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Autore: Melanto    02/12/2019    5 recensioni
[Midquel di 'Malerba']
Gli elementi principali dell'ikebana sono tre, chiamati in modi differenti e sintetizzabili in: Paradiso, Uomo e Terra.
Preso nel mezzo, tra ciò a cui appartiene e la fede da ritrovare, l'Uomo si curva e dibatte alla ricerca di un equilibrio ideale. Ma la ricerca può essere guerra, e se dopo tante sconfitte c'è chi riesce ad assaporare la pace delle prime vittorie, allo stesso modo c'è chi, dopo aver passato una vita intera a dominare, inizia a soccombere sotto il peso delle sconfitte nascoste.
Questa raccolta è fatta di vittorie e disfatte diluite nel Tempo, ma senza dimenticare...
...che non è il tempo a perdersi, siamo noi a perderci nel tempo.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Mamoru Izawa/Paul Diamond, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Mori no Kokoro - Il Cuore della Foresta'
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Jikan - #2

Note Iniziali: E qui facciamo un salto in avanti. Ci troviamo esattamente alla fine del Capitolo XXX.

Shuzo è uscito di prigione, è tornato al Kokoro dove Mamoru e tutti gli altri lo ha accolto come non fosse mai andato via. Anche se all’inizio era convinto di non restare, alla fine Shuzo sceglie di iniziare da lì a ricostruire la propria vita.

Questa shot, si colloca alla fine di quella giornata :D

 

Buona lettura :3

 

 

 

 

 

 

- #2: Il tempo del mondo -

 

 

 

Shuzo osservò Mamoru tirarsi dietro il cancelletto dell’ingresso posteriore del Kokoro con un colpo deciso. Il metallo vibrò con forza, ma nessuno dei due se ne preoccupò.

Era poggiato con la schiena alla macchina e aveva la testa troppo leggera per pensare ai rumori molesi in ora tarda.

Kumi, Tobi e Bruco erano andati via da meno di mezz’ora e l’orologio segnava che mancavano un paio di minuti alle 23.00. Avevano messo tutto in ordine, chiuso le piccole serre, fatto partire l’ultima lavastoviglie della giornata. I forni li aveva già settati Kumi.

Potevano salire a casa.

E la sua testa era leggerissima e doveva avere gli occhi lucidi su un sorriso tanto accennato quanto stupido. Aveva bevuto un po’, i festeggiamenti erano continuati anche una volta chiuso il locale. Kuromori, sakè. Era un giorno speciale e al resto si sarebbe pensato l’indomani, perché sarebbe arrivato tardi: di mezzo c’era ancora tutta la notte, e la notte era sempre stata loro.

Mamoru si volse e negli occhi scuri come il cielo sopra le loro teste Shuzo lesse la stessa consapevolezza: da soli, dopo tanto tempo e come si erano abituati a trovare alla fine di ogni giorno. Soli, ma insieme.

Mamoru allungò il braccio, gli prese la mano. Si incamminarono per fare il giro e raggiungere il cancelletto di casa. Il paese dormiva già, aveva ritmi che la sua assenza non aveva toccato e aveva pensato fosse rassicurante quella fissità conosciuta. Gli dava ancora di più la sensazione di essere tornato.

«Sei stanco?»

«Ma se non ho fatto niente tranne bere, mangiare e chiacchierare.»

«Be’, le emozioni stancano.»

«Sto bene, gioia. Mai stato meglio.»

Mamoru gli scoccò un’occhiata che era tutta un programma e racchiudeva i mille significati delle loro notti trascorse a parlare, stare vicini, un passo alla volta.

«Me lo auguro proprio.»

«Suona come ‘pessime intenzioni’, o me lo sono immaginato?»

Mamoru strinse la mano e lo attirò a sé; le parole volavano alla distanza del fiato, come le minacce.

«Io ho sempre cattive intenzioni quando ti sono vicino.»

Un sorriso svirgolò, si nascose nella luce dei lampioni che accresceva le ombre e la sua testa fu leggera un respiro in più mentre la fame – per la quale il cibo perfetto sarebbe stato carne viva da mordere – gli formicolò dal ventre alle gambe e a ciò che c’era nel mezzo.

«Gli dèi mi fottano, mi era mancato il tuo essere così stronzo.»

«Gli dèi aspetteranno, perché ti fotterò prima io.»

Shuzo affondò la risata nel collo di Mamoru, tra i capelli e la carne di cui respirò ogni odore.

«Ti ho influenzato proprio male, cazzo! Dovresti trovarti uno bravo e sistemato, invece di stare con me. Tua madre mi odierà per averti reso uno scombinato.»

