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Autore: BabaYagaIsBack    13/12/2019    0 recensioni
●Book I●
Aralyn e Arwen anelano alla libertà. Fin dall'alba dei tempi quelli come loro sono stati emarginati, sfruttati, ripudiati, ma adesso è giunto il momento di cambiare le cose, perché nessun licantropo ama sottomettersi, nessun uomo accetta la schiavitù. Armati di tenacia e coraggio, i fratelli Calhum compiono la più folle delle imprese, rubando a uno dei Clan più potenti d'Europa l'oggetto del loro potere. In una notte il destino di un'intera specie sembra cambiare, peccato che i Menalcan non siano disposti a farsi mettere i piedi in testa e, allora, lasciano a Joseph il compito di riappropriarsi del Pugnale di Fenrir - ma soprattutto di vendicarsi dell'affronto subìto.
Il Fato però si sa, non ama le cose semplici, così basta uno sguardo, un contatto, qualche frecciatina maliziosa e ogni cosa cambia forma, mettendo in dubbio qualsiasi dottrina.
Divisi tra il richiamo del sangue e l'assordante palpitare del cuore, Aralyn e Joseph si ritroveranno a dover compiere terribili scelte, mettendo a rischio ciò che di più importante hanno.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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59. The dice is cast

2 giorni, 17 ore e 15 minuti

Svegliata dagli incubi e convinta a scendere dal letto a causa del tremendo frastuono al piano inferiore, Aralyn si decise ad andare a indagare. Vestita dei pochi lembi di stoffa che componevano il suo pigiama, scese le scale con gli occhi ancora carichi del sonno che da troppo tempo era diventato irrequieto.
Già all'ingresso, dove la porta era stata lasciata aperta, riuscì a scorgere qualche dettaglio fuori posto e, appena le capitò accanto qualcuno di familiare, lo bloccò per una spalla.
Fu Brie, la stessa lupa con cui aveva litigato qualche tempo prima, la sfortunata vittima del suo placcaggio. A prescindere dall'insofferenza provata nei suoi confronti, la giovane Calhum provò a non farsi sopraffare e, con la bocca ancora impastata e la voce roca, le domandò cosa stesse succedendo - in fin dei conti, la partenza per la Scozia era stata fissata in tarda serata, un simile caos era quindi difficile da spiegare.
L'altra si volse con lei verso il cortile esterno, dove fin troppe auto stavano occupando lo spiazzo e, alzando le sopracciglia scure e spesse, rispose come se nulla fosse: «È arrivato un po' di aiuto. Tuo fratello ha chiamato degli amici qualche giorno fa, ma qualcuna è per noi, per andare al Rifugio e portar via gli altri».

Già, si disse, perché Arwen le aveva trovato un sostituto in un batter d'occhio, affidando proprio a Brie il compito di condurre i loro confratelli impossibilitati alla battaglia, o troppo pacifici per prenderne parte, lontano dai luoghi che Joseph aveva conosciuto, in modo da proteggere il branco.

Aralyn corrugò le sopracciglia, confusa: «Che intendi con "ha chiamato degli amici"?»
«Beh, che ha chiesto aiuto per recuperare il Pugnale della Luna... non eravate più di una ventina a voler partire, quindi sono arrivati altrettanti licantropi del Duca» e, a quell'informazione, il sonno parve scivolarle completamente via di dosso.

Senza salutare si mosse svelta verso la caffetteria e lì, spalancando le porte con entrambe le braccia, si trovò al cospetto di quello che, in tutto e per tutto, dava l'idea di essere un plotone d'attacco sovrannaturale.
Lo stupore la travolse con tanta intensità da lasciarla immobile sulla soglia, mentre persone viste, conosciute ed estranee le passavano accanto o le lanciavano occhiate curiose.

Sgranò gli occhi, provando poi a dire qualcosa che però non prese forma.
Non aveva mai visto, in quello spazio della Tana, tanti licantropi pronti alla battaglia. Ognuno di loro era munito di zaino, vestiti scuri e comodi, sorrisi beffardi che avrebbero dovuto nascondere la preoccupazione di non tornare più, ma che lei riuscì a decifrare, sapendo di essere la prima a sfoggiare simili espressioni in situazioni del genere.
Fece per addentrarsi lì in mezzo, ma prima che potesse muovere anche solo un passo, una pacca al centro della schiena la spinse oltre la soglia, facendole rimbombare il colpo nella cassa toracica e mozzandole il fiato. La sorpresa, inoltre, non aiutò affatto, costringendola a prendere enormi boccate una volta riacquistato l'equilibrio.

