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Autore: Mari_Criscuolo    28/11/2019    1 recensioni
Leila (Ella) ha 22 anni e vive a Napoli, ma, dopo la laurea triennale in psicologia, si trasferisce a Roma, per continuare il suo percorso di studi.
Sofia, sua amica da otto anni, ha deciso di seguirla.
Entrambe mosse dalla stessa chimera: lottare per la propria felicità.
Ella ha compiuto una scelta che ha fatto soffrire molte persone.
Nonostante non ne se ne sia mai pentita, sa che ogni decisione comporta delle conseguenze e lei sta ancora scontando la pena che le è stata imposta.
È convinta di essere in grado di affrontare ogni difficoltà la vita le metterà sul suo cammino, perché l'inferno lo ha vissuto, deve solo trovare il modo di non ritornarci.
Una ragazza con le sue piccole manie e le sue paure.
Una ragazza che usa il sarcasmo e l'ironia per comunicare il suo affetto e, allo stesso tempo, proteggersi da chi si aspetta, da lei, cose che non può e non vuole fare.
La sua famiglia, Sofia con suo fratello Lorenzo e, infine, un incontro inaspettato, la sosterranno nella sua scalata verso la tanto agognata libertà.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Oh mio dio! Vieni qui, fatti abbracciare.»
 
Gabriele non ebbe nemmeno il tempo di capire chi avesse di fronte, che si ritrovò inaspettatamente due braccia che lo stringevano con vigore.
 
Probabilmente si sarebbe sentito meno a disagio, se Sofia lo avesse fatto accomodare senza nemmeno rivolgergli la parola. Non riusciva a capire cosa stesse succedendo, sentiva solo il suo lieve respiro solleticargli il collo.
 
«Decisamente non mi aspettavo un’accoglienza così calorosa» disse, sorridendo imbarazzato.
 
«In qualche modo devo compensare il gelo del Dissennatore in soggiorno.»
 
Sofia percepì il suo disagio, ma era il modo più efficace per fargli capire che era sinceramente felice per il suo ritorno, che gli era mancato e che non provava né rabbia né rancore nei suoi confronti.
 
Ella, che aveva osservato la scena da lontano premurandosi di non farsi notare, si vergognò nello scoprire di provare invidia nei confronti della sua amica.
 
Troppe poche volte era stata stretta in quel modo. I suoi sentimenti per Gabriele l’avevano sempre frenata perché, se si fosse lasciata andare, avrebbe oltrepassato il punto di non ritorno. Aveva sempre preferito tenere le distanze, l’unica arma a sua disposizione per il controllo delle sue emozioni, eppure quanto avrebbe preferito essere una semplice amica solo per poterlo abbracciare, senza che la sua mente venisse soffocata dalla paranoia.
 
«Ah, sei tu» commentò con voce seccata, annunciando la sua presenza.
 
Gabriele abbassò il suo sguardo per incontrare la chioma di Ella, raccolta in una crocchia spettinata. Le imperfezioni del suo vito e il rossore naturale della sua pelle, che aveva nascosto con il trucco le ultime volte che l’aveva incontrata, la rendevano ai suoi occhi più nuda e trasparente di quanto non già non fosse.
 
«Parlando del Diavolo…» canzonò Sofia, spostando la sua attenzione su di lei.
 
«Spunta Ella» concluse Gabriele, con un’affermazione che, in teoria, avrebbe dovuto essere divertente.
 
«A quanto vedo, siete già amici per la pelle. Commovente.»
 
Il suo commento caustico e il suo atteggiamento freddo e distaccato fecero intuite ai presenti quale sarebbe stato lo spirito della serata.
 
Ella aveva accettato Gabriele in quella casa solo perché Sofia aveva palesato tutto il suo interesse e non sarebbe riuscita a negarglielo, ma, un conto, era essere disponibile e, un altro, mostrarsi gentile quando ogni fibra del suo essere si opponeva a qualsiasi pensiero benevolo.
 
«Ammetto che se ti avessi incontrata per strada non ti avrei riconosciuta.»
 
Gabriele preferì concentrare la sua attenzione su Sofia, l’unica che, a quanto poteva vedere, sembrava essere sinceramente felice per il suo ritorno.
 
«Pensa te che fortuna.»
 
«Cosa vorresti dire?» chiese Sofia, sperando che il commento sarcastico di Ella passasse inosservato.
 
Sospettava che per tutta la durata della cena, sarebbe diventata l’arbitro di due giocatori indisciplinati.
 
«Che il brutto anatroccolo è diventato un cigno.»
 
«Ella, non mettermi in bocca parole che non ho detto.»
 
Le sue affermazioni ostili e quello sguardo distante e insensibile stavano mettendo a dura prova le certezze che quella stessa ragazza gli aveva fornito solo qualche giorno prima.
 
«Sta tranquillo, anche tu sei cresciuto. Hai i tratti del viso più spigolosi di quanto ricordassi.»
 
«E tu i capelli più corti.»
 
«Ella, invece, ha la bocca più grande e vi divorerà con più facilità, se non la smetterete di elencare le parti del corpo che vi sono cambiate in questi anni» disse spazientita dalle loro pietose e penose descrizioni.
 
Voltando loro le spalle, si addentrò nel soggiorno per sedersi sul divano. L’espressione annoiata e strafottente, che dipingeva con tratti decisi il suo viso, indusse Gabriele a intraprendere un gioco pericoloso, spinto dalla curiosità di scoprire fin dove si sarebbe spinta.
 
