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Autore: Nereisi    26/11/2019    1 recensioni
A Punk Hazard gli Strawhats si scontrano con le abominevoli realtà del Nuovo Mondo: innocenti vittime della crudeltà di persone potenti, traffici di Frutti del Diavolo, esperimenti umani. Nonostante la loro vittoria, vengono a conoscenza di una terribile verità: non sono riusciti a salvare tutti i bambini. Decisi a porre fine ai rapimenti, gli Strawhats si imbarcano in un viaggio che li porterà alla ricerca di un nemico nascosto in piena vista.
La chiave per la soluzione di questo mistero sembra essere una ragazza che avrebbe preferito di gran lunga rimanere nell'ombra, capitata nel posto giusto al momento sbagliato.
Tra nuove isole, combattimenti contro il più insospettabile degli avversari, aiuti inaspettati e fin troppi Coup De Burst la ciurma di Cappello di Paglia verrà coinvolta in un viaggio che potrebbe scuotere - e forse distruggere - le fondamenta del mondo e dell'ordine che lo governa.
Genere: Avventura, Azione, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Monkey D. Rufy, Mugiwara, Nami, Nuovo personaggio, Sorpresa | Coppie: Franky/Nico Robin, Sanji/Zoro
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Footprints'
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Note autrice: Dopo veramente troppo tempo, ecco il nuovo capitolo. Sembrava proprio non voler uscire. Tra lavoro, università, blocco dello scrittore e mille problemi è stata una gestazione fin troppo lunga. Spero di non dover aspettare l’allineamento dei pianeti anche per il prossimo update. Farò del mio meglio! Grazie a tutti per aver aspettato. I vostri commenti mi danno forza.
Chi indovina l’idea di Franky a fine capitolo vince un biscottino!

Per rimanere aggiornati su tutte le mie traduzioni e lavori e sapere a che punto sono potete seguirmi su Tumblr !
Per festeggiare l'uscita di questo capitolo ecco a voi un disegno di Mana fatta da Reverzaart, che potete trovare sia su Tumblr che su Instagram! Se volete vederla ancora meglio andate direttamente sul mio blog! ^^
 
Barefoot
- Trudging -
 


 
“… E questo è tutto quello che c’è da sapere sull’haki.” Concluse Sanji, permettendosi finalmente di prendere una meritatissima boccata di fumo.

Mana annuì. “Beh, sì, non è molto. Dal momento che non è un potere molto studiato non c’è molto da spiegare. Sono cose che sapevo già, più o meno.” Disse. “Ma un ripasso non fa mai male!” Si affrettò ad aggiungere, notando l’espressione da cane bastonato.

Sanji si ricompose, raddrizzando la schiena. “Giusto!”

“Posso fare solo una domanda?”

“Certo!”

“Perché Luffy è qui?”

Il ragazzo, chiamato in causa, saltò i piedi e le rivolse un grosso sorriso. “Sanji mi ha promesso una merenda extra!”

“Fin troppo prevedibile, ma non intendevo questo.”

Sanji si intromise. “Luffy ha molta esperienza con l’haki. Inoltre ho pensato che ci potrebbe essere d’aiuto per la pratica con il suo corpo. I colpi fisici, a meno che non siano caricati di una buona quantità di haki, non gli fanno quasi niente.”

Mana sbatté le palpebre. “Cioè, fammi capire… Dovrei usare il tuo capitano come sacco da boxe?”

“In poche parole, sì.”

Mana sbatté nuovamente le palpebre. Fissò Sanji. Poi Luffy. Poi di nuovo Sanji. “Ma è il tuo capitano!” Esclamò, infine.

Sanji fece spallucce. “Non ci offendiamo mica. Te lo sto proponendo io.”

Mana boccheggiò, completamente spiazzata. Si girò verso il ragazzo. “A te non sembra strano?” chiese, la voce che si impennava di qualche ottavo.

“No, perché?” Rispose lui, il perfetto ritratto dell’innocenza. A Mana crollarono le spalle.

“Se non vuoi che dia aria alla bocca posso dargli qualcosa da masticare nel mentre.”

“Grazie ma no.” esalò.

Sanji fece un mezzo sorriso e si affrettò per finire di fumare la sua sigaretta. Si allontanò di mezzo passo e le diede le spalle, cercando di non investirla.

Probabilmente stava cercando di farle una cortesia, ma a Mana l’odore del fumo non dispiaceva. Certo, se finiva negli occhi era irritante e
certi tipo di tabacco erano talmente pungenti da avvicinarsi pericolosamente alle armi chimiche; ma le dava un senso di quiete e familiarità. Nel laboratorio era tutto lucido e pulito. I dipendenti non potevano fumare all’interno della struttura e gli unici odori percepibili erano quello delle medicine e quello ferroso delle catene. Persino i pasti che preparavano loro erano inodori; sembravano essere fatti d’acqua e nulla più. Per una persona come lei, abituata a essere circondata dai profumi e dalle puzze più disparate, al punto da usare il suo naso per muoversi, l’improvvisa assenza di odori fu una delle cose che la destabilizzò di più durante il periodo della prigionia. Era arrivata al punto da riuscire ad ottenere il trasferimento in una delle loro celle più rudimentali, ancora priva di pavimentazione, solo per poter sentire l’odore della roccia bagnata e del muschio che cresceva negli angoli.

“Bene.” Esclamò Sanji. “Direi che possiamo iniziare. Hai già visto i vari tipi di haki in azione, vero?”

Mana annuì. “Tranne l’haki del re conquistatore.” Fece saettare lo sguardo verso Luffy, poi verso i loro dintorni, dove spiccava chiaramente l’assenza di nemici di alcun tipo. “Però credo che farò a meno di una dimostrazione pratica.” In realtà era curiosa di vedere cosa sarebbe successo se Luffy avesse usato quel suo potere contro di lei. Sarebbe riuscita a resistere almeno qualche secondo? O sarebbe crollata immediatamente a terra? L’idea di scoprire quanto forte fosse la propria ambizione la intrigava.

