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Autore: Nike90Wyatt    07/12/2019    1 recensioni
Una vendetta non può mai definirsi giustizia, neanche se nasce dal desiderio di onorare la memoria di un amore perduto prematuramente. Un concetto molto comune, vero, antico come antiche sono le leggende che trascinano i personaggi di questa storia in un vortice di segreti, magie, combattimenti, inganni, bugie e travestimenti che lasceranno anche spazio ad intrecci amorosi, ad amicizie divertenti, alleanze sorprendenti sullo sfondo di una sempre magnifica Parigi.
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Altri, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 29

Adrien lasciò la camera, consentendo a Marinette di riposare: calata la notte, l’avrebbe ricondotta a casa, magari con l’aiuto di Plagg, per evitarle un viaggio in moto che, nelle sue condizioni, non era il massimo della comodità.
Il ragazzo si accomodò su una sedia, lasciandosi andare sullo schienale. Finalmente aveva l’occasione di rilassarsi dopo il turbine di emozioni che l’aveva travolto quel giorno.
Poco distante da lui, Plagg, Angelina e Tikki esaminavano le informazioni raccolte sull’uomo responsabile dell’attentato.
Plagg fu il primo ad avvicinarsi all’amico. «Come sta?»
Adrien poggiò sul tavolo il visore ed il modificatore vocale. «Stanca e confusa. Ma è viva, questo conta.» si rivolse, dunque, ad Angelina: «Grazie per quello che hai fatto per lei. Anzi, grazie a tutti voi.»
«Sei tu che l’hai portata in salvo.» intervenne Tikki, profondamente grata ai tre per aver salvato e protetto Marinette. «Sei arrivato appena in tempo per fermare quell’uomo.»
Adrien annuì mestamente e sussurrò: «L’ho ucciso. Ho infranto la promessa che ti avevo fatto, Plagg.» i suoi occhi divennero lucidi.
Plagg scosse il capo. «Hai fatto quello che ritenevi giusto. Se tu non l’avessi fatto, ora Marinette non sarebbe tra noi. Non angustiarti, Adrien!» gli poggiò una mano sulla spalla, stringendogliela. «Questo non è il momento per i rimorsi. Non ora che siamo vicini alla meta.»
«Hai ragione.» replicò Adrien in un sussurro.
«Riposati ora.» disse Plagg. «Tra non molto dovrai vestire di nuovo il costume.»
Adrien accolse il consiglio dell’amico ed iniziò a massaggiarsi le tempie con le dita, rilassando le membra.
«Come ti senti, ora che sai la verità?» gli chiese Angelina.
«Non lo so. Mi sento come se l’avessi sempre saputo. E adesso, non riesco a immaginare nessun’altra degna di vestire i panni di Ladybug.»
«Fu mi ha detto che lei gli ricordava Emilie, non fisicamente, ma nella purezza dello sguardo. Per questo l’ha scelta.»
«Si può dire che avesse pienamente ragione.» considerò Plagg.
Un sorriso spontaneo si disegnò sul volto di Adrien. Si voltò verso il tavolo dov’era poggiata una foto di lui con la madre. La afferrò e disse: «Grazie, mamma.»
 
Adrien rivestì i panni di Chat Noir quando l’orologio segnava le 22:00.
Tikki lo aveva rassicurato che i genitori di Marinette sarebbero stati impegnati per l’intera giornata in pasticceria e difficilmente sarebbero saliti in camera sua. Aveva libertà di agire.
Angelina somministrò un anestetico alla ragazza, caricandola poi nella berlina di Plagg.
Chat sedeva sul sedile anteriore, accanto a quello di guida, gettando, di tanto in tanto, un occhio ai sedili posteriori dov’era stata adagiata Marinette. Tikki vegliava su di lei.
«Plagg, dobbiamo interrogare Nadja Chamack.» dichiarò Chat.
Plagg assunse un’espressione perplessa. «Perché proprio lei?»
«Marinette è convinta che sia coinvolta nell’attentato di oggi. È stata lei a spingere Ladybug a partecipare alla cerimonia.»
«Fidatevi del suo istinto.» intervenne Tikki. «È molto raro che sbagli.»
«Come intendi agire?» domandò Plagg, convinto dalle parole della kwami.
«Andremo da lei appena accompagnata Marinette. Se sa qualcosa, dovrà dircela.»
«Sicuro di farcela? Non è stata certo una giornata leggera per te.»
Chat strinse i pugni, più determinato che mai. «Mettiamo fine a questa storia, Plagg!»
Giunti nei pressi della pasticceria Dupain-Cheng, Chat si caricò il corpo di Marinette sulle spalle e sparò il rampino, che si agganciò alla ringhiera del terrazzino.
Seguito da Tikki, raggiunse la botola che conduceva all’interno della camera. La kwami la attraversò magicamente e la aprì dall’interno consentendo all’arciere di entrare nella camera.
Chat adagiò Marinette sul letto e la coprì con un lenzuolo. «Qui ci sono le istruzioni per le medicine, Tikki.» disse porgendole un piccolo pacchetto sigillato contenente due scatoline di due diversi medicinali. «Domani convincila a non muoversi dal letto.»
Tikki si strinse nelle spalle. «Sarà difficile. È molto testarda.»
Chat sorrise. «Lo so. Tienila al sicuro.»
Tikki annuì.
Chat accarezzò delicatamente il volto di Marinette e le scoccò un tenero bacio sulla guancia. «Buonanotte M’Lady.»
Balzò fuori dalla botola e la richiuse alle sue spalle, atterrando, poi, sull’asfalto.
«Andiamo, Plagg! Devo far cantare una giornalista.»
 
