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Autore: Mitsuki91    19/12/2019    1 recensioni
"Edward, se sopravvivo a tutto questo, stai sicuro che la prossima volta ti uccido io."
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Isabella Swan, Jacob Black
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
Capitoli:
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Ho deciso di farvi un regalo anticipato e di postarvi il primo capitolo della seconda parte di questa storia. Come dicevo prima, non ho pronto praticamente nulla e tutto è nella mia testa. Forse - forse, se riesco, potrei elaborare qualcosa durante le vacanze... Ma non prometto nulla. Ci spero, però, perché questa è una storia molto importante per me e vorrei riuscire a concluderla.
Buona lettura!

 

 

Seconda parte

 

Capitolo IX

 

Risalire era stata una lenta agonia.

Mi ero persa alcuni istanti e, se fossi stata lucida e non così stordita, sarei morta di paura per questo.

Però c'ero. C'ero ancora.

Ero alla deriva in un mare di dolore ma sentivo. Il dolore mi trascinava in basso. Era acqua densa e più nera della notte. Io incespicavo, non riuscivo a muovermi. Tenevo per un soffio la testa fuori, per poter respirare.

Il dolore mi comunicava che ero ancora viva, perciò mi ci aggrappai con tutta me stessa.

Faceva anche freddo. Il freddo mi intorpidiva i sensi e mi sussurrava di abbandonarmi. Per combatterlo, in quel nulla fatto di agonia, ripensai al peso caldo di mia figlia sul mio seno.

Mia figlia.

Non ne ricordavo né il volto, né il nome. C'era troppo dolore perché la memoria funzionasse a dovere.

Però ricordavo il calore.

Ricordavo un altro dolore, più piccolo e concentrato. I suoi denti sul mio seno, da qualche parte sopra il mio corpo.

Mi aggrappai a quel calore, a quel dolore, per resistere e non andare a fondo.

Dopotutto, non poteva mancare troppo tempo, no? Gli aiuti sarebbero arrivati. Dovevo solo resistere quel tanto che bastava.

Non importava se non fossi riuscita a tenere il passo del sovrannaturale. Importava solo che tenessi a galla me stessa, semplicemente. Gli aiuti non erano invincibili ma potevano farcela.

Il calore del ricordo di mia figlia mi sorreggeva.

Poi arrivò un'onda.

Non era un'onda di dolore, era un'onda di nulla.

Non riuscii a fare altro. Non avevo la forza di muovermi quindi rimasi lì, semplicemente, pensando con tutte le forze a lei.

Il morso, il calore.

Non era abbastanza.

L'onda cancellò ogni cosa.

 

***

 

Il risveglio dei sensi, stavolta, fu più lento e lungo. Graduale.

Non affogavo nel mare di dolore. In effetti, non sentivo nulla, se non una piccola eco in quello che doveva essere il mo ventre.

C'era bianco. Era una palude bianca in contrasto con il nero di prima.

Piano piano, la memoria tornò. Sentii il calore di mia figlia sulla mia pelle. Riuscii a visualizzare il suo viso, i suoi occhi. E quando lei chinò la testa per mordermi il seno; quando ricordai anche quel piccolo dolore caldo, l'udito tornò.

Non ero ancora in me stessa, ma sentivo un ritmico 'bip' circondarmi.

Pensai.

Mentre rivivevo nella mia testa gli ultimi giorni, ancora e ancora, aggrappata al calore immaginario di mia figlia, altre sensazioni emersero.

Ricordavo. Leah, Jacob.

Jake.

Lui che aveva tenuto a me stessa più della mia stessa vita; che mi aveva fatto una promessa.

Leah, che mi aveva donato mezza speranza.

Mia figlia. Elisabeth. Il peso caldo di lei sopra di me.

E all'improvviso capii che il 'bip' era il rumore di un macchinario ospedaliero collegato al mio corpo.

La consapevolezza mi diede una scarica di qualcosa, forse adrenalina, non proprio felicità.

Sollievo.

Ero viva. Contro ogni pronostico, ero viva.

