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Autore: Enchalott    17/12/2019    5 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a chi si appassionerà! :)
"Percepì il Crescente tatuato intorno all'ombelico: la sua salvezza, la sua condanna, il suo destino. Adara sollevò lo sguardo sull'uomo che la affiancava, il suo nemico più implacabile e crudele. Anthos sorrise di rimando e con quell'atto feroce privò il cielo del suo colore".
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il contrario di ciò che fai
 
Adara entrò con leggera indecisione nella sala del trono, un ambiente piuttosto spoglio e privo di ornamenti, ove il seggio ligneo destinato al reggente e da lui occupato era l’unico elemento distintivo.
Le pareti erano sguarnite, fatta eccezione per un affresco molto rovinato sul muro dirimpetto, e le finestre erano protette da spessi tendaggi color ottanio.
Il pavimento era lucido e levigato. Un pesante lampadario di ferro battuto pendeva dal soffitto a cassettoni, spandendo il suo debole chiarore nell’ambiente. Il freddo assoluto, coadiuvato dal camino tenuto ostinatamente spento, poteva quasi essere toccato come una creatura viva.
Lo sguardo della principessa cadde sui due uomini infagottati in vesti nordiche, in piedi in un angolo della stanza. L’esitazione scemò del tutto quando li riconobbe.
Attraversò il salone di corsa, gettandosi tra le braccia accoglienti di Narsas, incurante dell’esclamazione di Dare Yoon, che la invitava ad un’esuberanza più misurata.
“Sto bene, Adara” mormorò lui, esibendo un sorriso che conteneva con dolcezza tutta l’intensità della propria gioia inespressa.
“Ora che ci sei, anch’io” rispose lei, senza separarsene.
L’arciere occultò la propria apprensione nei suoi riguardi e si limitò a scostarle i capelli dal viso, imbevendosi dei suoi lineamenti familiari. Non pareva né provata né ferita, ma certo lui non si sentiva in grado di capire da quella semplice stretta che cosa lei stesse realmente vivendo in quei giorni come sposa del sovrano.
“L’avete visto?” domandò poi la ragazza con estrema inquietudine.
“No, purtroppo” borbottò Dare Yoon, scuotendo il capo “Non sono consentite visite ai prigionieri in questo posto lontano dalla civiltà. Spero che il reggente non abbia infierito sul comandante, quando l’ha interrogato…”.
“Non è ancora sceso nelle segrete” spiegò Adara, dolente “Credo sia impegnato in altre premure al momento. Deve aver intuito l’identità chi ci ha perseguitati durante il viaggio e sta valutando come comportarsi in merito”.
“Fatico ancora a credere che non sia Anthos il responsabile!” ringhiò il soldato “Già solo il fatto che vostro fratello sia qui non è sicuramente una prova a favore di un intento benigno da parte sua”.
“Già…” sospirò la principessa, intristendosi “Non ho potuto vedere nemmeno Shion”.
“Mi dispiace” disse Narsas, contraendo le sopracciglia brune “Ho sperato fino all’ultimo che non fosse lui la persona di cui parlano i Testi Sacri. Quella che cerco”.
“Io vorrei solo che mi spiegasse il motivo. Ha pronunciato delle parole incomprensibili sulla Profezia. Come se ne sapesse di più, come se fosse pienamente convinto che il suo non sia un effettivo tradimento!”.
“Non otterrete niente da lui” mugugnò Dare Yoon, rabbuiandosi.
“Devi provarci, Adara” suggerì invece il guerriero del deserto “Prima che sia io a smettere di credere nell’ultima possibilità che desidereremmo tutti offrirgli”.
“Grazie, Narsas…” sussurrò lei, commossa “Lo farò”.
 
Anthos, seduto di traverso sul suo scranno con una gamba appoggiata comodamente al bracciolo, seguì con attenzione la scena in corso.
Strinse le palpebre con irritazione quando l’abbraccio tra sua moglie e l’Aethalas non si sciolse subito dopo il saluto iniziale. Era conscio di non doversi attendere da lei alcuna manifestazione affettiva parimenti sentita, anzi, non l’avrebbe forse tollerata, soprattutto davanti a terzi, ma la ragazza l’aveva completamente ignorato e questo andava troppo al di sotto della soglia della semplice deferenza che era tenuta a dimostrargli.
