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Autore: LysandraBlack    14/12/2019    3 recensioni
Marian è scampata al massacro di Ostagar. Garrett ha assistito alla distruzione di Lothering, mettendo in salvo la loro famiglia appena in tempo. Senza più nulla, gli Hawke partono per Kirkwall alla ricerca di un luogo dove mettere nuove radici. Ma la città delle catene non è un posto ospitale e i fratelli se ne renderanno conto appena arrivati.
Tra complotti, nuovi incontri e bevute all'Impiccato, Garrett e Marian si faranno ben presto un nome che Kirkwall e il Thedas intero non dimenticheranno facilmente.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Anders, Hawke, Isabela, Varric Tethras
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The unlikely heroes of Thedas'
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CAPITOLO 24
Doubts


 

 

Marian si passò distrattamente una mano sotto le orecchie, cercando delle ciocche di capelli che non c'erano più. Si diede della stupida: eccola lì, durante una delle peggiori crisi che l'Ordine Templare potesse affrontare, a preoccuparsi della sua vanità.

Il riflesso sullo specchio appeso alla parete le restituì il suo volto stanco, le occhiaie profonde sotto gli occhi di chi non dormiva un sonno decente da giorni, i capelli corti che terminavano poco sotto il mento. Sospirò affranta, lasciando le armi e uscendo dal dormitorio, il borsello di pelle legato alla cintura che pesava più del solito.

Il vento freddo la aiutò a svegliarsi mentre scendeva in città bassa, dove Isabela la stava aspettando.

«Tesoro, sei uno straccio.»

«Buongiorno anche a te, Bela.» Grugnì infastidita. Si scrocchiò il collo, le spalle indolenzite. Quella notte non aveva fatto altro che rigirarsi insonne nel letto, e così anche le precedenti. Stava considerando l'idea di chiedere aiuto ad Alain per un sonnifero, solo per una volta, almeno avrebbe dormito per più di un'ora senza che i brutti ricordi tornassero a galla, la sensazione di terrore e impotenza provata quella sera che la attanagliava ogni volta che chiudeva gli occhi, come un demone della paura pronto a strapparle il cuore dal petto coi suoi lunghi artigli deformi.

Iniziarono a scendere verso il porto, meno frequentato rispetto al solito. L'alba era passata da poco, ma con quelle nuvole pesanti non c'era modo di calcolarlo con precisione.

«Dove sarebbe questo tuo contatto?» Le chiese l'amica, giocherellando annoiata con l'elsa dei suoi coltelli. «È troppo presto per chiunque.»

Marian si morse un labbro, incerta. «Credo che per lui non faccia alcuna differenza se sia pieno giorno o notte fonda.» Imboccarono uno dei vicoli che portavano ai moli, dove vi era la sede della compagnia di spedizioni del fratello. Con una stretta al cuore, ricordò il volto rigato di lacrime di Tobias Harvent, mentre accanto alla madre e al fratello dava l'ultimo saluto alla pira dove era stato posto il corpo del padre, uno dei tanti morti di quella sera. Si costrinse ad allontanare il pensiero, proseguendo verso uno dei grandi magazzini.

L'uomo che cercava era seduto per terra, la schiena contro un barile di legno e una fiaschetta di pelle ormai vuota nella mano destra. Sembrava profondamente addormentato, ma quando udì i loro passi fermarsi ad un paio di metri da lui, aprì gli occhi castani e sfoderò un ghigno divertito.

«Ma chi si rivede... Tenente Hawke.»

La zaffata di alcol le fece rivoltare lo stomaco, ma finse di non accorgersene. «Samson.»

«Fammi indovinare, Meredith è rimasta così a corto di templari da perdonarmi?»

Sbuffò sonoramente. «Certo, credici.»

Samson si concesse una risata rauca. «La speranza è l'ultima... Allora, perché sei qui? Sentivi la mia mancanza o vuoi un po' di questa?» Sventolò la fiaschetta nella sua direzione, rovesciandola a testa in giù senza che ne uscisse più niente. «Troppo tardi.»

Isabela gli lanciò uno sguardo disgustato. «Tesoro, sei sicura che questo rottame ci possa essere utile? Non mi fiderei delle sue parole nemmeno per una manciata di Sovrane.»

Marian si lasciò sfuggire una risatina soffocata. «Forse per una Sovrana o due no, ma posso offrirgli qualcosa di meglio.»

L'uomo si mise in piedi con un certo sforzo, avvicinandosi a lei e guardandola dall'alto in basso, divertito. «È la seconda volta che mi fai questa proposta, Hawke, stavolta sono tentato di accettare.»

Prima che potesse fare un altro mezzo passo, Isabela si frappose tra loro, la lama di uno dei suoi pugnali che brillava minacciosamente premuta poco sopra il cavallo dei pantaloni dell'altro. «Per quanto sia una paladina dell'amore libero, qui abbiamo degli standard da rispettare.»

Marian le afferrò delicatamente il polso, scuotendo la testa. «Bela...»

Samson non fece una piega, scoppiando a ridere e sollevando entrambe le mani in segno di resa. «Suscettibile la tua guardia del corpo, me la ricordavo meno aggressiva quando cercava di venderti al bel principino dall'accento strano. A proposito, com'è finita con quello? Vi ho visti qualche settimana fa, gironzolare come due-»

«Fatti un favore e chiudi la bocca, Samson.» Lo interruppe irritata Marian, strappandosi il borsello dalla cintura e aprendolo quel tanto che bastava perché il luccichio azzurro all'interno catturasse completamente la sua attenzione. Gli fece un cenno col capo, indicandogli di seguirla verso uno dei vicoli dietro il magazzino, apparentemente deserti.

«Allora, che vuoi sapere in cambio di tutto quel blu che ti porti dietro?» Gli chiese lui, leccandosi le labbra secche e spaccate in più punti, lo sguardo ancora puntato sulla piccola borsa di pelle.

«Immagino tu sappia quello che è successo la scorsa settimana dai Cavin.»

Samson annuì, scrollando le spalle. «È sulla bocca di tutti. Meredith sarà furiosa, eh...»

«Concentrati.» Lo redarguì Marian, avvicinandosi ulteriormente e abbassando la voce. «So che hai collaborato con la Resistenza, e comunque gli unici da cui puoi prendere il lyrium di contrabbando sono i nani del Carta, che lavorano con loro.»