«Qualcosa mi diceva che non saresti stata molto felice di vedermi.» Gabriele si sfilò il giubbino di pelle, rivelando la camicia nera al di sotto, che fasciava alla perfezione le sue spalle ampie e metteva in risalto i suoi avambracci.
 
Non poteva sapere quanto le piacessero gli uomini con quell’indumento, eppure non si capacitava di come quel ragazzo riuscisse sempre a stupirla senza nemmeno sforzarsi.
 
Questa consapevolezza la portò ad innervosirsi più di quanto già non fosse.
 
«Forse lo avrai intuito dal messaggio che ti ho mandato martedì.»
 
«Cosa gli hai scritto?» domandò Sofia, alzando gli occhi verso il soffitto.
 
Aveva perso ogni speranza. Quando Ella decideva di intraprendere il sentiero di guerra e ostilità, l’unica cosa che avrebbe potuto fare sarebbe stata preparare le tende per soccorrere i morti e i feriti che avrebbe mietuto al suo passaggio.
 
«Nulla di esagerato. È solo molto melodrammatico» rispose, scacciano noncurante con la mano la domanda che le era stata posta.
 
«È stata molto premurosa a specificare che, malauguratamente, tu avevi deciso di invitarmi questa sera.»
 
«Ella, ti avevo detto di essere gentile» la rimproverò Sofia, rivolgendo a Gabriele uno sguardo carico di scuse.
 
«Lo sono stata, fin troppo.»
 
La sua indifferenza stava diventando estenuante e sia Gabriele che Sofia non avevano ide di cosa avrebbero dovuto risponderle per farla tacere, perché anche solo pensare di farla ragionare era solo uno spreco di energie.
 
Il suono del campanello riempì il silenzio che nessuno era stato capace di colmare. Era diverso, intriso di rabbia e così tante cariche negative da rendere l’aria irrespirabile.
 
«Vado io!» esclamò Ella, prima che Sofia potesse precederla.
 
Non voleva rimanere sola con Gabriele, l’ultima cosa di cui aveva bisogno era affrontare le sue domande riguardanti il suo comportamento, che stava creando una spaziale dissonanza con quanto aveva accettato di fare nel loro ultimo incontro.
 
Avrebbe preteso spiegazioni che non sarebbe stata capace di fornirgli, perché lei in primis non aveva idea del motivo e l’unica consapevolezza, che accompagnava le sue riflessioni, era la rabbia che iniziava a diventare incontenibile.
 
«Ha avuto un paio di brutte giornate.»
 
Sofia si sentì in dovere di giustificarla perché, anche se non avesse potuto dirgli la verità apertamente, avrebbe potuto fargliela vagamente intuire.
 
Ella le aveva accennato di Matteo il giorno dopo il suo compleanno, ma non era scesa nei dettagli e sapeva che, se avesse insistito, si sarebbe solo innervosita ulteriormente. Il suo equilibrio mentale era precario, sarebbe bastata una sola domanda fuori posto per farla andare fuori di testa.
 
Non le aveva chiesto più nulla, né se le avesse mandato altri messaggi né se lei gli avesse risposto. Niente, ma solo perché era apertamente adirata e irritabile con chiunque e per qualunque cosa.
 
«Mi dispiace. Vorrei solo starle vicino. Quando abbiamo parlato, in entrambe le circostanze, ho avuto la sensazione che ci fosse qualcosa che la tormentasse. Lo accennava e poi, quando si rendeva conto di aver detto troppo, faceva marcia indietro. Non è da lei lasciarsi sfuggire le parole.»
 
Gabriele comprendeva perfettamente il suo essere restia ad aprirsi completamente e anche la rabbia che sapeva provasse nei suoi confronti.
 
L’aveva trattenuta più di quanto si sarebbe mai aspettato e temeva che, quando l’avesse liberata, non avrebbe ferito solo lui, ma distrutto anche sé stessa.
 
Vederla soffrire nella più completa importanza rassicurare lo dilaniava più di quanto non facessero le sue parole, ma cosa poteva fare se ciò che avrebbe potuto essere la sua cura era anche la causa di tutto il suo dolore.
 
«Posso solo dirti che non è un bel periodo per lei. Ha accumulato troppe emozioni, credendo di proteggere sé stessa e tutti noi, ma si sta corrodendo dall’interno. Ha bisogno di liberarle, prima che si distrugga.»
 
Entrambi la pensavano allo stesso modo, eppure nessuno riusciva a fare qualcosa per aiutarla. Si stava deteriorando sotto il loro occhi e ben presto tra le loro mani non sarebbe rimasto altro che polvere.
 
«Sapevo che non sarebbe stato facile, anche se ha accettato di riavermi nella sua vita. È in lotta con sé stessa e questo è il risultato.»
 
Sofia riusciva a percepire tutta la tensione che il corpo di Gabriele emanava in quel momento. Era stanco, frustrato, esasperato dal costante e ossessivo pensiero di avere così vicino il suo desiderio più grande, ma, al contempo, non poterlo afferrare per tenerlo al sicuro dal resto del mondo, che si sforzava ogni giorno di annientarlo.
 
«Tu sei disposto a sopportarlo?»
 
«Sono disposto a qualunque cosa, spero solo di riuscirci prima che sia lei a decidere di voltarmi le spalle.»
 
Sapeva che prima o poi sarebbe successo, anche se non era assolutamente preparato a quell’eventualità.
 
«Tu non sei umano» commentò Sofia, in un impeto di spontanea sincerità.
 
«Lo sono più di quanto pensi, ma mi sforzo nel sorridere.»
 
«Non è facile per nessuno.»
 