Nadja Chamack spense la tv alla quale trasmettevano l’ennesimo servizio registrato su quanto accaduto al Louvre. Lei si era limitata ad esprimere una breve opinione, intervenendo telefonicamente ad una trasmissione pomeridiana. Quel giorno non era previsto che lavorasse e non aveva la minima intenzione di farsi vedere in giro. Non con quello che era successo, di cui lei ne era indirettamente responsabile.
Già era stato molto difficile tranquillizzare Manon, affermando che Ladybug avrebbe risolto la situazione come sempre. Adesso nemmeno lei sapeva cosa sarebbe successo. Di sicuro l’uomo che aveva orchestrato il tutto e che voleva la supereroina morta era furioso per quel fallimento. Era spaventata all’idea che potesse scatenare la propria collera su di lei.
L’unico pensiero che riusciva a rasserenarla era il suo ruolo nella vicenda: lei lo aveva svolto alla perfezione. Ladybug era alla cerimonia ed era un bersaglio ampiamente alla portata. Il resto non dipendeva da lei.
Sospirò e bevve l’ultimo sorso della sua camomilla. Indossò, dunque, la sua vestaglia e si preparò per andare a letto. Il giorno successivo sarebbe stato sicuramente molto pesante.
In quel momento, la luce si spense.
Nadja sussultò, convinta di sapere chi si sarebbe trovato alle sue spalle. «Ho fatto tutto quello che mi avevi chiesto. Ladybug era lì. Se il tuo uomo l’ha mancata, non è mia responsabilità.»
Provò ad assumere un atteggiamento sprezzante. Voleva dimostrare, forse più a sé stessa, che non aveva paura.
Si voltò e si ritrovò la lama di una katana a pochi centimetri dalla sua gola. Guardò oltre e scorse una figura incappucciata e due intensi bagliori verdi all’altezza degli occhi.
Non era la persona che credeva.
«Aspettavi qualcun altro, Nadja?»
La donna sgranò gli occhi e deglutì. «C-Chat Noir! C-Cosa fai qui?»
«Voglio una risposta alla mia domanda. Chi aspettavi? Papillon?»
«Papillon è morto. Lo hai ucciso tu se non sbaglio.»
Chat strinse la presa sulla katana e la avvicinò ancora di più alla gola della giornalista.
Lei poté avvertire il freddo della lama a contatto con la pelle.
«Dimmi chi c’è dietro a tutto questo.» disse lui. «Bada che non accetterò risposte vaghe o prese in giro.»
Nadja, infine, sospirò e si arrese di fronte alle minacce di Chat. «D-D’accordo ti dirò tutto. Ma ti prego, non fare del male a mia figlia.»
Chat abbassò la lama e moderò il tono. «Non ne ho l’intenzione. Ti ascolto.»
«Circa sette anni fa avevo tanti debiti, senza un marito ed una figlia in arrivo. Ero sola. All’epoca ero una semplice reporter per una piccola emittente, non guadagnavo abbastanza.» la voce le si incrinò e calde lacrime le bagnarono le guance. «Auguste Fabre si offrì di aiutarmi: pagò tutti i miei debiti e mi promise anche un lavoro. Diceva che ero in gamba. In poco tempo, la mia carriera si impennò vertiginosamente, fino ad arrivare dove sono adesso. In cambio, dovevo solo ospitare le persone che diceva lui e fare pressioni sul pubblico elogiando i politici suggeriti da lui. Non ho mai voluto farmi domande a riguardo; l’unico mio pensiero è sempre stato e sempre sarà Manon.»
«Queste persone... Erano della Rouge & Noir?»
Nadja annuì. «Fabre ne è il fondatore. Io non ne ho mai fatto parte, ma conoscevo i nomi dei membri.»
«E per quanto riguarda Ladybug?» chiese Chat.
Nadja si strinse nelle spalle. «Ho sempre avuto carta bianca sui servizi che la riguardavano. Fabre mi diceva di dare alla gente quello che voleva sentirsi dire.»
«Continua la storia.»
«Tre anni fa è venuta una donna da me. Mi disse che avrei dovuto partecipare ad un importante progetto che riguardava l’intera città e che il mio ruolo nella televisione era decisivo nella riuscita.»
«Chi era questa donna?»
«Nathalie Sancoeur, l’amministratore delegato della casa di moda Agreste.»
Chat fu scosso da quella rivelazione ma si impose di rimanere impassibile. «In cosa consiste questo progetto?»
«Far fuori Ladybug.» rispose Nadja, singhiozzando. «Hanno minacciato di far del male a Manon se mi fossi rifiutata.»
«”Hanno”?»
Nadja si asciugò le lacrime con un fazzoletto e si schiarì la voce. «Gabriel Agreste. È lui il direttore d’orchestra di tutto.»
Chat si pietrificò. Sapeva che il padre fosse coinvolto, ma mai avrebbe pensato che partisse tutto da lui. Prese un respiro profondo e domandò: «Fabre lo sa?»
Nadja scosse la testa. «No. A lui interessa solo la televisione. Per Gabriel è una sorta di vendetta personale. E tu gli hai messo parecchio i bastoni tra le ruote. Organizzò il rapimento di suo figlio Adrien perché pensava che ci fosse lui sotto al cappuccio. Quando sei apparso alla sfilata delle giovani promesse, si è persuaso che il figlio non avesse nulla a che fare con te. L’attentato di Natale era una prova di forza, un messaggio da inviare a te, Ladybug e a tutta Parigi. L’esplosione non era prevista, ma lui ha detto che era un rischio calcolato. E, se fosse riuscito a togliervi di mezzo già allora, tanto meglio.»
«Tutto per uccidere Ladybug...» commentò Chat.
«Sono quattro anni che si prepara. Ora so che ha qualcosa con cui è sicuro di averla vinta.»
«Cosa? Un’arma?»
«Non lo so... Ma io ho paura. Ti prego, non voglio che Manon sia in pericolo.» gli afferrò il braccio con entrambe le mani, supplicandolo di aiutarla, di proteggere la figlia.
Chat non si ritrasse e le poggiò una mano sulla spalla. «Hai fatto la scelta giusta stasera. Lo fermerò, te lo prometto.»
 