«Piano con le accuse, Tenente, o inizierò a sospettare che tu voglia sbattermi in cella.» Rise di nuovo, accennando un sorriso sghembo. «È vero che quando posso mi procuro del blu dai nani, anche se coi loro prezzi lo rendono quasi più caro di quello della Chiesa.»

«Ah sì? E da dove li prendi i soldi necessari?»

Sogghignò. «Cittadini caritatevoli.»

Marian roteò gli occhi al cielo, sbuffando. «In questa fogna di città, di cittadini caritatevoli ce ne saranno una decina, e due di loro li conosco personalmente.»

«Se li conosci personalmente, Tenente, perché stai perdendo il tuo preziosissimo tempo ad interrogare me, invece che loro?» l'uomo si appoggiò al muro scrostato dietro di sé, sfidandola.

La donna schioccò la lingua, allungando una mano nel borsello di pelle. «Perchè io sono un'altra di quei cittadini caritatevoli, Samson, non lo sai?» chiese, estraendone una boccetta di lyrium e rigirandosela tra le dita. Lo sentì trattenere il fiato, lo sguardo ipnotizzato dai suoi movimenti. «La dipendenza è una brutta bestia, non oso immaginare cosa devi sopportare.» Si avvicinò a lui di un passo, tenendo la fiala all'altezza degli occhi. «Lo senti dentro, vero? La testa ti ronza incessantemente, il tuo corpo trema di continuo, non dormi la notte, a volte non distingui la realtà dalle allucinazioni...»

Samson digrignò i denti, il volto che veniva attraversato da uno spasmo mentre Marian scavava nella sua dipendenza. «Non serve che me lo racconti, Hawke, lo vivo ogni cazzo di giorno.» Ribattè astioso, la voce ridotta quasi ad un ringhio animalesco. «Cosa vuoi?»

Lei lo guardò dritto negli occhi, stappando la fialetta di lyrium apposta perché lui ne potesse sentire l'odore. «Aiutarti, se tu aiuterai me.»

Le pupille dell'ex templare si dilatarono, le labbra si schiusero mentre deglutiva a vuoto. Si riprese dopo un attimo, scuotendo il capo come a scacciare una mosca. «Se tiro in mezzo il Carta, quelli mi uccidono. E nemmeno una tonnellata di blu potrà riportarmi in vita.» Rispose, eppure la sua voce si era incrinata, i pugni serrati abbastanza da lasciare il segno delle unghie sui palmi.

Marian represse un sorriso di trionfo, avvicinandosi ulteriormente e premendogli la boccetta aperta sul petto proprio sotto il naso, ma tenendola abbastanza stretta perché non potesse strappargliela di mano. Lo guardò dal basso verso l'alto, piegando il capo da un lato. «Mi serve un nome, Samson, e tu potrai avere tutto questo lyrium per te. E non dovrai nemmeno metterti contro il Carta, non sono sulle tracce di qualche semplice contrabbandiere che potrà sparire nel nulla per essere sostituito da qualcun altro.» Fare leva sulla sua dipendenza era un colpo basso e si sentiva quasi sporca a farlo, ma le serviva una pista. Garrett e Varric sapevano sicuramente di più, ma non poteva mettere in mezzo il fratello, non con Meredith alle costole che la spronava a scoprire i responsabili.

Lo vide boccheggiare, il fiato corto, i muscoli tesi nel tentativo di restare immobile. «Chi stai cercando?»

«Qualcuno di interno all'Ordine stava passando alla Resistenza delle informazioni preziose. E non credo fossero tutti posseduti.»

Samson si lasciò sfuggire una risata roca. «E cosa te lo fa pensare?»

«Intuizione.» Spiegò lei. «La magia del sangue può trasformarci in tanti piccoli burattini sotto il loro controllo ma, seppur difficile da scoprire, un modo per individuarla c'è, soprattutto alla Forca. Sono tre anni che Meredith ci mette sotto torchio, eppure la Resistenza è riuscita comunque ad infiltrare i nostri ranghi. Qualcuno li ha aiutati, e di sua spontanea volontà.»

L'uomo rimase immobile, il sorriso che moriva sulle labbra. Dopo qualche secondo, annuì. «Non sto dicendo che hai ragione, ma è un'ipotesi sensata.»

«Solo un nome, Samson. Potresti addirittura riguadagnarti il tuo scudo.»

L'altro fece una smorfia. «Non raccontarmi cazzate, Hawke, se a Meredith arriva anche solo un sussurro su come hai avuto questa informazione, la mia testa finirà accanto alle altre su quelle dannate mura.»

«Lo so bene, ma dammi una mano e inizierò a mettere una buona parola per te.»

«Perché non sei andata a chiedere a tuo fratello, invece che importunare me? In fondo, lui nella Resistenza ci è dentro fino al collo, io lo faccio solo per avere un po' di blu.»

Lo guardò dritto negli occhi, serrando la mascella. «Lascia fuori mio fratello da questa storia.»

Con un movimento fulmineo, l'uomo afferrò la boccetta sopra la sua mano, un bagliore sinistro nelle iridi scure.

«Vuoi un nome? Thrask, ma dopo che la figlia è morta in quel modo pur di non lasciarsi rinchiudere nel Circolo, c'era da aspettarselo. Lynn, sua sorella è stata stuprata due anni fa da Alrik, resa Adepta della Calma e probabilmente stuprata di nuovo, finché il cavaliere non si è stufato di lei e l'ha sgozzata come un maiale dando la colpa al primo mago che capitava lì per caso, anche lui sottoposto poi al Rito. Gerwyn, dopo che quel bastardo di Karras gli ha ordinato di uccidere un ragazzino solo perché non voleva abbandonare la madre e le sorelline in lacrime. E infine, Kelsey, quella ragazzina promossa solo l'anno scorso, sua madre era una maga del circolo ma non saprebbe manco dire quale, dato che per colpa dei Templari non l'ha mai potuta conoscere.» La lunga lista di nomi la colpì come uno schiaffo, e per tutto il tempo lo sguardo dell'uomo non aveva lasciato il suo. «Allora? Sei ancora sicura di volerli denunciare alla tua Comandante?»