Sanji rise. “Sì, direi di evitare.” Disse, guardando Luffy. Il ragazzo non si era accorto del loro ultimo scambio. Si era perso a fissare qualcosa nel cielo, gli occhi stretti per riuscire a vedere nonostante i raggi solari. Mana inclinò la testa. Chissà se avrebbe usato il proprio haki contro i suoi compagni, anche solo per gioco? La reazione di Sanji era troppo vaga per poterne discernere qualcosa.

Dopo aver richiamato il proprio capitano all’ordine, la lezione, finalmente, iniziò.

Ma non fu esattamente come se l’era aspettata.

Il cuoco di bordo preferì usare sé stesso e il proprio capitano per spiegarle e dimostrarle come evocare l’haki. Quando fu evidente che il semplice concentrarsi con la faccia costipata non portava a nessun risultato, Mana insistette per provare in prima persona. Dopotutto, era il tipo che imparava più facilmente con la pratica, piuttosto che con la teoria.

Purtroppo, nonostante le sue entusiaste aspettative, divenne evidente abbastanza presto che Sanji non avesse alcuna intenzione di coinvolgerla fisicamente nell’allenamento. Sembrava che fosse solo una spettatrice passiva.

“Non stiamo andando da nessuna parte.” Esclamò infine dopo un’ora passata a cercare di istigare una lotta, senza successo. “Tutto questo non ha senso.”

Sanji balbettò, a disagio. “B-bocciolo di neve, stiamo facendo tutto il possibile-“

Mana gli lanciò un’occhiata irritata. “No, non è vero e tu lo sai.”

Lui strinse le labbra intorno alla sigaretta spenta, guardando in basso. “È la prima volta che faccio da insegnante…”

Mana strinse i denti, costringendosi a calmarsi e a non fare eccessivamente la stronza. Fece un respiro e lo lasciò andare lentamente. Quando ebbe finito, si stampò un sorriso in viso e ricominciò da capo. “Come avete imparato l’haki?” Chiese, incoraggiante. “Magari possiamo prendere spunto dalla vostra esperienza.”

“Io, io, io!” Esclamò Luffy, saltellando con il braccio alzato. “Rayleigh mi ha portato in un posto pieno di bestie feroci giganti e abbiamo lottato finché non ho imparato!” Disse con un sorriso a trentadue denti.

Mana sbatté le palpebre. Beh, si era aspettata qualcosa di questo tipo ma, come al solito, la giovane supernova riusciva sempre a superare le sue aspettative.

Si girò verso Sanji. “Tu invece?”

Il suo interlocutore sembrava non volerle rispondere, evitando il suo sguardo e stringendosi nelle spalle. Dopo che anche il suo capitano si unì a Mana per fissarlo con aspettativa, esalò pesantemente, sconfitto. “Diciamo che ho dovuto impararlo per difendermi e sopravvivere in un’isola selvaggia.”

Luffy si illuminò. “Anche tu hai dovuto combattere delle belve giganti?”

“…Più o meno.”

“Io alla fine però ci ho fatto amicizia! Anche tu ci sei riuscito?”

Il cuoco strinse la sigaretta tra i denti quasi al punto di tranciarla. “Più o meno.”

Mana intervenne prima che Luffy irritasse troppo il proprio compagno. “Direi che abbiamo trovato un punto in comune alle vostre esperienze.”

“Cioè?”

“Entrambi siete stati coinvolti in prima persona nel vostro allenamento.” Disse Mana, sentendosi come se stesse sottolineando l’ovvio. “Quindi… Direi che sarebbe ora che iniziassi a farlo anche io.” Concluse, guardando insistentemente Sanji.

L’interessato si irrigidì, mantenendo con palese fatica il sorriso sulle labbra. “Se è quello che vuoi, bocciolo…” Mana annuì, girando anche il resto del corpo verso di lui, piena d’aspettativa. Il cuoco degli Straw Hats era uno dei tre membri più forti della ciurma. C’era molto da imparare da un uomo del genere, se si metteva a fare sul serio.

Ma, con sua somma sorpresa e disappunto, Sanji  evitò con molto poco garbo il suo sguardo, dandole il lato del viso coperto dal suo lungo ciuffo di capelli biondi, e si girò verso il proprio capitano. “Coraggio Luffy, è il tuo turno! Mostrale di cosa sei capace!” Scherzò, la voce più acuta del normale. Il ragazzo chiamato in causa si infervorò, lanciando i pugni verso il cielo e ululando una sottospecie di grido di battaglia.

Mana sbatté gli occhi. “Non… Non mi insegnerai tu?” Chiese, spiazzata.

Sanji tornò a guardarla, un sorriso forzatissimo sul viso. “Di che parli, bocciolo di neve? Cosa avrei fatto per tutto questo tempo, altrimenti? Non pensi che sia ora di cambiare coach?”

Mana fece saettare lo sguardo verso il secondo ragazzo. Gli occhi gli brillavano di determinazione e entusiasmo ma, per quanto fosse carino, era impossibile non notare l’assenza di comprensione di quello che stava succedendo. “Non credo che abbia la benché minima idea di come allenare qualcuno.” Disse, senza peli sulla lingua.

Alle sue parole, il viso di  Luffy si storpiò in un’espressione di delusione e shock. Prima che Mana avesse il tempo di sentirsi in colpa, però, il ragazzo si ficcò un mignolo nel naso – bleah – e iniziò a scaccolarsi in modo assente. “È vero.”

Mana sbatté le palpebre, ma accettò la situazione senza scomporsi. Sanji tentò di correre ai ripari. “Ma no, ma no… Sacco da boxe, ricordi? Colpiscilo finché non riesci a evocare l’haki.” Disse, ridacchiando nervosamente.

“Mi… Mi stai dicendo di fargli male? Apposta?” Chiese, sempre più sconcertata. “Allora prima non stavi scherzando?!”

Sanji gesticolò in modo convulso con le mani. “… No?”

