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Autore: BabaYagaIsBack    20/12/2019    0 recensioni
●Book I●
Aralyn e Arwen anelano alla libertà. Fin dall'alba dei tempi quelli come loro sono stati emarginati, sfruttati, ripudiati, ma adesso è giunto il momento di cambiare le cose, perché nessun licantropo ama sottomettersi, nessun uomo accetta la schiavitù. Armati di tenacia e coraggio, i fratelli Calhum compiono la più folle delle imprese, rubando a uno dei Clan più potenti d'Europa l'oggetto del loro potere. In una notte il destino di un'intera specie sembra cambiare, peccato che i Menalcan non siano disposti a farsi mettere i piedi in testa e, allora, lasciano a Joseph il compito di riappropriarsi del Pugnale di Fenrir - ma soprattutto di vendicarsi dell'affronto subìto.
Il Fato però si sa, non ama le cose semplici, così basta uno sguardo, un contatto, qualche frecciatina maliziosa e ogni cosa cambia forma, mettendo in dubbio qualsiasi dottrina.
Divisi tra il richiamo del sangue e l'assordante palpitare del cuore, Aralyn e Joseph si ritroveranno a dover compiere terribili scelte, mettendo a rischio ciò che di più importante hanno.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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60. You, the liar

2 giorni, 12 ore e 32 minuti

Quando Douglas lo aveva mandato a chiamare, Joseph aveva avvertito la tensione colpirlo come un pugno in pieno viso. Il cuore gli era guizzato in gola e la paura che suo padre avesse scoperto qualcuna delle sue bugie si fece reale.

Ovviamente, se lo stava convocando nelle proprie stanze e non gli aveva detto nulla durante il pranzo, si doveva trattare di qualcosa di estremamente importante, perché l'Alpha dei Menalcan non poteva lasciar nulla al caso.

Così, facendosi forza e provando a resistere alla nausea, si fece strada fino alla sua porta e lì, dopo aver bussato, restò in attesa della voce dell'uomo. Per quale ragione lo voleva vedere? Forse una delle sue menzogne aveva finito con il tradirlo o, forse, Gabriel aveva insospettito loro padre con la sua sceneggiata.
Ad ogni modo, qualsiasi cosa fosse, il ragazzo pregò con tutto sé stesso che ciò che lo stava attendendo oltre la soglia non fosse una punizione – ne aveva già subite tante in passato, così come le aveva viste peggiorare nel corso degli anni; perché il cuore di pietra del patriarca della sua famiglia non era affatto una favola data in pasto ai nemici per farlo apparire più temibile, era reale e non si addolciva nemmeno al cospetto dei suoi stessi figli.

Udendo un vago richiamo da oltre la porta, Joseph si permise d'entrare, stando attento ad ogni singolo movimento. 
Se con Arwen, Aralyn e tutto il loro clan aveva dovuto inscenare una farsa quasi perfetta, con suo padre non poteva permettersi neanche un errore; per Douglas, privare un licantropo della propria vita non era gran cosa e, a prescindere da chi si trattasse, un tradimento non veniva perdonato. Quante volte, dal giorno in cui aveva finalmente ottenuto l'onore di diventare un adulto, il secondogenito del casato si era ritrovato a portare a termine omicidi di quella natura? Troppe.

Aveva lacerato corpi, azzannato arterie, fracassato crani e spezzato colli senza mai farsi domande. Era il volere del suo Alpha dopotutto, ma da quando la vittima di quell'efferratezze era stato Kyle, il ragazzo non era più riuscito a guardarsi allo specchio nello stesso modo. Ogni vita tolta, ora, gli pesava addosso, anche se l'istinto di sopravvivenza e autoconservazione cercava in tutti i modi di dirgli di smetterla con quei pensieri.

Già, perché il vecchio che lo stava aspettando vicino al proprio laptop era, in tutto e per tutto, un assassino senz'anima, annegato nell'autocompiacimento di essere invincibile grazie ai suoi lupi - e purtroppo lui, faceva parte di quel branco.

Abbozzando un sorriso, Joseph salutò il padre: «Volevi vedermi?» 
Provò in tutti i modi a mantenere la calma, ma dentro di sé si sentiva morire, preoccupato in modo eccessivo da ciò che avrebbe potuto attenderlo. E se d'un tratto le mani avessero preso a tremargli?

