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Autore: moira78    30/11/2019    4 recensioni
Questa storia è il sequel di "Dove volano i miei desideri".
Le coppie sono formate ormai, gli anni passano e le cose cambiano per tutti, nel bene e nel male. La nuova generazione di artisti marziali di Nerima si è appena affacciata al mondo e già dovrà affrontare nuove sfide.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le ombre del destino.'
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CAP. 20: LONTANANZA


Nabiki si trovava di nuovo sul treno che l'aveva portata fin nella città di Tomioka. Sperava di poter prendere un altro mezzo che la conducesse più lontano dalla prefettura di Gunma, ma le fitte al bassoventre stavano già ricominciando e aveva capito di non poter più aspettare: doveva cercare un ospedale se non voleva perdere suo figlio.

L'unica ragione che l'aveva spinta a fuggire.

Il dolore la trafisse ancora una volta, crebbe d'intensità e divenne una lama rovente che le tolse il respiro. Ora era su una barella, con una signora anziana sconosciuta al fianco, colei che l'aveva soccorsa e chiamato l'ambulanza.

"A occhio e croce siamo al quinto mese. Contrazioni regolari. Dobbiamo procedere con una dose di magnesio per fermarle". Le voci dei medici erano lontane e Nabiki aprì la bocca per pregarli di salvarlo, di non far nascere quel bambino così prematuramente, perché sapeva bene che non sarebbe sopravvissuto.

Sarebbe tornata a Nerima senza fardello e priva di problemi. Che bella prospettiva! Il cuore le si spezzò e Nabiki riemerse dal sogno, che era anche un ricordo, con un urlo strozzato.

Si portò una mano al petto, cercando di orientarsi: dov'era, ancora in ospedale? O nella sua stanza?

"Mia regina! Tutto bene?".

Rilasciò l'ansito che aveva trattenuto e ricordò, improvvisamente, dove si trovasse già da qualche mese.

***

Akane guardava la pioggia da dietro i vetri appannati e si chiese se anche dove si trovava sua sorella stesse piovendo. Ma temeva che non si trovasse così vicina.

Poteva udire le incitazioni di Ranma ai suoi allievi provenire dalla palestra e appoggiò la fronte sul vetro freddo, accarezzandosi il ventre appena pronunciato.

A Nabiki doveva mancare poco, a meno che non avesse già avuto il bambino in anticipo. Le si strinse il cuore a saperla lontana e in procinto di avere un figlio: si chiese se, alla fine, avesse proceduto con l'adozione o meno.

Il senso di colpa la travolse. Non aveva più parlato con Nabiki, non volendosi intromettere nella sua vita, e ora si pentì di non averlo fatto.

"Akane, tesoro, bevi un po' di questo tè, ti farà bene". La voce di suo padre la fece voltare.

"Hai avuto notizie da Kuno?", chiese, ansiosa, prendendo la tazza che l'uomo le porgeva.

Lui, però, scosse la testa: "Sia lui che Sasuke stanno conducendo delle ricerche nelle prefetture più a sud, ma pare che non ci siano notizie neanche lì".

Akane lasciò ricadere le spalle, ricordando il biglietto così scarno che aveva trovato in camera di Nabiki: "Non cercatemi. Starò bene".

"Razza di stupida!", esclamò stringendo la tazza come se potesse riversare in quel tè tutta la sua frustrazione.

"Come, tesoro?". Suo padre era l'immagine stessa della disperazione, con quel viso scavato dalle preoccupazioni. Sembrava invecchiato di dieci anni, da quando Nabiki era sparita. E da quando lei aveva nuovamente messo in chiaro le cose con lui.