La presa di Samson era forte, la mano callosa e ruvida al tatto, e nonostante fosse più magro e scavato di come era stato un tempo, Marian non dubitava che avrebbe potuto darle del filo da torcere se fosse stato meno bendisposto nei suoi confronti. Lasciò che prendesse la boccetta e se la portasse alle labbra, inspirandone l'aroma per un attimo prima di tracannarne l'intero contenuto giù per la gola. Lo vide chiudere gli occhi in un'espressione di pura estasi mentre si appoggiava con la schiena al muro dietro di sé, prendendo respiri profondi, quasi ansimando. Quando riaprì le palpebre, aveva la vista offuscata, gli occhi lucidi. «Con che faccia tosta potrai guardarti allo specchio, con le mani sporche del loro sangue, proprio tu che proteggi un eretico da tutta la vita?»

Non voleva rispondergli.

Fece per dargli le spalle, quando lui la afferrò per un polso, stringendola in una morsa ferrea. «Credi che tuo fratello non sia invischiato in tutta questa faccenda?» Le chiese, abbassandosi fino a che non sentì il suo fiato caldo sul collo a farle venire la pelle d'oca, il puzzo di alcol e lyrium che le faceva pizzicare gli occhi. «Se li denunci a Meredith e al suo cane fedele, ci andrai di mezzo anche tu. E non solo, Garrett sarà soltanto un altro nome in una lunga lista di persone uccise per aver cercato di rettificare questo mondo di merda. E non saranno i maghi del sangue ad andarci di mezzo, anzi: quelli sono probabilmente già dall'altra parte del Thedas. Ma a Kirkwall è rimasto ancora qualcuno, e indovina chi per anni ha fatto scappare i maghi della Forca fuori dalla città, usando le sue belle navi piene di stoffe e spezie proprio sotto il naso della sorellona?» Le sfiorò una ciocca di capelli, vicinissimo all'orecchio, facendola rabbrividire. «A chi credi passassero tutte quelle informazioni, le tue talpe?»

Marian si irrigidì, strattonando il braccio per liberarsi dalla sua presa. «Non far finta che te ne importi qualcosa.»

Il ghigno di Samson si allargò ulteriormente. «Oh, ma a me non frega un cazzo. Sono solo un rottame, io, un drogato che non aspetta altro che la prossima dose di blu a distruggergli quel poco di dignità che gli resta. Ma tu, tu ci tieni eccome. Ed è per questo che so per certo che non farai nulla.»

Si morse il labbro, guardandolo furente. Se davvero Garrett era così coinvolto nella Resistenza, Samson aveva ragione, non avrebbe potuto andare a fondo nella sua indagine senza trascinarlo giù con gli altri e sé stessa. “Ma soprattutto, voglio davvero denunciarli?” si ritrovò a pensare. Ognuno dei suoi colleghi aveva aiutato i maghi per un ottimo motivo. Come aveva fatto lei.

L'uomo ricambiò il suo sguardo, negli occhi una strana luce. Poteva sentirlo vicino, troppo per i suoi gusti. Sapeva di alcol, salsedine, sudore e lyrium, e per un attimo rimasero così, immobili, vicinissimi, fino a che Marian non si tirò indietro di scatto, lasciandolo andare e arretrando un poco. Si staccò il borsello di pelle dalla cintura, allungando il braccio e ficcandoglielo in mano. «Non abituartici.» Gli diede le spalle, allontanandosi quasi di corsa e tornando verso Isabela. Si sentiva le guance in fiamme e un senso di colpa a divorarle le interiora, mozzandole il fiato.

«Ah, dimenticavo! Bel taglio di capelli, Hawke!» Sentì Samson urlarle.

Accelerò il passo. Riusciva sempre a trovare il modo di toccarle un nervo scoperto.

Isabela la guardò con l'aria di chi la sapeva lunga ma evitò di commentare, limitandosi ad una una scrollata di spalle. Marian gliene fu grata.



 

Passarono la mattinata a strapazzare qualche contatto di Isabela con la Cerchia, ricavandone esattamente quello che temevano: i maghi del sangue sembravano spariti nel nulla. Se i Templari traditori erano stati abbastanza facili da trovare, i loro collaboratori del Carta erano decisamente più sfuggenti. Alla fine, non riuscì nemmeno ad estorcere a qualcuno dove avessero recuperato l'ordigno che aveva fatto saltare in aria metà della sala, solo che a produrlo era stato un nano dalle straordinarie doti esplosive. Il Carta proteggeva i suoi uomini molto meglio di un templare reietto.

Quando verso l'ora di pranzo si diresse stancamente in città superiore, non si aspettava certo di incrociare Cullen che conduceva un manipolo di templari sconosciuti verso la Forca.

«Tenente, vi presento i nuovi arrivati.» La salutò il Capitano, indicando con un cenno la trentina di uomini e donne dietro di lui, le armature impolverate e gli stivali sporchi di terra e fango incrostato. Dovevano essere appena arrivati a Kirkwall. Nei loro sguardi, invece che la stanchezza che si sarebbe aspettata di trovare dopo un lungo viaggio, trovò soltanto una fredda determinazione.

Marian chinò meccanicamente il capo quel tanto che bastò a salutarli.

«La Comandante è entusiasta che Ostwick, Ansburg, Hasmal e Markham abbiano risposto così in fretta. E altri ancora sono pronti a raggiungerci, se avessimo bisogno.»

Non potè trattenersi dal guardare il gruppo con aria inquisitoria, chiedendosi in quanti fossero pronti a passare un mago a fil di spada solo per il gusto di farlo. «Sono lieta che abbiamo amici fidati negli altri Circoli, Capitano.»

Cullen annuì soddisfatto, per poi fare cenno a quelli di seguirlo all'interno della Forca.

Marian rimase ad osservarli sfilare, scuotendo il capo. “Problemi all'orizzonte...” si ritrovò a pensare. Nuovi arrivati a disturbare la delicata e già precaria situazione di equilibrio dell'Ordine a Kirkwall, pronti a sospettare e destare a propria volta domande tra le loro file. Era vero, avevano perso molti dei loro, ma l'idea che fossero stati mandati lì da tutti i Liberi Confini, portandosi dietro chissà quali esperienze, non la entusiasmava. “Non credo Meredith abbia richiesto templari particolarmente pacifici, oltretutto...”

Nel cortile incrociò lo sguardo di Karras, che aveva un'espressione di raggiante ferocia in volto. No, decisamente non sarebbe stato facile.

Entrò in refettorio, crollando sulla panca di legno accanto a Hugh e Ruvena.

«Hai visto in quanti sono arrivati?» Le chiese l'amica, masticando rumorosamente. «Quei maghi del sangue hanno i giorni contati, te lo dico io.»

Hugh non sembrava altrettanto entusiasta. «Almeno un quinto sono poco più che reclute fresche di promozione, non mi sembrano grandi combattenti.»