Viva!

Il 'bip' accellerò un pochino e altri rumori invasero la mia piccola bolla bianca di nulla.

"Bella? Bella, stai bene? Sei sveglia?"

Charlie. Quella era la voce di mio padre.

Dopo un attimo di panico e smarrimento, ricollegai i fatti.

Naturale. Ero ricercata. Ero riapparsa in un ospedale, mezza morta, e così mio padre mi aveva trovata.

Mi avrebbe riportata a casa. Ne ero certa.

Andava bene – ero viva. Pronta per promuovere all'attenzione il piano A, che fino a poco tempo prima (ore? O forse giorni?) era stato il piano B, date le scarse speranze di successo per il parto.

Aspettare.

Avrei dovuto aspettare e Jake sarebbe tornato da me, portando con sé mia figlia.

"Dottore? Dottore, il battito è cambiato."

Sentii un fruscio, un rumore di passi.

"Va tutto bene. Si sveglierà non appena sarà pronta."

Ah, dovevo essere pronta? Non sentivo il mio corpo, forse era questo. Sentivo loro, però.

"Senta, lei..."

"Va tutto bene, signor Swan. Sta guarendo bene. Il trasferimento non le ha fatto alcun danno e la ripresa procede."

Trasferimento?

"Adesso ha un'idea precisa di cosa l'abbia...?"

"Non sono sicuro di niente, signor Swan. Ho sentito anche i miei colleghi. Sembrerebbe essere stata pugnalata – ma l'utero era molto compromesso. Come se avesse ricevuto più di un colpo. Mi dispiace, non so dirle di più. Sua figlia non è un cadavere con delle ferite aperte da esaminare, e di questo deve essere grato."

Sentii un rumore di sedia spostata. Forse Charlie si era risistemato meglio.

"Va bene." rispose poi "Mi scusi, sa che dovevo chiedere. E per l'altra cosa si sa...?"

Passò qualche istante di silenzio, mentre io, stupita, mi rendevo conto di avere delle braccia. Non potevo muoverle, ovviamente. Ma potevo sentirne il peso e cercare di stringere le dita; avvertivo qualcosa di morbido sotto i polpastrelli – le lenzuola?

"Mi dispiace. Allo stato attuale... Isabella sta guarendo bene. Purtroppo, però, temo che non potrà mai avere figli."

La notizia mi bloccò per un attimo. Ma io avevo già una figlia. E non era poi così importante.

Voglio dire, non mi ero mai immaginata come una madre, no? Solo qualche settimana prima, ero ancora convinta di voler diventare un vampiro. Essere immortale prevedeva la sterilità.

Adesso i miei piani erano cambiati, ma non avevo mai comunque pensato di mettere su famiglia.

E una figlia ce l'avevo.

Elisabeth.

Elisabeth, piccola, bellissima. Lontana.

Il disappunto mi uscì con un sospiro e io ritrovai le labbra.

"Bella?"

Di nuovo la sedia si mosse.

"Le lasci tutto il tempo che serve, signor Swan. Mi chiami quando apre gli occhi."

Non ci fu nient'altro.

Cotninuai a concentrarmi sullo stringere le mani. Piano piano, poco alla volta, il resto di me emerse.

Gambe, la testa.

Il ventre mi aveva mandato una fitta di dolore, costata un altro sospiro. E quando riuscii a stringere del tutto i pugni, trovai anche gli occhi.

La luce mi trafisse, facendomeli chiudere subito. Li riaprii poco a poco, mettendo a fuoco la scena e fissandomi sul viso di Charlie, che era chinato sopra di me e mi guardava con preoccupazione e sollievo.

"Bella? Va tutto bene, tesoro." mi stava dicendo "Va tutto bene. Sei viva."

Ero viva.

E non potevo esserne più felice.

 

***

 

Le cose non ci misero molto per peggiorare.

Dal punto di vista fisico stavo bene. Avevo ancora il bacino rotto, che si stava saldando pazientemente. Il ventre mi dava noia per il dolore, ma continuavo a prendere delle medicine e anche quello, piano piano, stava passando.

