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Autore: Fabio Brusa    04/12/2019    1 recensioni
"Fenrir Greyback è un mostro. Un assassino. Un selvaggio licantropo. Approcciare con cautela."
Quello che il mondo vede è solo il prodotto di ciò che mi è stato fatto.
La paura li ha portati a ritenerci delle bestie, dei pericolosi predatori da abbattere. E la vergogna per non averci aiutati li spinge a tentare di cancellare la mia stessa esistenza.
Forse finirò ad Azkaban. Più probabilmente, qualcuno riuscirà a uccidermi, prima o poi.
Non mi importa.
Non mi importa, fintanto che sopravvivrà la verità su come tutto è iniziato e sulla nostra gente.
Sui crimini del Ministero e sull'omertà di uomini come Albus Silente.
Su come il piccolo H. sia morto e, dalle sue ceneri, sia venuto al mondo Fenrir Greyback.
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GREYBACK segue la storia del famoso mago-licantropo. Attraverso vari stili narrativi, dai ricordi di bambino ad articoli di giornale, dagli avvenimenti post ritorno di Voldemort a memorie del mannaro a Hogwarts, in 50 capitoli le vicende dietro il mistero verranno finalmente portate alla luce.
Genere: Dark, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Fenrir Greyback
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Più contesti
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26/50

 

L'unica persona di cui potevo fidarmi era anche la sola che non avrei voluto coinvolgere.

- Non esiste possibilità che ti lasci andare da solo. - Driade mi afferrò per i polsi e mi guardò dritto negli occhi. - Magnus è anche amico mio. -

Davanti alla sua sincera preoccupazione ero più inerme che fra le zampe di un drago. - È troppo pericoloso. La Megera attaccherà, lo so. Non voglio averti attorno e dover pensare a badare anche a te. - La verità, in quei momenti, ancora mi sfuggiva. Me ne sarei accorto più tardi, con il passare del tempo. La premura e l'affetto nei confronti di Driade aumentavano ogni volta che si imbronciava per il mio comportamento ruvido o che si lasciava andare a ballare da sola, di fronte alle fiamme del camino, nella Sala Comune Tassorosso. Per gli altri ragazzi erano momenti di imbarazzo e qualcuno, come Diggory, si prendeva anche gioco della meravigliosa creatura che era Driade. Forse il sangue di lupo mi faceva maturare in fretta, o forse i ragazzi sono davvero semplicemente stupidi, ma dal suo fascino io ero stato profondamente ferito... e sanguinavo.

- Ti continui a comportare come un lupo, Fen - mi disse, usando quel nomignolo che a lei faceva tanto ridere. - Ma ti svelo un segreto: non siamo un branco. Tu non comandi un bel niente. - Allo scoccare dell'ora, si diresse a lunghi passi verso la Torre di Astronomia, lasciandomi nei corridoi affollati. - Ci vediamo dopo cena, ai piedi della Guferia! -

Di motivi per i quali mi dovessero tremare le vene ai polsi ne avevo un calderone. Cosa voleva la Megera da me? Le sue stupide frasi in rima mi erano entrate da un'orecchio e uscite dall'altro: non riuscivo a ricordare le parole. Aveva parlato di Ignavus e della sua impazienza, mancando completamente di offrirmi un elemento di riflessione. Perché rapire Magnus? Il vecchio pazzo era davvero disposto a sacrificare suo nipote, in nome di una lotta personale, un conflitto che comprendeva le creature magiche, la guerra passata e il Preside di Hogwarts? In tutto questo, però, mi domandai, come poteva essere stato coinvolto Ignavus Lovegood?