«Tsk, da che pulpito...»

Marian scosse la testa. «Non iniziate, vi prego.»

«Hai scoperto qualcosa?» Le chiese il collega, tamburellando senza accorgersene le dita sul tavolo.

«Sai che non posso rivelare nulla...»

«E dai, di noi puoi fidarti!» Protestò Hugh, ma non le sfuggì l'occhiata risentita che Ruvena lanciò al proprio piatto.

«Posso solo dirvi che per ora non ci sono svolte significative.» Rispose vaga. “Meredith non ne sarà contenta”, pensò mentre beveva qualche sorso di zuppa calda “e ancor meno se venisse a sapere da chi sto prendendo le poche informazioni che le sto nascondendo.” Le parole di Samson le rimbombarono in mente un'altra volta. Forse avrebbe dovuto parlare con Garrett, metterlo in guardia. “Non mi dà mai retta, ma se solo per qualche tempo volassero basso, lui e quell'altro...” Sbuffò, lasciando cadere il cucchiaio nella ciotola, senza più fame.

«E va bene, allora non ti dirò su che cosa sto indagando io.» Mise il broncio Hugh, incrociando le braccia.

Sollevò un sopracciglio, squadrandolo incuriosita. «Non pensavo ti avessero messo a capo di qualche indagine...»

«Non l'hanno fatto, ovviamente.» Rispose Ruvena, dando una gomitata sul braccio all'amico. «Questo stupido crede che qualcuno si sia intascato la scorta di lyrium di Mina.»

Marian cercò di non sbiancare, mordendosi la lingua. Sapeva benissimo dov'erano finite le quattro fialette, o meglio, a chi. «Dici?»

«Se c'è un ladro che si aggira negli alloggi, dovremmo scoprire chi è, no?»

«Sì, e sarai proprio tu col tuo intuito da fagiano a riuscirci!»

«Potresti essere tu la prossima vittima, e allora mi chiederai scusa.»

«Come no, hai più probabilità di incrociare un drago in cucina che di acciuffare il tuo fantomatico ladro di lyrium-»

«Tenente Hawke?»

Marian si voltò sorpresa, sentendosi chiamare. Tre ragazzi poco più giovani di lei la salutarono cerimoniosamente. Da com'erano ridotte le loro armature, dovevano essere tra i nuovi arrivati. Stava per rispondere al saluto, quando il sorriso di circostanza le si gelò sulle labbra. Gli occhi scuri di uno dei tre erano puntati nei suoi, trapassandola da parte a parte come lame affilate. Riconobbe con sgomento il giovane uomo di fronte a lei, come un fantasma dal passato riemerso direttamente dai suoi peggiori incubi. Deglutì a vuoto, ricomponendosi e alzandosi in piedi, dandosi un contegno. «E voi sareste?»

Uno di loro, che doveva essere il capo del gruppetto, si fece avanti con un sorriso disinvolto: era alto, portava i capelli castani sciolti sulle le spalle e l'armatura imponente non sembrava dargli noia mentre le allungava la mano dopo essersi tolto il guanto di pelle. «Macsen Trevelyan.» Gli occhi verdi del ragazzo brillarono divertiti mentre lei ricambiava la stretta. «Loro sono Jon Montrose e Andrew, veniamo dal Circolo di Ostwick.»

Un brivido freddo le scese lungo la spina dorsale, mentre Andrew le faceva un secco cenno col capo. Non c'erano dubbi fosse lo stesso ragazzo di Lothering, trasferitosi in tutta fretta assieme alla famiglia un mese dopo l'incidente che era costato la vita a Malcolm Hawke. Fecero entrambi finta di non conoscersi, nonostante sapessero esattamente chi fosse l'altro. E che cosa fosse Garrett.

L'amicizia che legava i due tanti anni prima poteva essere ancora così forte da convincere Andrew a mantenere il segreto del mago?

«È un piacere conoscervi.» Rispose Marian, sforzandosi di sorridere. «Mi cercavate per un motivo particolare?»

«Ho sentito che siete stata voi a sconfiggere quel mago del sangue, Amell, e i suoi compari.» Rispose il Trevelyan, il sorriso sghembo che non accennava a sbiadire. «Siete stata formidabile a sbarazzarvi del demone che avevano evocato, anche se alla fine i maghi vi sono sfuggiti.»

Calcò sull'ultima frase, provocandole un certo fastidio. «Ho dovuto scegliere tra l'impedire che quel demone massacrasse l'intera villa o inseguire un mutaforma dotato di ali. Ho fatto il mio dovere.» Rispose asciutta, assottigliando gli occhi. «Sono certa che anche voi avrete la vostra possibilità di farvi notare.»

Macsen sembrò divertito alla sola idea. «Oh, non aspettiamo altro.» Lanciò uno sguardo a Ruvena e Hugh, soppesandoli per un attimo prima di riportare la sua attenzione su Marian. «Ma vi lasciamo finire di mangiare in pace, ci sarà occasione per vedervi al lavoro spero, Tenente Hawke.» Le diede le spalle, facendo due passi verso l'uscita e voltandosi di nuovo verso di lei. «Vostra madre è un' Amell, vero? La vostra famiglia sta tornando ad essere piuttosto famosa, ultimamente...»

Jon Montrose scoppiò in una risata sprezzante.

Marian incrociò lo sguardo di Andrew, che non aveva mosso un muscolo. Poi, il ragazzo riportò gli occhi sul Trevelyan, seguendolo obbediente fuori dalla stanza.

«Simpatici.» Commentò sarcastica Ruvena, una volta che il trio fu fuori portata d'orecchio.

«Meglio che non ti sentano, Ru, quelli è meglio non farli incazzare.»

«Non dirmi che hai paura di qualche pallone gonfiato, Hugh.»

L'amico la guardò in tralice. «Credimi, due parole di troppo e Meredith potrebbe assegnarti alla pulizia delle latrine per il resto della tua vita. I Trevelyan hanno contatti ai piani alti, dalla Divina ai Cercatori, non si farebbero scrupoli a distruggerti solo per avergli tagliato la strada verso i bagni.»

Marian si mordicchiò un labbro. «Sai qualcosa in più su quel Macsen?»