"Nulla, papà. Non ho detto nulla". Si rinchiuse nel proprio mutismo, sperando che l'uomo non approfittasse di quel momento per ricominciare con la storia dell'erede della palestra, ma non lo fece. Odiava vederlo così addolorato, ma non avrebbe mai permesso che suo figlio fosse manipolato ancora prima di nascere. Quella catena d'imposizioni era stata spezzata mesi prima, quando aveva scoperto di essere incinta e aveva quasi rifiutato l'idea, timorosa di quello che avrebbe potuto fare la sua famiglia. Poi, Nabiki era fuggita e le loro vite erano state gettate nel caos.

Quando ormai era passato del tempo dalle prime ricerche, suo padre, Genma e Happosai avevano riunito lei e Ranma e le sue speranze che ci fossero notizie relative alla sorella erano svanite già dalla prima frase: "Dobbiamo parlare seriamente di questo nipotino", avevano detto.

"No", era stata la sua risposta immediata.

"No cosa, figliola? Se non abbiamo ancora...".

"No a tutto, signor Genma. Mio figlio, o mia figlia, sarà libero di scegliere il suo futuro. Se vorrà occuparsi della palestra lo farà. Se vorrà fare il pasticcere lo farà. Se vorrà diventare un medico studierà. Questo è quanto".

Suo padre aveva cambiato espressione: era chiaramente arrabbiato, ora: "Akane, non ti permetto...".

"Siamo noi che non vi permettiamo!", era intervenuto Ranma, facendola sentire soddisfatta e appoggiata nella lotta.

"Tu stai zitto, Ranma. Non hai potere decisionale", lo aveva interrotto suo padre, furioso.

"Sì che ce l'ho, è anche mio figlio! Non è una bambola di cui potete disporre a vostro piacimento".

Era seguito un silenzio teso, pesante e Akane aveva visto suo padre alzarsi in piedi lentamente, come se temesse di perdere la poca pazienza rimasta: "Con Kasumi non ho voluto insistere, perché nei suoi geni e in quelli di Tofu non c'è una predisposizione. Ma voi due!". Il pugno aveva sbattuto sul tavolo, per sottolineare quelle parole. "Voi due siete la promessa delle arti marziali indiscriminate e siete una coppia! Rappresentate l'ultima generazione! Questo bambino potrebbe diventare persino più forte di voi!".

L'ardore negli occhi di suo padre, quella mano che aveva sbattuto sul tavolo che ora tremava. Ad Akane era parso pronto a crollare o a esplodere da un momento all'altro. Aveva cercato di essere più dolce ma ferma possibile. "Papà, ascoltami. Per te cosa conta di più? Avere un nipote imbattibile o un nipote felice?".

Lui aveva chiuso le palpebre, incredulo: "Cosa?".

"Non mi pare una domanda difficile". Akane aveva cercato di contenere la rabbia che stava montando, se non altro perché non voleva nuocere a suo figlio.

"Io sono il capofamiglia, la guida di questa casa!", aveva detto l'uomo, alzando le braccia come ad indicare quelle quattro mura. "Se non vi avessi guidato, voi due sareste ancora due ragazzini indecisi che non si decidono a...".

"Ed è su questo che si sbaglia!", era intervenuto nuovamente Ranma. "Io e Akane saremmo finiti insieme comunque. L'unico merito che avete avuto voi in questa storia è stato quello di farci incontrare. Nessuno dei vostri tentativi ci ha mai avvicinati, siamo stati noi a volerlo, anche se in modo un po' controverso".

Akane sorrise: suo marito aveva espresso a parole ogni suo pensiero.

"Ragazzo, ti ho dato un tetto e una delle mie figlie in moglie, porta rispetto e sii riconoscente", aveva ammonito agitando un dito davanti alla faccia di Ranma, che non si scompose minimamente.

"E quindi, ora, vuole mio figlio come ricompensa?", era stata la sua risposta ironica.

Suo padre aveva alzato un braccio per colpirlo, ma Genma lo aveva fermato: "Aspetta, amico mio. Forse stiamo davvero esagerando. Anche io vorrei che questo nipote fosse l'erede della palestra, ma...".