Quella che le leggeva sul volto e negli occhi luccicanti, nel sorriso radioso che rivolgeva al guerriero del deserto mentre lo guardava, era felicità pura. Nonostante il gelo di Iomhar, nonostante la condizione tutt’altro che positiva per lei, nonostante quella dei suoi compagni o amici o familiari più o meno prigionieri, nonostante… nonostante lui, suo marito e signore, la principessa trovava la sorgente della gioia nello sguardo malinconico e fiero di Narsas.
Riusciva a riconoscerla perfettamente, anche se non l’aveva mai provata: spandeva una luce pressoché palpabile, che univa alla sua presenza quella della fiducia tenacemente riposta in chi ricambiava apertamente i suoi sentimenti e le sue speranze. Addirittura con intensità maggiore di quanto non facesse lei per prima.
Sarebbe stato evidente anche a un cieco che il ragazzo nomade bruciava d’amore per Adara, era lampante persino per lui che mai aveva sperimentato in sé quel sentimento tanto potente. L’Aethalas comunque sarebbe morto presto: per quello non lo aveva ucciso e aveva consentito che restasse, che la affiancasse, che la incontrasse a palazzo. Privarlo della vita sarebbe stato inutile, non avrebbe spento la sua essenza immortale nell’animo della principessa: avrebbe solo portato ulteriori difficoltà tra lui e la donna che aveva sposato. Avrebbe cancellato anche quella sorta di accettazione che Adara gli aveva espresso tra le righe quando si erano trovati da soli, prima sul terrazzino della sua camera e poi tra le coltri della loro prima notte. E di difficoltà ne stava già incontrando troppe.
Strinse tra le dita il Medaglione, avvertendone le forme ruvide nel palmo della mano.
Si era sorpreso a pensare che, stranamente, il duro ma immediato consenso che sua moglie gli aveva concesso gli era risultato tanto sorprendente quanto insufficiente. Eppure, era esattamente quanto le aveva chiesto: il suo corpo per generare, il suo titolo per dominare. Pertanto avrebbe dovuto ritenersi pienamente soddisfatto, gli sarebbe semplicemente bastato domare le bizze di Leuhan, che non obbediva neppure alla sua inconsapevole proprietaria.
Invece, non era stato così e quella sensazione di mancanza, come se fosse stato defraudato di qualcosa, lo infastidiva; il fatto che non riuscisse a scacciarla, poi, lo faceva infuriare ancora di più. Forse, l’unica ragione attribuibile a quella sorta di presenza di un’assenza era dovuta al non essere ancora riuscito a consumare il matrimonio e la cosa risultava ovviamente frustrante e umiliante.
Focalizzò lo sguardo sull’arciere, che Adara aveva definito l’uomo più importante della sua vita, e si domandò il motivo per cui lui avesse scelto di rinunciare alla donna sulla quale si infrangevano tutti i suoi pensieri. Tra di loro non c’era stato nulla di fisico: il fatto che l’Aethalas avesse del koreyon in circolo e la comprensibile paura di contaminarla non erano sufficienti a spiegare quella risoluzione. Volendo, esistevano sistemi per evitare l’inconveniente. Perché allora?
Narsas era la spiegazione vivente all’assurdo proverbio che, talvolta, la massima prova d’amore è la rinuncia? Che amare un’altra persona significa lasciar cadere una parte di sé? Anthos non voleva crederlo. Era quasi ridicolo il solo pensarlo.
Il sogno che talvolta gli fluttuava nella mente tornò ad affacciarsi alla sua coscienza: spada nel cuore, sangue a fiotti e morte. Abdicazione del sé con sacrificio.
Il principe scacciò la reminiscenza, continuando ad osservare i movimenti di Adara e l’espressione serena e intensa del giovane guerriero.
Ma certo. L’arciere era già felice così.
Quella risposta semplice e, invero, complicatissima sorse dalla parte profonda dell’io, come se una porzione della sua entità avesse continuato a ragionare su una questione di fondamentale importanza. Un responso che effettuava una connessione inestricabile tra i tre elementi costituenti della sua riflessione: amare, rinunciare, essere felici. La triade non poteva sussistere, se incompleta.