Hugh scosse la testa. «No, non credo abbia fatto nulla di particolare finora... conosco però suo zio, Arthur, è uno dei pezzi grossi a Val Royeaux. Cullen gli ha scritto personalmente settimana scorsa a nome di Meredith per richiedere rinforzi qui alla Forca, e il supporto della Divina per qualsiasi azione che dovremo attuare. Deve averci affibbiato lui il nipote.» Hugh spesso gestiva la corrispondenza dei superiori, e per questo era uno dei più informati.

«E gli altri due?»

L'amico scrollò le spalle. «So qualcosa sui Montrose, la famiglia è una delle più importanti di Ostwick. Erano in lizza per diventare Teyrn, nell'Era Benedetta, ma si sono dovuti accontentare a restare secondi.»

«Se scopri qualcosa di più, anche sui suoi compari, vienimelo a dire.» Rispose lei, lo sguardo ancora fisso verso l'uscita. «Qualsiasi cosa.»

Doveva parlare da sola con Andrew, e scoprire cosa avesse in mente. Assicurarsi che tenesse la bocca chiusa, o la sua testa sarebbe stata la prima a saltare, assieme a quella del fratello. E nonostante i capelli corti, la sua testa le piaceva ancora troppo per separarsene così presto.



 

Nei giorni che seguirono, l'inquietudine cresceva nel mentre che cercava senza successo di intercettare faccia a faccia il giovane senza le interferenze del Trevelyan. Andrew sembrava seguirlo come un'ombra, e non si separava mai per più di qualche minuto dall'altro. Per un dispetto del caso, i tre erano stati affidati alla persona che Marian detestava di più in tutta la Forca, per “ambientarsi con la città e capire le dinamiche del nuovo Circolo”, come aveva spiegato Cullen rispondendo alle domande della donna. Così, Karras faceva di tutto per trascinarseli dietro, evitando che templari dalle idee troppo lassiste, così il collega chiamava tutti coloro che non condividevano i suoi ideali di drastico bigottismo, potessero influenzare il giudizio dei nuovi arrivati sulla pericolosa situazione dell'ordine della città.

Marian aveva più volte cercato di scambiare qualche parola con Andrew, pur con Macsen e Jon al fianco, ma Karras era sempre un passo dietro di loro, pronto ad interrompere la conversazione con le sue taglienti osservazioni e un sarcasmo pungente. Da quando era stata nominata Tenente ed era quindi diventata sua pari, l'uomo non le aveva lasciato un attimo di tregua, e non esitava nemmeno a prendersela con i suoi amici o chiunque scambiasse con lei qualche parola di troppo. Ruvena dopo la faccenda coi Qunari era una delle sue vittime preferite, e il tenente non lesinava mai una parola sgradevole o un commento sulla sua carriera fallimentare, ma non risparmiava neanche Hugh, giudicandolo un bamboccio senza spina dorsale e non facendone segreto con nessuno. Keran era trattato allo stesso modo, e gli venivano affibbiati spesso dei compiti patetici di cui persino una recluta con almeno qualche mese di servizio si sarebbe lamentata. Persino Alain, che dei quattro era quello che meno poteva fare contro le angherie di Karras, era vessato da continue richieste assurde, minacce per le infrazioni più ridicole e insulti gratuiti ogni volta che incrociava il cammino del templare, cosa che purtroppo per il giovane mago capitava sempre più spesso.

Marian era intervenuta un paio di volte in aiuto del ragazzo, chiedendo al collega se davvero non avesse nulla di meglio da fare che infastidire il mago nel suo lavoro, ma i suoi tentativi non avevano fatto altro che inasprire il comportamento di Karras, che semplicemente tornava a fare lo stesso appena lei gli voltava le spalle, con anzi più cattiveria di prima.

L'unica cosa che le era rimasto di fare era parlarne con Cullen, ma l'uomo non aveva fatto altro che scrollare le spalle e dire che alla prima occasione avrebbe chiesto a Karras di regolarsi nei modi, consigliandole freddamente di tenere la sua attenzione su problemi più importanti.

Nel frattempo, i trentasei templari appena arrivati erano andati ad infoltire le pattuglie che battevano notte e giorno l'intera città alla ricerca dei maghi eretici e dei loro collaboratori. Altri tre maghi erano stati scovati a nascondersi nei bassifondi della città, e due di loro non avevano nemmeno fatto in tempo a varcare la soglia della Forca che erano stati trascinati da Karras e Cullen nel salone principale e, sotto gli occhi di tutti, resi Adepti della Calma.

Marian provava ribrezzo verso il proprio ordine ogni volta che incrociava i loro sguardi vacui, e un odio cocente verso Karras e il Capitano. Sentimento che sapeva, purtroppo, condividevano in pochi.

Era una fredda mattina di fine Umbralis quando una giovane donna si presentò ai cancelli della Forca, vestita di stracci e tremante di freddo. Marian e Keran erano a guardia dell'ingresso quel giorno, imbacuccati e infreddoliti nelle loro armature lucide sotto la leggera nevicata che scendeva dalle nuvole grige. Si scambiarono uno sguardo perplesso prima di andare a chiedere quali fossero le sue intenzioni.

«Sono una maga.»

Marian impallidì, le mani che volavano ad estrarre la lama, Keran che faceva lo stesso.

«No, fermi!» Li implorò la donna, cadendo in ginocchio di fronte a loro sull'acciottolato ghiacciato, colpita dalle loro auree antimagia. «Sono qui di mia spontanea volontà, per tornare al Circolo! Vi prego, vengo in pace.» Aveva un forte accento del Ferelden.

«Perchè dovremmo crederti?!» Urlò Keran, la voce che tradiva il panico.

Vedendo che la donna non accennava a muoversi, il capo chino contro il selciato, Marian sfiorò il braccio del compagno, facendogli segno di mantenere la calma. «Alzati, lentamente.» Ordinò alla donna, avanzando di qualche passo verso di lei.

Quella si rimise in piedi, un poco instabile sulle gambe, tremando come una foglia. «Vi prego, voglio solo tornare al Circolo, così i miei bambini saranno al sicuro.»

Marian aggrottò la fronte, sospettosa, la spada puntata verso di lei. «Bambini?»

L'altra annuì, tirando su col naso. «Li ho salvati dalla Prole Oscura, anni fa. Ma con me non avranno mai un futuro, non posso costringerli a scappare per sempre dai templari...»