«A quanto pare...» l'uomo allontanò in modo strano la faccia dallo schermo, cercando di vedere le scritte attraverso le lenti degli occhiali. Ormai Douglas aveva superato la soglia dei sessant'anni, arrivando quasi a sfiorare i settanta, ma nonostante qualche vago acciacco dovuto al suo involucro umano, risultava ancora essere temibile in forma ferina; il lupo più massiccio che al figlio fosse mai capitato di vedere. Né Gabriel, né Garrel o Fernando potevano dirsi altrettanto grossi.

Con il viso scavato e la montatura in carbonio ben appollaiata sulla punta del naso, l'Alpha finalmente decise di abbandonare il pc per rivolgersi verso l'erede. Lo scrutò per qualche istante, soppesando sia il suo portamento, sia il completo scuro che aveva deciso d'indossare; era la prassi, perché nessun Menalcan che fosse risultato trasandato o privo di eleganza poteva permettersi di conferire con lui – una delle tante e stupide regole a cui bisognava sottostare in quel branco.

«Dobbiamo parlare, Joseph, di Arwen e tutto il suo... mucchio di ibridi» alle volte, sembrava che faticasse persino a definirli lupi. Che non li avesse mai considerati degni di appartenere a un casato, o che fossero per lui esseri inferiori, era cosa ben nota, ma che arrivasse a considerarli tanto squallidi era qualcosa che ancora si faticava a realizzare, anche se non ne aveva mai fatto segreto.

Il ragazzo sentì i muscoli tendersi e la gola seccarsi, ma s'impose in tutti i modi di restare saldo al proprio piano e fingere totale ignoranza: qualsiasi cosa suo padre gli avesse detto, lui avrebbe cercato di non tradirsi.

«Ti ho già dato tutte le informazioni che mi hai chiesto o potevano essere utili. Cosa ti serve d'altro?»

Douglas si levò gli occhiali, scrollando la chioma ancora incredibilmente scura, per la sua età: «Quanto pensi ci metteranno, a tornare? Se non per il Pugnale, quantomeno per l'onore della loro consorella, ma comunque non si lasceranno sfuggire il pretesto per colpirci».

A quella domanda, improvvisamente, le paure del giovane si fecero meno assillanti e, muovendo qualche passo in direzione del padre, si mise a ponderare la risposta che avrebbe dovuto dargli.

Che fosse davvero quello il motivo per cui lo aveva fatto chiamare?

«No, non lo hanno mai fatto» confermò, mentre lentamente si faceva passare gli incisivi sul labbro inferiore: «Non sono molti, Arwen ha perso gran parte dei lupi "aggressivi" in questi anni. Sicuramente dovranno valutare i pro e i contro di un attacco, prima di agire, inoltre...»

«Inoltre?» lo incalzò subito Douglas, più che ignaro di come potesse proseguire il discorso, curioso di sapere a quale conclusione fosse arrivato il figlio. Joseph lo capì dal modo in cui, con l'indice e il pollice, il vecchio licantropo di prese il mento e si mise a seguire i suoi movimenti.

Per la prima volta in anni, suo padre lo stava realmente considerando come il suo vice, come Gabe. Che avesse rivalutato il suo valore, dopo la missione tra i nemici e l'uccisione di Kyle?

«Inoltre, credo che la loro priorità non sia attaccarci, quanto più trovare un nuovo quartier generale. La nostra minaccia è meno reale di quanto loro credano, al momento, ma non possono permettersi di tralasciare la cosa. Arwen ha troppo a cuore i membri "passivi" del suo clan» sentenziò, contraendo subito dopo la mascella. Sperò con tutto sé stesso di aver soddisfatto le aspettative dell'Alpha, in modo da potersi concedere un sospiro dopo tutta la tensione.

Douglas abbozzò una sorta di sorriso, sempre troppo ambiguo per essere realmente definito tale e poi, giocherellando con gli occhiali nell'altra mano, fece le sue considerazioni.

«Ho pensato anche io a questa eventualità, oltretutto è passata solo una settimana dalla fuga di sua sorella» i loro sguardi s'incrociarono e Joseph provò a farsi vedere impassibile, nonostante sentisse l'argomento toccargli corde nascoste e che avrebbe tanto voluto restassero mute. Non doveva dar modo, alle teorie del fratello, di instillare dei dubbi in loro padre: se quel vecchio avesse anche solo sospettato di un suo possibile coinvolgimento emotivo nei confronti di un'Impura, avrebbe dovuto dire addio a tutto – soprattutto a lei. Sì, perché quell'Alpha l'avrebbe cercata in ogni angolo d'Europa, l'avrebbe trovata e le avrebbe strappato l'anima dalle carni nel peggiore dei modi; il tutto, solo per punirlo.