Mana lo fissò. Sanji guardò dappertutto tranne che lei. Luffy continuò a scaccolarsi. Mana fece appello a tutte le divinità che conosceva e fece un bel respiro. “Non ha senso questa cosa, lo sai, vero?” Sanji tentò di dire qualcosa, ma Mana lo interruppe. “Sia tu che Luffy avete imparato questa tecnica come forma di difesa in condizioni estreme. Non vedo come io potrei impararlo in così breve tempo in una situazione completamente opposta.”

“Ogni persona è diversa…” Tentò lui, debolmente.

“Beh, io credo di rientrare nella media.” Rispose seccamente Mana. Stava cominciando a perdere la pazienza.

Sanji lanciò un’ultima disperata, obiezione. E fu quella sbagliata. “Ma a lui non dà mica fastidio-“
 
Una mano scompiglia una corta zazzera di capelli, per poi carezzare un viso giovane e spaventato. “Vero che non ti da fastidio?” Chiese una voce crudele. “Vero che vuoi aiutare la tua amica a diventare più forte?” Lui non rispose, continuando a tremare. La mano che gli stava sarcasticamente accarezzando il viso saettò via dal suo campo visivo e dietro la schiena del ragazzino, dandogli una rude colpo sulla schiena, spingendolo avanti. Verso di lei.

“Avanti, 174.” Disse la voce, ora improvvisamente troppo vicina al suo orecchio. Un brivido le corse lungo il collo e giù per la spina dorsale. “Fallo.”
 

Le narici di Mana si dilatarono e lei strinse i pugni, digrignando i denti. “Non combatterò un avversario passivo!”

Sanji sussultò, spaventato dalla sua improvvisa eruzione. Luffy diventò istantaneamente serio, aguzzando lo sguardo.

Una manciata di secondi passò nel silenzio generale. Mana trovò la forza di rilassare le mani, anche se ormai dieci mezzelune erano già presenti sui suoi palmi. Tentò di calmarsi. Era ovvio che Sanji non poteva sapere che una proposta del genere l’avrebbe fatta arrabbiare così tanto.

Però.

Quel suo comportamento le aveva fatto perdere del tutto la pazienza. E ce ne voleva.

“Sanji, scusa. Questa volta devo rifiutare lo spuntino.” Disse improvvisamente Luffy, prima di dar loro le spalle e andarsene. Sanji lo guardò allontanarsi, sconvolto.

Rimasero soli. Nessuno dei due guardò l’altro. L’atmosfera che li circondava era carica di disagio e tensione.

Portare a termine quell’allenamento sarebbe stato più difficile del previsto.
 
-
 

Dopo la sua esplosione, non si trattennero ancora per molto.

Guardandosi intorno in modo assente, aspettando che l’altro le dicesse qualcosa, Mana scorse in un angolo un po’ nascosto del ponte una strana protuberanza. Aguzzando lo sguardo, distinse le figure di un occhio e di un orecchio, attaccati sul legno come se fossero intagliati. L’occhio in questione la stava fissando e, non appena i loro sguardi si incrociarono, sparì nel nulla assieme all’orecchio, lasciando al loro posto solamente dei petali.

Non le ci volle molto per fare due più due e, ormai completamente indisposta, marciò via. Aveva bisogno di stare da sola. Era irritata per come Black Leg l’aveva trattata; e il pensiero che uno dei membri più intelligenti della ciurma fosse venuto a conoscenza di un altro tassello della sua storia senza aver dovuto dare niente in cambio la infastidiva oltre ogni limite.

Per il resto della giornata e durante tutta quella successiva fu più sfuggente del solito; eccezion fatta per Chopper, il cui musino triste non riusciva assolutamente a sopportare, e a Luffy, che riusciva sempre e comunque a trovarla e a prenderla in contropiede. In aggiunta al suo solito modo di fare, però, la sua aura diventava a tratti seria, quasi austera. Forse era il suo modo per dirle che aveva capito l’importanza di quello che era accaduto il giorno prima; forse le stava chiedendo scusa; forse la sua testa non era completamente vuota come le avevano sempre raccontato. Qualsiasi fosse la risposta a lei andava bene e, sebbene non disse nulla ad alta voce, il suo accettare silenziosamente la presenza del giovane capitano espresse il suo apprezzamento.

Sanji si rifece vivo due giorni dopo l’accaduto, annunciando il suo arrivo sul tetto del nido di corvo con i “ponf” caratteristici del suo Skywalk. Mana lo guardò arrivare da dov’era seduta senza dire nulla. Era ancora palesemente nervoso in sua presenza, ma Mana non sapeva dirne il motivo con certezza. Si era pentito del suo comportamento? O forse non sapeva come prenderla a causa della sua reazione esplosiva?

L’altro atterrò, i tacchi delle sue scarpe che risuonarono sul legno. “Ti trovo bene. Ne sono felice.” Esordì. Mana alzò un sopracciglio. Sanji si torturò le mani. “Ti chiedo scusa per averti turbato.” Alzò tentativamente lo sguardo. “Ti andrebbe di riprovarci?”

Dopo una manciata di secondi, Mana si alzò con un sospiro e lo seguì giù sul ponte. Tanto valeva. Non aveva niente da perdere, a parte la sua già traballante sanità mentale.

Sanji rimase silenzioso per tutto il tragitto. Lasciò che la sua maschera di nervosismo si sciogliesse solo per riservarle delle cortesie; ma era ovvio che non fosse sereno. E se c’era qualcosa che Mana aveva imparato durante il suo pernottamento su quel brigantino era che se quel Don Giovanni non decollava fino al cielo dalla felicità quando un’appartenente al gentil sesso acconsentiva a una sua qualsivoglia richiesta, qualcosa bolliva in pentola. E non era mai qualcosa di buono. Per questo motivo, vedere Sanji col morale così a terra nonostante lei avesse accettato di averlo ancora come maestro… Beh. Non era una prospettiva molto incoraggiante.

Si posizionarono uno di fronte all’altra, lasciando un po’ di distanza fra di loro. Sanji sembrava che stesse facendo un dialogo interiore con sé stesso, vista l’espressione che aveva dipinta in volto. A Mana fece un po’ pena, per cui gli lasciò tutto il tempo che gli serviva per prepararsi psicologicamente.