«Hai fatto la scelta giusta.» Le disse cauta, rinfoderando cautamente la spada senza scollarle gli occhi di dosso. «Ora, seguici dentro senza fare movimenti bruschi. Potrai raccontarci tutto una volta che sarai al caldo e al sicuro. Hai fatto bene a venire qui.» “Pazza, cosa ti è saltato in mente?” L'avrebbero interrogata, sicuramente, per scoprire se sapeva qualcosa sulla Resistenza. Magari era stata mandata lì apposta. Poteva essere una maga del sangue? Oppure diceva la verità, e credeva davvero che facendosi rinchiudere là dentro avrebbe dato un futuro migliore ad una banda di bambini cenciosi, che sarebbero probabilmente solo morti di fame senza l'unica persona al mondo che si curava ancora di loro?

La donna chinò il capo, accondiscendente. «Siete del Ferelden, come me.»

«Sì, sono arrivata qui durante il Flagello.»

«Siete scappata anche voi.» Incrociò gli occhi grigi della donna: non era un'accusa, bensì una semplice costatazione.

Annuì, deglutendo a vuoto a facendole strada verso la Forca, restando vigile.

Dal cortile interno erano sopraggiunti altri Templari, tra cui Karras, Trevelyan, Montrose ed Andrew. Non le sfuggì il cenno malevolo che Montrose indirizzò al templare più anziano, lo sguardo puntato sulla maga che stavano portando dentro. Gli altri due osservavano la scena impassibili, come se la cosa non li riguardasse minimamente, ma per un secondo Marian vide gli occhi di Andrew guizzare verso di lei per poi spostarsi verso l'alto, sui fiocchi di neve che avevano preso a scendere più abbondanti.

«Immobilizzatela e portatela nei sotterranei!» Ordinò Cullen, aprendo i pesanti battenti della Forca, la spada sguainata. Aveva ripreso un po' del suo solito colorito, ma la mano che reggeva l'arma tremava ancora leggermente. Fissò le mani della maga. «Perché non è in catene, tenente?»

«Si è consegnata volontariamente, Capitano.»

«E questo dovrebbe farci sentire meglio, Hawke?»

Represse l'istinto di rompergli il naso. «Ha almeno quattro aure antimagia addosso, Capitano, e siamo undici contro una, chiaramente in minoranza. Nemmeno Amell potrebbe farcela.» Si godette per un attimo il piccolo tic nervoso alla palpebra dell'altro a sentire quel nome, ma durò poco.

«Sottovalutare il nemico è un ottimo modo per essere uccisi.» La redarguì freddo Cullen. «E dare risposte insolenti non rimpiazza la prudenza.»

Si morse un labbro per non replicare, ingoiando l'orgoglio. «Scusate, Capitano.»

Karras fu più che entusiasta di utilizzare le manette che si portava sempre dietro, dei brutti pezzi di metallo che provocavano abrasioni profonde sulla pelle dei malcapitati a cui venivano imposte, le rune che brillavano a bloccare ogni possibile incantesimo. In ogni caso, quelle escoriazioni erano il male minore che di solito affrontavano.

Seguì Cullen e Karras verso i sotterranei, scortando la prigioniera. La trascinarono giù per i gradini resi scivolosi dal ghiaccio, fino ad arrivare in una cella angusta dove venne incatenata al pavimento.

La Comandante Meredith e il Primo Incantatore Orsino li raggiunsero poco dopo, seguiti da Alain.

«Come ti chiami, ragazza?» Chiese l'elfo mentre sollevava il bastone sopra la donna e iniziava a incanalare il mana.

«Evelina.» Rispose lei, titubante. «Ve lo giuro, non ho mai fatto male a nessuno...»

«Questo sta a noi deciderlo, eretica.» Replicò tagliente Meredith, gli occhi di ghiaccio puntati su di lei come a trafiggerla sul posto. «Come sei arrivata qui?»

Evelina aprì la bocca per rispondere, ma fu Cullen a prendere parola per primo. «Era a Kinloch Hold, ora la riconosco!» Gridò, spalancando gli occhi. «È una maga del sangue, Amell l'ha mandata qui per avere un'altra spia in mezzo a noi!»

La donna gemette, prostrandosi a terra. «Vi prego, non ho idea di cosa stiate parlando, lo faccio solo per i miei bambini...»

Marian guardò la prigioniera in lacrime, incerta se crederle o meno. Poteva essere una casualità, certo, ma quante possibilità c'erano che non fosse veramente in combutta con Geralt? «Eri nel Ferelden, però. Come sei uscita dalla Torre?»

Evelina riportò lo sguardo su di lei, guardandola dal basso. «Demoni, abomini ovunque... mi sono gettata da una finestra infranta, gli incantesimi che ci tenevano dentro erano stati spezzati. Mi sono aggrappata ad un pezzo di legno fino a che non sono arrivata a riva, mezza morta. Sono arrivata qui per scappare dalla Prole Oscura.»

«Non mentire, maleficar!» Tuonò Meredith, facendola rimpicciolire ulteriormente. «Dicci la verità e ti risparmieremo le torture che meriti.»

«Almeno la maggior parte...» Sentì Karras bisbigliare, un ghigno divertito sul volto.

«È la verità, ve lo giuro! Non ho mai usato la magia del sangue, credetemi.» Pigolò la donna a terra.

«Comandante, richiami i suoi uomini.» Suggerì freddo Orsino, sbattendo il bastone a terra. Un lampo di luce di propagò tutt'attorno, avvolgendo Evelina in una bolla di energia vorticante. La donna sembrò sul punto di urlare, raggomitolandosi su sé stessa per qualche secondo mentre l'incantesimo la sollevava di pochi centimetri da terra, la catena che la inchiodava al pavimento che si tirava. Poi, com'era comparsa, la luce svanì e lei ricadde pesantemente come un sacco di patate, scossa dai tremiti. Il Primo Incantatore troneggiava sopra di lei: nonostante fosse un elfo di statura minuta, sapeva imporsi come pochi altri. «Non è posseduta, su questo sono certo. Alain, controlla che non abbia ferite visibili da taglio.» Fece un cenno al ragazzo dietro di lui, che si affrettò ad obbedire.

Il giovane si chinò su Evelina, scoprendole le braccia e le gambe in cerca di qualcosa che la smascherasse come maga del sangue. Non trovando nulla a parte qualche livido o graffio superficiale, arrossì un poco mentre le toglieva la giacca e sollevava la camicia di lino leggera. Anche lì, oltre ad una cicatrice sulla spalla vecchia di anni, probabilmente data da un oggetto spuntato, non trovò nulla.

Marian dovette trattenersi dal ringhiare a Karras di contenersi, mentre l'uomo guardava la prigioniera come un mastino farebbe con una preda in trappola.