Il fatto era che, beh, non avendo avuto molto tempo per pensare e non avendo avuto in ogni caso alternativa, non avevo fatto i conti con Charlie.

"Bella. Devi dirmi cos'è successo, lo capisci, vero?"

Ero tornata a casa da poco più di tre giorni, e mio padre non aveva mai smesso di fare domande.

Come sempre, girai lo sguardo e mi misi ad osservare fuori dalla finestra. Avevo le labbra cucite e pensavo a Elisabeth.

Il suo peso caldo su di me. Il suo morso sul mio seno.

Come stava adesso? Era con Jacob; dovevo credere che sarebbe andato tutto bene o sarei impazzita.

Ma quanto sarebbe cambiata? Ricordavo gli occhi color nocciola... I miei occhi.

I miei occhi in un volto perfetto di porcellana.

Charlie si spostò fino a coprirmi la visuale.

"Bella, abbiamo trovato una sorta di... Circolo woodoo con un falò, carcasse di alci bruciate e sangue. Il tuo sangue. Devo saperlo, Bella. E' stato Jacob?"

Serrai ancora di più le labbra, ma scossi la testa.

Non potevo dirlo a Charlie. Non era un segreto solo mio; nonostante tutto, non potevo tradire i Cullen.

E non potevo tradire la mia bambina.

"Bella..."

Sospirai.

"Non è colpa di Jake. Jake mi ha salvata."

Almeno questo glielo dovevo. Non potevo rivelare il segreto dei vampiri e dei lupi, ma quello sì.

Jake doveva uscirne pulito. Anche se non sarebbe potuto tornare dalla propria famiglia per un bel po' di tempo...

Cercai di scacciare il senso di colpa deglutendo. Jacob aveva fatto le sue scelte, almeno; io, in tutto questo, ci ero stata costretta. Non me ne pentivo, però. Non ora che ero viva, e che era viva anche la mia bambina.

"E' stata una donna a portati in ospedale, Bella. Anche lei indiana. E alla riserva sembra che da un po' di tempo manchi Leah."

Scossi di nuovo la testa, piano, sottraendomi al suo sguardo.

Elisabeth. Dovevo pensare a Elisabeth e a nessun altro.

Fu il turno di Charlie di sospirare. Tirò verso di sé la vecchia sedia a dondolo e ci si lasciò cadere, incrociando le mani davati al viso.

"Bella, così non va bene. Non sei coinvolta solo te, lo capisci, no? Jacob e Leah sono i figli dei miei due migliori amici. Perché non collabori? Riesci a pensare a quanto sia difficile tutto questo per me?"

Elisabeth.

Dovevo pensare solo... Solo...

"... Beth."

"Cosa? Cosa hai detto?"

Sobbalzai. Non mi ero accorta di averlo lasciato uscire. Chiusi le mie labbra più strette fra loro.

"Bella..."

"Jacob e Leah non c'entrano, papà. Devi credermi. Fidati di me su questo."

Charlie scosse ancora la testa e uscì dalla mia camera.

Il giorno dopo venne una psicologa.

Sapevo che mio padre era davvero preoccupato per me, ma io non potevo dargli le risposte che cercava. Semplicemente non potevo.

E ogni giorno che passavo senza poter vedere Elisabeth, era un giorno in più in cui mi sembrava di impazzire lentamente.

Nemmeno lontanamente paragonabile rispetto a quando avevo sofferto per Edward. Lui, dopotutto, vampiro o non vampiro, era solo un ragazzo.

Elisabeth era il mio futuro, lo sapevo. Parte di me, perfetta e unica. Sapevo di dovermi fidare di Jacob, ma più il tempo passava e più restavo in ansia.

Ovviamente la psicologa non riuscì a farmi dire nulla. Venne ancora, e ancora – rimasi sempre in silenzio, osservando fuori dalla finestra.

Alla fine Charlie chiamò anche Jessica e Angela, Mike e gli altri.