Comunque, aveva sprecato qualche minuto del suo tempo in quel ragionamento per pura curiosità. Impossibile leggervi un intento diverso. Semplicemente, non capiva e desiderava giungere a una soluzione accettabile. Ignorare significava concedere un vantaggio ad altri. Non lo aveva mai permesso. Ora che si era auto fornito una motivazione, per quanto stupidi potessero apparirgli gli intenti altrui, poteva reputarsi soddisfatto.
Non vorresti essere felice, Anthos?
Quando rivolse a se stesso quel semplice interrogativo, lasciò cadere di colpo il Medaglione, che gli rimbalzò sul petto.
Si alzò in preda alla collera.
 
“Mio signore…?”
“Stai zitto, Urien”.
Il principe tranciò il pronunciato stupore del suo Primo Consigliere, che lo vide ridestarsi all’improvviso dalla sua abituale lontananza mentale di quando sedeva sul trono e scendere i tre gradini alla stregua di una belva cui era stata sottratta la preda.
Il lungo mantello blu strisciò sul pavimento con un fruscio pronunciato, annunciando il suo repentino spostamento.
Puntò indice e medio congiunti in verticale verso la parete opposta e conferì al suo colpo il massimo potere consentito, calibrandolo in modo da non far sprofondare nel nulla l’intera fortezza.  
Il muro esplose con il fragore terrificante del finimondo, deflagrando all’improvviso per ogni dove in polvere e calcinacci.
Adara gridò per il fracasso inaspettato e per l’ondata di frammenti volanti, che le passò accanto senza tuttavia toccarla, mentre Narsas la cinse con forza nel tentativo di proteggerla con il proprio corpo dalla traiettoria di ulteriori frantumi.
“Che diavolo è successo!?” esclamò Dare Yoon, coprendosi la bocca e il naso con il colletto del mantello per evitare di respirare il pulviscolo denso che aleggiava a mezz’aria e rendeva tutto confuso e alterato. La sua mano strinse l’elsa della spada, preparandosi al possibile combattimento contro un ignoto avversario.
La cortina grigiastra si diradò leggermente, rivelando la figura snella del reggente a pochi passi da loro. Nel suo sguardo c’era una luce feroce e determinata.
“Anthos…” mormorò la principessa, esterrefatta.
“Perdonami” sogghignò lui, tagliente “È che non sopporto alcune vedute”.
Narsas aggrottò la fronte, sicuro che si stesse riferendo alla sua profonda confidenza con Adara. Sostenne lo sguardo del reggente, che lo sfiorò con altezzosità per poi puntare altrove.
“Diamine, è stato lui?” bofonchiò sottovoce l’ufficiale elestoryano, abbandonando la guardia “È completamente fuori di testa…”.
“Per esempio, quell’affresco” continuò il principe, noncurante “Mi ha sempre creato un prurito alle mani che devo per forza sfogare”.
Adara uscì, tutta in una, dallo stato di impaurito stupore che l’aveva bloccata fino a quel momento. Abbandonò l’abbraccio dell’arciere e si avvicinò al marito.
“Sei impazzito?!” gridò “Mi hai fatto venire un infarto!”.
Lo sguardo divertito e impenitente di Anthos contribuì a farle montare una collera incredibile, anche come naturale reazione allo spavento che si era presa. Non era così sprovveduta, però, da non cogliere la di lui allusione allo spettacolo urticante che aveva provocato la sua irritazione. Non il dipinto, ovviamente!
“Hai deciso di farti crollare addosso l’intera Jarlath anziché esprimere una critica artistica sensata!?” strepitò, determinata a non farsi prendere in giro e optando per l’uso della medesima, schermante allegoria.
“Che bisogno c’è di prendersela tanto…” fece lui, spavaldo, allargando le braccia “Lo sai che sono drasticamente risolutivo. E poi non è un danno irreparabile…”.
“Che cosa stai dicendo!?” continuò lei, seccata “Quando una cosa è distrutta certo che è un danno irreparabile! Quell’affresco poteva anche non incontrare il tuo gusto, ma magari possedeva un pregio immenso! Unico! Anche se tu probabilmente non hai studiato sufficiente tecnica pittorica per apprezzarlo!”.
Gli occhi dorati di Anthos scintillarono, ironicamente terribili.