«Mia mamma è arrabbiata perché tu non le dai molta confidenza.»

«Cosa?!»

«Giuro. Pensa di starti antipatica. Poi, okay, le occasioni sono state poche. Dovremmo recuperare.»

«Ma no! Non mi è antipatica, è solo che… ecco… avevamo avuto di che discutere e non sono proprio l’esempio di compagno ideale. Insomma, vorrei evitare che veda quanto io sia idiota.»

«E quindi fai il sostenuto per darti un tono?» Mamoru sbottò a ridere. «La prossima volta che li vediamo – che sarà questo week-end – attacca a parlarle come fai con mio padre. Vedrai che non ti mollerà più. Lei ti ha accettato da subito.»

Shuzo ringraziò l’oscurità serale che nascose l’imbarazzo salito alle guance con un’onda di calore che subito corse via, lasciando il posto a uno strano senso di colpa che in realtà non avrebbe dovuto appartenergli. Eppure, fu immediato fare il paragone con la propria famiglia che l’aveva rifiutato per una vita intera e poi sentirsi accettare dalla madre di Mamoru che alla fine era poco meno di un’estranea.

Entrarono in cortile senza dire altro. Cancelletto chiuso, stavolta senza fare casino, e poi le scale salite con calma, le dita sempre intrecciate come quei liceali che nella stretta delle mani vedevano la promessa silenziosa di non perdersi mai.

Shuzo si sentì tirare quando fece per avvicinarsi alla porta del primo piano, suo ex-appartamento.

«Dove credi di andare?»

«A prendere un ricambio. Ho solo quello che-»

«Domani. Non ti corre dietro nessuno, a parte me, e ho aspettato due anni e un giorno intero

Shuzo sollevò le sopracciglia in due archetti perfetti di fronte a quel tono minaccioso. Aveva sentito un brivido lungo le braccia e una punta d’orgoglio per avergli insegnato tutte le cose peggiori del suo repertorio.

Alzò la mano e non fece neppure la finta di protestare. Arreso al compagno, che avrebbe potuto guidarlo ovunque, anche all’inferno, riprese a salire tenendo l’oscillare dei capelli di Mamoru come faro guida. Li seguiva, seguiva la schiena, si lasciava ipnotizzare dalla forma che si stringeva verso i fianchi e dai muscoli del braccio teso all’indietro e appena accennato dal pullover, tirato fino al gomito. Ipnotizzare da quella mano che stringeva la sua, anche se erano a un passo di distanza e nessuno dei due sarebbe potuto sparire. Ma c’erano traumi che restavano come piccole ferite dalle cicatrici bianche: per quanto chiaro e rimarginato, il segno rimaneva a ricordarti che avevi sanguinato e che sarebbe potuto accadere di nuovo.

Un altro giro di chiave per un’altra porta che li accolse in penombra e silenzio, ma subito si richiuse alle loro spalle e lui sentì la durezza del legno aderire alla schiena, fredda. Si opponeva alla pressione del corpo di Mamoru che gli era addosso, caldo.

Labbra contro labbra, senza fiato, solo acqua, che era tornata a scorrere dalla bocca alla gola e lo riempiva, lo dissetava tanto da farlo rinascere, e allo stesso tempo lo mandava in apnea per la foga e l’impazienza. Irrequietezza nella carne che si muoveva sotto la sua e che avrebbe voluto toccare ovunque allo stesso tempo, ma non poteva.

Mamoru liberò un sospiro che fece rifiatare anche lui solo quando le mani riuscirono a sollevare i lembi della maglietta per afferrargli i fianchi e poi la schiena. Aprirsi di dita come un ventaglio per coprire più superficie possibile e sostare nella curva tracciata dalle vertebre.

Il suo respiro si scontrò con quello di Mamoru, a metà strada tra le loro bocche, mentre le fronti si erano già incontrate e il suo naso lo accarezzava, scivolando sulla guancia.

Shuzo riconosceva quei contatti, riconosceva la pelle. Li rincorreva in ogni movimento, anche se le sue mani erano ancora ubbidienti e ferme ai fianchi, sopra i jeans del compagno. Ancora per poco, però, perché anche lui voleva toccarlo.

«Ho aspettato troppo. Non ce la faccio più. Voglio farti di tutto.»

Shuzo ammiccò. «Cominciamo bene.»

«La notte mi sei mancato da morire.»

«Perché la notte è nostra.»