Rimasero tutti in camera mia a chiacchierare del più e del meno, con la scusa di portarmi gli appunti di ciò che mi ero persa – neanche un mese di scuola.

Ero cambiata, dentro e fuori; avevo avuto paura di morire ed ero scappata di casa; mi ero appoggiata a Jacob come a nessun altro e avevo dato alla luce mia figlia. Avevo lasciato alle spalle il mio passato pensando di dover fare un salto nel nulla, e ora mi ritrovavo con un futuro tutto da scrivere e una figlia lontana. E tutto questo in meno di un mese.

Gli altri non avrebbero mai capito. Nessuno avrebbe mai capito. Posto di poterne parlare a qualcuno, posto che il soprannaturale diventasse una cosa scontata e di dominio pubblico.

Nessuno poteva capire come mi sentivo io.

Dopo di quella giornata infernale, fatta di occhiate spaventate e confuse, di sorrisi tirati e di silenzi da parte mia, solo Angela tornò a trovarmi.

"Non importa, sai." mi disse "Sono qui per aiutarti a fare il bagno e a studiare e nient'altro. Non devi aprirti per forza. Però sembra che il segreto che ti porti dentro pesi, e quindi sono qui semplicemente per tenderti una mano."

Più volte avevo constatato come Angela possedesse una comprensione profonda delle cose e come al contempo ruscisse ad essere delicata e poco insistente, pur facendo sentire la propria presenza.

"Mi chiedo quale sia il tuo talento." risposi, prendendo la mano che mi offriva e cercando di alzarmi. Non camminavo moltissimo; riprendersi prevedeva tempi lunghi, eppure continuavo a insistere.

Mentre mi appoggiavo a lei per andare verso il bagno, pensai davvero a che talento avrebbe avuto Angela come vampiro. Qualcosa di simile ad Edward? Era troppo calma per il talento di Jasper, ma aveva comunque il dono di farti sentire a tuo agio, quindi...

"Non ho nessun talento." rispose lei, sorridendo leggermente.

"Ma se potessi avere un superpotere, cosa ti piacerebbe?"

Chiacchierammo così tutto il pomeriggio, di cose inutili e di cose incredibili, nessuna presa sul serio. Lei non nominò mai la mia disavventura e io non dissi niente. Però fu piacevole.

Un piccolo intermezzo sereno mentre il pensiero di mia figlia lontana mi lacerava dentro.

E finalmente, dopo più di una settimana che ero a casa, quando Charlie era contento di vedermi stare meglio ma preoccupato perché non gli dicevo nulla, durante la notte qualcuno colpì la mia finestra.

Mi alzai a fatica, ringraziando di non aver preso ancora il sonnifero. Da quando ero tornata, ormai era d'obbligo. Oltre ad aiutarmi con il dolore, mi impediva di blaterare cose su lupi, vampiri e figli vari mentre ero a portata d'orecchie di Chiarlie.

Spalancai la finestra dopo che il secondo sassolino l'ebbe colpita, ma non vidi nulla.

"Spostati!"

Era stato poco più di un sussurro nel vento. Mi feci da parte e Leah entrò con un salto.

I capelli le erano cresciuti in maniera disordinata; indossava gli stessi vestiti di sempre e a dirla tutta non aveva proprio un buon odore. Non fu per quello, però, che non mi avvicinai subito a lei per abbracciarla.

"Lei dov'è?"

"Sta bene, non preoccuparti."

"E allora dov'è? E Jake?"

Leah mi sorrise.

"E' bello vedere anche te, Bella."

"Oh, Leah, mi spiace. Ma è così tanto che aspetto!"

Mi lanciai fra le sue braccia per quanto le mie ossa malandate mi consentirono, e lei mi strinse piano per evitare di farmi male.

"Vieni, sediamoci un attimo."

"E mi dici cosa stanno aspettando?"

"Credo che Jacob abbia paura."

"Paura?" chiesi, perplessa "E' successo qualcosa a Elisabeth?!"

"Sht! Elsie sta bene, non preoccuparti."

