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Autore: Smaug The Great    21/12/2019    6 recensioni
|INTERATTIVA| The Umbrella Academy AU|ISCRIZIONI APERTE FINO AL 8/12
L'Umbrella Academy è stata, per cinque gloriosi anni, la squadra anti-crimine del mondo magico: un gruppo di bambini prodigio, baciati dal destino e dotati di abilità magiche fuori dall'ordinario, messi al servizio della giustizia da un padre celeberrimo. Padre adottivo, in realtà. Perché i nove ragazzini dell'Umbrella Academy sono nati nello stesso momento ma in posti differenti e sono, soprattutto, frutto di una profezia centenaria che ne decantava la lotta contro il male magico. E per cinque anni, dai dodici fino al diploma a Hogwarts, è stato così.
Poi i bambini sono cresciuti e l'Accademia si è disgregata, crollata dall'interno per le più svariate ragioni. A distanza di otto anni, si riunisce per il funerale dell'uomo più celebre ed enigmatico del Mondo Magico. Octavius Cleremont è morto, solo e in una stanza di ospedale, delirando su nemici invisibili che volevano la sua testa.
E ora, mentre i suoi figli si ritrovano dopo anni e si incastrano nel puzzle della sua morte, i nemici brindano sulla sua tomba e tornano a complottare nell'ombra.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Note prelettura: intanto grazie per essere tornati su questa storia che, onestamente, non so se sono davvero pronto a pubblicare. Ma in fondo devo. Ho ritardato la pubblicazione di questo capitolo di più di una settimana per alcuni problemi che ora ho bisogno, per il benessere della mia coscienza e della vostra, di elencarvi. Alla stesura difficoltosa e a impegni vari si è aggiunta la scelta degli original characters.
Mi so sono ritrovato, mio malgrado ben tre volte, a dover scegliere tra due o più personaggi molto diversi tra loro ma con il potere in comune. In alcuni casi è stato possibile risolvere questa omodinamia –vi prego di ignorare i miei neologismi–, in altri no. Alcuni personaggi si sarebbero inseriti nella storyline meglio di altri, mentre qualcuno era costruito con più accuratezza, addirittura mi sono arrivati personaggi coscritti. Insomma, un’apocalisse nella mia povera casella di posta.
Detto ciò, vi ringrazio moltissimo e vi prego di non prendervela troppo per le scelte che ho fatto.
Ci leggiamo a fine capitolo.

 
 


 Smaug the Great

 
 
 
The Umbrella Academy
 
Octavius Cleremont
Deceduto
 
 
                                                             Octavius-Cleremont  

Rigel Cleremont, Numero Uno
 Russo. Ex Serpeverde. Bisessuale. Umbrakinesis
Seven Nation Army -White Stripes

Numero-1-Rigel-Cleremont


Ezra Cleremont, Numero Due
Neozelandese. Ex Serpeverde. Eterosessuale. Specchio.
Brother -Matt Corby
  
Numero-2-Ezra-Cleremont  


Caesar Cleremont, Numero Tre
Italiano. Ex Grifondoro. Eterosessuale. Pain Vocation.
Riot -Three Days Grace 
 
Numero-3-Caesar-Cleremont  


Hillevi "Levi" Cleremont, Numero Quattro
Svedese. Ex Tassorosso. Eterosessuale. Psicocinesi.
Bury a friend -Billie Eilish
 
Numero-4-Hillevi-Cleremont


Antoine "Tony" Cleremont, Numero Cinque
Francese. Ex Tassorosso. Omosessuale. Possessione sensoriale.
Heavy -Linkin Park 
 
Numero-5-Antoine-Tony-Cleremont  


Oliver Cleremont, Numero Sei
Giapponese. Ex Tassorosso. Eterosessuale. Pain Absorption.
Good Time -Owl City 
 