Shuzo sospirò e nel gesto sfiorò appena le labbra che Mamoru coinvolse in un nuovo bacio. Le mani ripartirono, risalendo la spina dorsale fino alle scapole e poi tornare giù in fretta, sul bordo dei jeans che strinsero e tirarono in avanti. Bacino contro il suo, troppo per non riconoscere che la voglia non era solo uno stato mentale. Troppo per non fargli capire che fosse una legge universale. Sorrisero di quella conversazione corpo a corpo, mentre le dita armeggiavano con bottoni e cerniere.

«Non aspettarti una gran resistenza, devo togliere un po’ di ruggine. Sono fermo da due anni. Sai che non possiamo fare niente.»

«Sempre da solo?» Mamoru gli torturava il collo, ma per fortuna gli rivolgeva domande semplici perché aveva l’attenzione a mezzo servizio.

«Sì, la mia solita cella.» Shuzo riuscì a infilare la mano dentro ai pantaloni del compagno e, come quest’ultimo succhiò più forte sulla clavicola, lui serrò i genitali in maniera rude e decisa.

Mamoru tirò via un’aspirazione imprevista e strinse d’istinto le cosce.

«Tu, piuttosto, che hai fatto mentre non c’ero?»

«Vuoi che te lo mostro o che te lo faccio?»

Shuzo mimò un fischio a labbra strette, poi aprì un sorriso rapace dei suoi; la presa allentata si fece carezza sensuale. «Mi piace questa domanda.»

«Vediamo dove ci porterà la notte…»

«Andiamoci piano, domani si lavora.»

«No. Adesso ti distruggo e domani ti riposi.» Mamoru gli prese il viso tra le mani, per guardarlo dritto negli occhi. «Non avere fretta, prenditi tutto il tempo di cui hai bisogno. Nessuno ti porterà via la tua libertà, né Obuchi. Noi siamo qui.»

Rallentare quella macchina che aveva sottopelle e che non si fermava mai. Mollare i giri, come dovesse togliere via il piede dal pedale sbagliato per piazzarlo adagio sul freno.

Mamoru rafforzò il concetto accompagnandolo a un bacio più lento degli altri, più attento, che gli diede la sensazione di doversi prolungare all’infinito. Perché lui aveva l’infinito tra le mani, ora. Doveva goderselo poco alla volta.

Mamoru inarcò un sopracciglio rubandogli quella smorfia storta che era sempre stata sua per arricciarne una similare.

«Ora devi solo pensare a fottermi come si deve. Il primo giro è tuo, offre la casa.»

Questa volta il fischio gli uscì davvero, lungo e basso. E lento. Come il suo tempo.

 

Anche se aveva il viso sprofondato nel cuscino, Shuzo sapeva che Mamoru era sveglio. Per questo non si sentì molesto nel continuare a disegnare percorsi immaginari sulla sua schiena con la punta delle dita. L’anulare e il medio arrivavano fino alla base, dove l’indice chiudeva la piccola processione e poi tornavano su, in circoli più o meno ampi, fino alla sommità della spalla.

Gli occhi, però, erano sul viso. Poggiati lì, addomesticavano alla mente le linee perfette del suo compagno. Il ricordo di quei tratti, delle iridi nascoste a ridosso delle palpebre e del tempo che avevano condiviso nei suoi quaranta giorni di libertà gli aveva fatto compagnia in prigione tra piacere e tortura. Piacere di non sentirsi troppo solo, tortura di non poter sciogliere troppo la fantasia perché non avrebbe potuto soddisfare il richiamo sessuale. Quante erezioni dolorose gli avevano fatto compagnia assieme al pensiero di Mamoru.

Però erano ricordi già lontani, perché Mamoru era al suo fianco, perché l’aveva avuto e si era lasciato avere e fuori era ancora buio. E attorno c’era ancora tempo.

Magari poteva rilassarsi un po’ e mollare la presa su sé stesso.

Mamoru aveva ragione nel dire che le emozioni stancavano, e anche se non aveva voluto ammetterlo era esausto. Aveva fatto un mare di cose quel giorno: era tornato libero, aveva accettato di avere una casa, aveva detto ‘ti amo’ per la prima volta nella vita. Poteva rilassarsi un pochino e accettare che tutta quella felicità fosse davvero sua. Con Kido ci aveva lavorato tanto, parlandone di continuo e con Mamoru aveva sciolto ogni remora, ma l’istinto di conservazione era difficile da perdere. Solo che ora, magari poteva appoggiarlo sul comodino come una cosa che si indossava solo in caso di necessità. E adesso, in quel letto, non era della prudenza che aveva bisogno, non era della diffidenza o dell’inquietudine. Si era nudi non solo fisicamente sotto le coperte sfatte, c’era anche il cuore lì in mezzo.