«Arwen però è vendicativo, quindi verrà a cercarci. Dobbiamo essere pronti».

«Certamente, padre. Vuoi che faccia tornare il resto del clan alla Villa? In qualche giorno potremmo avere tutti qui» e, nel dirlo, sperò vivamente che Aralyn fosse tanto lungimirante e persuasiva da convincere suo fratello a non agire per lungo tempo, in modo che coloro che sarebbero tornati per difendere il quartier generale dei Menalcan, avessero anche la possibilità di essere rispediti al loro posto.

Visti i precedenti e ciò che era accaduto tra loro però, la speranza non sarebbe servita a molto.

1 giorno e 21 minuti

La Tana era vuota, mentre il cortile gremito. Il rumore di motori e gli schiamazzi dei mannari riempivano ogni angolo della loro proprietà, facendole tremare le gambe. Stavano partendo. In poco più di ventiquattrore avrebbero dato il via alla guerra e chissà quanti di loro sarebbero tornati.

Aralyn socchiuse gli occhi, stringendo i pugni nelle tasche della felpa. 
Aveva paura, ma non avrebbe saputo dire con esattezza di cosa. Temeva la morte? Con una certezza quasi annichilante. La sua? In parte. Quella di suo fratello? Anche. Quella di Joseph? Assolutamente, anche se non avrebbe mai osato dirlo.

Aveva timore dei Menalcan? Sì, delle loro fauci affilate, delle loro mani viscide, delle loro catene corrosive e del puzzo della cella in cui l'avevano segregata per giorni.

Era preoccupata di incontrare nuovamente il ragazzo a cui, anche se solo per un giorno, aveva donato tutta sé stessa? Quasi certamente, ma anche in questo caso non si sarebbe mai permessa di dirlo.

Qualsiasi cosa l'avesse aspettata una volta salita in auto, aveva lo stesso peso di un incubo. Già sapeva che il petto le si sarebbe schiacciato ad ogni città che avrebbero superato, avvicinandoli a Villa Menalcan e tutto ciò che essa rappresentava.

Una voce alle sue spalle la fece sobbalzare, allontanandola da tutti quei temibili pensieri.

Arwen la stava chiamando da dentro l'edificio e, il motivo, Aralyn temette di saperlo. Ormai aveva fatto il passo più lungo della gamba, aveva ostentato qualcosa che non le apparteneva più, ma che per lui era reale – perché era certa che suo fratello mai avrebbe potuto concepire l'idea che lei, sì, proprio lei, si potesse innamorare di un Nobile Puro.

Così, seppur riluttante, la ragazza diede le spalle al cortile pieno di gente per inoltrarsi nella Tana – quel luogo che aveva già pianto una volta, ma che adesso era pronto ad accogliere nuove lacrime d'addio.

Si mosse lenta per l'ingresso buio, arrivando fino alla base delle scale. Il sole aveva smesso d'illuminare quelle stanze, eppure, grazie sia ai sensi di lupo, sia all'abitudine, riuscì a evitare ogni intralcio.

Il suo Alpha, toccato dai primi raggi della Luna Crescente, se ne stava all'altro capo della rampa. 
Nonostante non vi fosse alcun motivo per sentirsene minacciati, Aralyn non poté evitare di stringersi nelle spalle ed esitare sul primo gradino: «Che c'è?» La sua voce fu poco più che un sussurro e ribalzò lieve sulle pareti, giungendo comunque fino all'altro.

Arwen non disse nulla, la fissò per qualche istante e poi le fece cenno con il capo di seguirlo; dove, però, non fu chiaro.

Cosa aveva in mente? Un'ultima dichiarazione d'amore? Un bacio rubato prima di prepararsi alle Lande Selvagge? Ogni possibilità poteva essere presa in considerazione e accettata, pur di permetterle di partire.

Davanti a quelle prospettive, la ragazza si morse la lingua. Se fossero sopravvissuti entrambi, avrebbe mai trovato la forza di dirgli che qualcosa, in lei, era cambiato per sempre? Sarebbe stata abbastanza forte da assumersi le conseguenze dei suoi errori, tanti che ormai faticava a tenerne il conto?