Numero-6-Oliver-Cleremont  


Artemis Cleremont, Numero Sette
Canadese. Ex Corvonero. Eterosessuale. Biomanipolazione.
Into the Unknown -Idina Menzel
 
Numero-7-Artemis-Cleremont
 

Esmeralda Cleremont, Numero Otto
Cubana. Ex Corvonero. Bisessuale. Rigenerazione e guarigione.
 Heaven -Solence
 
      Numero-8-Esmeralda-Cleremont  


Alexis Cleremont, Numero Nove
Finlandese. Ex Grifondoro. Omosessuale. Psicometria.
 False Confidence -Noah Kahan
 
                                                               Numero-9-Alexis-Cleremont-gif  
 
 

 
Il Decimo Reggimento
 
Elijah Stone, Zar
32 anni. Tedesco. Bisessuale.
 If I had a heart -Fever Ray
 
source  

Kasumi Ishikawa, Kitsune
24 anni. Giapponese. Eterosessuale.
 Natural -Imagine Dragons
 
Kitsune-Kasumi-Ishikawa

 
Nasheeta Ayed, Sfinge
22 anni. Egiziana. Eterosessuale.
 We are young -Fun
 
Sfinge-Nasheeta-Ayed
 

Gideon Reed, Apollo
27 anni. Scozzese. Bisessuale.
Welcome to the jungle -Guns n Roses

 
 
                                                                RQqcTx  
 
 
 
 
 
Capitolo I
Il Vasto Mondo
 
 
“«E oltre il Bosco Selvaggio?» chiese Talpa.
«C’è il Vasto Mondo» disse Topo «ma quello non ci riguarda»”
Il Vento tra i Salici
 
 
 
 
 