Plagg attendeva nell’automobile seduto al posto di guida. Aveva ascoltato tutta la confessione di Nadja ed era rimasto basito, sebbene avesse nutrito, in passato, sospetti su un coinvolgimento di Gabriel. Ma non avrebbe mai immaginato che fosse lui a muovere i fili.
La portiera dell’auto si aprì e Chat si sedette accanto a lui.
Plagg avviò il motore e partì. «Mi dispiace, Adrien.» scosse la testa. «Non credevo che tuo padre potesse arrivare a tanto.»
Adrien emise un verso di stizza. Era furioso e, soprattutto, deluso. «Vuole uccidere Ladybug. Vuole il Miraculous. Quello che la mamma voleva proteggere.» strinse i pugni, ringhiando: «Lo fermerò, a qualunque costo.»
«Vuoi fermarti da me, stanotte? Immagino sia difficile per te dormire alla villa, a pochi passi da lui.»
«No. Se lui è veramente l’artefice di questo machiavellico piano, potrebbe insospettirsi. Devo comportarmi normalmente. Domani scenderò a fare colazione come tutti i giorni, andrò a scuola e tornerò a casa per pranzo. E se dovessi incontrarlo, dovrò sorridere all’uomo che vuole uccidere la ragazza che amo.»
Plagg assentì con soddisfazione: nonostante le rivelazioni scioccanti di quel giorno, Adrien stava dimostrando un’invidiabile maturità e sangue freddo. Erano necessari: arrivati a quel punto, non erano più concessi errori. C’era troppo in ballo. «Quando hai intenzione di affrontarlo? E soprattutto in quali panni?»
«Domani stesso Chat Noir gli farà visita. Nasconderò il costume nella mia camera: quando calerà il buio, mi introdurrò nel suo studio e lo catturerò. Poi toccherà a Nathalie. Farò sputare loro tutta la verità.»
«Verrò anch’io, allora.»
«No, Plagg. Apprezzo il tuo aiuto, ma stavolta devo affrontare da solo mio padre.»
Con riluttanza, Plagg accettò la sua decisione. Scalò la marcia ed imboccò un lungo viale: Villa Agreste si scorgeva sul fondo. «Metterò sotto controllo il telefono di Nadja. Più prove abbiamo, meglio è.»
Adrien quasi non ascoltò quelle parole. Era troppo preso da ciò che avrebbe dovuto fare. Gabriel era suo padre e l’aveva sempre rispettato, sebbene non condividesse gran parte delle scelte della sua vita. Anche quando Emilie era ancora viva, non era molto presente, completamente assorto nel suo lavoro, ma, comunque, gentile ed affabile, nonostante la severità e l’eccessiva ambizione che lo caratterizzavano. La morte della moglie lo aveva trasformato ed ora era un criminale a tutti gli effetti. Ed andava fermato.
 