«La bella addormentata è scesa dalla sua torre!» Garrel le si affiancò, sorridendo appena sotto al pizzetto scuro, ma fu questione di pochissimi secondi perché poi, il suo sguardo tornò sulla folla di fronte a loro e dalle labbra uscì un commento che fece rizzare i peli ad Aralyn. «Ed è riuscita a convincere il suo Re a farla partecipare all'ennesimo gioco del massacro» disse a nessuno in particolare, quasi stesse valutando la cosa tra sé e sé.

«Lo hai saputo?» deglutì lei, alzando gli occhi sul viso dell'omaccione al suo fianco.

«So quanto sei caparbia, mocciosa, così come so che voi donne avete sempre un asso nella manica. Il tuo però è stato alquanto sleale...» un'occhiata bieca la colpì in pieno viso, facendole schizzare il cuore in gola. Garrel era, come Marion, il solo a conoscere le dinamiche tra lei e Arwen. Le disapprovava in egual modo, ma a dispetto della sua collega non s'intrometteva più del dovuto, conscio che le cose proibite erano, per i Calhum, al pari del Santo Graal.

Incassando il colpo, Aralyn prese a torturarsi le labbra, riportando lo sguardo sui corpi di fronte a loro, intenti a muoversi, toccarsi per poi allontanarsi.
Ciò che li aspettava, prendeva ora una vera e propria consistenza.

«Non potevo abbandonarvi» sussurrò dopo alcuni istanti di contemplazione.

«Non potevi abbandonare noi, Arwen o la tua personale vendetta? Perché c'è differenza, Ara, e questa volta le possibilità di tornare interi, o vivi, son davvero poche, meno dell'ultima missione».

La pressione degli incisivi sul labbro aumentò: «Questa volta non c'è alcun traditore tra noi, però. Combatteremo come un clan e lo faremo per i confratelli che avremmo accanto» sentenziò, sentendo subito dopo una sorta di nausea provare ad aver la meglio sul suo stomaco.
Il vuoto che le provocava la coscienza di Joseph Menalcan era una sensazione reale, sempre più annichilante in lei - e fingere di non andare al macello per rivederlo le costava fin troppa fatica.

Come si sarebbe comportata, una volta arrivata al suo cospetto? Ciò che l'aveva spinta tra le sue braccia sarebbe tornato a farle visita? Oppure, finalmente, il ribrezzo per un lurido traditore si sarebbe palesato con la dovuta intensità?
Non ne aveva alcuna idea e, forse, quella era la cosa che la preoccupava di più.
D'un tratto, in mezzo alla ressa di persone, la chioma lucente del loro Alpha si palesò, accompagnata da un sorriso così innocente e naturale che Aralyn faticò a crederlo vero, ma di cui comprese l'origine.
Otto lunghissimi e interminabili anni passati seduto a una scrivania, immerso in libri che narravano d'imprese epiche che lui non avrebbe più potuto compiere e che, ora, terminavano con quella folle decisione d'ignorare i limiti imposti dai muscoli lacerati.
Arwen aveva bramato quel momento più di qualsiasi altra cosa al mondo e con la scusa di dover difendere l'onore del sangue del proprio sangue, della donna a cui aveva donato il suo amore, poteva finalmente lanciarsi contro i nemici e non sentirsi un povero menomato. Certamente, nel suo immaginario, lei gli avrebbe dato la forza per lottare, sopravvivere e, forse, riguadagnarsi un po' del lustro perduto - ma la realtà avrebbe portato a tutti il giusto conto e la giovane lo sapeva bene.
Accanto a suo fratello, comunque, Aralyn poté notare la figura riccioluta di Vince, intento a sua volta a sorridere. Eccoli lì, due vecchi amici, compagni di avventure e addestramenti, pronti ad affiancarsi ancora una volta contro il nemico comune: Douglas.
Con l'amaro in bocca, la ragazza si rivolse nuovamente al licantropo al suo fianco: «Credi che ce la possa fare? La sua... la sua gamba reggerà?»