Le nubi in cielo correvano come dei Granio al galoppo, spinte dal vento secco dell'entroterra. Oramai avvezzi alle fughe notturne, io e Driade attraversammo silenziosamente il verde prato, indirizzati verso la foresta. Come luogo dell'appuntamento, potevamo solo sperare nel desiderio di trovare meno trambusto possibile da parte della creatura. Oltre le mura della scuola, avrebbe potuto aggredirci in molti posti: ai margini degli alberi, alla rimessa per le barche, sulle rive del lago o fra i costoni di roccia sporgente. Eravamo intenzionati a percorrere in lungo e in largo le possibilità, fino a che non avessimo trovato Magnus.

Mi mancò l'esperienza, l'intelligenza (o l'età, se preferite), per cogliere il senso di quella sera e il piano dell'orribile vecchia. Fui colto impreparato quando, ancor prima di sgattaiolare oltre la cinta di pietra, vidi sbucare dalle ombre la sagoma crudele della Megera. I capelli secchi le cadevano ai lati della testa come una capanna di spine, dalla quale sbucava il naso ricurvo e appuntito come un pugnale. Nella quiete, potevo sentire le vibranti ali dei Billywig sotto la sua gonna di cenci.

- Come vedi, sono venuto. Dov'è Magnus? - Non riuscivo a vederlo. Nell'aria gli odori si mescolavano in strane note fastidiose e la copertura delle nubi oscurava le stelle.

- Sei venuto, questo lo vedo - rispose la Megera. - Anche se non ci credo, hai portato un aiuto. -

Driade aveva già impugnato la bacchetta. La sua mano stringeva fortissimo, nel tentativo di non tremare.

- In ogni caso, qui c'è il tuo amico, - continuò la creatura, allungando le dita fin sotto la gonna - ma io te lo dico: per chi alla verità rinuncia, la morte si annuncia. - Estrasse una bottiglia, grande abbastanza da contenere un Pixie. La agitò proprio di fronte ai nostri nasi, come se si aspettasse che ne distinguessimo il contenuto. - Forse è ferito, forse è allarmato, forse è pronto per un bel travaso. -

Un terzetto di Billywig ronzò intorno alla bottiglia, mentre la Megera dai denti rotti la scuoteva divertita. Impiegai qualche istante prima di comprendere. Con la luce giusta, l'ombra del contenuto si disegnò come una figura umana. Flebile e lontanissimo, lanciava un grido disperato.

La Megera lanciò allora la bottiglia a metà strada, sul prato.

- Fen! Lì dentro c'è Magnus! - La voce di Driade era come le unghie sulla lavagna, strappata fuori dai denti stretti. 

Non avevo mai visto una cosa del genere. Per alcuni istanti riuscii solo a pensare alle lezioni: come potevo riportarlo al sicuro e alle dimensioni naturali? Cosa gli aveva fatto quella creatura? Avrei voluto correre da Lumacorno e scoprire quale arcano artificio avesse rimpicciolito Magnus e se fosse possibile salvarlo. Volevo, ma non lo feci.

Il sangue mi pompava nella testa più potente di qualsiasi incantesimo.

Alzai la bacchetta e Driade mi seguì a ruota.

- Liberalo! - urlai in faccia alla Megera.

Quella, con le mani a coppa, stava facendo bere i propri insetti. Gettò poi una fiala a terra, si buttò nella gola il contenuto di un'altra, e solo allora si decise a rispondermi: - Sono venuta a liberare te, non lui. -

I Billywig si gonfiarono, ingrandendosi una, due, dieci volte. In pochi istanti, i minuscoli insetti erano diventati grandi come aquile, con occhi neri e profondi e zampette acuminate. In un batter d'ali, si fiondarono su di noi.

Istintivamente balzai in avanti, a braccia tese verso la bottiglia-prigione. Dovevo portare Magnus in salvo, prima che nella battaglia il vetro andasse in frantumi e lui finisse schiacciato da un insetto da galoppo.

Stupeficium! - lanciò Driade, centrando uno dei Billywig. Alle loro attuali dimensioni, non erano veloci come prima. Eppure, una delle bestie fu sufficientemente rapida da arrivare alla bottiglia prima di me e sottrarmela con una virata verso il cielo.