"Vuoi tradirmi anche tu?!", la rabbia si era rivolta ora verso l'amico di sempre, che, incredibilmente, al momento sembrava quello con più sale in zucca.

Akane si alzò in piedi: "Smettila, papà, e ascoltami. Anzi, ascoltaci". Aveva preso per mano suo marito, inducendolo ad alzarsi e a starle al fianco, mentre parlava. "Sono molto felice che tu mi abbia dato la possibilità di incontrare Ranma, davvero, e sono certa che per lui è lo stesso. Ma la vostra anacronistica pretesa di obbligare noi figli a sottostare a matrimoni combinati o a prendere le redini della palestra è assurda e persino immorale. Un figlio è un dono e prendersi cura di lui significa anche e soprattutto rispettare i suoi sentimenti. Quando ho saputo di essere incinta non ho avuto il coraggio di parlarne a Ranma, e sai perché? Non solo perché non me l'aspettavo e non ero preparata, ma specialmente perché sapevo a cosa sarebbe andato incontro. A pretese, a imposizioni, a un futuro già scritto e deciso. A volte mi trovo a invidiare Nabiki che ha avuto il coraggio di fuggire, anche se immagino che lei abbia avuto motivi diversi".

Suo padre aveva avuto un lampo negli occhi e lei capì che, se non fosse stata incinta, forse l'avrebbe persino schiaffeggiata. "Speravo aveste capito che non volevamo più imposizioni quando ci siamo trasferiti nella nuova casa, ma evidentemente mi sbagliavo", aveva continuato. "Quindi, sappiate una cosa, papà, signor Genma e Happosai". Aveva spostato lo sguardo sul vecchio maestro che fumava la sua pipa ad occhi chiusi, come se si fosse estraniato dalla conversazione: Akane sapeva che, in realtà, stava ascoltando molto attentamente. "Nostro figlio deciderà da solo e crescerà libero da ogni catena. Io e Ranma ci assicureremo che abbia tutto ciò che gli serve: cibo, vestiti, libertà e... soprattutto amore".

"...qualcuno che le sia amico?".

Akane sbatté le palpebre, sbalzata fuori da quel ricordo doloroso e importante al contempo: sapeva che suo padre non l'aveva ancora perdonata del tutto, ma dopo qualche settimana di lontananza i rapporti tra loro erano quasi tornati quelli di una volta. "Scusa, papà, non ti ho sentito, ero sovrappensiero, puoi ripetere?".

"Ti chiedevo se ricordi qualcuno che sia stato molto amico di Nabiki".

Lei scosse la testa: "Abbiamo provato a rintracciare tutte le sue compagne di liceo, ricordi? Ma nessuna di loro ne sa niente. Anche se...". Ebbe come il flash di una vecchia conoscenza di sua sorella ma respinse l'idea, scartandola come assurda: con lui c'era stata più una lotta che un'amicizia e, soprattutto, non ne avevano notizie da anni.

"Cosa? Che ti è venuto in mente, figlia mia?!", chiese lui scuotendola per le spalle.

"Niente, papà, niente, un'idea balzana, davvero. Perché non prendi un po' di tè anche tu, adesso? Sembri molto stanco".

L'uomo lasciò ricadere le braccia sui fianchi, sconfitto, e Akane provò pena per lui. Si chiese, per l'ennesima volta, dove diavolo si fosse cacciata sua sorella, che sembrava essere stata inghiottita dalla Terra.

***

"Sei sicura di non avere contrazioni?".

Nabiki ci pensò su un attimo e ricordò il sogno. Forse le aveva sognate o forse erano reali, non poteva saperlo: molti incubi che faceva erano piuttosto vividi, ultimamente.

"Hai preso le vitamine ieri? E ti sei ricordata di mettere l'orologio sul comodino? No, a quanto vedo. Lo sai che se hai le contrazioni di notte devi chiamarmi e contare il tempo tra una e l'altra, e inoltre...".