Sofia ricambiò il sorriso forzato che Gabriele le stava rivolgendo.
 
«Gabriele lei è Cristina, la fidanzata di Sofia nonché il mio personale panda in via d’estinzione» disse Ella, entrando in soggiorno.
 
«Piacere di conoscerti» rispose cordialmente Gabriele, tendendole il braccio affinché potesse stringergli la mano.
 
«Credimi è soprattutto mio. Ho sentito parlare così tanto di te che non vedevo l’ora di poterti incontrare.»
 
Cristina stava palesando tutto il suo entusiasmo, non facendo mistero di tutte le volte che Gabriele era stato l’argomento principale delle loro conversazioni.
 
«Diventerai ben presto un cucciolo estinto, se continuerai a dire tante bugie.»
 
Con il suo richiamo, Ella sperava di riuscire a frenare la sua ingenua parlantina, anche se non era necessario perché Gabriele era più che sicuro di essere stato soggetto di molte discussioni e insulti.
 
«Da quanto tempo state insieme?» chiese, cambiando discorso nel tentativo di alleggerire la tensione che sembrava crearsi con troppa facilità.
 
«Un anno.»
 
«Luke, tu non conosci il potere del lato oscuro.» La seria interpretazione di Ella e l’indice puntato contro il torace di Gabriele, per accentuare la drammaticità della frase, lo indussero a osservarla con sguardo perplesso.
 
«Cos’è? Un codice?» Gabriele non era riuscito a cogliere il significato di quella citazione, sentendo di aver perso qualche passaggio.
 
«Più o meno. Da che ricordo, Ella l’ha sempre usata per riferirsi al mio orientamento sessuale. Il suo livello di ironia non ha limiti» Sofia rispose, cercando di essere il più esaustiva possibile.
 
Dietro la pazzia di Ella c’era una logica da interpretare e in constante evoluzione.
 
«La prima volta che gliel’ho sentita dire, non riuscivo a smettere di ridere»
 
«Ragazze mi abituate male con tutti questi complimenti» disse Ella, portandosi una mano al petto, fingendosi lusingata.
 
«Sirenetta, ma le inventi la notte?»
 
Il viso di Ella si voltò lentamente verso colui che aveva pronunciato quella domanda, che, di per sé, non aveva nulla di sbagliato.
 
Gabriele non si rese conto dell’errore fino a quando non lo lesse in un paio di occhi grandi e di un azzurro cupo, che gli stavano risucchiando l’anima con la loro profondità.
 
«Come mi hai chiamata?» il tono di voce di Ella era così controllato da risultare minaccioso.
 
Gabriele iniziò a pregare anche in lingue sconosciute dimenticate dall’uomo e da Dio, nella speranza che non lo cacciasse di casa a calci.
 
«Qui le cose si mettono male.»
 
«Sofia, è solo un soprannome. È vero che si spazientisce con poco, ma pensare a una catastrofe mi sembra eccessivo.»
 
«Mi è scappato, non me ne sono accorto.»
 
La spontaneità con cui l’aveva chiamata e l’evidente consapevolezza, nell’espressione costernata sul suo viso, non le facevano dubitare della veridicità delle sue scuse. Era stranamente calma, provava solo un senso di nostalgia.
 
«Aspetta! Ti riferivi a lui l'altro giorno? Il nomignolo era questo?» le chiese Cristina, ricordando ciò che Ella le aveva risposto la settimana scorsa.
 
«Si»
 
«Ma avevi detto che non conoscevo la persona che te lo aveva dato.»
 
Ella sceglieva sempre in modo molto accurato le parole, ci ragionava per non lasciarle al caso, per impedire fraintendimenti e raramente sbagliava.
 
«No, io ho solo detto che non l'avevi mai vista.»
 
Il suono del citofono si diffuse in tutta la casa, distogliendo, per qualche istante, la loro attenzione da ciò di cui stavano discutendo.
 
«Salvate dal fattorino delle pizze. Chris vieni con me, avrò bisogno di un paio di mani in più.» Sofia non aspettò la sua risposta, prendendole la mano per trascinarla velocemente verso la porta.
 
«Quindi non vuoi sbranarmi?» Gabriele si sentiva più a suo agio solo con Ella, considerando che non sapeva il chiarimento quali tasti della loro relazione li avrebbe portati a schiacciare.
 
«Mi hai solo colta di sorpresa. Non mi aspettavo te lo ricordassi né che lo avresti usato, soprattutto adesso che non sappiamo nemmeno a che punto siamo.»
 
La risposta pacata di Ella, lo lasciò interdetto. Si aspettava gli avrebbe detto di tutto, che quella sarebbe stata l’ultima goccia versata prima dell’inondazione, invece non accadde nulla.
 
Forse lui e Sofia non la conoscevano poi così bene come credevano, forse davvero il suo limite di sopportazione di era alzato.
 
«Per un attimo ho avuto la sensazione che il vuoto di questi anni non ci fosse mai stato, come se fossimo gli amici di sempre, che si danno appuntamento per trascorrere insieme una piacevole serata, ma se ti dà fastidio, perché lo colleghi a troppi momenti del passato, lo capisco e ti prometto che mi impegnerò a non lasciarmelo scappare.»
 
«La sirenetta è ancora il mio film della Disney preferito e sono ancora convinta della loro esistenza.»
 
Ella si ricordò della prima volta che si sentì chiamare il quel modo. Durante un noioso pomeriggio di studio, si erano infilati in un’interessante discussione sulle creature mitologiche ed Ella aveva espresso tutta la sua passione per le sirene, la cui dubbia esistenza era ancora oggetto di molte discussioni, favole e film.
 