"... Elsie?"

"E' così che la chiama Jake. Scusa."

Scossi piano la testa.

"No, va bene, mi sembra carino. Perché Jacob ha paura?"

Leah si sistemò meglio sul letto. Non mi guardava negli occhi e sembrava incapace di esprimersi. Attesi venti secondi, poi incalzai.

"Leah?"

"Ecco... Ti ricordi... Ti ricordi quando ti ho parlato delle leggende dei Quileute? Quando ti ho parlato di Sam?"

Io annuii. Mi concentrai al meglio sulle sue parole, cercando di non perdere la pazienza.

Volevo solo vedere mia figlia, perché quell'idiota di Jacob stava facendo tutta questa scena?

"L'imprinting è un fenomeno non controllabile, come sai... Quello che non sai è che, beh, non sempre si concretizza in un rapporto romantico."

Alzai un sopracciglio, leggermente scettica.

"Voglio dire... Il lupo che subisce l'imprinting diventa ciò di cui l'altra persona ha bisogno."

"... Non capisco. Emily aveva bisogno di rubare il ragazzo alla sua cugina preferita?"

Leah strinse appena le labbra e la fissò negli occhi.

"E' più una questione di età, in realtà."

"Età?"

"Mh... Per esempio... Si narra che un nostro vecchio capo tribù, un lupo ovviamente, avesse preso sotto la sua ala la figlia della sciamana. Che non le desse molta importanza fino a che non si fu trasformato; improvvisamente, invece, dopo il primo giro di ronda con il branco, quando ancora era un ragazzo, tornò a casa e la scorse sul mare a cogliere conchiglie. E non la lasciò più."

"Leah..."

"Insomma, all'epoca quella bambina aveva otto anni. E per altri otto lui fu per lei un padre e un fratello impeccabile. Solo quando lei raggiunse la maggiore età e fu iniziata ai misteri della vita e delle donne, si concesse di chiedere la sua mano."

"Leah... Non capisco..."

Leah fece un'espressione incerta e anche un po' spaventata. Si allontanò appena, piegando il busto all'indietro.

Fu quel gesto, così inaspettato, che mi fece aumentare il battito cardiaco.

Da qualche parte, dentro di me, lo sapevo. L'avevo capito da subito e semplicemente non volevo ammetterlo.

"Non..."

"Jacob ha avuto l'imprinting con Elsie." disse Leah, tutto d'un fiato "Ti prego, non uccidermi, ambasciator non porta pena, giusto?"

Non persi neppure tempo a risponderle. Mentre lo diceva l'avevo fissata con occhi spalancati, incredula e furiosa, ma adesso sapevo esattamente cosa doveva fare.

Mi alzai e tornai alla finestra.

"Jacob Black! Vieni qui, subito!"

Un profondo grugnito lontano mi ricordò che non ero sola in casa e che Charlie poteva svegliarsi da un secondo all'altro.

Mi feci da parte e Jake saltò in camera mia, stringendo a sé qualcosa.

Tutta la furia evaporò in un istante. Elisabeth aveva il volto rivolto verso di me, e mi osservava.

Era bellissima.

I suoi occhi erano la perfetta copia dei miei. Non solo nel colore, anche nel taglio. Mi scrutava con un'espressione neutra che conoscevo bene, valutando il mondo con il mio stesso metro di giudizio.

Le ciglia che emergevano dalle palpebre, però, erano ramate. Ramati erano anche i suoi capelli, lunghi e mossi, che le cadevano oltre la schiena, stretti fra lei e il petto di Jacob. Il suo volto era pallido, ma non il pallore malato dei vampiri: una vampata di colore permaneva sulle guance e le sue labbra, anch'esse rosee, erano ferme in un'attesa morbida.

Era la piccola copia di Edward. La mia presenza, la mia ingerenza su di lei, a sorpresa, l'aveva migliorata anziché penalizzarla.