“Eppure bisogna essere abili per capire quando un elemento stride con tutto il resto dell’arredamento, non trovi? La mia perspicacia è un dono di natura. Infine, quel dipinto mi appartiene, posso farne ciò che voglio”.
“L’arte ha valore universale!” esclamò la ragazza, puntandosi le mani sui fianchi.
 
“Dico…” tossicchiò Dare Yoon, seguendo il battibecco “Anche la principessa è uscita di senno o parlano per metafore incomprensibili?”.
“La seconda” rispose Narsas, sforzandosi di non sorridere troppo “Ma non sono così ostiche nella semantica, se ci fai caso”.
“Bah… sono troppo impegnato a cogliere l’attimo in cui lui perderà definitivamente la pazienza e annienterà anche tutto il resto. Io non lo sfiderei tanto apertamente”.
“Tu non sei lei” sentenziò l’arciere, placido.
 
“Sciocchezze” stabilì il reggente, incrociando le braccia sul petto “Ti agiti tanto per un nonnulla. Guarda…”.
Indicò la parete che aveva appena sfondato, ora ben visibile in mezzo alla polvere che si andava depositando. Adara spalancò gli occhi, incredula.
Era esattamente al suo posto e le figure tratteggiate sulla superficie erano identiche a prima. Nessun danno, neppure un graffio. Come se lui non avesse mai scaricato loro contro la sua energia devastatrice. Avanzò di qualche passo.
“Ma… com’è possibile?”.
“Non lo so. Sono anni che ci provo in tutti i modi”.
“Oh… Perché ti accanisci tanto, Anthos?”
“Te l’ho detto. Mi infastidisce”.
Le mani del principe, in piedi dietro di lei, si posarono sulle sue spalle. Adara non si ritrasse. Ebbe la sensazione che lui volesse condividere qualcosa, che stesse cercando la sua partecipazione per un motivo fondato, non per capriccio o arrogante egocentrismo; che quel dipinto deteriorato e resiliente per lui fosse veramente una spina nel fianco. Si girò per osservarlo, incerta. Incontrò le sue iridi chiare, un caleidoscopico mistero dotato dell’attrazione bruciante del suo carisma, affascinante e introverso. Forse, anche lui era inconsapevolmente come l’affresco: devastato e caparbio… e lo odiava per non odiare se stesso.
“Allora stavi davvero parlando del dipinto?” domandò, perplessa.
“Ovviamente” sogghignò lui.
Adara scosse la testa, facendogli comprendere che era ben lontana dal credergli.
“Credo sia l’unico frammento di mondo su cui il mio potere non ha effetto” continuò lui, affiancandola e portandola gentilmente vicino al muro, lontano dagli altri.
“Non l’unico” precisò Adara.
“Mh” sussurrò il giovane, ironico “Tu non fai testo, non voglio mica polverizzarti… però non diciamolo in giro. Anche perché è troppo presto per parlare”.
“Hai tentato il contrario di ciò che fai solitamente?”.
“Se ti riferisci al dipinto” rispose lui allusivo “Non funziona né la distruzione né il fuoco né l’acqua né una qualsiasi copertura”.
“Un così grande impegno per un fine tanto bieco… sempre parlando di arte”.
Anthos aggrottò le sopracciglia, ma non obiettò al gioco che lui stesso aveva avviato.
“Cosa intendi per contrario?”.
“Curarlo. Salvarlo dal tempo, restaurarlo… dargli luce. È l’opposto di ciò che fai”.
Il principe socchiuse gli occhi e la fissò per un lungo attimo. Lei non seppe dare un aggettivo a quello sguardo tanto intenso che riuscì a farla arrossire senza ragione.
“Non sia mai. Se lo facessi sistemare, diventerebbe più nitido e mi creerebbe un fastidio maggiore di quello che già mi coglie ogni volta che entro in questa stanza”.
“Oppure” obiettò la ragazza con un sorriso “Cambierebbe aspetto e smetterebbe di fornirti una sensazione tanto spiacevole. Non puoi saperlo, finché non provi”.