Le ore scolastiche sembrarono interminabili quel giorno.
Adrien era presente fisicamente, ma la sua mente vagava altrove: il primo pensiero fu rivolto a Marinette e fu lieto che lei avesse seguito il suo suggerimento e fosse rimasta a casa.
Per il resto della giornata, rifletté sul modo in cui avrebbe affrontato il padre. Lo aveva evitato in tutti i modi possibili: si era svegliato molto prima del solito orario per consumare la colazione da solo e, a pranzo, aveva riferito a Nathalie di avere compiti in arretrato da recuperare, nella speranza che se la sarebbe bevuta. Anche se, arrivati a quel punto, non contava più di tanto.
La vera maschera era quella che aveva indossato quel giorno a scuola, comportandosi normalmente con i compagni ed ostentando ignoranza riguardo l’assenza di Marinette. Era diventato fin troppo bravo a mentire.
Attese in solitudine, nella sua stanza, il calar della notte. Conosceva le abitudini del padre e sapeva che passava l’intera giornata all’interno del suo studio, e lì lo avrebbe trovato.
Giunta l’ora prestabilita, Adrien sollevò il materasso del suo letto e raccolse la sacca nera che vi aveva nascosto. La aprì e ne estrasse il suo costume, diventando di nuovo Chat Noir.
Aprì la porta della sua camera con discrezione, gettando una rapida occhiata nei corridoi per assicurarsi che fossero deserti. Scivolò attraverso l’atrio principale, rasentando il muro, e raggiunse l’ala della villa dove si trovava lo studio di Gabriel. Sapeva che l’intera villa pullulava di telecamere, ma conosceva bene gli angoli morti e li sfruttò tutti, giungendo al suo obiettivo, dinnanzi alla porta dello studio. Lentamente, abbassò la maniglia e sgattaiolò all’interno.
Gabriel si trovava in piedi, girato di spalle, intento ad osservare il dipinto della moglie.
Chat estrasse una freccia e puntò l’arco, pur avendo le mani che gli tremavano. Lo stilista udì quel leggerissimo tintinnio provocato dalla corda dell’arco a contatto con la freccia e ghignò. «Mi chiedevo quando mi avresti concesso l’onore di una tua visita. Non potevi scegliere serata migliore.»
«Gabriel Agreste. I tuoi crimini finiscono qui.» disse Chat, pur avvertendo la sua voce farsi roca.
Gabriel si voltò senza abbandonare il suo ghigno beffardo. «I miei crimini?» allargò le braccia. «E quali sarebbero?»
Chat guardò il padre come se lo vedesse per la prima volta. «Sei stato tu a mandare quell’uomo all’hotel Bourgeois la notte di Natale. Tu hai mandato il cecchino al Louvre ieri. Per uccidere Ladybug!»
«Dunque avevo ragione. Ci tieni a lei.»
Chat digrignò i denti e mosse brevi passi verso lo stilista, tenendo l’arco puntato. Dentro di sé, si agitavano sentimenti contrastanti. «Sei membro della Rouge & Noir.»
Gabriel strinse le spalle. «Se vuoi ottenere risultati, devi essere disposto a tutto.»
«E non contano le persone che fai soffrire nel perseguirli?» si accorse di aver urlato eccessivamente e gli occhi gli si riempirono di lacrime.
«Sacrifici necessari se vuoi mandare un messaggio forte. E stasera, tutta Parigi lo conoscerà.»
«Non credo proprio.»
Chat mirò alla spalla di Gabriel, il colpo che utilizzava sempre per mettere ko un avversario, ma le lacrime gli offuscarono la vista, bagnando leggermente le lenti del visore; scoccò la freccia, ma Gabriel la afferrò a pochi centimetri dal suo corpo.
L’uomo rise con presunzione. «Eppure ti avevo avvertito, ma sei duro di comprendonio. “Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura.”»
Chat restò sconcertato. «Pap... Pa-Papillon.»
Gabriel roteò lentamente la freccia nella mano e, sfruttando l’indecisione dell’incappucciato, la lanciò improvvisamente nella sua direzione.
Con un riflesso felino, Chat si parò con l’arco, non accorgendosi, però, che Gabriel aveva accorciato le distanze e lo assalì balzandogli contro a piedi uniti.
Il colpo spinse Chat a terra; rotolando sul pavimento, si rialzò repentinamente, gettò l’arco di lato ed ingaggiò uno scontro fisico con lo stilista. Provò a colpirlo al volto con un calcio rotante, ma Gabriel si abbassò e schivò il colpo. Con il piede di appoggio, Chat saltò e sferrò un secondo calcio che, stavolta, andò a segno, colpendo lo stilista in pieno viso.
Gabriel arretrò di un paio di passi. Sentendosi pizzicare al labbro, si toccò con un dito in quel punto. Osservò il polpastrello e notò una goccia di sangue. Rise sghembo.
Si tolse gli occhiali, gettandoli di lato, e disse: «Le cose si fanno interessanti.»
Gabriel assestò due pugni ed un calcio, ma Chat riuscì a pararli entrambi; roteò il busto e colpì l’uomo con una ginocchiata alla bocca dello stomaco.
«Fa vedere di cosa sei capace.» lo provocò Gabriel, tenendosi momentaneamente il punto colpito con una mano, senza mai perdere quel suo sorriso sarcastico.
Voleva innervosire il suo avversario ma, fino a quel momento, i suoi tentativi erano stati vani. Chat riprese le ostilità, sferrando un colpo laterale col braccio. Stavolta, Gabriel riuscì a pararlo ma la violenza fu tale da farlo vacillare. Con rabbia, provò un contrattacco tirando un diretto in pieno viso di Chat, che, però, gli afferrò la mano e gliela bloccò.
Restarono per qualche secondo fermi in quella posizione, in una sorta di gara di forza.
«Non ti stai impegnando abbastanza.» ribadì Gabriel.
Chat restò impassibile. Gli era superiore e ne era conscio. Spostò leggermente il pugno di Gabriel, quindi strinse la presa, lo sollevò al di sopra della sua testa e lo proiettò a terra gettandosi all’indietro.
Gabriel impattò violentemente al suolo con la schiena, emettendo un verso di dolore, mentre Chat estrasse la sua katana e gli intimò: «Arrenditi!»
Gabriel, in un primo momento, digrignò i denti, consapevole che, forse, aveva sottovalutato il suo avversario. Lo fissò e riprese a ridere arrogante. «Hai perso.»
Con il volto rigato dalle lacrime, Chat si liberò di cappuccio e visore, mostrando il suo volto. Il volto di Adrien. «Sì, ho perso contro mio padre.»
Gabriel sussultò. «Adrien...»
Un intenso rumore metallico echeggiò nella stanza. Adrien barcollò per qualche istante. Gabriel spostò lo sguardo oltre la sua sagoma e vide Nathalie, la quale impugnava una mazza ferrata.
 Il giovane cadde a terra, privo di sensi.
 