La fissai negli occhi per un lungo istante. Il dolore che avevo provato, la mancanza di lei... La vita che avevo vissuto, le scelte sbagliate e il mio amore per Edward si erano riunite tutte in questo istante; il primo istante in cui potevo ammirare mia figlia in tutto il suo splendore, riconoscerla e riconoscermi in lei.

All'improvviso, capii come si dovesse essere sentito Jacob. Non sapevo nulla dell'imprinting, nulla dei lupi, ma potevo comprendere come tutto perdesse di significato, di fronte all'amore che provavo per mia figlia e che era sbocciato in maniera così naturale.

"Elisabeth." sussurrai, tendendo le mani. Non mi ero neanche disturbata a fissare Jake in faccia.

Ed Elisabeth, una creatura già perfetta così, sorrise. La sua gioia incendiava ogni cosa. La sua felicità, finalmente compresi, era il motivo per il quale sarei andata avanti nella vita, sempre e comunque.

Solo per lei.

Tese anche lei le mani verso di me, e Jacob l'avvicinò quel tanto che bastava perché la prendessi in braccio.

"Ti devo avvertire, Bella." dissi, e riconobbi la sua voce dolce, molto più delicata e soffice di quanto fosse mai stata "Lei ha un dono."

Non fece nemmeno in tempo a finire la frase che Elisabeth mi toccò una guancia. Improvvisamente, il mio mondo si ribaltò ancora.

Vidi la terribile scena del parto. Il volto di Leah che si allontanava e lei che avvertiva la consistenza calda e morbida del mio seno. Vidi il mio volto, i miei occhi riflessi nei suoi. Il mio sorriso meravigliato, dietro uno sguardo di dolore.

"... Oh." dissi solo, barcollando leggermente all'indietro. Leah mi sorresse e mi aiutò a sedermi sulla sedia a dondolo.

"Cosa ti ha mostrato?" chiese Jake.

Per la prima volta, tolsi gli occhi da mia figlia e alzai lo sguardo su di lui. Si manteneva a distanza, l'espressione dispiaciuta, ma non riusciva a trattenere una traccia di curiosità. I suoi occhi scivolavano sempre su Elisabeth, perdendosi nell'estati, ma stava facendo di tutto per controllarsi e perché non me ne accorgessi.

Sbuffai.

"Il mio viso." dissi "Il giorno del parto."

"Sì, lo fa spesso. Era impaziente di rivederti." disse Leah, sedendosi sul bordo del letto.

"Che cosa... Che cos'era quello?" chiesi, tornando a guardare Elisabeth.

"Il suo dono." rispose Jake "Riesce a mostrare agli altri i propri ricordi, semplicemente attraverso il tocco."

Io annuii.

"Elsie? Vuoi mostrarmi qualcos'altro?"

Lei si girò verso Jake, che annuì. Sbuffai un'altra volta. Dopodiché mia figlia mi toccò di nuovo la guancia, mostrandomi ogni cosa.

Restai a godermi le prime settimane di vita di mia figlia. Non avevo cuore di chiudere gli occhi, perché il suo volto era perfetto e i ricordi chiari nella mia mente; non confondevano affatto la mia vista né viceversa.

A quanto pareva, Jake e Leah non avevano fatto altro che correre per i primi due giorni. Lontani, verso nord, per mettere il più possibile distanza fra loro e l'ospedale.

Elsie era rimasta sempre in braccio a Jacob, nuda; le uniche volte in cui non era con lui era perché Leah le aveva preso una preda e lei stava mangiando, ma Jake rimaneva sempre a massimo mezzo braccio di distanza.

Dopo la fuga, una volta accertato di essere abbastanza distanti, montarono finalmente la tenda. Jake la lasciò per la prima volta sola per andare a mangiare; dopodiché fu Leah ad allontanarsi, tornando solo in serata con alcune provviste, dei vestiti per Elisabeth – che era cresciuta parecchio, in soli due giorni – e un giornale arrotolato fra i denti.

"E' viva." disse, come prima cosa, una volta ritrasformata. Jacob aveva appena finito di mettere una tutina ad Elisabeth "Charlie l'ha rintracciata. Parlano di terapia intensiva e prognosi riservata, comunque."