Le mani di Anthos, abbandonate lungo i fianchi, si strinsero a pugno. Accidenti a quel dannato disegno! Si era reso protagonista di una partita che non trattava affatto di tecniche pittoriche! Avrebbe dovuto prendersela con se stesso, invero. L’idea geniale di sceglierlo come senhal per strapazzare sua moglie e farle capire che non era disposto a tollerare alcuni atteggiamenti sfrontati gli si era bellamente ritorta contro.
Il giro era sempre quello e lei, servendosi del suo stesso linguaggio, gli stava chiedendo di rinunciare ad annientare la Profezia, di curare il Regno, di portare luminosità e non oscurità, di fare un passo indietro e cambiare strada, di fare in modo che tutti fossero spettatori di speranza e felicità, non dell’apocalisse prossima. Di divenire l’antitesi di ciò che era.
Rinunciare, amare, essere felici…
“No” rispose, duro “E’ un’alternativa che non fa per me”.
“Io posso” sussurrò Adara, al suo fianco “Se tu me lo permetti”.
Il reggente si accigliò a fronte di quella probabilità che ne conteneva infinite, incontrollabili. Troppe variabili, aggiungerne un’altra avrebbe scatenato ancora di più il caos. Ma l’avrebbe prodotto anche per chi lo stava intralciando, spingendolo a uscire allo scoperto. Sapeva chi era, ma non il suo perché. Fondamentale chiarire gli scopi del nemico per averlo definitivamente alla propria mercé, prima ancora di assestargli il colpo di grazia.
Sogghignò, appagato dalla propria pensata.
“Va bene” rispose divertito “Puoi fare tutti i restauri che vuoi”.
La principessa rimase sorpresa dall’autorizzazione tanto repentina, ma prima che potesse esprimere la propria gratitudine, lui continuò con estrema sottigliezza.
“Urien, provvedi immediatamente a reperire tutti i materiali atti a sistemare questo stupido dipinto! Mia moglie desidera riportarlo all’antico splendore”.
Il Primo Consigliere rimase imbambolato per un attimo, come se avesse sentito le parole più assurde della sua vita e si stesse accertando di non aver misinterpretato. Poi si inchinò efficiente e scivolò via, mimetizzandosi nei recessi dell’ombra.
“Sai bene che non intendevo questo!” borbottò Adara, infastidita per l’ennesimo atto volutamente irrisorio, simile a quelli con i quali il principe era solito replicare ogni volta in cui lei tentava di farlo ragionare.
“Eppure è quanto hai chiesto” ribatté lui, sagace “O c’è altro?”.
“Sì” replicò Adara altrettanto decisa, evitando di ricoprirlo degli improperi che si sarebbe meritato “Vorrei che tu fossi presente”.
Anthos sorrise lieve, concedendole il pareggio, perché in fondo aveva ottenuto ciò che si era proposto: evitare, almeno per il momento, che lei continuasse ostinatamente a reclamare da lui il recedere dai propri progetti e tenerla d’occhio.
Le prese audacemente la mano, piegandosi verso di lei e portandosi alle labbra il suo polso come era solito fare, indugiando con un bacio che salì fino all’incavo del gomito. Perché lei era sua, legalmente e, presto, fisicamente. Poco gli importava se la sua anima apparteneva forse a un altro uomo… anche l’Aethalas avrebbe imparato a non sfidarlo e quel gesto era mirato soprattutto a mostrargli che, a scanso di equivoci e ripensamenti, non l’avrebbe mai e poi mai avuta. Che il ragazzino si sarebbe dovuto accontentare del suo sorriso gioioso e della sua fiducia, di cui lui, reggente di Iomhar, poteva fare a meno.
“Se pretendi che io resti con te, sai già che il mio sarà un sì, Adara” disse, sfiorandola con l’oro fulminante del suo sguardo.
La ragazza avvampò e ritirò il braccio, prima che lui andasse oltre.
 
“Razza di bastardo…” inveì Dare Yoon “Per come la si volti, alla fine vince sempre lui! Anzi, stravince e infierisce, che gli dei lo annientino in questo istante!”.
“Se Anthos avverte il bisogno di segnare il territorio è perché si sente insicuro per la prima volta nella sua vita” obiettò Narsas “Non gli attribuirei nessun punto in questo caso, tantomeno il successo”.
“Non so se definirti ottimista o masochista” sbuffò il soldato, innervosito.
