descrivere lo stato emotivo di Camilla dopo che una delle sue prodezze non le era stata riconosciuta – anzi, le era stata rubata, attribuendola in toto al compagno che si trovava con lei.
Incazzata.
Luca sapeva benissimo di non dover dire quella parola, ma sapeva anche che non gli si poteva leggere nel pensiero: quindi, decise un giorno, poteva pensarla. E la pensava, spesso e intensamente.
Incazzata.
Camilla si incazzava a morte quando le maestre le rubavano la gloria e l'assegnavano ad un altro bambino. A quel punto bisognava stare molto attenti a non continuare a perpetrare l'idea che, per esempio, il buco sul soffitto della palestra che era valso la sospensione delle lezioni per una meravigliosa settimana lo avesse fatto Emanuele: era stata Cami. Lo sapeva lei, lo sapeva Luca, lo sapevano gli altri. E se non lo sapevano, lo imparavano prestissimo.
Il solo nominare Emanuele la faceva teletrasportare da te, urlante: "Sono stata io, cretino!"
Cami era pure sboccata.
"L'ho fatto io il buco! Con la fionda! La fionda di Emanuele, ma l'ho fatto io!"
Poco importava se la conversazione non aveva nulla a che vedere con quel benedetto buco: l'importante, per Camilla, era che tutti sapessero. Da lì in poi, per Cami ogni occasione era buona per prendersela con Emanuele: era suo nemico giurato.
Emanuele per il buco nel soffitto della palestra.
Alessandro per i botti con i tetrapak dei succhi di frutta.
Michele per il gavettone dell'ultimo giorno di quarta elementare.
Conclusione: esisteva, secondo Luca, una distanza minima oltre la quale non ci si doveva avvicinare a Camilla, o sarebbe finita male. Molto male.
A ripensarci era strano che la bambina non se la fosse presa a morte anche con lui, dopo l'"incidente della gomma".
Ma forse era l'asilo.
Alle elementari le cose erano diverse, rispetto all'asilo.
Così come alle medie.

Alle medie Luca non poté più mantenere la sua distanza di sicurezza.
Non poté più essere osservatore delle imprese di Camilla, non poté starne fuori né evitare di farsi coinvolgere: la Rossi li mise in banco insieme.
Subito, il primo giorno.
Furono l'unico banco che rimase intoccato nei tre anni successivi.

Luca sudava freddo.
Era talmente inquietato dalla figura mitologica di Camilla da non essersi reso conto che, durante l'estate, l'aveva superata in altezza.

 

 

 

   
 
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