Jake annuì, poi rispose ad una domanda silenziosa di Elsie.

"Sì, è la mamma. Adesso non sta tanto bene ma vedrai che fra qualche tempo andremo a trovarla."

Mi godetti altri giorni pigri, passati a correre, cacciare, mangiare. Il sapore del sangue animale era strano. Avvertivo un lieve disgusto in Nessie; sentivo l'odore e il sapore che sentiva lei, eppure mi era totalmente estraneo. L'unico modo che avevo per comprenderlo era pensare a ciò che io avevo sentito la prima volta che l'avevo assaggiato, mentre la portavo nel grembo. Era così... Disorientante.

Dopo alcuni minuti, o forse ore, in cui avevo ignorato palesemente i miei ospiti per continuare a guardare Elsie e i suoi ricordi, qualcosa cambiò in essi. Sfarfallavano, sembravano sempre più evanescenti.

"Cosa..." iniziai, ma prima che potessi finire la frase lei sbadigliò e chiuse le palpebre, addormentandosi. La sua mano scivolò via dalla mia guancia.

"Oh." esclamai "Non sapevo... Non sapevo che dormisse."

"E' stata una grande sorpresa anche per noi." mi rispose Leah "Dovevi vedere Jacob la prima volta che è successo, era in ansia come una mamma chioccia e credeva che le fosse successo qualcosa. Si è calmato solo quando ha avvicinato il viso al suo e l'ha sentita respirare."

Jake afferrò un cuscino e glielo tirò addosso, ma Leah si limitò a ghignare e non colse la provocazione.

"Sì, beh." disse quindi Jake, lanciandole un lampo d'odio con gli occhi "Questo, almeno, ha reso le cose più facili, poi. Elsie dorme sempre almeno otto ore a notte; in questo modo anche io e Leah siamo riusciti a dormire senza il terrore che sgattaiolasse via da qualche parte."

"Sgattaiolasse?"

Jake strinse leggermente le labbra.

"Dopo pochi giorni dalla nascita, ha iniziato a gattonare. Una settimana dopo... Si è alzata in piedi e ha corso. Sa anche già parlare, ma preferisce mostrare."

Con un brivido, abbassai di nuovo lo sguardo su mia figlia. Accecata dall'amore che avevo provato vedendola, non avevo davvero fatto caso alle differenze fra questa Elsie e quella che, appena due settimane prima, era uscita dal mio ventre.

Era cresciuta.

In poco meno di un mese dentro di me si era formata una bambina, nata sana e a termine. Due settimane dopo, Nessie sembrava già dimostrare alcuni mesi di età, sedeva a schiena dritta e, stando a Jake, poteva camminare, correre e parlare.

Era presto.

Era troppo presto.

Il mio cuore cominciò ad accelerare, così come il mio respiro. Leah prese Elsie dalle mie braccia mentre Jake si inginocchiava davanti a me, afferrandomi le mani.

"Bella. Bella, calmati."

"E' presto." sussurrai "E' presto."

"Lo so." rispose Jake.

Poco a poco, riuscii a combattere la crisi di panico che minacciava di sopraffarmi.

"Che facciamo?" chiesi infine, quando della paura rimaneva solo un lieve tremito nella voce.

Jake chiuse gli occhi e scosse piano la testa.

"Ragazzi, credo che sia il caso che voi parliate da soli."

Sia io che Jake lanciammo un'occhiata a Elsie, profondamente addormentata fra le braccia di Leah. Lei sbuffò.

"Va bene, va bene, ve la lascio qui."

Jacob mi aiutò ad alzarmi dalla sedia a dondolo e a rimettermi a letto. Poi fece il giro e si sedette dall'altra parte, stretto a me perché c'era pochissimo spazio e lui era immenso. Leah depose Elsie fra di noi e uscì dalla finestra, accostandola dietro di sé.

"Torno fra qualche ora." sussurrò, appena più forte del vento.

   
 
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