80
Principi
Lungo
il corridoio di quell’edificio collegato al palazzo reale,
Espero borbottava
fra sé e sé frasi di giustifica. “Non
ho fatto niente di male” diceva “Non è
successo niente. È per finta…”.
Camminò nervosamente fino ad una porta chiusa,
una delle tante. Una targhetta indicava la classe
all’interno. Prese coraggio e
bussò, consapevole di doversi mostrare il più
risoluto e convinto possibile. Udendo
“avanti”, entrò.
Subito
tutti gli studenti presenti si alzarono in piedi, in segno di rispetto
per il
principe. Espero salutò e sorrise all’insegnante.
“Come
posso aiutarla, altezza?” domandò il maestro,
Arikien.
“Io…
mi chiedevo se fosse possibile provare il simulatore di mondo umano che
utilizzate
in questa classe”.
“Certamente.
Se avete il consenso di vostro padre”.
“Mio
padre è molto impegnato. Non lo voglio disturbare per una
cosa del genere…”.
“Capisco.
Allora mi serve il permesso del vostro maestro”.
“E…
perché?”.
“Perché
non posso interferire con il suo piano
d’insegnamento”.
“Ma
è una simulazione. Non vado per davvero nel mondo umano. Non
può succedermi
nulla, giusto?”.
“Giusto.
Ma preferisco non incorrere in sanzioni inutilmente. Se volete posso
domandare
io al vostro mentore se…”.
“Oh
sì!” interruppe Espero
“Io…”.
“Chiedo
io” sospirò Arikien, cercando in tasca un piccolo
marchingegno ovale.
Espero
attese paziente, mentre Keros rispondeva borbottando alla richiesta
dell’erede
di Alukah. Alla fine concesse il permesso, anche se per nulla convinto,
e riagganciò.
“Bene,
principe” sorrise Arikien “Venite che vi aiuto a
prepararvi”.
Tutta
la classe indossava speciali occhiali ed elmetti, che proiettava
virtualmente nel
mondo degli uomini. Una volta indossato ed avviato, ci si ritrovava in
una
città umana e si percepiva ogni cosa, ogni rumore, odore o
sensazione.
“La
vostra missione…” spiegò il maestro,
prima di avviare il programma “…è
avvicinare un umano e provare a tentarlo. Ovviamente dovete individuare
quello
giusto, quello adatto. Se farete qualche errore, se verrete scoperti
come
demoni o ci saranno altri imprevisti, il programma si
interromperà e la vostra
simulazione sarà finita. Oppure la interromperò
io a lezione terminata. Tutto chiaro?
Ci sono domande?”.
Nessuno
alzò la mano e il programma fu avviato. Espero
sobbalzò, quando si ritrovò di
colpo in un vicolo silenzioso della città virtuale.
Camminò fino a raggiungere
la strada principale. Erano fatte così le città
umane? Le case, altissimi
grattacieli lucidi, svettavano in alto e si ammassavano uno accanto
all’altra. Su
qualche finestra si scorgevano dei vasi di fiori, unica nota di colore.
Era tutto
molto silenzioso. Intravide un gruppo di umani in una piazza,
probabilmente in
attesa di un mezzo per sportarsi altrove. Fra loro non si guardavano,
non si
parlavano. Abituato alle urla continue degli Inferi, quel silenzio
spaventava
un po’ Espero. Le uniche voci che udiva erano quelle delle
pubblicità proiettate
fra i palazzi. Una campana rintoccò e il principe si
voltò verso di essa. Camminando
per un po’, scovò una piccola chiesa racchiusa fra
i grattacieli. Attirato da
quell’edificio, che forse un tempo spiccava sugli altri con
quel campanile,
decise di entrarvi. Com’era diverso il mondo lì
dentro! Dipinti, statue, ori ed
arazzi… il colore trasmetteva una sensazione piacevole.
L’odore dell’incenso e
delle candele era strano ma per nulla fastidioso, probabilmente
perché si
trattava solamente di una simulazione. Il principe si
soffermò su uno dei
quadri e rimase ad ammirarlo. Rappresentava uno dei tanti Santi degli
umani,
che sinceramente lui non conosceva. Però era realizzato
così bene da impedirgli
di guardare altrove.
“Che
stai facendo?” domandò una voce.
Espero
sobbalzò, cercando di ricordarsi al volo tutto quello che
gli era stato
insegnato nei secoli.