Sin da piccola ne era stata affascinata tanto da credere, ogni volta che andava al mare in vacanza, di essere lei stessa una sirena, abbandonata da piccola su una spiaggia e che, per tale motivo, avrebbe poi assunto sembianze umane. Aspettava ancora il giorno in cui sarebbe finalmente ritornata nel luogo a cui era sempre appartenuta, con le sembianze che aveva sempre sognato di avere.
 
«E il nuoto?»
 
Entrambi amavano nuotare, li faceva sentire liberi e leggeri. Una volta immersi, tutto ciò che potevano ascoltare erano i battiti del proprio cuore e il senso di pace che l’acqua donava.
 
In un mondo i cui rumori forti e assordanti disorientavano Ella, rendendola impotente, era rassicurante trovare un posto in cui poter ritrovare sé stessi.
 
«Tu hai smesso di praticarlo?»
 
Incrociò le braccia, schiacciandosi il seno già stretto e messo in risalto dalla maglietta nera scollata che la fasciava come fosse una seconda pelle.
 
Lo sguardo di Gabriele inevitabilmente cadde sul solco che spiccava, adesso, in modo troppo evidente per poter essere ignorato.
 
«No» rispose costringendosi a guardare altrove per evitare che Ella se ne accorgesse. Non voleva nemmeno immaginare cosa sarebbe stata capace di dire se fosse accaduto.
 
«In questo caso, direi che lo detesto.»
 
La sua risposta infantile lo fece sorridere.
 
«Da quando ti lasci condizionare così facilmente dalle persone?»
 
«E tu da quando sei così esasperante?» chiese, lasciandosi cadere sul divano.
 
Avrebbe voluto premere un tasto e mettere anche lui in modalità silenziosa, come il suo cellulare.
 
«Da quando ho capito che, se non ti tengo testa, se non ti metto in difficoltà, tu ti stancherai anche di me.»
 
Gabriele si sedette al suo fianco, osservandola con attenzione mentre, portandosi indietro con il busto, piegava le gambe incrociandole tra loro. Il suo jeans sbiadito, abbastanza largo le permetteva questo tipo di movimenti, senza sentirsi costretta come una piccola braciola nella salsa.
 
«Potrebbe accadere in ogni caso.»
 
«Non con me.»
 
Gabriele fingeva sicurezza per darsi sicurezza, perché se si fosse lasciato andare ai dubbi e alle incertezze, si sarebbe perso, perdendo anche Ella.
 
«Sei così presuntuoso, ma ricorda che sono sempre io ad avere l’ultima parole.»
 
«Quindi?» chiese, avvicinandosi più di quanto Ella gli avrebbe mai permesso.
 
Stava osando troppo e non se ne rendeva conto, ma presto si sarebbe bruciato, perché, se Ella avesse iniziato ad ardere, avrebbe divorato tutto.
 
«Si, è il mio sport preferito o quantomeno quello in cui faccio meno schifo» rispose, puntando lo sguardo di fronte a sé, in modo che Gabriele potesse osservare da vicino i suoi capelli e non più la pelle chiara del suo viso.
 
«Alcune cose non cambiano» commentò, sorridendo soddisfatto.
 
Ella si voltò di scatto, diminuendo volontariamente la distanza che prima aveva messo tra loro.
 
«Se provi a chiamarmi così davanti a tutti un’altra volta, ti farò vivere i peggiori quindici minuti della tua vita. Ho una reputazione da difendere.»
 
I caldi respiri sfioravano i loro visi e Gabriele, per un attimo, visse nell’azzurro terso delle iridi di Ella.
 
«Recupererò quando saremo soli» sussurrò.
 
«Cosa ti fa pensare che vorrò vederti di nuovo?» Ella lo stava provocando, abbassando il tono della sua voce, affinché quelle parole non uscissero dalla bolla che aveva costruito intorno a loro.
 
«L’istinto.»
 
Ella sorrise, divertita dalla tortura che stava per infliggergli con ciò che aveva in mente di rispondergli.
 
«Se permetti, il tuo ha già fallito una volta molto tempo fa, quindi fossi in te farei affidamento anche su qualcos’altro.»
 
Il picco di tensione, che Ella aveva permesso si creasse tra loro, si dissolse, lasciando Gabriele con un respiro in sospeso, rubato dalla stessa ragazza che gli aveva strappato il cuore e occupato la mente.
 
Ella si spostò, restituendogli parte dell’aria di cui si era appropriata senza permesso.
 
«Le cose saranno così tra noi? Tu mi rinfaccerai il passato in ogni occasione possibile e io incasserò ripetendomi che ho meritato ogni tua parola?»
 
«Fornirmi suggerimenti così allettanti è un rischio.»
 
Da quando era entrato in quella casa, Ella aveva alzato un muro tra lei e i suoi sentimenti, facilitando il suo atteggiamento indifferente e menefreghista che sfoggiava con orgoglio.
 
«Non credo tu ne abbia bisogno, hai una fantasia piuttosto spiccata.»
 
«Eccoci. Si mangia finalmente.»
 
Cristina irruppe in sala, accompagnata da Sofia e dal profumo della felicità.
 
«Fantastico! Almeno Ella sarà troppo impegnata a masticare per infilzarmi con la sua lingua tagliente e velenosa.»
 
Gabriele si alzò, aiutando le due ragazza a posizionare i quattro cartoni di pizza sul tavolino in modo che non potessero cadere.
 
«Stai attento a come parli» sibilò tra i denti, guardandolo con sguardo truce.
 