Un sorriso affranto si disegnò sul viso affascinante dell’arciere, che distolse lo sguardo dalla scena in corso, con lo stomaco imprigionato in una morsa gelida.
“Realista” rispose con un sospiro “Non ho immaginato alcun altro scenario, quando ho scelto di restare qui e di accettare mio malgrado la decisione di Adara. Io sono giunto alla meta, Dare Yoon. Sappiamo chi è il Traditore del sangue, anche se i dettagli non sono del tutto chiari, perciò la mia prima missione è quasi ultimata”.
“Prima? Quale sarebbe la seconda?”.
“Quella che ho assunto durante il viaggio: difendere Adara fino alla morte. Come te”.
“Ma io…” rispose l’ufficiale elestoryano con soffocata emozione “Io per lei non provo i tuoi stessi sentimenti, io sono fedele e ligio al mio dovere. Ammirato e fiducioso, se vogliamo. Io non sono innamorato di lei, Narsas!”.
Le iridi nere dell’arciere divennero un crogiolo di dolore tanto intenso da velare l’aria.
“Non ho mai detto questo, Dare Yoon. Hai già più volte espresso le tue speranze su ciò che vorresti che fosse, da buon amico, da fratello e per questo ti ringrazio. Ma la realtà è differente da quella che stai sognando. Perciò smettila, ti prego, non insistere per farmi ammettere qualcosa che in realtà non corrisponde alle tue aspettative”.
“Ma non pretenderai che io creda…”.
“Basta, Dare Yoon”.
La voce del ragazzo divenne il sussurro di una sofferenza che gli transitò nello sguardo, rendendolo lucido e vibrante, ammantato di una rassegnazione impossibile da accettare in una sola vita. E la sua era ormai al termine.
Dare Yoon si morse le labbra, pentendosi di avere parlato troppo. Di averlo quasi portato alle lacrime.
Con il suo negare, Narsas affermava la necessità di mantenere intatto il proprio orgoglio, di morire senza mostrare alcun rimpianto, di servire con onore e non per altra ragione. Se avesse, invece, ammesso davanti a lui che stava bruciando di un amore senza speranza, avrebbe reso reali e vive le sue sofferenze, le avrebbe traslate sul piano della realtà effettiva, dove non sarebbe più stato in grado di affrontarle in carne ed ossa, mentre nell’anima era riuscito ad arginarle con estremo sforzo. Non chiedeva altro, se non la grazia di non essere costretto a mentire per salvaguardare ciò che di lui restava.
“Mi sono sbagliato, allora. Scusami, tendo a fraintendere. È che vorrei tanto piantare una lama in gola a quel maledetto e il mio desiderio frustrato mi dà le traveggole”.
Gli occhi ardenti del guerriero del deserto si addolcirono, scintillando di riconoscenza.
“Lo vorrei anch’io” ammise, sfiorando con la destra la fascia rossa che portava in vita, dove una volta alloggiava il pugnale ricurvo “Ma la strada non è quella. Credimi”.
Osservò il principe che si risollevava e che fissava la sua giovane sposa con l’espressione illeggibile e altera di sempre. Ma quella che aveva interpretato pocanzi in un modo tanto esagerato non era altro che gelosia pura. Ne era certo, perché in quel momento lui avrebbe fatto lo stesso.
 
Urien, solo nell’accogliente tetraggine delle sue stanze private, si lasciò andare a un moto istintivo di rabbia, mandando a gambe all’aria il pesante tavolo di legno.
La candela nera che illuminava l’ambiente si rovesciò, estinguendosi. Nel buio improvviso solo gli occhi borgogna del Consigliere rimasero visibili, come due braci maligne nell’immensità oscura del creato in dannazione. Maledizione!
Quella ragazzina intrigante era ancora viva e ora aveva anche preteso che il principe le facesse da guardia del corpo mentre si dedicava all’ozioso passatempo della pittura! Così sarebbe diventata assolutamente inavvicinabile!
Inizialmente, aveva pensato di poterla cogliere di sorpresa durante le ore di riposo, forzando in qualche modo le difese di Leu-Mòr, che comunque erano state incrementate per tenerla al sicuro… invece, contrariamente a quanto si era figurato, Anthos trascorreva l’intera notte con lei, pertanto gli era stato impossibile realizzare l’intento omicida che si era prefissato.