"Ovviamente mi tratterrò.” La avvisò Sanji. Forse si aspettava una reazione negativa a quelle parole, visto come le aveva pronunciate senza guardarla negli occhi; ma Mana non disse nulla. Era una condizione che aveva già messo in conto nel momento in cui era venuto a cercarla. Inoltre, aveva visto cosa riusciva a fare. Se si fosse impegnato anche un minimo probabilmente di lei ne avrebbe fatto soffritto con un solo calcio e senza nemmeno sudare. In seguito al suo duello con Zoro si era decisamente rivalutata.

Quando si accorse che non aveva intenzione di replicare, Sanji si mise nervosamente in posizione d’attacco. Mana lo imitò, cercando di ignorare la carnagione del suo avversario, oramai tendente al verdognolo. Ancora un po’ e sarebbe stato dello stesso colore dei capelli di Zoro.

Dopo una decina di secondi di stallo, Mana ebbe pietà del suo avversario e fece la prima mossa, togliendogli quel fardello dalle spalle. All’inizio decise di andare sul semplice, senza poteri o artifici vari. Sanji sembrò essere sulla sua stessa lunghezza d’onda; forse anche troppo: non solo non usò il suo famigerato Diable Jambe, ma nemmeno nessuna delle sue tecniche di lotta corpo a corpo. Tutto quello che faceva era schivare i suoi attacchi, senza mai cercare di ribaltare il ritmo della lotta, costantemente con un’espressione disagevole sul viso.

Mana cercò di non saltare subito a conclusioni affrettate e di essere comprensiva; ma dopo che furono passati svariati minuti senza che il suo avversario cercasse di passare alla carica, la sua pazienza stava per esaurirsi. Sanji dovette capirlo perché ci fu un istante in cui qualcosa saettò nei suoi occhi e qualcosa in lui cambiò. Mana, che si era lanciata verso di lui per un ennesimo attacco, sentì i peli delle braccia rizzarsi di colpo e incrociò le braccia davanti a sé, pronta a una lotta vera e propria, per parare un calcio del famigerato cuoco combattente della ciurma di Cappello di Paglia. La scarpa di Sanji si avvicinò rapidamente al suo corpo, l’impatto imminente…

Ma nulla arrivò.

La suola si fermò a qualche spanna di distanza, da lei.

La gamba del suo avversario era al contempo rigida come la pietra e tremante.

“Mi dispiace.” Esalò Sanji, abbassandola lentamente, lo sguardo fisso sul terreno. “Non ce la faccio.” Mana alzò il viso, sbigottita e incredula. Il giovane uomo sembrava essere sull’orlo del vomito e stava sudando copiosamente; tanto era la sua repulsione per l’atto che stava per commettere.

Fece un passo verso di lui, preoccupata per le sue condizioni; ma poi l’irritazione vinse su di lei. Era già risaputo che non volesse toccarla nemmeno con un dito, nel senso violento del termine; lo aveva ben capito già alla precedente sessione di allenamento. Allora perché diavolo aveva insistito lo stesso a chiamarla e farle perdere tempo con una cosa che sapeva già non voler fare? Forse pensava che lei stesse giocando? O anzi, che la stesse usando come cavia per testare fin dove poteva spingersi contro quel suo palese tallone d’Achille? Come se fosse un… esperimento?

Mana digrignò i denti, trattenendo a stento un ringhio frustrato.

Senza guardarsi indietro, girò sui tacchi e marciò via.

“Keh.” Fece una voce dall’alto. “Vedo che è andata bene.”

Mana alzò la testa, schermandosi gli occhi dal sole con una mano. Zoro era affacciato da una delle finestre della vedetta. Doveva aver visto tutto.

Il suo interlocutore appoggiò il mento sulla mano. “Grazie per lo spettacolo, decisamente un ottimo intrattenimento.” Ghignò, prendendola in giro. “Se vuoi fare qualche progresso ti consiglio di scegliere più attentamente il tuo maestro.”

Mana arrossì e si affrettò ad andarsene, imbarazzata.
 
-

 
Zoro guardò la ragazza scappare sotto coperta con la coda tra le gambe.

“Offrire il proprio aiuto era troppo ovvia come mossa?”

Lo spadaccino si girò verso l’interno della torre di vedetta, rilassandosi contro lo schienale. “Nah. Non sono così misericordioso. Se vuole un aiuto, che metta da parte l’orgoglio e lo chieda di persona.”

Robin lo studiò da dov’era seduta qualche metro più in là, anche lei di fronte ad una finestra aperta e un libro sulle gambe. “Un tempo avresti detto che l’orgoglio è la cosa più importante che un guerriero possiede.”


Zoro ruotò la testa e lasciò vagare lo sguardo sull’orizzonte, dove il blu del mare e quello del cielo diventavano indistinguibili. “Un tempo.”

“… E mettere da parte il tuo?”

Zoro sbuffò. “Quella lezione io l’ho già imparata.” Saette di dolore gli percorsero il torace. Il tintinnio dei suoi orecchini seguì il movimento della sua testa. La pietra fredda sulle mani e sulla fronte mentre si prostrava di fronte alla sua meta, chiedendole di diventare percorso. “Ora tocca a lei.”

Robin non disse nulla, ma andava bene così. Zoro la apprezzava soprattutto perché la sua compagnia non necessitava di troppe parole.

“E poi, se anche avessi voluto propormi… Non valeva la pena di sorbirmi quel damerino che mi berciava nell’orecchio di star molestando una delle sue graziose fanciulle.” Brontolò, facendo il verso. “Figurati quanto sclererebbe se le mettessi di nuovo le mani addosso.”

“Mmm.”

Il tono di quel verso non gli piacque per niente. Riportò la propria attenzione verso l’archeologa, trovandola a studiarlo con uno luccichio divertito negli occhi. “Cosa.”

“Non ho detto nulla.” Rispose, un sorriso sulle labbra.

“Cosa c’è?” Insistette lui, girando tutto il corpo verso di lei.

“Niente.” Disse lei, angelica, abbassando le palpebre e concentrandosi sulla tazza di the improvvisamente materializzatasi davanti al suo naso.