14 Settembre 2001, Londra, Umbrella Academy
 
«Concentrati, Numero Sette» la voce di Octavius era pietra, una manciata di sillabe che filtravano tra denti dritti.
La sua freddezza stonava con il clima ancora tiepido dell’estate britannica che, a settembre inoltrato, ancora non voleva saperne di cedere il passo all’autunno; assomigliava, più che altro, alle nubi plumbee che da un paio d’ore incombevano da est e che non avrebbero risparmiato neanche loro. L’Umbrella Academy –che per i nove bambini che ne facevano parte era semplicemente casa– era uno splendido palazzo di epoca vittoriana, di pietra brunastra e in più punti baciata dall’edera, che si trovava a Rosewood, il quartiere più altolocato –“più nobile” soleva dire Octavius, con il mento alzato– di tutta la Londra Magica.
Nella quiete del tardo pomeriggio, i raggi di sole accarezzavano in giardino due figure: una flessuosa e rigida ed elegante, l’altra più piccina ed esile. La prima era in piedi e guardava dall’alto dei suoi centottanta centimetri la seconda, che invece era inginocchiata sul prato e puntava invano le manine tesissime verso l’erba bruciacchiata dal caldo. La scena andava avanti da almeno un’ora e Numero Sette era stremata. Se a inizio pomeriggio si era ripromessa di metterci tutta se stessa, di ottenere con le buone o con le cattive dei risultati e di risvegliare la sua magia, ora –ora che i lunghi capelli cinerei erano spettinati dal vento, ora che aveva la fronte imperlata di sudore, ora che la gonnellina blu dell’uniforme era sporca di verde e la camicetta spiegazzata– ne aveva abbastanza.
Fosse stato per lei, avrebbe già mollato. Sarebbe tornata volentieri in casa a giocare con i suoi fratelli. Ma papà –perché l’uomo di pietra ed ossa che le stava accanto era e per sempre sarebbe stato “papà”, con la voce fradicia d’amore e di fiducia– era di tutt’altra opinione.
«Non ce la faccio! Proprio non ce la faccio!» piagnucolò la bambina all’improvviso, incrociando le braccia al petto con aria afflitta.
«Bazzecole» l’uomo mise da parte il taccuino su cui stava prendendo appunti e le rivolse la sua attenzione. I poteri di Numero Sette erano tra gli enigmi più grandi dell’accademia: tardi nel manifestarsi, mutevoli e senz’altro legati alla natura, affliggevano da una settimana la piccola Numero Sette e lo stesso Signor Cleremont. Questi, stanco ma per niente spazientito, serrò le labbra in una linea sottile e schiarì la voce. Dopo sei anni, ancora non gli era facile rapportarsi ai suoi piccoli soldati. Si inginocchiò cautamente all’altezza di sua figlia, incurante dell’erba bagnata che avrebbe macchiato i pantaloni «Numero Sette» le disse, nel tono più morbido che potesse permettersi «Dimmi, Numero Sette, cosa ne pensi dei tuoi poteri?»
La bambina bionda alzò su di lui i grandi occhi azzurri e tirò su con il naso «Sento dei bisbigli, ma non riesco mai a capire. E mi piacciono tanto i fiori che ho fatto crescere ieri, anche se sono morti e… e mi piace anche quando gli uccellini mi parlano, però vorrei saper rispondere. Papà, come farò a sconfiggere il male se non so neanche come? I miei fratelli–»
«I tuoi fratelli» la interruppe l’uomo «si allenano proprio come te. E hanno le tue stesse difficoltà, Numero Sette. Non sottovalutarti»
«E se non miglioro mai?» replicò prontamente lei, la voce incrinata dal pianto incombente «E se sento voci e faccio crescere fiorellini per sempre? Papà, che succede se non sono speciale anch’io?»
«Non accadrà, Numero Sette» fu la risposta «So che c’è qualcosa di speciale in te. E io, devi sapere, non sbaglio mai»
A questo, Numero Sette non ebbe di ché rispondere. Quando suo padre parlava, sapeva che doveva relegare ogni pensiero al silenzio. E, quando parlava con lei direttamente era un privilegio, un onore indicibile da cui doveva trarre il massimo perché papà non parlava mai a sproposito. Tante volte, prima, le aveva rivolto la sua attenzione per le più svariate ragioni. Ma mai così. Mai con quell’intensità. Numero Sette non sapeva se sentirsi lusingata, impaurita o confusa. Le aveva detto “c’è qualcosa di speciale in te” e non le venne in mente neanche per un istante di dubitare di quelle parole; i suoi fratelli, certo, glielo avevano detto tante volte, ma con papà era tutt’un’altra storia. Era vero. Doveva essere vero. E allora perché non crederci?
Annuì con convinzione e tentò un sorriso rincuorato.

«Brava, Numero Sette» disse l’uomo -e lei si sentì inondata d’orgoglio- «Ora rimettiamoci a lavoro»
                                                      




 
 20 Dicembre 2020, Londra, Umbrella Academy
 
Fu la prima ad arrivare. Di notte, come una ladra, come un’estranea. Come se quella non fosse casa sua. Come se non le si stracciasse l’anima a vederla così cambiata. La grande cancellata dorata si chiuse dietro di lei con un cigolio sinistro, mostrando il sentiero di ciottoli ed erbacce, illuminato a stento dalla luce della luna. Artemis alzò la bacchetta e mormorò a mezza voce: «Lumos».
Il giardino della magione Cleremont aveva un profumo diverso da quello che aveva lasciato. Foglie morte e pioggia. Le bastò darsi un’occhiata attorno per capire il perché. I cespugli di rose di Octavius, quelli che insieme si erano premurati di far crescere, non c’erano più; o almeno, non come li ricordava. Puzzavano di decomposizione e le loro foglie erano grosse e gonfie, come fossero di piante grasse, con spine più massicce del normale e fiori di un rosso vinaccia che faceva paura. Anche gli oleandri erano in uno stato simile. E la lavanda. E la belladonna. E l’alloro. E tutte le piante del giardino.
Annaspò, al pensiero che era colpa sua. Lei, che se n’era andata dall’unica famiglia che aveva, dalle uniche persone che sarebbero mai state capaci di amarla. Lei che non era tornata a casa per anni, troppo vergognosa del proprio peccato. Lei che, per paura di deludere suo padre, si era negata la possibilità di riabbracciarlo.
L’ultima ad andarsene, rifletté con amarezza, e la prima a tornare strisciando.
Si accorse troppo tardi di star piangendo. Si avviò allora, singhiozzando piano, verso casa.
 