"Kashao, ti prego, stai zitto un attimo, ho mal di testa a furia di...".

"Mal di testa? Vuoi che ti misuri la pressione? Ho l'apparecchio nell'armadio e...".

"Kashao, per favore, taci un secondo!", sbottò portandosi le mani alle tempie.

Lui tacque per quasi un minuto intero e Nabiki cercò di nascondere il dolore per una vera contrazione. Ogni tanto ne aveva qualcuna sporadica ma, nonostante fosse ormai quasi alla fine della gravidanza, non erano mai regolari. Guai se lui avesse saputo una cosa del genere, si sarebbe precipitato al più vicino ospedale trascinandola e rischiando di farle fare decine di viaggi a vuoto.

Non capiva come un uomo potesse essere persino più ferrato di lei in un tema come quello, anche se era laureato in medicina. Ancora non si era ripresa neanche dal suo incontro in quell'ospedale, mesi prima: quale era stata la sua sorpresa quando si era resa conto che era un tirocinante! Erano rimasti a fissarsi per un minuto buono prima di esclamare all'unisono: "Tu?!".

E così, Nabiki aveva scoperto che Kinnosuke Kashao, che una volta aveva battuto in un'improbabile sfida a suon di yen, a seguito del grande terremoto aveva subito, un po' come tutti, un grande cambiamento. Aveva perso la sua famiglia e si era aggirato tra le rovine per giorni, aiutando le persone che incontrava, dimentico del suo palazzo ormai ridotto in macerie. Come la sua stessa vita. Il racconto di come aveva scoperto il vero valore delle cose semplici l'aveva colpita, perché per lei il terremoto non era stato sufficiente. Per lei c'era voluto il primo calcio di quel figlio indesiderato. Solo allora si era risvegliata dal suo torpore, anche se a lui aveva raccontato ben poco.

Nabiki provava un segreto sentimento d'inferiorità di fronte a quel ragazzo, ormai uomo, che aveva acquistato valore dedicandosi agli altri e decidendo di studiare medicina, investendo anche il suo denaro in opere di bene. Si era aperto a lei parlandole con entusiasmo della sua personale esperienza, ma Nabiki non aveva avuto lo stesso coraggio.

Cosa avrebbe potuto dirgli? Che lei si era fidanzata con un ragazzo ricco pur di fare la bella vita e che da quando era rimasta incinta non aveva fatto altro che cercare modi per liberarsi da quel fardello?

"Perché non mi chiami Kinnosuke", domandò con aria triste.

Nabiki lo fissò: "Perché sai benissimo che ti mentirei".

Kashao l'aveva invitata a vivere con lui, specie ora che si doveva riguardare, e oltre che a riceverla con piacere nella sua nuova casa, sarebbe stato anche un valido supporto. Non voleva soldi. Non voleva riconoscenza. Lo faceva perché le era affezionato e, anche se era una ragazza madre, la rispettava ed era stato felice di rivederla.

Ma, dopo qualche tempo, aveva capito che Kinnosuke non era completamente disinteressato. Kinnosuke si era innamorato di lei.

***

Akane arrivò da sua sorella proprio quando il temporale stava aumentando d'intensità. Quando Kasumi le aprì la porta, si affrettò a farla entrare e a riporre l'ombrello: "Akane, tutto bene? Come mai sei venuta da sola?".

"Ranma è agli allenamenti e ho dovuto faticare non poco per convincere papà a lasciarmi venire qui senza essere accompagnata. Tranquilla, sto bene. Non diventarmi apprensiva anche tu, d'accordo?", disse facendole l'occhiolino.

Lei si tranquillizzò e la fece accomodare nell'appartamento al piano di sopra. "Ono e i bambini stanno imparando anatomia nello studio", ridacchiò, poi aggiunse: "Oggi ancora non si sono visti pazienti, credo sia per colpa del maltempo. Volevi parlare con me, vero?".