«Gabriele, domenica ho una partita di pallavolo, ti andrebbe di venire? Potrebbe essere l’occasione di integrarti nel nostro gruppo. All’appello mancano solo mio fratello e Luca.» Sofia intervenne velocemente, dicendo la prima cosa che le era venuta in mente.
 
«Grazie, ci sarò sicuramente.»
 
«Sofia come siamo caritatevoli questa sera. Gabriele avrà già una sua comitiva, non crederai mica che avrà del tempo da perdere con noi.»
 
La situazione stava precipitando di secondo in secondo ed Ella era particolarmente fiera dell’atmosfera che si stava creando.
 
Era un’escalation che avrebbe potuto terminare in un solo modo.
 
«Ella, non credi di esagerare?» chiese Cristina, mentre masticava un boccone della sua fetta di pizza margherita.
 
«Non ti preoccupare. Le sue simpatiche affermazioni non mi disturbano.»
 
«Hai sentito Biancaneve, perché dovrebbero ferirlo se sa che sto dicendo solo la verità.»
 
«Si ho altri amici, ho l’università e altre cose che mi portano via tempo, ma questo non mi impedirà di trovarne per persone di cui devo riconquistare la fiducia.»
 
«Vedremo.» Intrise il suo tono di voce in un bagno di scetticismo puro, prima che la sua risposta prendesse vita.
 
«Dai, scegliamo un film» propose Sofia, accedendo all’account Netflix.
 
«Per me va bene qualunque cosa.» Ella non aveva particolare interesse di nulla, l’unica cosa su cui voleva concentrarsi era sperare di placare la frustrazione divorando la fetta di pizza che aveva tra le mani.
 
«Gabriele, ti va bene?» chiese Sofia, riferendosi al primo film della saga cinematografica della mummia.
 
«Si, è perfetto.»
 
Il film era iniziato da qualche minuto, quando il cellulare di Ella si illuminò. Era abbastanza vicino da aver richiamato la sua attenzione, ma non troppo per distinguere chiaramente il mittente.
 
Si allungò verso destra, allontanandosi da Gabriele, per rintanarsi nell’angolo e ritagliarsi qualche minuto di solitudine.
 
Il nome non poteva più essere ignorato né equivocato, considerata la grandezza e nitidezza delle lettere che lo componevano. Ognuna di esse era ignara di quanto potesse fare del male se messa accanto alla sua giusta compagna.
 
Dopo l’ultimo messaggio, Ella non gli aveva più risposto, preferendo impostare il silenzioso direttamente sulla sua conversazione.
 
Il loro numero era ancora visibile, giacché si era imposta di non leggerli per non cedere all’istinto di rispondergli, arrendendosi al suo sporco gioco.
 
Ventitré messaggi in due giorni.
 
Rifiutata la prima telefonata, ne arrivò, dopo qualche minuto, una seconda.
 
Nemmeno Dio avrebbe potuto sapere quanto fosse stanca, quanto il suo corpo si stesse piegando fino al punto di spezzarsi ogni volta che i bisogni e la volontà di Matteo si schiantava su di lei, rendendo il suo esile corpo un fuscello in balia di un uragano.
 
Più vedeva il suo nome apparire d’avanti ai suoi occhi, che sembravano non potessero legge altro, più i suoi sensi si annebbiavano.
 
Il suo corpo stava iniziando a pompare adrenalina, che presto si sarebbe diffusa in ogni parte di lei.
 
«Ella sei tra noi?»
 
La domanda di Sofia le arrivò ovattata, tanto da credere che la stesse richiamando da un’altra stanza dell’appartamento, ma, quando riportò l’attenzione su di lei, si rese conto che non si era mai mossa.
 
Aveva tre paia di occhi di colori e intensità differenti puntati su di lei, come se avesse commesso chissà quale peccato che era giunto il momento di confessare.
 
Tutta questa pressione la stava spingendo al limite ed Ella era troppo debole per poterla trattenere.
 
«Se me lo hai chiesto vuol dire che non ci sono.»
 
Aveva dato la battuta d’inizio a un concerto, le cui uniche protagoniste sarebbero state la rabbia e la paura.
 
Il passo era stato compiuto, la linea superata, le redini lasciate e ora si doveva solo guardare la caduta in attesa dello schianto.
 
«Bastava un semplice no, invece di questo concentrato di antipatia» intervenne Cristina, ignara di ciò che stesse accadendo
 
Sofia aveva sopportato per troppo tempo il suo umore nero per non capire, dalla sua postura rigida, dall’espressione troppo smarrita per essere camuffata e dal telefono stretto con troppa forza, che l’innominato era riapparso e tentava di scuoterla con maggior prepotenza.
 
«Fate finta che non esista e smettetela di guardarmi come se fossi pazza.»
 
Gabriele sapeva avrebbe compiuto una scelta più saggia, se avesse taciuto, ma non poteva rimanere ignaro di qualcosa che sembrava troppo spaventosa per essere reale.
 
Si avvicino a Ella, che era così impegnata a fissare il cellulare da non accorgersi di nulla.
 
«Stai bene?» sussurrò, in modo che nessun’altro potesse sentire la loro conversazione.
 
«Si.» Il tono seccato della sua risposta gli fece temere di aver esagerato in qualche punto della loro conversazione.
 
«Ho detto qualcosa di sbagliato?» chiese preoccupato.
 
«Tu pensi di averlo fatto?»
 
Ella non era permalosa e, anche se si fosse offesa, non avrebbe tenuto i suoi pensieri per sé, rimuginando invece di parlare.
 