Un passo dopo l'altro salì le scale, raggiungendo il piano superiore e ritrovandosi al cospetto dell'enorme schiena di suo fratello – quella che aveva sempre visto allontanarsi per le missioni, riempirsi di graffi con il passare degli anni; quella a cui si era aggrappata in lacrime il giorno in cui lui aveva provato ad abbandonarla, perché troppo debole e ridicolo per essere ancora chiamato Alpha.
La osservò a lungo, come se la stesse rivedendo per la prima volta dopo tantissimo tempo. Le sue spalle erano larghe, provate dal peso di tutte le responsabilità di cui si era fatto carico e degli amici che aveva dovuto seppellire, compresi i loro genitori.

«Prima di partire...» il tono di suo fratello sembrò velluto sulla pelle; caldo, piacevole e troppo calmo per essere quello di un uomo in procinto d'andare incontro alla morte. Il suo viso si volse piano, ma quando furono nuovamente faccia a faccia, la sensazione di malessere di Aralyn divenne più opprimente: «ho una domanda».

La saliva faticò a scenderle lungo la gola, così come non riuscì a fare nemmeno un abbozzo di sorriso. Cosa le stava per chiedere? In quale ferita avrebbe infilato le dita, pur di farla sentire in balìa del suo potere?

«Okay. Chiedi».
«Perché Joseph Menalcan ti ha lasciata libera? Quale debito aveva nei tuoi confronti?»

Un brivido freddo le salì lungo la schiena, si fece strada sotto la nuca per arrivare poi a ghermirle il viso. Il vuoto che le si creò nello stomaco parve tanto intenso da volersi mangiare ogni fibra di lei.

E seppe di essere fottuta.

«Perché me lo stai domandando?» La voce tradì la calma che stava provando a ostentare. Si spezzò giusto sul finire della frase, rivelando tutta la preoccupazione che aveva deciso di assalirla.

«Stavo pensando a tutta la situazione, ieri. Ho cercato di mettere insieme i pezzi del puzzle, la tua versione, quella di Fernando e persino le informazioni che avevo già, eppure qualcosa non mi torna» con un passo le si fece vicino, sovrastandola con la sua stazza. Aralyn si trovò completamente spaesata. L'ombra che suo fratello le stava riversando addosso risultava essere terribilmente soffocante e finì quasi a boccheggiare.

Che dire ora? Qualsiasi cosa avrebbe compromesso la sua posizione.

«Perché un Puro, un Menalcan direttamente legato a Douglas, dovrebbe liberare mia sorella?» sibilò, compiendo un altro passo e quasi schiacciandola al muro che separava il corridoio dalla fine delle scale.

Lei scosse la testa con sempre più veemenza. Vedeva gli occhi di lui rilucere nelle tenebre, puntarla come quelle di un cacciatore con la preda – e sapeva da sé che, se Arwen le si fosse scagliato contro, lei certamente non avrebbe avuto alcuna via di fuga. Non c'era abbastanza spazio per sfuggirli e, a quella distanza, anche con la sua gamba malandata, sarebbe riuscito a prenderla.
«C-che stai insinuando?»

Il volto dell'albino si andò ad affiancare a quello di lei. Aralyn poté sentire il respiro bollente di suo fratello passarle lungo la guancia, poi accanto all'orecchio per infilarsi tra le ciocche bionde e scivolare lungo il collo. Stava prendendo grossi respiri, riempiendosi le narici con il suo odore e, d'un tratto, sentendosi così schiacciata dalla sua presenza minacciosa, le lacrime presero a scenderle lungo le guance.
Le sentì scorrere addosso come lava, bruciare quanto il fiato dell'uomo che adesso, in punta di dita, le spostava la chioma dietro la spalla, per poi abbassare un angolo della felpa e della maglia.

Il naso di lui stava percorrendo la sua pelle al pari di una mappa fatta di tracce olfattive.

E lo avrebbe trovato. Se si fosse impegnato, se avesse usato ogni suo gene animale, avrebbe scoperto, ancora incastrato su di lei, l'odore di lui. L'impronta di Joseph. Il lascito di ciò che avevano condiviso.
Perché un maschio lasciava sempre il proprio sentore sulla sua femmina – anche se non si vedevano per lungo tempo. Certo, andava dissipandosi nel tempo, ma si parlava di lunghe settimane, non certo di una decina di giorni.