«È pulita.» Sentenziò Alain, sollevandosi in piedi e arretrando di nuovo lontano dalle occhiate furenti di Meredith e Cullen.

«Saremmo degli sciocchi a tenerla qui libera di farci fuori tutti.» Disse Cullen gonfiando il petto, le narici allargate. «Comandante, chiedo il permesso di andare a prendere i ferri.»

«Non serve, Capitano, ne abbiamo lasciato uno qui sotto proprio per casi come questo...» Si intromise Karras, sventolando con un sorriso malevolo uno degli stampi di ferro con il simbolo della Chiesa che venivano utilizzati nel Rito della Calma. «Ci mettiamo un attimo.»

Evelina sembrò realizzare improvvisamente in cosa si fosse cacciata. Strattonò la catena, cercando di allontanarsi freneticamente dall'uomo, gemendo di terrore.

«Comandante...!» Esclamò Marian, facendo istintivamente un passo avanti verso la prigioniera, frapponendosi tra lei e i due templari.

«Hawke, togliti di mezzo.» Ringhiò Karras, avanzando anche lui.

Orsino lanciò loro uno sguardo carico di disprezzo. «Comandante, non ci sono prove-»

«Silenzio.» Li zittì Meredith, facendoli immobilizzare sul posto. «Il Primo Incantatore ha ragione, non abbiamo prove della sua colpevolezza. Tuttavia, i nostri sospetti sono più che validi, quindi verrai tenuta sotto stretto controllo, e i primi mesi li passerai rinchiusa in una cella, senza contatti con i tuoi colleghi né con altri templari che non siano i qui presenti.»

Marian annuì. Era un buon compromesso, tutto sommato.

«Grazie, grazie mille!» Singhiozzò Evelina, buttandosi ai piedi della Comandante.

Meredith le rivolse un'ultima occhiata sprezzante prima di voltarsi e precederli fuori dalla porta. «Capitano Cullen, nel mio ufficio.»

L'uomo si affrettò ad obbedire. Karras li seguì a ruota, non prima di aver augurato un “a presto” alla maga che Marian non aveva gradito per nulla. Stava per andarsene anche lei, quando Evelina la chiamò di nuovo.

«Ser Hawke!»

Si voltò, incerta.

«I miei bambini, li ho lasciati nella città oscura. La Chiesa si occuperà di loro, vero?» Chiese supplichevole. «Sono bravi, non sono maghi come me. Senza qualcuno ce ne ne prenderà cura, verranno reclutati dalla Cerchia, o...»

Senza rifletterci, Marian annuì. «Ditemi i loro nomi e dove trovarli, mi assicurerò che stiano bene.»

Mentre risaliva la ripida scala a chiocciola che l'avrebbe riportata nel cortile, non era sicura che Evelina stesse raccontando loro tutta la verità, ma era certa che il sorriso sollevato della donna fosse, almeno quello, genuino.

Ne avrebbe parlato con Sebastian, lui sicuramente sapeva come far entrare quei bambini in uno degli orfanotrofi della Chiesa.



 

Il profumo dei ceri accesi le invase le narici, mentre percorreva la navata cercando di fare meno rumore possibile, per non disturbare i fedeli raccolti in preghiera. Si sfregò le mani intirizzite dal freddo nonostante i guanti, alitandoci sopra.

Individuò Madre Petrice conversare in tono accorato con una collega, e quando anche l'altra si accorse di lei le rivolse uno sguardo carico d'astio.

«Ancora non le va giù che Elthina l'abbia sollevata dall'incarico di assistente.» Sebastian le sorrise, e Marian improvvisamente si sentì molto più al caldo di prima.

«Chissà come mai, non riesco a dispiacermene.»

Salirono al piano di sopra, sedendosi poi su una delle piccole panche nell'alcova che dava sulla statua della Profetessa.

«Tutto bene? Non ti vedo da parecchio.»

Lei annuì. Erano passate due settimane, ma tra le sue indagini, il fiato di Meredith sul collo e la faccenda di Andrew, non aveva avuto molto tempo per passare a fare un saluto. «Sono solo preoccupata, stanno succedendo così tante cose che...» scosse il capo, non voleva tediarlo, eppure non sapeva con chi parlarne. Aveline stava affrontando problemi simili ai suoi, dovendo mantenere la sua posizione di Capitano e allo stesso tempo continuando a proteggere dei maghi eretici dalla legge, eppure non era la stessa cosa. Per non parlare del fatto che in quei giorni le poche volte che l'aveva vista di sfuggita fuori dal lavoro era sempre con Donnic, e non voleva togliere all'amica quel poco di pace che sembrava aver trovato. Mentre Isabela, Marian era certa che non avrebbe capito: le voleva bene, al punto da considerarla la sua migliore amica, eppure doveva ammettere che in quanto a sentimenti e sensi di colpa non era di certo la persona con cui condividere i propri timori. Bela le avrebbe rivolto una scrollata di spalle e, ridendoci su, l'avrebbe trascinata in una serata di baldorie, alcol e bei ragazzi (e ragazze, forse), ma per quanto l'idea di solito non le sarebbe dispiaciuta, non si sentiva proprio in vena.

«Hai paura per Garrett?»

Incontrò i suoi occhi azzurri, chiedendosi se fosse davvero così semplice da leggere. Annuì di nuovo. «Non so se potrò continuare a proteggerlo.»

«Stai facendo tutto il possibile, vedrai che sarà abbastanza.»

«Come fai ad esserne sicuro?» Gli chiese indispettita. «Il Creatore te l'ha detto di persona, o è solo una tua idea? Perchè nel primo caso, sarebbe bello se mandasse un segno anche a me, invece che continuare a buttarmi merda addosso.»

Sebastian la sorprese con una risatina. «Non sarebbe il Creatore se non ci mettesse tutti i giorni alla prova. E sì, è difficile, lo ammetto anche io, eppure ne vale la pena. Deve valerne, altrimenti che senso avrebbe stringere i denti ogni giorno per fare la cosa giusta?»

Marian scosse la testa. «Questo dovrei chiederlo io a te, sei tu l'esperto.»

«Temo di non essere l'esperto di niente.» Il tono amaro in cui pronunciò quelle parole la lasciò spiazzata. Sedeva rigido, torturandosi nervosamente le mani.

«Io non posso risolvere i miei grattacapi, per adesso, tu invece?» Gli chiese scostandosi una ciocca di capelli dagli occhi e fissandola dietro l'orecchio.