Zoro sentì l’irritazione arrampicarsi per la spina dorsale. Odiava quel tipo di giochetti. “Oi-“

Con un rumore sordo, Franky spuntò dalla botola che faceva da entrata alla torre di vedetta. “Zoro, frate’, sono venuto a darti il cambi- oh.”

Si bloccò di colpo, la maniglia ancora in mano e la botola semiaperta, gli occhi spalancati e grandi come piattini da tè.

“Franky! Che piacere questa visita.”

Il cyborg sembrò recuperare a fatica l’uso della parola. “Ciao Robin. Vedo che stai meglio.”

La donna gli rivolse un sorriso. “Sono in via di guarigione. Chopper mi ha consigliato di riposare all’aria aperta ma senza stare direttamente sotto il sole; ed eccomi qua. Ho pensato che tenere compagnia a Zoro mentre era di vedetta fosse un ottimo compromesso per ammazzare la noia.”

Franky annuì. “Sono contento che tu stia bene.”

“Lo so.” Franky fece scattare lo sguardo su di lei. La donna sostenne il suo sguardo con calma, un sorriso pacato sulle labbra, l’espressione di qualcuno che sa. Franky deglutì.

Zoro aveva seguito lo scambio facendo rimbalzare gli occhi da una persona all’altra, completamente confuso. Bah, non che gli interessasse eccessivamente. Quei due avevano una strana dinamica. “Beh, allora io vado…” Disse, alzandosi e avvicinandosi alla botola.

Poco ci mancò che Franky facesse una sincope in quel preciso momento e posto. “NO!” Esclamò, facendo rimbalzare lo sguardo dappertutto, in preda al panico.

“No?” Gli fece eco Zoro. “Hai detto tu che sei venuto a darmi il cambio.”

“A-aw.” Franky sudò. “Mi sono appena ricordato di aver visto Sanji venendo qui e mi sembrava giù di morale. Forse è meglio che vada a controllare che stia bene.”

Lo spadaccino strinse gli occhi. “Quel damerino sta bene. Gli manca solo un po’ di spina dorsale.”

Una voce interruppe il loro scambio. “Non fa niente, posso tenere d’occhio io la vedetta.” Disse Robin. “Ora come ora non ho nulla da fare a parte finire questo the.”

Zoro la guardò, un sopracciglio inarcato. Ma se fino a qualche minuto fa era con il naso piantato fra le pagine? Eppure, ora che ci faceva caso, quel libro sembrava misteriosamente scomparso.

Quando riportò l’attenzione su Franky, il cyborg sembrava completamente imbambolato a fissare Robin dall’altra parte della stanza che, forse anche lei a corto di idee per disperdere la tensione della stanza, si era messa a sorseggiare il soprannominato the.

“Perché-“

SBAM!

Franky si era defilato, chiudendo fragorosamente la botola dietro di sé. Zoro fissò il punto dov’era sparito, più che confuso. La sua era una ciurma di lunatici. Ogni tanto se lo scordava.

Alzando gli occhi al cielo, ritornò al suo posto e si lasciò cadere sul divanetto che circondava il muro sottostante alle finestre.

“Non ti disturbare, faccio io.”

Lui grugnì. “Non rompere e continua a leggere le tue schifezze.”

L’archeologa rise graziosamente. “Galante come sempre.”

“Tsk.” La liquidò Zoro, stravaccandosi per bene e preparandosi per una continuazione indefinita del suo turno di vedetta.

Il libro era inspiegabilmente tornato sulle ginocchia della sua proprietaria.

Ma guarda te che caso.

Lunatici, tutti loro.

 
-
 

Trascinandosi stancamente sottocoperta, Mana ripensò al commento di Zoro. Sembrava essere diventata un’irritante ricorrenza, ma sempre più spesso si trovava a dargli ragione, nonostante l’insofferenza che nutriva nei suoi confronti. Così non poteva andare avanti. Se voleva davvero imparare qualcosa prima di andarsene da quella nave, non poteva perdere tempo con un tizio che la trattava come se potesse spezzarla se l’avesse solo sfiorata. Quegli allenamenti non avevano portato a niente, l’avevano solamente fatta ribollire di rabbia. Ancora un po’ e sarebbe esplosa.

Mancavano ancora una decina di metri alle scale e Mana percepì qualcosa con la pianta del piede. Si fermò, concentrandosi. Quello che inizialmente sembrava un semplice formicolio si rivelò una vera e propria vibrazione del pavimento e dopo qualche secondo riuscì a capirne – o meglio: sentirne – la fonte. Non dovette gettarsi teatralmente di lato, dal momento che il movimento del legno e i rumorosi ansiti avevano rivelato l’avvicinarsi di Franky già da una manciata buona di secondi. Il carpentiere le passò di fianco correndo, l’enorme massa del suo corpo in velocità che faceva tremare l’intera struttura del corridoio. Aveva un’espressione particolare in viso, come se avesse appena avuto una rivelazione.

“Aw! Scusa scriccioletto, vado di fretta!”

Mana non si risentì per il nomignolo; aveva capito che non c’era la benché minima malizia nella mente del cyborg. E poi, era un dato di fatto: in confronto a lui era grande come una pulce. “È successo qualcosa?” chiese.

Franky girò su sé stesso, correndo sul posto. “Ehm… Ho… Uhm.” Tossicchiò. “Sto andando in cucina a fare rifornimento.”

“Oh, giusto. La cola.”

Franky ghignò. “Caffè.”

Mana sbatté le palpebre. “Come, prego?”

“Caffè.” Ripeté Franky. “Due litri dovrebbero bastarmi per tirare avanti tutta la notte.” E dopo averlo detto, si girò e corse fuori.

Mana rimase lì, confusa dallo scambio appena avvenuto.

Che il cyborg avesse il turno di vedetta quella notte?

 
-

 
Dopo l’ennesima giornata inconcludente, Mana era ad un passo dalla follia omicida. L’allenamento non l’aveva fiaccata nel corpo, ma nello spirito: la frustrazione e l’esasperazione erano l’unica cosa che la riempivano la mente, ma doveva tenerle sotto controllo per non fare passi falsi, oppure azioni di cui si sarebbe pentita.