Si richiuse la porta di casa alle spalle con delicatezza, quasi intimorita di far piangere il vecchio legno pregiato. Portava con sé solo un bagaglio, lo stesso con cui se n’era andata tre anni prima.
Appese il cappotto umido all’appendiabiti, volgendo in automatico lo sguardo verso il grande salone d’ingresso con la scala, attendendo qualcuno. Quando si rese conto che non ci sarebbe stato nessun comitato d’accoglienza, decise di andare lei stessa a caccia di esseri umani in quel labirinto di legno e pietra.
Il piano terra –il soggiorno, la cucina, la sala da pranzo e quella da ballo, la dispensa e la libreria– era completamente vuoto. E anche la palestra al piano di sopra lo era. Non osò andare nello studio di Octavius, né le venne in mente la malsana idea di controllare se ci fosse qualcuno in soffitta o, Merlino la salvasse, nei sotterranei. Tutto era avvolto in un’atmosfera irreale, così calma da apparire fuori dal tempo, intoccabile. Non c’era una sola cosa fuori posto, segno che Bizzie doveva essere ancora al servizio dei Cleremont, e non si sentiva un solo rumore eccetto quello dei suoi passi.
Per un attimo, mentre saliva le scale silenziosa, diretta verso la sua camera, le sembrò di essere ancora una sedicenne spaventata, che sgattaiolava in casa a notte fonda dopo un’uscita non autorizzata. Immaginò qualcuno –forse Ezra, o magari Esme– affacciarsi da una delle nove camere sistemate in linee parallele e rivolgerle un’occhiata scandalizzata, prima di fare dietrofront per evitare problemi. Levi l’avrebbe sicuramente coperta, come faceva ogni volta, e la mattina dopo –nella sicurezza di una privacy malferma– Rigel l’avrebbe rimproverata per aver trasgredito le regole e Caesar avrebbe preteso tutti i dettagli della sua serata.
Lo spettro di un sorriso le apparve fantomatico sul volto. Durò solo un attimo. In quella casa non c’era più nessuno: né Ezra, né Esmeralda, né Hillevi, né Caesar. Quando se n’era andata, ben sei anni prima, gran parte dei suoi fratelli era già dispersa, fuori contatto per ognuno dei membri rimanenti dell’Umbrella Academy. E tornare ora, dopo così tanto, non avrebbe cambiato nulla. Meglio non farsi illusioni. Lei stessa, per tutta una vita, si era nutrita di sogni, di speranze utopiche che l’avevano portata alla miseria. Era andata via di casa con la consapevolezza pesante di chi sa cosa sta perdendo, ma anche con la convinzione luminosa di avviarsi verso un futuro roseo, di avere il mondo ai propri piedi.
Aveva fatto una scommessa con il destino.
E nessuno poteva capire quanto davvero avesse perso.
Entrare in camera sua fu come perdere dieci anni di vita, come tornare indietro in un nanosecondo e sentirsi annegare nella nostalgia. Profumava ancora di vaniglia. Dal soffitto pendevano le farfalline di carta incantata che un tempo vagavano per tutta la stanza, senza però allontanarsi troppo dai muri color panna. Il letto era pazientemente ordinato, con la trapunta rosa e il cuscino in piume d’oca e il vecchio peluche di un labrador dagli occhi grandi e gentili, che indossava la sua sciarpa di Corvonero. Sulla scrivania c’erano i suoi libri di botanica, uno specchio con le conchiglie, il suo scrigno di gioielli e persino il block notes con tutti gli appunti che aveva raccolto sui suoi poteri.
Aggrottò la fronte. Effettivamente, c’era qualcosa che mancava.
«Caro Diario,» Artemis sussultò, allarmata «non ne posso più di vivere tra queste mura bellissime. Là fuori mi attende l’ignoto, il Vasto Mondo. E io invece me ne sto qui con la mia famiglia, a difendere un mondo che posso solo guardare dal vetro della mia finestra. Ma io ti dico, è finito il tempo di stare in panchina. Metà dei miei fratelli sono già andati via e i restanti muoiono dalla voglia di seguire il loro esempio; sono tutti stanchi di rimanere qui con le mani in mano, di giocare a fare i supereroi. Beh, quasi tutti» la voce, tinta di amarezza, si fermò per un attimo e lei alzò il mento per impedirsi di scoppiare a piangere lì dov’era «Rigel non ha intenzione di andarsene e io so che dice la verità. Eppure non posso permettergli di incatenarmi a sé e a questa prigione dorata. È tempo per me di andare via e scoprire chi sono. So che, lasciando la mia famiglia senza un motivo plausibile, rischio di perderla per sempre; ma non succederà. Andrà tutto bene. Il Vasto Mondo mi aspetta»
Finalmente, suo fratello si tolse di dosso il velo di oscurità di cu si era rivestito –un trucchetto che il suo potere sapeva fare parecchio bene– e avanzò verso di lei. Reggeva tra le mani il suo diario di tela verde e la traforava con uno sguardo divertito e deluso insieme. Anche lui era esattamente come se lo ricordava: i capelli lunghi e spettinati, una t-shirt nera semicoperta dalla giacca verde, i jeans scuri infilati negli anfibi e un sorriso che era ben lontano dall’essere felice. Non era cambiato di una virgola.
Le andò in contro con il suo passo cadenzato da militare e Artemis non riuscì a percepirlo come una minaccia.
«Allora, sorellina» la voce roca e familiare di Rigel graffiava le pareti della sua anima «ti è piaciuto il Vasto Mondo?»
E per lei non ci fu nulla da fare se non scoppiare a piangere, stretta nel desiderio di rifugiarsi tra le sue braccia.
 