«No.»
 
«Allora non hai detto nulla di sbagliato.»
 
Non si era nemmeno degnata di guardarlo in viso mentre rispondeva. Immersa in chissà quale universo, Gabriele ebbe la sensazione di essere solo una voce indistinta nel mare di pensieri che le impegnavano la concentrazione e, evidentemente, non era nemmeno tanto rilevante da meritare la sua attenzione.
 
«Mi spieghi cos’hai?»
 
«Non sono affari tuoi» sussurrò tra i denti e ogni nota nella sua voce, anche la più nascosta, sprigionava rabbia.
 
«Ella, non reagire così. Sono solo preoccupato.»
 
«Beh, non devi. Ho saputo badare a me stessa anche prima del tuo gentile interessamento, quindi lasciami in pace e non insistere. Te lo chiedo per piacere.»
 
C’erano così tante emozioni espresse in quella frase: rabbia, angoscia, esasperazione e anche un pizzico di gentilezza.
 
Ella non voleva ferirlo, ma la stava spingendo a prendersela con lui per tutto ciò che la stava devastando e a cui anche lui aveva contribuito a creare.
 
Dopo la quarta telefonata, Ella posò con troppa forza e poca delicatezza il cellulare con lo schermo rivolto verso la superficie del divano, attirando l’attenzione di Gabriele.
 
«Adesso basta. Cos’ha il tuo telefono che non va?»
 
«Niente. Funziona fin troppo perfettamente.»
 
«Allora perché lo guardi ogni due minuti con un’espressione disgustata, sbuffando esasperata.»
 
Gabriele non aveva il diritto di alzare i toni, eppure provava così tanto dolore nel vedere Ella soffrire per qualcosa che ignorava e per cui non avrebbe potuto aiutarla a porre rimedio, che fu inevitabile accendere la miccia che avrebbe innescato l’esplosione.
 
«Ma tu non hai niente di meglio da fare che guardare me? Se il film non ti piace, dillo e lo cambiamo.»
 
Ella affondò gli occhi nell’oro cupo del suo sguardo, rischiando di fondere le proprie emozioni con le sue.
 
«Sarebbe un bel film da vedere, se non fossi distratto da tutte le energie negative che emana il tuo corpo. Hai un’aura scura tutt’intorno e ci sta inghiottendo tutti.»
 
«Se non ti piace la mia aura, te ne puoi andare. La porta sai dove trovarla.»
 
Ella non tollerava quando qualcuno superava il suo tono di voce, pertanto si sentiva in diritto e in dovere di alzarlo fino a quando non avesse reso quello usato da Gabriele un lieve sussurro.
 
«Ella si può sapere che ti prende?» Intervenne Sofia, richiamata da una lite appena iniziata.
 
«Se Gabriele la smettesse di alitarmi sul collo, sarei la ragazza più tranquilla e pacifica del mondo.»
 
«Non ti sto alitando sul collo.»
 
«Hai ragione. Stai sbavando come un San Bernardo.»
 
«Ella, basta. Vuole solo sapere cos’hai.» Cristina aveva visto Ella arrabbiarsi molte volte, eppure questa volta sembrava diversa.
 
Non era posata nei modi, né controllata nelle parole, era solo furia cieca nella sua forma più pura e sapeva che li avrebbe sommersi come un’ondata di lava rovente.
 
«Ho già risposto.»
 
«Se sei così agitata non può non essere successo niente.»
 
«Sei tu che mi agiti, con le tue paranoie. Meglio che me ne vada prima che possa dire qualcosa di cui potrei pentirmi.»
 
Ella scattò in piedi, intenzionata a fuggire con l’ultimo briciolo di autocontrollo di cui disponeva e sarebbe stato sufficiente a proteggersi.
 
«Tu non ti penti mai di ciò che dici.» Gabriele si alzò, seguendo la scia di Ella, così da potersi fronteggiare alla pari.
 
Tornare indietro avrebbe solo peggiorato la situazione. Applicare ulteriori punti su una ferita infetta non l’avrebbe sanata, a volte era necessario aprirla nuovamente e pulirla a fondo per evitare che un arto potesse andare in necrosi.
 
«Qui si mette male.»
 
Il commento preoccupato di Cristina non fu abbastanza forte da distrarre i due ragazzi, troppo impegnati a scambiarsi sguardi ostili.
 
«Vero, quindi perché dovrei rinchiudermi in camera quando posso dare sfogo alla mia rabbia repressa e rovinare la serata a cui Sofia teneva tanto.»
 
«Non preoccupatevi per me. Ciò a cui sto assistendo è decisamente meglio di un film.»
 
«Sofia, ti sembra il caso di incitarla a smembrare Gabriele?»
 
«Prima o poi doveva esplodere. In queste settimane la sua calma mi aveva fatta preoccupare, Gabriele la sta solo aiutando» sussurrò Sofia nell’orecchio di Cristina, in modo tale da risultare invisibili agli occhi di Ella.
 
Non potevano andarsene perché se la situazione fosse drasticamente precipitata e la sua amica avesse dato troppo sfogo alla sua rabbia, Gabriele sarebbe stato l’ultimo in grado di fermarla dal momento che aveva deciso di incanalare in lui ogni sua emozione.
 
«Se non avessi voluto attirare la mia attenzione, avresti dovuto nascondere meglio la tua frustrazione.»
 
«Quindi è colpa mia?» chiese retorica, indicandosi con entrambe le mani.
 
«Non ho detto questo, ma ti stai comportando come una bambina a cui hanno rubato le caramelle.»
 