«Stai di nuovo pensando troppo. Lo sento.»

Mamoru aprì gli occhi, lui sorrise.

«Mi stavo godendo il momento.»

«Bugiardo.»

Shuzo sorrise di più, ma non smentì né smise di accarezzargli la pelle.

«Dèi, a volte vorrei così tanto essere nella tua testa per prenderti a calci il cervello.» Mamoru lo sospirò e lui alla fine sbottò a ridere. «Neppure adesso riesci a metterli da parte? Siamo qui, sei con me. Smettila di pensare a chissà cosa!»

«Ci sto provando, gioia. Dammi ancora un po’ di tempo.»

«No, facciamo che intervengono le maniere forti.» Mamoru lo afferrò rudemente per il fianco e lo attirò a sé, mentre lui ancora ridacchiava. «Ti scoperò fino a farti perdere la memoria!»

«Puff! Questa l’hai sparata bella alta.»

«Pensi che non lo farei?»

«Mh, non ci metterei la mano sul fuoco. Ho notato che sei carico.»

«Anche tu non mi sembrava scherzassi.»

Shuzo sogghignò; Mamoru gli era scivolato sopra, coprendolo in parte; braccia puntellate sui cuscini per potersi guardare negli occhi.

«Le mie batterie si ricaricano con l’uso.»

«Quindi vuol dire che domani sarai una macchina da guerra?»

«Gioia, lo sono già.»

Si fissarono a lungo e poi si misero a ridere come gli idioti che non avevano smesso di essere.

«Che discorsi del cazzo.»

«Dovremmo parlare di cose più serie.» Mamoru crollò di nuovo al suo fianco, col viso rivolto al soffitto.

«Del tipo?»

«Del tipo che dovresti smetterla di arrovellarti su problemi che abbiamo superato per pensare ad altri più immediati.»

«Altri problemi?! Per tutti gli dèi, ne abbiamo già?!»

«Certo! Dobbiamo andare a fare spese, hai un guardaroba da rifare. Non puoi continuare ad andare in giro con gli abiti che ti ha passato Tobi! Diventerai presto socio del Mori no Kokoro, hai bisogno dell’abbigliamento adatto, che ti dia credibilità. Dovrai saperti vendere.»

Shuzo mollò un pugno contro il braccio di Mamoru. «E io chissà che diavolo mi credevo, cazzo! Mi hai fatto prendere un colpo!»

«Ehi! Non sottovalutare queste cose!»

«Fanculo, Mamoru, con tutto il bene.»

«E poi dovrò farti spazio.»

«Spazio? Quale spazio? Ma se ne ho tantissimo giù che è inutilizzato.»

«Ma mica giù! Parlo del mio armadio.»

«E perché dovrei avere spazio nel tuo armadio?»

A quel punto, Mamoru si sollevò, puntellandosi su un gomito. Lo fissò dritto negli occhi, tanto che Shuzo pensò che volesse inghiottirlo nel buio delle iridi che distingueva a malapena. Aveva un sopracciglio inarcato ad angolo acuto perfetto e i capelli che scivolavano spettinati su metà viso.

Ma a colpirlo di più fu la serietà, tanto da arrivare a pensare d’aver detto qualcosa di sbagliato o aver esagerato.

«Davvero non hai capito?»

Quella era la domanda trabocchetto cui, se fosse stato furbo, avrebbe dovuto rispondere prontamente ‘certo che ho capito, ti prendevo per il culo’, e nel frattempo spremersi le meningi per riuscire a indovinare a che diavolo si stesse riferendo. Invece scelse la via stupida, quella in cui l’espressione di smarrimento diceva con chiarezza che non aveva capito un cazzo.

La serietà di Mamoru si sciolse in un sorriso a metà tra strada tra il rassegnato e il divertito. Ma non c’era pericolo nei suoi occhi, non era arrabbiato, anzi Shuzo colse qualcosa di tenero nel tono in cui disse: «Vieni a vivere con me.»

Si trovò così spiazzato da non riuscire a rispondere in fretta. Un’esitazione, la sua, che diede modo a Mamoru di continuare.

«E se hai intenzione di dirmi ‘non corriamo’, ti ci mando per direttissima. Che a te piaccia o no, siamo insieme da due anni, direi che è abbastanza per tentare la convivenza.»

«Ma non sono due anni!»

«Non mi importa se eri in prigione, valgono lo stesso, per me.»