L'altro soppesò attentamente le parole da usare, visibilmente turbato dell'imminente attacco, ma alla fine trovò il modo per esprimere il proprio pensiero: «In forma d'uomo dubito che possa sopportare anche solo un centinaio di metri, ma... ma nella sua forma di lupo può ancora essere temibile, Ara. Avrà altre tre zampe a sostenerlo, inoltre ci saremo noi a difenderlo. È il nostro Alpha, non potremmo mai abbandonarlo, lo sai meglio di me» e Aralyn avrebbe voluto dire di sì, che lo sapeva, ma non era così. Il loro sangue portava gli stessi geni e, un capoclan, per quanto inesperto e soggiogato dalla volontà, non avrebbe mai potuto totalmente abbassare la testa di fronte a un altro della sua stessa natura - e purtroppo, lei era esattamente come Arwen sotto quel punto di vista.

2 giorni, 16 ore e 58 minuti

Gabriel, dal lato opposto dell'enorme tavolo su cui stavano pranzando, alzò gli occhi nella sua direzione, scrutandolo. Joseph poté avvertire il suo sguardo passare su ogni parte visibile di sé e, come era già accaduto in passato, se ne sentì terribilmente infastidito. Così, posando coltello e forchetta e abbandonando la costata sotto al suo naso, ricambiò l'occhiata, cercando di apparire altrettanto minaccioso. Per un istante rimasero immobili a fissarsi, mentre Douglas, certamente riluttante all'idea di rovinarsi l'appetito, continuava imperterrito a tagliare e masticare.

«Qualche problema, Gabe?»

L'altro alzò un angolo della bocca, abbozzando un sorriso beffardo. In lui tutto esprimeva superiorità: il modo in cui si rivolgeva agli altri, gli sguardi che lanciava, le espressioni che faceva - e al fratello tutto ciò non era mai piaciuto. C'era qualcosa, in Gabriel, che racchiudeva tutti i lati peggiori di loro padre, escluso l'acume e la furbizia; quest'ultima dote latente, capace di palesarsi solo in alcuni rari momenti.

In lui, i muscoli e la forza bruta avevano la meglio su tutto il resto. La sua sete di violenza però era ben vista agli occhi di gran parte dei sottoposti - cosa che, purtroppo, non aveva mai giovato alla fama di Joseph in mezzo al clan.

L'uomo prese un sorso di vino: «Nulla d'importante. Mi stavo solo domandando come ci si sentisse a venir traditi dal proprio braccio destro. Sai, i miei non si azzardano nemmeno a lanciarmi un'occhiata bieca, per paura che li faccia fuori...» poggiò nuovamente il calice sul marmo della tavola, poi riprese: «Inoltre, se la faceva con la stessa sciacquetta che ti sei fatto tu, da quel che ho capito... sennò non si spiegherebbe il motivo per cui l'ha liberata». Un'espressione sempre più divertita prese a riempirgli il viso, generando nell'altro un desiderio quasi incontrollabile di afferrare la lama accanto al proprio piatto e lanciargliela contro. Quale piacere sarebbe stato, colpire e lacerare le carni di quell'idiota, si disse, mordendosi la lingua a tal punto da farla sanguinare.

Per quale motivo doveva ancora parlare a quel modo di Kyle? Non provava alcun rispetto per i morti?

Deglutendo a fatica, Joseph provò a contenere la rabbia, a mandarla giù insieme alla saliva. 
Gabriel sapeva sempre quale squallido commento fare per aizzare la bestia in lui. Non importava il contesto, il primogenito di Douglas aveva sempre qualche parola denigrante o battuta snervante da rivolgergli.

«Anche se fosse? Non ho alcun interesse nelle dinamiche ricreative di Impuri e traditori. Se Kyle ha avuto modo di star con quella, sono solo affari suoi. Poteva scegliersi lupe molto più esperte e affascinanti all'interno del nostro branco». 
Quanto gli pesò rispondere a quel modo. Quanto si sentì la lingua sporca dopo aver definito in quella maniera lei, eppure sapeva di non poter fare altrimenti. Lasciare nella mente di suo fratello troppi dubbi sarebbe equivalso a dargli un pretesto per indagare di più e agire alle sue spalle e, visto che il suo migliore amico ormai era perso, non poteva comportarsi diversamente per tenerla lontana dalle grinfie di quell'uomo.

Ciò però non bastò a mettere a tacere il primogenito di Douglas che, scrollando le spalle, punzecchiò nuovamente: «Eppure nemmeno tu ti sei evitato l'avventura di una notte con lei...»