Urlai di rabbia e frustrazione, con la bacchetta puntata. Non potevo colpirlo, non così in alto: se avesse lasciato cadere la refurtiva, avrei dovuto comprare per Magnus la bara più piccola del mondo.

- La bacchetta! La bacchetta! Hai imparato a usare il legno? Lo sai che è uno sfregio in faccia a noi e in faccia a lui? - La Megera gracchiava, avanzando verso di me. Era alta, questo sì, ma il mio polso era largo quanto il suo collo. Ebbi tutto il tempo di lanciare il mio incantesimo per difendere Driade, più scattante e caotica degli insetti, prima di alzare il braccio sinistro a riparo dal colpo della vecchia mostruosa.

La violenza stupefacente con la quale mi investì per poco non mi fece svenire. Fui sbalzato dalla forza sovrumana della Megera, incapace di comprendere da dove arrivasse tutta quella brutalità.

- Piccolo, sveglia! - urlava, colpendomi ancora.

Quel che potevo fare era schivare i suoi colpi feroci, ripararmi dietro gli incantesimi. Il mio stesso sangue colava dalla labbra. Ne sentivo il gusto nella gola. Forse mi aveva spaccato il naso.

- Sveglia! Sveglia! - continuava la Megera. - Ci sono i tuoi amici! -

La patina vermiglia della Furia calò dentro agli occhi. Il cuore pompava, le ferite bruciavano e un solo pensiero schiacciava gli altri.

- Fen! Fen! - Driade allontanò nuovamente il lungo pungiglione del Billywig. Si destreggiava bene, con grazia e potenza. Ma sul volto sembrava sull'orlo del precipizio. - No, Fen! Resisti, ti prego! Non cambiare! -

Digrignai i denti, mentre la nube sopra le nostre teste correva via spaventata. - Non avere paura, Driade. Io sono sempre io. - 

Sotto la luce della luna, assunsi la vera forma della mia gente, squarciando i vestiti, spalancando le fauci alla notte, artigliando il terreno. Il flusso dei pensieri si interruppe e caddi nel mare burrascoso degli istinti. Per quanto lei potesse pensare diversamente, non avevo mentito a Driade. Io ero diverso da mio padre. Io non l'avrei azzannata alla gola, come se fosse un'ombra indistinta fra le tante. Perché anche nella Furia, nel rollio della barca in burrasca fra vita e morte, riuscivo a riconoscerla.

Ciò che non riconoscevo erano le silhouette apparse al limitare del campo, brandendo torce e grida come piccole spaventate creature. Alcune erano alte, la maggior parte basse, alcune col cappello a punta e altre con lo sguardo severo e il panciotto. Una si fece strada, nel mezzo, con la lunga barba da vecchio che si agitava nel vento.

Non mi importava niente di loro.

Mi importava del pungiglione del Billywig vicino al volto di Driade.

Saltai e colpii, dilaniando e mordendo. Sentii il gigantesco ago infilarsi nel fianco, sotto alle costole, penetrando pelliccia e muscoli. Alle mie spalle, grigia come un fantasma e dagli occhi infuocati, Driade era protetta. E l'insetto era mio.

Lo spezzai in due con la forza delle mani artigliate. La Megera tentò di schiantarmi nuovamente, come aveva fatto in precedenza. Mi sembrava tanto lenta, in quel momento. Così lenta che la ricordo ridere stupidamente, guardando me e la folla. Urlava improperi, spiegava le proprie ragioni, sollevando le braccia alla luna e tentando di rompermi il cranio.

Le fermai le braccia, che ora non sembravano più tanto forti. Quella blaterò qualcosa che non compresi. E io la fissai negli occhi, rimestando nella torba della sua anima oscura.

Mi chiesi solamente, mentre saggiavo il disgustoso sapore della sua carne, se stesse ripensando alla scelta di combattere sotto il segno della luna piena. Forse era per quello che rideva mentre moriva. 

   
 
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