Lui sospirò profondamente. «Quella sera, ai Satinalia... stavo parlando con alcuni nobili di Starkhaven, oltre che di Kirkwall. Sul trono della mia famiglia ora vi è mio cugino, ma Goran non ha idea di come si governi. Starkhaven è alla mercé dei capricci dei suoi nobili e mercanti, e facile preda per i nemici fuori e dentro le sue mura.»

«Stai avendo dei ripensamenti sui tuoi voti?»

Sebastian chinò il capo. «Elthina pensa che io sia troppo impulsivo.»

A Marian venne da ridere. «Tu? Impulsivo? Cosa direbbe di noialtri, allora...»

Riuscì a strappargli un sorrisetto. «Vero anche questo, ma forse non ha tutti i torti.» Rivolse lo sguardo alla statua di fronte a loro, assorto. «Il mio dovere dovrebbe essere prima di tutto verso la Chiesa e i miei voti, eppure se penso alla mia città lasciata nelle mani di un incompetente, non posso che provare rabbia e desiderio di rettificare quello che è accaduto. Ho discusso a lungo con Flora e Ruxton Harimann, nel tentativo di riallacciare un'alleanza tra le nostre famiglie, così come i Darrow e i Matheson, ma persino questi ultimi non hanno alcuna intenzione di appoggiare Goran. Vogliono qualcuno del primo ramo della famiglia, e sono l'unico rimasto.»

«Lo dici come se non fossi un'ottima opzione, Sebastian.»

«Perchè non credo di esserlo.» Sollevò una mano, fermandola prima che potesse protestare. «Sono stato accecato facilmente dall'odio verso i mercenari che hanno ucciso la mia famiglia, e li ho vendicati andando contro tutto ciò che mi suggeriva Elthina. Poi sono ritornato all'ovile, solo per riprendere in mano le armi una volta scoperto chi era il mandante. E di nuovo ora sono qui a chiedermi cosa devo fare, chi voglio essere. Starkhaven ha bisogno di un regnante saldo, non di un giunco che segue ogni folata di vento.»

Marian lo costrinse a guardarla. «Quello di cui ha bisogno Starkhaven – e qualsiasi altra città, a dirla tutta – è qualcuno che la governi con intelligenza, onestà, fermezza ma anche benevolenza. Che si preoccupi della politica ma anche del benessere dei suoi cittadini, di rendere sicure le sue mura ma allo stesso tempo di accogliere il prossimo. E sono tutte qualità che tu possiedi, che hai imparato a coltivare negli anni, e non le soffochi sotto la superbia o il menefreghismo tipico di chi è abituato al comando e all'obbedienza dei suoi concittadini. Ti paragoni al giunco?» Gli afferrò una mano, stringendola tra le proprie con delicatezza. «Una quercia sarà sempre più imponente e maestosa, certo, ma continua ad ergersi con arroganza anche sotto le tempeste più violente, che finiranno inevitabilmente per sradicarla. Mentre un giunco sa quando piegarsi, resistendo alle intemperie. Ti metti in discussione costantemente, ma non è un peccato, bensì un pregio: ti rendi conto quando sbagli, ascolti i consigli, accetti quelli che provengono magari da chi ne sa più di te, o che comunque possono offrirti un punto di vista che non avevi considerato prima. E se ti preoccupi tanto di essere o meno una brava persona, un bravo sovrano, allora sei molto meglio della maggior parte dei palloni gonfiati che si siedono tutti i giorni sui loro troni intarsiati. Saresti un ottimo principe, Sebastian.»

Era rimasto ad ascoltarla rapito, le labbra leggermente dischiuse, gli occhi spalancati di sorpresa nel sentirla affermare quelle frasi. «Vorrei poter condividere la tua sicurezza.» Fece scivolare la mano libera sulle sue, le dita a sfiorarle leggere il dorso. «Se rinuncio ai miei voti, sarà per l'ultima volta. Elthina sarà furiosa.»

Marian trattenne il respiro. «La Somma Sacerdotessa ti ama come un figlio. E probabilmente vuole solo che tu prenda una decisione di testa tua, seguendo quello che credi sia meglio. Nessuna madre vorrebbe vedere il figlio perdersi su una strada che non sente sua.»

Sembrò che l'uomo volesse aggiungere qualcosa, aprì la bocca ma la richiuse un attimo dopo. «È un passo importante. Da ragazzo sarei già corso a riprendermi la città, ma ora che potrei essere un buon sovrano, esito. Non so quale sia la mia strada.» Il suo sguardo vagò per la navata, le luci delle candele che illuminavano d'oro le statue e le alte colonne di pietra, le finestre dai vetri colorati che sembravano danzare. «Quando penso alla Chiesa, quando sono qui dentro... il mio cuore era solito essere in pace, ma ora la mia mente è piena di dubbi.»

Quando la sua mano le sfiorò il viso, Marian si sentì avvampare come una ragazzina. Era strano, ne aveva combinate di tutte le salse, ma il modo in cui la guardava Sebastian, la sua voce, il suo tocco, riuscivano sempre a destabilizzarla.

«Nemmeno il mio cuore è più in pace, da quando ti ho conosciuta.» Lo sentì sussurrare, e in quel momento avrebbe voluto mandare tutto all'aria e colmare quei pochi centimetri che li separavano, assaggiare quelle labbra invitanti, sentirlo gemere il suo nome con quell'accento che tanto le piaceva. Ma si tirò indietro, sapendo che entrambi si sarebbero odiati se l'avesse fatto.

«Non posso dirti cosa fare della tua vita, non è mio compito. E in fondo guardami, non so dove stia andando la mia. Però posso dirti che saresti un buon regnante.» Sorrise, mentre già sentiva Isabela urlarle dietro. «Sappi che qualsiasi decisione tu prenda, avrai sempre un'amica su cui contare.»

Sebastian reclinò un poco il capo, restituendole il sorriso. «Ti ringrazio. Anche io sarò sempre al tuo fianco, se ne avessi bisogno.»
























Note dell'Autrice: Verrà il giorno in cui Sebastian e Marian si daranno una svegliata, ma non è questo il giorno. Anche Macsen Trevelyan è arrivato nella meravigliosa città di Kirkwall, che ormai è più affollata di un bordello antivano. Vedremo come se la caveranno lui ed Andrew, e cosa ne penserà Marian. Samson resta sempre il mio preferito, comunque. Cheers! 

  
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