 
 
Angolo Autore:
Anche questa volta, Plagg aveva ragione e sarebbe stato meglio che avesse accompagnato Adrien in questa missione tanto dura. Se pensavano che Gabriel si sarebbe arreso tanto facilmente, si sbagliavano di grosso. E non è nemmeno questa la parte più difficile: per forza di cose, adesso, occorrerà un confronto faccia a faccia tra padre e figlio, ma stavolta senza maschere. Reputo questa fase molto delicata e per questo motivo ho scelto di puntare tutto su Adrien in questo capitolo, così da far venir fuori tutte le sue insicurezze, tutti i suoi dubbi, ma contemporaneamente anche la sua straordinaria forza d’animo nel voler perseguire il suo obiettivo in nome della madre, pur sapendo che il suo principale nemico è proprio suo padre.
In passato qualcuno nei commenti aveva ipotizzato che fosse Emilie dall’alto ad aver guidato Marinette prima da Fu per il Miraculous e poi dal figlio Adrien. Diciamo che la realtà è molto vicina a questa ipotesi.
Per la prossima pubblicazione dovrete aspettare fino a Mercoledì (sono buono e non vi terrò molto sulle spine). Sto cercando di accelerare un po’, in modo da rientrare perfettamente nei tempi. E la suspense toccherà livelli altissimi.
A presto.
Nike90Wyatt

 
 
   
 
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