Sanji era più che cosciente della sua rabbia. Ogni volta che la guardava lo faceva con uno sguardo nervoso e tormentato, nonostante cercasse di mascherarlo con il suo solito sorriso galante. Al di fuori degli orari dei pasti non le rivolgeva più la parola se non strettamente necessario e in generale sembrava molto abbattuto quando si parlava di lei. Alcuni trovavano questo suo inusuale comportamento divertente, altri – nello specifico quella buon’anima di Chopper – erano preoccupati. Zoro continuava a fare i suoi commenti sarcastici che, se da una parte stuzzicavano il cuoco e lo facevano reagire un po’, riportandolo a fare scintille con lo spadaccino, dall’altra lo pungeva nel vivo e, una volta terminata l’azzuffata, lo riducevano ancora di più ad un pensieroso silenzio con la coda tra le gambe.

Mana si sentiva un po’ in colpa per il suo avvilimento, ma anche giustificata nella sua rabbia. Quel tipo avrebbe potuto dispiacersene quanto voleva, ma se avesse perseverato nel suo comportamento, se avesse continuato a trattarla in quel modo, poteva scordarsi di starle vicino più del necessario. 

Scosse la testa e si alzò, lasciando che l’acqua del bagno le scivolasse addosso. Non aveva i muscoli indolenziti o altro, anche se poteva dire di avere una matassa di nervi tesi come corde di violino per l’irritazione; semplicemente le piaceva sentirsi pulita. E poi, una bella vasca come quella… Era un peccato non sfruttarla.

Si strizzò accuratamente i capelli, per poi avvolgerli in un asciugamano. Dopo aver scrollato i piedi, li posò entrambi sul tappeto, iniziando subito ad asciugarsi. I bracciali danzarono su e giù per le braccia mentre si frizionava energicamente il corpo. Dopo aver scoperto che la ciurma prelevava l’acqua per lavarsi dall’oceano non fu più un mistero come fossero riuscite Nami e Robin a lavarla pur avendoglieli levati: per quanto filtrata, restava sempre acqua di mare. Dopotutto, da quel poco che si sapeva sui Frutti del Diavolo non era la presenza del sale a rendere l’acqua il punto debole degli utilizzatori. Quella era una delle poche cose che sapeva per certo. Era così e basta. Né lei né la persona che le aveva confidato quell’aneddoto sapevano il perché di quel fenomeno; nessuno di loro due era una persona di scienza.

Nonostante tutto, però, Mana non si toglieva i bracciali quando si lavava. Non erano solo un blocco per i suoi poteri; erano un oggetto familiare, una fonte di conforto, una mano sulla spalla sempre presente.

Una volta asciutta si vestì. Guardò con indecisione i vestiti di Robin, scelti apposta per lei: leggeri e lunghi, per accomodare la sua ferita – ormai in via di cicatrizzazione – e pensati per poterle scivolare di dosso o, banalmente, non strapparsi nell’eventualità di una sua trasformazione. Mana fece il muso. Non erano decisamente il suo stile. Preferiva vestiti che non le limitassero i movimenti e che non la soffocassero, voleva sentire la carezza del vento sulla pelle. Ma capiva anche le ragioni di tale scelta. Il pensiero corse ai vestiti che aveva già danneggiato e l’imbarazzo l’assalì. Avrebbe dovuto trovare un modo per sdebitarsi o ripagarla per il danno procuratole.

Quando ebbe finito, tornò a occuparsi dei propri capelli. Disfece il turbante di spugna che li avvolgeva e li frizionò, cercando di asciugarli più che poteva. Era con sua grande gioia che Nami le aveva prestato i propri prodotti per capelli. Mana non aveva nulla da darle, ma quel gesto le era sicuramente valso un favore che si era appuntata mentalmente di ripagarle in futuro. La lista di quei favori ne contava già diversi, in realtà; e Mana non aveva la più pallida idea di come avrebbe fatto a rispettarla nel poco tempo che le rimaneva su quella nave.

Con i capelli ancora umidi, Mana si avviò verso il ponte. Aveva sempre asciugato i suoi capelli con il calore del sole, non vedeva perché fermarsi adesso solo perché era su una nave.

Una volta arrivata, si fece scudo con la mano per non venire accecata dalla luce. Mentre faceva correre lo sguardo per trovare un angolino dove potersi sedere, la sua attenzione venne richiamata da un non molto discreto grugnito.

Alla sua destra Luffy e Usopp giacevano in un mucchio di arti incastrati tra loro, ronfando beatamente e usando Chopper come cuscino. Non sembrava che gli desse particolarmente fastidio, visto che sembrava averli accompagnati nel mondo dei sogni.

Mana li scrutò, una strana sensazione di amarezza e solitudine che le attanagliava lo stomaco. Sembravano così comodi e rilassati, senza una preoccupazione al mondo. Quel giorno il sole splendeva in un cielo con nuvole sporadiche, ma il gruppetto aveva scelto un punto del ponte ombreggiato dalle ampie vele. La posizione scomoda non sembrava dargli fastidio. Mana si chiese se non fosse disagevole essere stravaccati l’uno sull’altro in quel modo durante una giornata calda come quella, ma forse il vento che soffiava dalla prua bastava a rinfrescarli sufficientemente; o forse, semplicemente, a loro non importava. Forse non ci facevano nemmeno caso.

Un brutale desiderio di poterne fare parte anche lei la assalì e Mana girò la testa di scatto, distogliendo lo sguardo.

“Mana!” la chiamò Nami da dietro di lei. “Vuoi unirti a noi?”

Mana la guardò da sopra una spalla. Le due donne della ciurma erano stese su degli sdraio vicini alla prua, del tutto a loro agio sotto ad un ombrellone. La graffiante sensazione di voglia che era riuscita a sopprimere solo qualche secondo prima tornò alla carica e Mana si voltò verso di loro, mordicchiandosi un labbro.

Azzardò un passo verso di loro.