«Tu non hai il diritto di giudicarmi. Non sei nessuno per me e non voglio il tuo aiuto, quindi fattene una ragione» lo accusò puntandolo con l’indice.
 
«I tuoi buoni propositi di ricominciare da capo, dove li metti?»
 
«Te li ho appena infilati nel culo.»
 
Ogni minima possibilità di essere delicata era stata bruciata dal fuoco indomabile che le era esploso dentro.
 
«La finezza è una delle tue migliori qualità.»
 
«Tu invece sei un campione nel giocare a nascondino. Sono Gabriele e adesso mi nascondo, ci rivediamo tra cinque anni, quando forse avrò voglia di uscire dal buco di terra in cui mi sono rintanato per ripiombare a mio piacimento nella tua vita con la pretesa di condizionarla.»
 
Gabriele la osservava sconcertato, mentre gesticolava e tentava di mimare il tono grave della sua voce.
 
«È questo che non riesci a capire. Non voglio condizionarti, ma solo aiutarti. Sto solo cercando di colmare il vuoto che ho lasciato.»
 
Avrebbe potuto spiegarsi fino a perdere la capacità di produrre suoni comprensibili e non sarebbe servito a nulla. Non si poteva far ragionare una persona in preda alla collera, specialmente se aveva valide ragione per esserlo ed Ella ne aveva fin troppe.
 
«Non puoi. Non puoi ritornare e pretendere che ti dica tutto della mia vita, pretendere che mi confidi con te, che ti faccia il resoconto di ciò che ti sei perso in questi anni. Non ho potuto colmare le tue mancanze quando sei sparito e adesso è troppo tardi. I vuoti rimarranno tali e tu te ne dovrai fare una ragione.»
 
La situazione era ormai fuori qualsiasi controllo e Gabriele iniziava a pentirsi seriamente di aver contribuito a farle superare il limite.
 
Tutto ciò a cui riusciva a pensare era la paura di perderla, il terrore che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’avrebbe vista.
 
Non potevano lasciarsi in quel modo, con quegli sguardi carichi di disperazione e parole intrise di rancore.
 
«Non puoi chiedermi di farmi da parte, non dopo avermi rivelato i tuoi sentimenti. Questa volta non me ne starò inerme a guardare mentre ti allontani da me.»
 
«Non è una tua scelta. Cinque anni fa tu hai preso una decisione per entrambi e adesso devi rispettare la mia volontà. Non mi importa un accidente di ciò che provi perché sei uno stronzo egoista e l’unica cosa che hai il dovere di fare è tacere. Dovete smetterla di essere così presuntuosi da credere di poter sovrastare e plagiare una mia scelta con i vostri desideri.»
 
Due volti di una sola ragione non potevano trovare un punto comunque a cui aggrapparsi, specialmente se altre motivazioni non inerenti al contesto aggiungevano un ulteriore peso.
 
«Ella capisco che tu sia tanto furiosa con me da volermi investire ripetutamente con la macchina, ma non puoi illudermi alimentando la mia speranza per poi estinguerla come se non fosse mai esistita. Sai cosa provo per te.»
 
«Voi uomini siete tutti uguali, tutti bloccati nella fase anale con le vostre ossessioni maniacali che riversate su di noi. Prima o poi capirete che siamo libere di fare e dire ciò che vogliamo, che non ci potete condizionare con le vostre paranoie e i vostri bisogni. Ci soffocate fino a strangolarci e noi ce ne accorgiamo solo quando è troppo tardi e, in un battito di ciglia, ci troviamo in una tomba tre metri sotto terra. La vostra innocente preoccupazione si trasforma nell’arma che al mondo miete più donne di un coltello o di una pistola. Ci deteriorate la psiche fino a quando di noi e della nostra volontà non rimarrà più nulla; ci uccidete nel modo più doloroso possibile e sotto il vostro sguardo carico di orgoglio e superiorità ci vedete sfiorire; assorbite tutti i nostri colori, lasciandoci convivere solo con un grigio sbiadito e senz’anima; ci massacrate e ne andate fieri. Non ti permetterò di fare lo stesso con me.»
 
Ella aveva parlato con così tanto impeto e violenza da riuscire a riprendere fiato solo con l’ultima frase.
 
Gabriele non riusciva a capire. Sembrava che Ella avesse preso il largo, approdando in un molo diverso da quello in cui erano stati impantanati fino a quel momento. Lei parlava violenza mentre lui leggeva la paura nei suoi occhi lucidi e rossi. Era talmente chiaro cosa gli volesse comunicare, eppure si rifiutava di capire perché, se avesse iniziato a far vagare la sua mente, avrebbe immaginato gli scenari peggiori.
 
«Ma cosa stai dicendo? Non ti farei mai del male.»
 
Glielo stava urlando il suo vissuto, perché voleva che lui sapesse, lottando contro la parte della sua coscienza che le impediva di fidarsi di lui. Il risultato era un piatto di mezze verità con contorno di disperazione.
 
«Dite sempre così, è la vostra frase preferita, ma per me non ha più valore. Nulla di ciò che potresti dirmi mi farà cambiare opinione. Mi avete stancata con le vostre pretese su di me e sui miei sentimenti, come se potessi amare o odiare in base ai vostri desideri, come se al solo schiocco delle vostre dita io possa essere completamente remissiva ai vostri ordini. Non ti racconterò i problemi che mi affliggono per farmi consolare da te e farmi ripetere che tutto si risolverà, addolcendomi con la tua gentilezza nell’attesa che anche tu possa strapparmi il cuore dal petto e stritolarlo sotto il mio sguardo implorante. Non mi affiderò più a nessuno per vivere nell’incertezza di ciò che mi potrebbe accadere, con la punta della spada di Damocle che sfiora la mia nuca. Non ho bisogno di te e della tua preoccupazione e prima lo capirai, prima ti renderai conto che la tua sirenetta, la tua Ella è stata sostituita dalla cattiva strega del mare.»
 