“Salve”
salutò, alzando un braccio “Sto guardando il
dipinto. È… proibito?”.
“No”
ammise l’uomo, il prete di quella chiesa “Ma ormai
non lo fa più nessuno. Guarda
pure. Credevo fosti un ladro”.
Espero
si guardò attorno. Quel luogo era deserto, eppure le campane
avevano appena
terminato di risuonare per ricordare l’inizio della messa.
“Ma…”
si azzardò a parlare al principe “Qui non
c’è mai nessuno?”.
“Come
in tutte le chiese” alzò un sopracciglio il prete,
che stava accendendo candele
“Da che mondo venite?”.
“Da
nessun mondo. Cioè… lo stesso da cui venite
voi… io…”.
“Forse
nel vostro Paese la gente si reca ancora in chiesa? Qui è da
molto che i fedeli
credono di salvarsi l’anima con delle donazioni. Tutto il
Mondo dona alla
chiesa ma nessuno vi entra mai. Nessuno prega, nessuno pensa
più a Dio. Ma voi
siete entrato. Forse il vostro cuore è stato colpito dal
divino”.
“Come
suppongo sia stato il vostro quando avete deciso di essere
prete”.
“No.
Io sono prete perché c’era il posto libero. Non
devi far nulla e ti pagano
pure. Il lavoro ideale”.
“Oh…”.
“Quel
quadro ti piace proprio, vero?”.
“Chi
rappresenta?”.
“Non
lo so. Suppongo ci sia scritto da qualche parte. Tipo su quello
scarabocchio
che ha sulla bandiera che tiene in mano”.
Espero
si soffermò su quel dettaglio.
“No,
è solo una scritta in latino” parlò poi
“Credo sia un passo delle scritture”.
“Latino?
E chi lo conosce ai giorni nostri? Piuttosto… io ora vorrei
tornarmene a casa
mia. Ho suonato la campana, ho acceso le candele. Però voi
siete qui. Volete che
dica messa?”.
“Che…?”.
“Volete
confessarvi? Sono cose che non ho mai fatto ma suppongo non siano molto
difficili”.
“Siete
un prete e non avete mai officiato una messa?!”.
“Solo
funerali. E qualche battesimo, ma quelli sempre meno. Ai matrimoni
nessuno
ascolta, lo fanno in chiesa solo perché è
più spettacolare”.
“Ma
nemmeno a Natale?!”.
“Sul
serio te ne stupisci?!”.
Espero
rimase in silenzio. Non voleva farsi scoprire e così
salutò educatamente e
lasciò l’edificio. Camminò ancora,
notando come i pochi umani che incrociava
fossero del tutto persi in mondi virtuali che proiettavano davanti al
viso. Udì
la risata di un bambino, immediatamente zittito dagli infastiditi
adulti che
aveva accanto. Alcuni cani abbaiarono e nessuno li fermò. Il
principe lo trovò
strano, ma preferì non commentare. Il bambino
però continuava ad osservarlo. D’istinto,
Espero gli sorrise ed il piccolo fece altrettanto: era da tanto che non
vedeva
un sorriso!
Riprese
il cammino, deciso a vedere e scoprire più cose possibili
sul mondo umano. Trovò
una via, piena di luci e negozi. Non era necessario entrarvi. In
vetrina si
sfogliava un catalogo virtuale, si sceglieva, si pagava e tutto
arrivava a casa
propria. Niente commessi, solo qualche addetto alla manutenzione nel
caso il
sistema avesse qualche problema. Stava ancora passeggiando quando una
scritta
gli comunicò che la simulazione sarebbe presto terminata.
Piagnucolò quando gli
fu tolto il casco.
“Mi
‘spiace, altezza” spiegò Arikien
“Ma la lezione è finita”.
“Ma
io voglio vedere ancora!”.
“Alla
prossima simulazione posso riservarvi un posto”.
Espero
si imbronciò, come un bambino decisamente più
piccolo del ragazzino che era. Ma
capì di non avere alternative e lasciò la classe.
Il
principe rientrò al palazzo reale, sapendo di essere in
ritardo per la lezione
con Keros. Affrettò il passo ma poi si fermò:
Nasfer si stava avviando verso la
porta che conduceva al mondo umano! Che splendida occasione! Lo
seguì
silenziosamente, notando che doveva avere la testa fra le nuvole.