Akane annuì. Come al solito, sua sorella aveva capito tutto al volo: "Vorrei parlarti di Nabiki".

Negli occhi di Kasumi passò un lampo di speranza: "Avete sue notizie?", chiese infatti.

"No, purtroppo, ma mi chiedevo... lei si è sempre confidata con te, in passato. Possibile che non ti abbia mai parlato della sua intenzione di scappare?".

Kasumi scosse la testa, poi si sedette e le fece cenno di fare altrettanto. "Non me ne ha mai parlato, no. Ma credo di sapere perché lo abbia fatto. Non ho voluto dirlo a nessuno perché non credo sia determinante ai fini del suo ritrovamento, ma a questo punto penso che lei non voglia affatto che avvenga".

Akane si accigliò, senza capire: "Naturalmente l'ha fatto per un motivo valido, ma tu davvero sai perché?".

"Oh, ne sono quasi sicura. Credo non volesse perdere suo figlio dopo aver firmato i documenti per l'adozione".

***

Ukyo mescolava l'impasto del ciambellone da circa mezzora. Lo faceva senza attenzione, con un gesto meccanico teso a scaricare la tensione.

Era il giorno libero di Konatsu e lei era sola.

La pioggia cadeva incessantemente, scoraggiando gli avventori, così aveva deciso di provare una delle ricette di dolci italiani che le aveva inviato Marco in una delle sue ultime lettere: in lui aveva trovato un amico di penna eccezionale che, pur nel suo giapponese stentato, l'aggiornava sulle ricette che non aveva avuto modo d'imparare in Europa e le dava anche notizie sulla sua vita. Si stava per sposare con una cameriera sua collega e sperava tanto che lei potesse partecipare al suo matrimonio, magari accompagnata dal suo fidanzato, com'è che si chiamava?

"Ryoga", disse alla stanza vuota e all'impasto che non aveva più un singolo grumo già da qualche minuto, "si chiama Ryoga ed è un benemerito idiota. L'idiota più grosso e stupido che io abbia mai incontrato, l'idiota...". Scoppiò a piangere senza preavviso, come un temporale che minaccia di arrivare da ore ma non si scarica mai.

Non era la prima volta che le accadeva, ma di solito succedeva di notte, quando non poteva tenere la mente impegnata in alcun modo e si svegliava dopo un sogno vivido con le guance madide di lacrime.

Si appoggiò al bancone, scossa dai singhiozzi, sperando che non entrasse nessuno proprio in quel momento. Non accadde e Ukyo si rese conto di quanto fosse sola. Konatsu e Marco erano presenze lontane, come appartenenti ad un'altra dimensione. Ranma, Akane e gli altri erano tutti presi dalla sparizione di Nabiki, avvenuta misteriosamente qualche mese prima e il mondo intero sembrava essersi dimenticato di lei.

Se aveva fatto un errore, nella sua relazione, lo stava pagando davvero caro. Fin troppo caro. Non sapeva esattamente quali fossero i sintomi di una depressione, ma li riconobbe nel suo corpo, nella sua mente e non solo per i chili persi durante quei mesi e per la tristezza del suo cuore. Sentiva l'anima lacerata e non c'era nulla, né le persone, né il lavoro che la risollevassero, per quanti sforzi s'imponesse di fare.

Più cercava di tirarsene fuori, più veniva risucchiata dalle sabbie mobili.

Sbatté il pungo sul bancone e fu proprio allora che sentì il suo mondo dondolare e inclinarsi, in un movimento lento, appena percettibile ma costante.

Forse si sarebbe lasciata affondare, prima o poi, perché era così stanca!

Istintivamente, e senza alcun interesse particolare, alzò gli occhi al soffitto, cogliendo il dondolio del lampadario. Magari essere sepolta nel suo locale poteva rappresentare una fine dignitosa, ma dubitava che sarebbe accaduto. Perlomeno non con quella stupida scossetta.