Shuzo sentì un attimo la morsa di qualcosa che si stringeva provocargli una sensazione di fastidio all’altezza del petto, come se stesse finendo l’aria. Eppure, mentre era in cella, aveva espresso a lungo il desiderio di potersi svegliare ogni giorno accanto a Mamoru, coricarsi con lui. Era stato convinto d’esser pronto ad accettare qualsiasi cosa, compresi i suoi stessi sentimenti. Lo aveva abbracciato stretto quel pomeriggio, no? Gli aveva detto di amarlo.

Che senso aveva fare il passo del gambero, ora?

«Penso che dovremmo discuterne…»

«No, è già deciso. Anche se a lavoro saremo soci, sappi che comando io.»

«Ah, sì. Vorresti comandarmi, uh?» Inarcò un sopracciglio provocatorio, mentre osservava con quanta decisione Mamoru si tirasse ancora più su. Lo sovrastava fisicamente solo perché lui era ancora sdraiato e non aveva voglia di alzarsi per tenergli testa.

Stava comodo così.

Mamoru era meraviglioso così.

«Ovvio.»

«E credi anche di riuscirci, magari.»

«Vuoi mettermi alla prova?»

«…yes, boss

«Allora cominciamo subito.» Nemmeno il tempo di dirlo, e Mamoru fu a cavalcioni su di lui, con un movimento sinuoso che gli diede dei segnali inequivocabili.

Shuzo lo divorò con gli occhi, mentre sul fondo dello stomaco il cannibale alzava la testa, sentiva l’odore della carne fresca e familiare, sentiva il richiamo. Non si era fatto vedere fino a quel momento e adesso si sgranchiva le gambe, scrocchiava le dita. Le stesse che Shuzo fece scivolare sulle cosce del suo uomo fino ad arrivare al sedere, che strizzò con forza.

Mamoru era piegato su di lui.

«Non vuoi provare a darci questa possibilità?»

«Ho paura di rovinare tutto. Lo faccio sempre.»

«La paura non passerà mai se non tenti.» Nel bacio che ricevette c’era la rassicurazione di cui aveva bisogno, l’onestà dei sentimenti e la prepotenza dell’autorità che Mamoru voleva esercitare e che a lui, sotto sotto, piaceva subire. «Proviamoci. Ti amo.»

«Quante volte vorrai ripetermelo?»

«Quante saranno necessarie affinché ti si tatui qui», disse Mamoru, poggiandogli una mano sul cuore. «Più a fondo di quello dei 3Kitsu. E ti dovrà fare malissimo, così sono certo che non lo dimenticherai.» Gli prese la mano e la portò al petto che Shuzo toccò con tutto il palmo. «Il tuo fa già male.»

«Okay…»

«E ora lascia che ti dimostri come ti comando a dovere.»

Mamoru poteva farlo davvero, dentro e fuori dalle lenzuola. E mentre si sentiva mordicchiare il collo, Shuzo pensò di avere tanti di quei segni, addosso, che nasconderli a Spydey non sarebbe stato facilissimo, e non era neppure sicuro che le balle avrebbero funzionato, ma ci avrebbe pensato l’indomani, e assieme al nuovo giorno anche l’idea di convivere faceva già meno paura, perché in fondo aveva tempo.

Tempo per abituarsi, tempo per capirsi, doveva solo prenderci confidenza, e lo stava già facendo, in quel letto con Mamoru: prendeva confidenza con la sua nuova realtà, quella a cui era stato pronto a rinunciare per il loro bene, ma che ora era sua, l’aveva tra le mani. Così come il tempo.

Tutto il tempo del mondo.

 

 

 


 

 

Note Finali: …e dopo il drama di papà Morisaki, ecco uno zuccherino fluffoso ♥

Questi ragazzi hanno sempre bisogno di cose carine, considerando quello che gli ho fatto patire. Qui si iniziano a gettare le fondamenta solide del futuro che avete letto nell’epilogo di ‘Malerba’, ambientato sei anni dopo questo momento. Ora, invece, loro iniziano il percorso di convivenza: niente più appartamenti separati, niente più ‘dormo da te’, ‘dormi da me’. Non ci si corre dietro come ragazzini: ora si inizia a fare le cose sul serio e davvero. Shuzo ha bisogno di una stabilità concreta, nella vita lavorativa come in quella affettiva, e Mamoru ha imposto un passo che Shuzo avrebbe posticipato fino alla prossima glaciazione XD

Quindi: libertà, felicità, stabilità. Il trittico base da cui far ripartire il tempo. ♥

 

 

   
 
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