Nasfer entrò
nella stanza ed attivò il portale, usando specifiche parole
che Espero udì. Il principino
attese poi qualche istante, prima di aprire a sua volta quella porta ed
attivare il passaggio con le stesse parole. Esultò quando si
rese conto di trovarsi
per davvero dai mortali! Ci era riuscito! Ed ora era libero di
esplorare…
Non
fece però che qualche passo, prima che qualcuno lo
afferrasse per la collottola
e lo trattenesse.
“E
tu dove pensi di andare?”.
Un
infuriatissimo Keros stava fissando con rimprovero il ragazzo, che
tentò di
giustificarsi balbettando.
“Se
tuo padre sapesse che sei nel mondo umano…”
continuò Keros “…sarebbero guai. Per
te, per me e per tutti. Lo sai che gli angeli hanno tentato di
ucciderti quando
eri un neonato!”.
“Sì,
e tenteranno di uccidermi appena sarò abbastanza grande da
difendermi. Lo so…”
mormorò Espero, rassegnato.
“Questo
luogo è pericoloso per te. Gli angeli non aspettano altro
che l’occasione
propizia per ucciderti. Sei il figlio del Diavolo! Per loro rappresenti
la fine
del mondo!”.
“Lo
so…”.
“E
allora perché sei qui?!”.
“Io…
volevo solo dare un’occhiata. Sarei tornato a casa presto,
assieme a Nasfer”.
“Anche
Nasfer dovrebbe evitare certe gite. Deve studiare per diventare
giudice, non ha
alcun bisogno di correre rischi fra i mortali”.
A
Keros bastò avanzare di qualche passo, sempre tenendo Espero
per la collottola,
per vedere il figlio fra l’erba. Appena lo notò,
rimase senza parole. Stava danzando,
fra l’erba alta, assieme a sua sorella Sophia. Entrambi
sorridevano e parevano
non far caso al resto del mondo.
“Nasfer!”
lo chiamò poi Keros, spezzando quel ballo e quella magia.
Il
giovane, allarmato, si affrettò a nascondere Sophia dietro
alle ali da demone. Poi
capì chi lo aveva chiamato e si rilassò
leggermente.
“Niente
ali nel regno mortale!” sbraitò Keros,
incamminandosi verso il figlio “È una
delle prime regole che vengono insegnate! E che stai facendo?! Sei
impazzito?!”.
“Io…
lascia che ti spieghi…” tentò di
parlare Nasfer.
“Non
devi spiegare proprio niente! Tu… tu ti rendi conto
dell’enorme rischio che
state correndo?”.
“Stavamo
danzando! E poi… siamo fratelli!”.
“Fratelli
come Lucifero e Sophia?”.
“Ma
no… io…”.
Nasfer
farfugliò ancora ancora qualcosa e poi tacque, chinando la
testa.
“Lei
rischia di cadere e tu di essere ucciso” riprese Keros,
questa volta con più
calma.
“Lo
so…”.
“Sophia…
vai subito a casa, per cortesia”.
La
giovane angelo seguì il consiglio, capendo che era la cosa
migliore da fare in
quel momento. Nasfer lanciò un’occhiataccia
minacciosa ad Espero, che si nascose
dietro a Keros.
“A
casa, tutti e due” ordinò il mezzodemone
“Prima che nascano altri guai!”.
Una
volta rientrati a palazzo, Keros iniziò a rimproverare
entrambi ma che una
delle guardie lo informò che Lucifero lo richiedeva in
ufficio. Immediatamente.
Quell’ultima parola, fece intuire al principe che il sovrano
doveva essersi
accorto di quella breve “gita” nel mondo mortale.
Digrignò i denti, promettendo
ai due giovani principi che avrebbe ripreso più tardi la
predica, e si
allontanò in fretta.
Rimasto
solo con Espero, Nasfer immediatamente si voltò e gli
ringhiò contro.
“Marmocchio
spione!” sibilò il futuro giudice.
“Io
non sapevo che eri lì con la tua fidanzata
piumata!” si affrettò a giustificarsi
il ragazzino, mettendo le mani davanti al viso.
“Non
è la mia fidanzata! È mia sorella!”.
“Vabbè,
quello che è! Volevo solo andare nel mondo umano!”.
“E
con tante persone che ci sono, dovevi farlo proprio con me?!”.
“Eri
il primo che…”.
“Ora
per colpa tua mi sarà impedito di tornare fra i
mortali!”.
“È
tutta la vita che mi è impedito! Inutile che mi urli
contro!”.