Il principe si sarebbe stancato di lei prima o poi! Ma attendere che gli ardori si placassero non era produttivo, anzi era incredibilmente rischioso!
Avrebbe potuto organizzare un incontro tra la principessa e il fratello prigioniero, persuadendo a proprio vantaggio il reggente a mostrare un atto di clemenza: avrebbe ordinato a Shion di ucciderla, facendolo poi passare per un povero svitato ormai privo di senno e allontanando responsabilità e sospetti da sé.
Eppure era convinto che Anthos non ci sarebbe cascato. Avrebbe voluto assistere al colloquio o, in caso contrario, avrebbe compreso in fretta che il giovane erede del Sud era totalmente sottomesso al suo oscuro mentore e obbediva soltanto a lui, mascherandosi dietro una vile e timorosa fedeltà al sovrano.
Il giorno successivo alle sue impensabili nozze, il principe lo aveva convocato, come annunciato, e Urien aveva sudato sette camicie per convincerlo della sua buona fede. Per fortuna aveva avuto parecchio tempo per studiare delle scuse sufficientemente credibili e dimostrabili.
Perché non aveva permesso all’arciere Aethalas di uccidere l’ostaggio? Sarebbe stata la soluzione migliore per allontanare Adara da almeno uno dei suoi due irrinunciabili compagni, aveva tuonato il reggente.
Il Consigliere aveva garantito che Shion avrebbe potuto essere ancora utile, era quello che meglio sapeva come si svolgevano le procedure a Elestorya e certamente, dopo l’annuncio del matrimonio della principessa, Eudiya non se ne sarebbe stata sicuramente a guardare. Esisteva il rischio di un attacco. Il figlio maggiore della regina era una garanzia che li avrebbe messi al sicuro. Un’arma di ricatto per tutti gli stranieri presenti a Jarlath, che legava loro le mani.
Sapeva forse chi aveva gettato una stregoneria su Dionissa, diversa da quella da lui auspicata, condannandola a morte? Era riuscito finalmente a scoprirne l’identità?
Urien si era scusato e aveva lasciato intendere che gli Aethalas erano gli unici responsabili, suggerendo al reggente di torchiare il giovane arciere con le cattive maniere, poiché di certo era al corrente dei dettagli. Anzi, ci avrebbe pensato lui, se gli fosse stato concesso. Ma il rifiuto del sovrano era stato alquanto secco.
Anzi, gli aveva comandato di scoprire il fautore dei vari attentati alla vita di Adara e, quando il Consigliere aveva fatto il nome di Irkalla come possibile colpevole, Anthos gli aveva quasi riso in faccia.
Il reggente del Nord non credeva alla Profezia, dunque per lui l’esistenza della reincarnazione del dio punito era un’altra falsità.
Era in errore. Oh, come avrebbe rimpianto il non aver dato retta a quelle righe sbiadite che sancivano il futuro prossimo! Perché il Distruttore era tutt’altro che una sciocca leggenda e lui, Urien, avrebbe fatto in modo che l’essere superiore e il principe di Iomhar si distruggessero a vicenda in un duello senza vincitori. Anzi, il trionfo sarebbe stato suo a ben vedere. Due prede con un unico laccio.
Si versò un calice di vino, producendo un sogghigno crudele, pregustando il sapore dolcissimo della propria realizzazione definitiva. Maledetto! Quanto lo detestava!
Gli mancava pochissimo. Avrebbe solo dovuto capire dove si nascondeva Irkalla e far sì che la sua presenza risultasse un ostacolo per i progetti ambiziosi di Anthos, che questi lo odiasse per qualche semplice ragione, metterli l’uno contro l’altro. Il che era la sua specialità.
Ma prima la ragazzina di Erinna avrebbe dovuto morire e con lei sarebbe sparito anche quel suo strano Crescente. Evidentemente un segno poco efficace… meglio comunque non azzardare le ipotesi.
La creatura composta di male assoluto tornò a sorridere, osservando la propria immagine allo specchio: un aspetto ripugnante ottenuto in cambio dei poteri che possedeva. Ne era valsa la pena. Perché presto sarebbe tornato ad essere… lui!
   
 
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