Era troppo, tutto. Ogni parola, ogni ricordo, ogni paura la trascinava più a fondo di quanto avrebbe immaginato.
 
Sfogarsi dovrebbe aiutare ad alleggerirsi, ma in quel caso sembrava che i massi legati alle caviglie aumentassero invece che diminuire.
 
Non aveva più forza mentale, né fisica. Il suo corpo era totalmente vulnerabile a qualunque tipo di evento sia esterno che interno.
 
Il dolore le aveva corroso lo stomaco così tanto che adesso iniziava ad avvertire delle fitte la cui intensità non faceva altro che aumentare. Non riusciva a tenere lo sguardo fisso su Gabriele, aveva le vertigini e si sentiva stordita.
 
L’adrenalina la stava abbandonando e sapeva già che, ben presto, si sarebbe ritrovata sul pavimento a piangere anche l’anima.
 
Gabriele era stato devastato dal suo discorso e da ciò che ne aveva tratto.
 
Lui non era più nulla per lei che era, invece, per lui tutto.
 
«Farò tutto ciò che vuoi. Ti ignorerò, ti lascerò andare, ti farò capire che non sono come tu mi descrivi perché non accetto che tu pensi di me determinate cose, che generalizzi e inserisci anche me tra quelle persone che ti stanno ancora facendo del male in modi che non posso comprendere. Ti lascerò tutto lo spazio e il tempo di cui hai bisogno senza metterti pressioni, spero solo che tu non ci metta cinque anni per capirlo, ma, anche in quel caso, io saprò aspettarti perché tu, Ella, sei sempre stata il mio sogno più grande e non ho intenzione di rinunciare a te ancora una volta.»
 
Anche se in modo relativamente sbagliato e decisamente eccessivo, Ella gli aveva permesso di capire molte cose. La paura di qualcosa che la tormentava tutt’ora le impediva di fidarsi di lui, quindi l’unica cosa che avrebbe potuto fare era aspettare.
 
«Ora è meglio che vada. Sofia, grazie per l’invito e per la serata.»
 
Ella era immobile e sembrava respirare a stento, si sentiva sull’orlo del collasso.
 
«Ti accompagno.» Si affrettò a dire Sofia, prima che all’amica venisse in mente qualche altro illuminante monologo.
 
«Mi dispiace per ciò che ti ha detto, ma ti posso assicurare che per alcune di quelle non parlava di te. Sei stato solo il suo capro espiatorio.»
 
I piedi di Gabriele si muovevano in direzione della porta, ma il suo sguardo era ancora paralizzato sul volto esanime di Ella.
 
Aveva iniziato a credere che quello fosse tutto ciò che avrebbe meritato da lei. Non c’era spazio per lui, nel suo cuore.
 
«Lo avevo intuito, ma questo non cambia il fatto che devo farmi da parte e ignorarla per il tempo necessario a scaricare la rabbia e schiarirsi le idee. Ha ragione, solo lei può decidere per sé stessa e io devo rispettare la sua decisione come le avevo promesso sin dall’inizio.»
 
Il distacco è sempre traumatico, specialmente se è vissuto con l’idea che l’unica cosa che sarebbe potuta cambiare era l’aumento della distanza che li avrebbe separati.
 
«Ha solo bisogno di capire di chi fidarsi e sono convinta che lo farà prima di quanto pensi.» Sofia poggiò con delicatezza una mano sulla sua spalla, per rincuorarlo, ma, per quanto lo apprezzasse, gli sarebbe servito molto più di quello che farlo stare meglio.
 
«Da cosa lo deduci?» chiese scettico.
 
«Conosco lei e ho fiducia in te. Tu sei tra le poche persone che può farle capire che l’amore non è solo ciò che ha vissuto fino a questo momento. La stai rispettando ed è ciò che più le serve per aprire gli occhi e vedere il suo presente e il suo futuro sotto una diversa luce.»
 
Gabriele non riusciva a capire come Sofia potesse essere così aperta e disponibile nei suo confronti, perché non aveva tradito solo Ella, ma anche lei.
 
«Come fai a parlarmi in questo modo? Non c’è traccia di rabbia nei tuoi occhi, ti fidi di me dopo quanto è successo e mi dai consigli, perché?»
 
«La collera di Ella è sufficiente per due persone e poi so cosa significa mentire e fuggire solo per proteggere gli altri e sé stessi dai propri sentimenti e desideri. Ti capisco più di quanto pensi e riconosco l’angoscia e il pentimento, che si prova in queste circostanze, quando ti guardo. Io ti ho perdonato ed Ella lo farà.»
 
«Grazie di tutto, non immagini quanto le tue parole mi diano conforto. Ci vediamo domenica.»
 
Gabriele aveva dato la sua parola e non ne sarebbe venuto meno, nemmeno se Ella gli avesse tirato contro tutti i palloni presenti nella palestra.
 
«Verrai?» Esordì con stupore, mentre Gabriele apriva la porta dell’appartamento.
 
«Ignorare Ella non preclude sostenere una vecchia amica. Non è solo lei che devo riconquistare.» Sulla scia di quella risposta, Gabriele si allontanò, lasciando dietro di sé tristezza e rimpianto.
 
 
   
 
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