“Nami-swan, Robin-chwan, ecco i vostri cocktail rinfrescanti!” trillò estasiato Sanji, materializzandosi dal nulla per posare dei coloratissimi drink sul tavolino vicino alle due donne e occhieggiando nel mentre le generose porzioni di pelle lasciate scoperte dai loro costumi.

Mana aggrottò immediatamente la fronte. L’incantesimo era stato spezzato.

Sanji si accorse di lei e si paralizzò, come un animale di fronte alla canna del fucile, perdendo subito il suo brio.

“Grazie per l’invito.” Masticò Mana tra i denti, sforzandosi di rimanere civile. “Ho trovato un posto migliore per abbronzarmi.” E detto questo, spiegò le ali e volò via.
 
-
 

Nami sbatté gli occhi, presa in contropiede. “Abbronzarsi?” si girò verso Robin. “Ma potrà abbronzarsi più di così?”

L’archeologa espirò pesantemente. Forse il calore aveva intontito momentaneamente la sua altrimenti brillante amica. “Non credo che intendesse quello.”

“Oh.”

“Già.”

Si girarono entrambe verso il cuoco, che si era sgonfiato come un palloncino e guardava sconsolato il terreno. “Io… vado a preparare la cena.” E se ne andò, mogio.

“Non ti fa un po’ pena?” Chiese Robin, guardandolo allontanarsi con la coda tra le gambe.

“Un po’, sì.”

“Gli dirai qualcosa?”

Nami si calò gli occhiali da sole sul viso. “Assolutamente no.”
 
-
 

Mana atterrò sul tetto dell’albero maestro. Lassù il vento soffiava molto più forte, quindi per riuscire a fermarsi dovette usare le sue zampe, risultando in passi molto più pesanti e rumorosi.

Speriamo che non mi abbia sentito nessun-

Sotto i suoi piedi, qualcosa colpì ripetutamente il legno. “Oi, polletta! Vedi di non sfondare il soffitto!”

Come non detto.

Indispettita, Mana si trasformò – giusto perché poteva – e prese a trotterellare per tutta la superficie del tetto. Quando decise di aver trasmesso a dovere il messaggio, si avvicinò al bordo, accucciandosi e lasciando che il vento le massaggiasse le piume umide.

Non sapeva quanto tempo mancasse allo sbarco sulla prossima isola. Doveva escogitarsi qualcosa. Per quanto apprezzasse la compagnia che aveva trovato sulla Sunny, non era quella la nave su cui avrebbe voluto imbarcarsi. E ora che era lì, doveva scendere il prima possibile e trovare un modo per portare con sé una copia di quei documenti. Anzi, forse era meglio portali via tutti?

Gli Straw Hats stavano indagando su quei rapimenti già da prima di incontrarla, ma ora che le loro strade si erano incrociate ad ogni informazione che gli cedeva erano sempre più vicini ad uno scontro frontale con la Marina. E Mana non voleva essere responsabile della morte di qualcun altro. Sapeva che erano forti e che in passato si erano già scontrati con dei pezzi grossi. Ma da quanto ne sapeva, Luffy e il magma non andavano troppo d’accordo.

Delle voci concitate le fecero abbassare e sporgere la testa. Il trio di combinaguai sembrava essersi svegliato e aveva iniziato una guerra di gavettoni. Robin era palesemente in vantaggio grazie al suo potere, che utilizzava per parare ogni proiettile che la bersagliava. Mana li osservò, una miriade di emozioni contrastanti che le turbinavano nel cervello. Per quanto per lei non fosse nulla al di fuori dell’ordinario, sembrava essere diventata una scomoda costante da quando era salita su quel brigantino. Sotto di lei, un gavettone colpì Nami, inzuppandola da capo a piedi e facendola imbestialire. Luffy scappò via, ridendo. Gli altri due se la filarono per vero e proprio terrore genuino nei confronti della navigatrice.

Sembravano non essere minimamente preoccupati per quello che serbava il futuro.

Mana non sapeva se invidiarli o meno.
 
-
 

La situazione giunse a un punto di rottura durante la cena del giorno dopo. Era già un miracolo che avesse resistito così tanto.

“Nami.” Chiamò Mana, seduta dall’altra parte del tavolo. “Quanto manca alla nostra prossima meta?” La caciara tipica dell’ora dei pasti si quietò un poco.

La navigatrice si grattò la testa. “Teoricamente parlando? Altre due settimane.”

“Due settimane?!” Le fece eco Mana, sbigottita. “Così tanto? Credevo che stessimo per arrivare! Stiamo navigando da un bel pezzo e il mare è calmo.”

Nami posò la forchetta. “Calmo, sì, ma anche senza vento. Abbiamo dovuto usare i mulini per fare del progresso significativo. Seriamente, questo tratto non ha nulla di invidiare alle fasce di bonaccia.” Disse. “In più la prossima isola che visiteremo non sembra essere molto visitata, quindi le carte non sono molto accurate riguardo la sua posizione. Questo potrebbe allungare la navigazione di un altro giorno ancora; dipende dal loro margine di errore.”

“Com’è possibile che un’isola non sia accuratamente riportata nelle cartine?” Chiese Usopp.

Nami alzò le spalle. “Non lo so. Ma non è un errore che farà la sottoscritta. Quando compilo la mia mappa del mondo lo faccio nel modo più preciso possibile.”

“E se non ci si volessero avvicinare per qualche motivo?” Insistette Usopp, un’espressione spiritata in viso. “Magari è maledetta!” Sibilò, battendo i denti dal terrore. “Magari si muove, come Thriller Bark!”

A capotavola, un sinistro luccichio di interesse brillò negli occhi di Luffy. Anche Nico Robin sembrava interessata.

Nami agitò con sprezzo una mano. “Ma no, probabilmente non era di grande interesse per quelli che hanno compilato le mappe. Probabilmente è un’isola molto povera… Il che coinciderebbe con quello che ci ha detto Mana, purtroppo.” Disse. “Dopo Namea, era il posto con più rapimenti e nel minor arco di tempo.”