Pianse, Aralyn, senza però emettere nemmeno un rumore; troppo spaventata da ciò che sarebbe successo di lì a poco.

Così, quando le ricerche di Arwen si fermarono, anche il suo cuore parve smettere di battere.

Suo fratello si allontanò da lei, guardandola in un modo che mai si sarebbe aspettata potesse fare. La fissò con talmente tanta delusione e schifo che per un istante le sembrò che le gambe cedessero, ma invece rimasero ferme a sorreggerla, paralizzate.

Il suono di ossa in movimento le riempì le orecchie e le fece tremare le viscere.

«A-Arwen... t-ti giuro che... ti giuro che non lo sapevo» le lacrime, se possibile, divennero ancora più copiose e il sale sulle labbra fece dolere ogni singolo segno lasciato dai morsi. Sarebbe morta, si disse, stringendo le braccia al petto in un inutile gesto difensivo. Cosa credeva di fare, contro la furia di lui?

Lo sapeva, dannazione! Lo aveva saputo sin dal principio. Sia che Joseph fosse stato un Menalcan o un semplice lupo, il suo Alpha non le avrebbe mai perdonato l'amore per un altro – il fatto che fosse un nemico, uno dei più infimi, altro non era che un motivo per buttarla a calci fuori dal clan, sempre se non avesse deciso di ammazzarla prima.

Fossilizzata contro il muro, osservò il volto di lui diventare sempre più simile a quello di un mostro. I suoi vestiti si tesero fino al limite, mentre il corpo restava sospeso a metà della mutazione.

I muscoli presero a guizzargli sotto la pelle sempre più ricca di peli e i canini divennero vere e proprie lame capaci di minacciare chiunque.
In quel momento, non era né umano, né lupo e, per questo, inquietante persino agli occhi di lei.

Aralyn si fece ancora più piccola e terrorizzata: «È s-successo prima... prima che scoprissi chi fosse!» Eppure, nemmeno le lacrime, o la verità, sembrarono scalfire la sua rabbia. La corazza di ribrezzo di cui Arwen si era vestito poteva far invidia a qualsiasi armatura di adamantio.

Possibile che Mànagarmr, Fenrir, la Madre Luna, la Morrigan, Odino e qualsiasi altra divinità a cui i licantropi fossero fedeli, l'avessero tradita in quel momento e a quel terribile modo? Era questo il prezzo che avrebbe dovuto pagare per la morte di Kyle e il sentimento che aveva provato per il nemico?

Il pugno che suo fratello caricò le passò accanto al viso prima ancora che potesse rendersene conto e, per lo spavento, si ritrovò priva di respiro e con il rumore bianco a farle scoppiare la testa. 
L'aveva schivata di un soffio, facendo sbattere le nocche tra i suoi capelli e contro il muro alle sue spalle. Sì, sapeva bene che il suo Alpha era capace di tale violenza, ma in un angolo recondito di sé aveva sperato fino all'ultimo che capisse il suo errore, che si rendesse conto che altro non era stato se non un incidente di percorso – anche se lo era diventato solo dopo che lui si era rivelato per il Nobile che era.

«Se morirai in questa guerra, Ara, saprò che gli dèi ti hanno ripagata per ciò che hai fatto. Non hai tradito solo la mia fiducia, ma anche quella di ogni compagno morto in questi anni» sputò il licantropo, mentre la peluria bianca sul suo corpo, rizzata, indicava quanto stesse provando a contenersi dall'aggredirla.

«Se sopravvivi, vedrò cosa farmene di una come te» e, senza aggiungere altro, lasciò che la mutazione recedesse, riportandolo alla forma antropomorfa – cosa che, comunque, non servì affatto a tranquillizzare la giovane. Persino nolente, Aralyn non avrebbe potuto impedirsi di sentire, da pare del fratello, l'odio che ora provava nei suoi confronti.

Con un ultimo sguardo malevolo, Arwen s'incamminò verso il cortile, lasciandola lì a sé stessa e, appena lui fu abbastanza lontano, un conato di vomito l'aggredì senza pietà, facendole riversare fuori tutta la tensione accumulata in quei minuti.

Chi avrebbe pregato, adesso?
In quale modo sarebbe riuscita a chiedere perdono?

   
 
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