L'istinto animale di Joseph prese a graffiare le pareti interne del suo corpo, chiamando sangue e dolore. Quanto detestava, anche solo l'idea, che suo fratello potesse riempirsi la bocca con simili parole, o la mente con pensieri del genere. Lui, tanto viscido, sadico e repellente, non doveva nemmeno osare parlare di lei, men che meno di ciò che era accaduto a Novigrad.

Prendendo un grosso respiro e provando sul serio a contenersi al meglio, il ragazzo si protese verso l'altro: «Ancora mi domando quale, delle tante botte che hai preso in questi anni, sia quella che ti abbia rincoglionito a tal punto, fratello» disse fuori dai denti, cercando di non permettere alla sua parte ferina di avere la meglio e mutarlo per compiere un omicidio - cosa che invece, Gabriel, faticò a fare.

Il suo viso si piegò in una smorfia furiosa, mentre i denti si allungavano, le labbra viravano verso una tonalità scura e la pelle si piegava per permettere alle ossa di rompersi e ricomporsi.

Bastava supporre che fosse un perfetto idiota, per fargli perdere il controllo.

Fu però grazie a Douglas che la trasformazione dell'uomo venne interrotta.

L'Alpha picchiò il palmo della propria mano sul tavolo e, facendo sobbalzare le stoviglie, catturò in un solo istante l'attenzione dei figli. L'autorità che possedeva grazie al suo ruolo alle volte era opprimente, riusciva a mettere a tacere persino i suoi eredi - ormai adulti e nel quasi pieno della loro forza.

«Tacete, sant'Iddio!» ringhiò, lanciando a entrambi occhiate furenti. L'azzurro delle sue iridi parve trapassare la pelle e provare a congelare le ossa, tanto da far faticare i due a voltare il capo nella sua direzione.

«Il traditore è morto, lo abbiamo messo a tacere per sempre. Se tuo fratello, Gabriel, è complice di ciò che è accaduto, avrà ciò che merita, ma per ora ha fatto il suo lavoro e ha debellato il male nel clan» continuò, stringendo sempre più la presa sulle posate: «A riguardo di quella femmina, non voglio più udire nulla. Avevamo la sorella di Arwen Calhum, una dei pupilli del Duca, e ciò che siamo riusciti a fare equivale al niente. Potevamo torturarla nel peggiore dei modi, farla supplicare pietà, umiliarla e qualsiasi altra cosa... invece siamo solo stati capaci di farla fuggire» sbottò, quasi sputando per la rabbia.

E udendo quelle parole uscire dalla bocca di proprio padre, Joseph si sentì sollevato. Pensare a tutto ciò che Aralyn avrebbe dovuto passare, se fosse rimasta lì o tra gli artigli di suo fratello, e che invece era riuscita a scampare, lo rincuorò.

Conoscendo le dinamiche del proprio clan, sapeva quanto atroce sarebbe stata per lei la permanenza lì - ma Kyle l'aveva salvata, sia liberandola, sia evitandole simili sofferenze.

Douglas si asciugò le labbra con un panno, catturando nuovamente le attenzioni di entrambi i figli: «Ora, per l'amor di Týr, pensiamo a ciò che abbiamo e che possiamo usare contro i fantocci di Carlyle» disse con più calma, riacquistando il suo solito contegno.

Involontariamente, Joseph sentì i muscoli tendersi e il cuore accelerare nel petto. Cosa aveva in mente suo padre? Quali altre cattiverie aveva intenzione di perpetrare nei confronti del Clan del Nord o del Duca stesso?

«Sappiamo la posizione del loro quartier generale, quella che Joseph ci ha indicato, quindi dobbiamo iniziare a valutare un'azione offensiva»

Il battito del suo cuore rallentò, tanto che temette potesse interrompersi del tutto. Aveva previsto che Douglas, presto o tardi, si sarebbe convinto ad attaccare il Rifugio, ma non avrebbe certo pensato che la cosa potesse accadere subito dopo ciò che era accaduto lì.
Come avrebbe fatto ad avvertire quei poveri lupi indifesi? Non poteva certo chiamare i suoi conoscenti alla Tana e dirgli di portare in salvo tutti! Chi gli avrebbe creduto, ora che la sua vera identità era stata svelata?
Inoltre, con gli occhi di Gabriel puntati su di sé in continuazione, non poteva rischiare di far scoprire il doppiogioco a cui aveva preso parte dal momento in cui era tornato a Villa Menalcan.

Che fare, quindi?

   
 
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