“Forse gli abitanti vivono in condizioni talmente estreme che a quelli non interessa nemmeno nascondersi.” Mormorò Mana, rifiutandosi di proferire la parola Marina. “Nami, davvero non c’è un modo di accelerare il nostro viaggio?”

La navigatrice corrucciò la fronte. “No, mi dispiace. Dobbiamo risparmiare i Coup de Burst per un’eventuale situazione di emergenza, molto probabile visto quale alveare stiamo andando a stuzzicare.”

Mana la fissò, le punte dei piedi che si arricciavano sotto il tavolo. “Sei sicura?” insistette.

Nami strinse le labbra.

“Non è corretto da parte tua.” Disse Brook, rimproverandola nella sorpresa generale. “Nami-san si è imbarcata anima e corpo in quest’impresa. Ci sta mettendo tutta sé stessa.” Prima di quel momento, non sapeva che un teschio potesse apparire severo. “Non riversare le tue frustrazioni su di lei.”

Mana sbatté le palpebre, presa in contropiede dall’intervento dello scheletro. “Io…” Si guardò intorno. Tutta la ciurma la stava guardando; tranne Nami, che aveva gli occhi puntati sul suo piatto.

Mana si incurvò. “Scusa. Non volevo prendermela con te.” Disse. “È che questa anticipazione mi fa venire l’ansia. Mi sento come se dovessimo ingaggiare battaglia da un momento all’altro… E ora scopro pure che dovrò passare altre due settimane con questa sensazione che non mi lascia stare.” Alzò la testa. “Voi invece sembrate così rilassati, come se andasse tutto bene. Mi sta facendo uscire di testa.”

Nami scoppiò in una breve risata nevrotica. “Rilassati? Noi?! HA!”

“Prima che ti unissi a noi abbiamo passato un brutto periodo riguardante proprio la sensazione che hai te ora.” Le spiegò Chopper, vedendo la sua confusione. “Per noi è la prima volta che affrontiamo un nemico di questo genere… si è rivelato persino più temibile di quello che avevamo immaginato.” Disse, reprimendo un brivido.

“Come avete fatto a superarlo?”

“Non l’abbiamo fatto.” Rispose la piccola renna. “O meglio, non del tutto. Siamo migliorati un po’ man mano che ci allenavamo e apprendevamo nuove informazioni.”

Mana incrociò le braccia e appoggiò la schiena sulla sedia, sbuffando. “Beh, nel mio caso posso affermare con sicurezza che non potrò usare l’allenamento per distendere i nervi.”

La frecciatina sembrò cogliere nel segno, facendo agitare Sanji. Zoro scoppiò in una risata roboante. “Hai sentito, spirale? Sembra che tu non abbia avuto un impatto positivo sulla polletta!”

Mana sentì qualcosa spezzarsi e saltò in piedi, precedendo Sanji che aveva già aperto bocca per controbattere. “Non chiamarmi così!” Gridò, sbattendo i palmi sul tavolo. Una mano fiorì dal legno per evitare che il piatto di Usopp finisse capovolto. “Mi hai davvero rotto! Sempre lì a guardare dall’alto in basso e a fare quei commenti del cazzo! Perché, tu ne saresti capace?” Chiese, fronteggiandolo.

Zoro incrociò le braccia. “Ovvio che sì.” Ghignava, ma era calmo mentre lo diceva.

Mana boccheggiò. “Perché non hai detto niente di costruttivo allora? Cos’è, ti facevamo ridere?”

“Molto.”

Qualcuno tossì elegantemente, stroncando sul nascere la sua risposta colorita. Quando tutti si voltarono verso la fonte del rumore trovarono Robin. La donna stava guardando insistentemente in direzione dello spadaccino con un sopracciglio inarcato. Il silentemente interpellato alzò gli occhi al cielo, sbuffando. “E va bene.” Si girò si nuovo verso Mana, una smorfia di scherno di nuovo sulle labbra. “Sempre che la polletta non abbia paura di perdere troppe piume, s’intende.”

Un mormorio si diffuse nella stanza, assieme a un verso strozzato che probabilmente apparteneva a Sanji. Mana non capì subito cosa le stava dicendo lo spadaccino e impiegò un po’ non solo per arrivarci, ma anche per elaborare una risposta. Zoro la scrutò in silenzio, in attesa.

Era indubbio che il famigerato Cacciatore di Pirati avesse un’esperienza notevole e una conoscenza preziosa; ed era altresì indubbio che con lui non si sarebbero ripetuti gli episodi oltremodo imbarazzanti che aveva vissuto con Sanji. Ma lavorare con quel… demonio… sarebbe stato un assassinio della sua pace mentale; e come minimo anche della sua salute fisica. Inoltre, non le aveva nemmeno posto lui la domanda. Sembrava che stesse aspettando un suo primo passo.

Se fosse stato qualsiasi altra persona della ciurma, Mana non ci avrebbe pensato due volte prima di cedere e chiedere aiuto; ma trattandosi di Zoro… avevano dei trascorsi non proprio idilliaci. Nonostante questo, però, alla fine non si trattava di lei. Si trattava di un ulteriore passo verso il suo obiettivo.

Con l’orgoglio che le bruciava un buco nel fegato da quanto stava sfrigolando, Mana abbassò la testa. “Insegnami, per favore.”

Senza troppe fanfare, Zoro annuì: un cenno di approvazione. Afferrò il proprio bicchiere e lo sollevò in sua direzione. Dopo un attimo di smarrimento Mana lo imitò sotto gli occhi di tutti, toccando il suo bicchiere con il proprio.

Zoro mandò giù tutto in un secondo, sbattendo poi il bicchiere sul tavolo. Quel rumore sembrò ridestare tutti dal torpore e, con l’atmosfera finalmente sciolta, tornarono a banchettare allegramente.

“Hai ceduto più in fretta di quello che pensavo.” Ghignò Zoro. “Ben fatto. Polletta.”

Mana si staccò dalla propria coppa, pulendosi il baffo di schiuma che si era formato sulle sue labbra. “Stronzo.”

Ammetterlo le dava fastidio, ma lo pensava anche lei.

Doveva trovare il modo di andarsene… prima di cedere anche su altri fronti.
  
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