Si asciugò gli occhi distrattamente, maledicendosi perché stava perdendo se stessa perché aveva bisogno di un'altra persona. Non lo avrebbe mai creduto possibile, lei, la fidanzata carina di Ranma che si era travestita da maschio e aveva mosso mari e monti per un ragazzo che la considerava solo un'amica. Lei, la granitica Ukyo Kuonji che si era innamorata di un eterno disperso.

Ora, quella dispersa era proprio lei.

***

"Cos'è stato?", saltò su Akane, poggiando una mano sullo stipite.

"Sembrava una scossa di terremoto", rispose sua sorella accigliandosi, "ma era piccola. La struttura è antisismica, tranquilla. Dopo l'ultima volta...".

Annuì. Dopo l'ultima volta, ogni piccola scossa sembrava enorme, ma la maggior parte degli abitanti di Nerima che era sopravvissuta si era premunita di ricostruire gli edifici crollati a norma, anche con grossi sacrifici.

"Probabilmente Ono e i bambini non l'avranno neanche sentita al piano terra", commentò Kasumi, affacciandosi brevemente dalle scale.

Akane rifletté su quello che aveva scoperto da poco su Nabiki, e si chiese come avesse fatto a non accorgersi del suo cambiamento. Neanche suo padre, il signor Genma o Happosai avevano mai sospettato nulla.

Tanto più che, a parte rari casi, Nabiki rimaneva sempre rinchiusa nella sua stanza e non parlava con nessuno. Le visite che le faceva Kuno sembravano essersi diradate ed erano spesso turbolente, a quanto le avevano riferito. Nessuno voleva più parlare con l'introversa ragazza, che sembrava schiava della sua stessa gravidanza.

"Come potevo sospettare che, in realtà, si stesse innamorando del suo bambino", commentò Akane con un lieve sorriso. "Ma se la tua tesi su Kuno è giusta, perché è scappata?" .

Kasumi la fissò sorridendo a sua volta, ma tristemente: "Perché nessuna di noi due ne era sicura. Io ho cercato di tranquillizzarla, e tante volte mi sono ripromessa di parlarne con il suo ex fidanzato, ma sentivo di non dovermi intromettere nelle loro vite. Se Nabiki voleva davvero tenere il suo bambino doveva farlo personalmente. In molte occasioni ho tentato di convincerla a discuterne con lui, ma sai com'è fatta. Impenetrabile ma anche tanto fragile...". La voce di sua sorella si spense.

Forse si era pentita di non aver fatto di più. Forse sperava che le cose sarebbero cambiate, o forse aveva già perso quella speranza. Di certo, erano tutte impotenti e Nabiki aveva preso le redini della sua vita nel momento in cui aveva deciso di andarsene da casa.

Akane le augurò silenziosamente buona fortuna, a lei e al suo nipotino che, forse, era già nato.

***

"Voglio che controlliate ogni muro e ogni angolo di questa casa, va bene? Mia moglie sta per partorire e ha bisogno di restare tranquilla!".

Nabiki chiuse la porta su quella frase concitata piena di stupidaggini e diede un giro di chiave, con il mal di testa che ora le artigliava senza pietà le tempie e la nuca. Respirò a fondo quando arrivò un'altra contrazione e si chiese se dovesse davvero cominciare a tenere il tempo.

Di sicuro, se il parto era imminente come cianciava il suo sedicente "marito" ai vigili del fuoco, non era stato per colpa di quel leggerissimo movimento tellurico di poco prima. Udì uno degli uomini rassicurare Kashao sul fatto che, se la casa era stata costruita secondo i criteri antisismici, anche una scossa forte non l'avrebbe danneggiata, e al massimo sarebbero potuti cadere degli oggetti.

Su una cosa, però, aveva ragione: voleva rimanere tranquilla. Ciononostante accese la televisione per capire dove fosse situato l'epicentro e scoprì che, secondo gli esperti, era nei pressi di Tokyo, dove però il movimento era stato solo appena percepito dalla popolazione.