“Irritante
sgorbio”.
“Hei,
bada a come parli! Sono il figlio di Satana!”.
“Potresti
anche essere Dio in persona, per quel che mi riguarda!”.
“Toccami
e il re ti condannerà a morte!”.
“Sono
suo nipote!”.
“Keros
non è suo figlio. Tu sei solo il figlio di un bastardo
cresciuto dal re!”.
“Mi
avete mandato a chiamare?” sospirò Keros, sulla
porta dell’ufficio del sovrano.
“Che
ci faceva mio figlio fra i mortali?” sbottò subito
Lucifero.
“Ci
è rimasto per qualche minuto. L’ho riportato a
casa immediatamente”.
“Qualche
minuto basta agli angeli per ucciderlo. E tu sai che non aspettano
altro”.
“Lo
so”.
Keros
sospirò di nuovo. Era stanco di passare la vita a badare ad
Espero, a
sorvegliarlo continuamente ed educarlo, senza poter avere nemmeno un
attimo di
respiro. Sognava la vecchia vita, quando vagava per il mondo umano a
suo
piacimento e tentava le anime. Alzò lo sguardo, notando
l’ennesima espressione di
rimprovero sul volto del re. Chissà se sapeva anche di
Nasfer e Sophia…
“Ti
ho affidato la vita di mio figlio” riprese a parlare Lucifero
“La cosa più
preziosa che possiedo. Il tuo compito è impedirgli di fare
cazzate e imparare ogni
giorno ad essere più forte ed astuto”.
“Lo
faccio. Ogni giorno. Ma non è più un
bambino…”.
“Ha
settecento anni, certo che lo è! Pensavo che tu fossi il
più adatto ad
addestrarlo. Mi sbagliavo?”.
“No,
no di certo. Con me impara a combattere gli angeli, trovandosi di
fronte le
stesse tecniche che utilizzerebbe Mihael. Ma sta crescendo, comincia ad
essere
sfuggente ed indisciplinato”.
“Ora
capisci cosa ho provato io, con te? Ci parlerò. Ma che non
si ripetano mai più
incidenti come quello di oggi. E ovviamente che non si faccia strane
idee con
il simulatore e cose simili”.
“Forse…
si potrebbe recare dagli umani ma adeguatamente accompagnato.
Così da evitare
che tenti di andarci di nascosto”.
“Assolutamente
no. Non è pronto. Farò sorvegliare la stanza dei
portali. E poi…”.
Un
grido interruppe ogni discorso. Una delle guardie entrò
nell’ufficio,
comunicando che i due principi si stavano azzuffando e chiedendo quali
provvedimenti
attuare. Keros e il re raggiunsero in fretta i due ragazzi, che si
stavano
prendendo a morsi, calci e pugni. Nessuno aveva il coraggio di
intromettersi,
temendo di fare uno sgarro alla famiglia reale.
“Piantatela!”
tuonò Keros, afferrando Nasfer per il braccio.
Lucifero
blocco suo figlio Espero, trascinandolo e poi gettandolo in un angolo a
terra. I
due litiganti, ansimando per la rabbia, continuavano a ringhiarsi
contro.
“Nasfer!”
sibilò il re “Sei un adulto ormai! Dovresti
comportarti come tale!”.
“Ma
lui…”.
“Lui
è un bambino. E tu dovresti saper resistere alle sue
provocazioni!”.
“Non
sono un bambino” piagnucolò Espero, zittendosi
immediatamente quando il padre
frustò la coda a terra.
“Simili
atteggiamenti non sono degni di voi” parlò ancora
il Diavolo “Siete di
principi! Non della marmaglia qualsiasi! Dovreste concentrare le vostre
energie
per migliorare le vostre tecniche, per divenire sempre più
potenti. Ma per
sconfiggere i nostri nemici, non per picchiarvi a caso!”.
“Domando
scusa…” chinò la testa Espero,
terrorizzato dal genitore infuriato.
“Che
non si ripeta. O sarò costretto a prendere provvedimenti.
Con entrambi. Sono stato
chiaro?”.
Entrambi
annuirono.
“Ora,
Espero, tu vieni con me”. Lucifero afferrò il
bambino per il braccio. “E tu,
Nasfer, spero riceverai il giusto rimprovero da parte di tuo
padre…”.
“Certamente”
commentò, minaccioso, Keros.
Aveva
decisamente un sacco di discorsi da fare a suo figlio…