Nessun danno, nessun allarme. Bene.

Nabiki spense la televisione, chiedendosi quanto fossero preoccupati a casa sua.

Se n'era andata all'improvviso, lasciando solo un messaggio vago e senza dare più notizie. Ma non voleva rischiare che Kuno la trovasse e le facesse dare via suo figlio, una volta nato. Era arrivata l'ora di parlare seriamente con Kashao, superando le proprie riserve, di fidarsi di lui e di farsi portare lontano, di far sparire le sue tracce.

Se fosse riuscito nell'intento di farle tenere il bambino, forse l'avrebbe anche sposato.

Nabiki prese in mano l'orologio sul comodino quasi distrattamente, riaprì la porta e attese che Kashao entrasse in camera sua per dire qualche altra stupidaggine a proposito della sua salute o della sua sicurezza.

Dovevano parlare molto seriamente.

***

Ranma-chan starnutì mentre Akane le porgeva un asciugamano.

"Va bene, ho portato via l'ombrello, ma possibile che non ce ne fosse un altro in casa?", domandò contrariata a suo marito.

"Non mi andava di cercarlo", borbottò guardando altrove.

Akane sospirò, scuotendo la testa di fronte alla sua testardaggine. Era sempre troppo preoccupato per lei, specie da quando era incinta.

"E poi, sai, abbiamo sentito la scossa e...".

"Ranma, non era una grossa scossa e lo sai bene. Non puoi solo stare più tranquillo? Sono venuta da Kasumi per parlare un po' con lei, papà non te l'ha detto?".

Lui la guardò, i lineamenti femminili erano contratti in un'espressione addolorata: "Ma piove e tu...". Lasciò cadere la frase, forse sapendo che, se avesse continuato con la storia che doveva starsene riguardata, si sarebbe guadagnato una rispostaccia.

"Ranma, te l'ho ripetuto mille volte. Non mi succede nulla se vado in giro mentre piove, purché io abbia un ombrello. E non mi succede nulla se c'è una scossa di terremoto e io mi trovo al sicuro in una casa antisismica. Non mi succederebbe nulla neanche se decidessi di andare a nuotare in piscina o di fare una passeggiata per i negozi del centro prendendo il treno".

Per tutta risposta, lui mise su un'espressione imbronciata che lo fece sembrare una bambina offesa: ad Akane venne in mente che, se avessero avuto una femmina, probabilmente avrebbe potuto somigliare proprio alla versione femminile di Ranma in quel momento.

"Ecco qua l'acqua calda", esordì Kasumi portando la teiera piena e porgendogliela con un sorriso.

I gemellini scelsero proprio quel momento per uscire dallo studio con il loro papà: "Ciao zia! Ciao zio! Oh, che bello, ti stai trasformando!".

Ranma rispose con un grugnito: "Già, è sempre divertente, vero? Per voi, almeno". Adorava i suoi nipotini, ma sopportava a malapena di essere oggetto di tante attenzioni in quelle situazioni imbarazzanti, anche se per i bambini era un gioco. Akane si chiese come avrebbe fatto quando fosse nato il bambino.

"Avete sentito il terremoto?", chiese Daiki saltellando vicino alla mamma.

Akane incontrò lo sguardo del dottor Tofu, che si strinse nelle spalle: "Non era una grande scossa, ma l'abbiamo avvertita anche al piano terra. Nulla di cui preoccuparsi, la casa è solida", aggiunse, certamente a beneficio dell'intera famiglia.

Nonostante le precauzioni prese, i timori si erano riaccesi in ognuno di loro: poteva leggerlo negli occhi di Ranma, di Kasumi e di suo marito.

Per l'ennesima volta, si domandò dove fosse Nabiki e avvertì un'urgenza che somigliava pericolosamente a un cattivo presagio.
   
 
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