 


 
 
21 Dicembre 2020, Londra, Diagon Alley
 
«Era proprio necessario incontrarci qui
Quando, la sera prima, era giunto nel suo appartamentino di periferia il patronus dello Zar –una magnifica tigre siberiana– era giunto a riferirle che si sarebbero incontrati al più presto, di certo non aveva immaginato quello. Perché, beh, Kasumi non era la maestra del travestimento, certo, però anche lei si rendeva conto che la gelateria di Florian Fortebraccio non fosse il massimo della discrezione.
E invece eccola lì, a mangiare sovrappensiero il suo gelato cioccolato e cocco, in attesa che almeno uno dei suoi compagni di Reggimento la raggiungesse. E infatti, proprio quando iniziava a perdere le speranze, arrivò Gideon. I capelli rossi in disordine, gli occhiali da sole –totalmente inutili nella cupa Londra dicembrina– e la smorfia da divo del cinema stressato lo rendevano tremendamente Apollo.
Lo osservò, silenziosa, accasciarsi su una delle sedie e trarre un profondo sospiro di stanchezza. Ordinò distrattamente un caffè americano e allora, ma solo allora, si concesse di togliere gli occhiali da sole come un giovane Horatio Caine e rivolgerle uno sguardo annoiato.
«Buongiorno» lo salutò Kasumi, con una forte nota di sarcasmo.
«Buongiorno anche a te» replicò «Dormito bene?»
Lei lo guardò come a dire: “che razza di domanda è?”, poi si portò due dita alle tempie e trasse un profondo sospiro «Dopo il messaggio di ieri notte, non sarei riuscita a dormire neanche con una pozione sonnolenta»
«Sei sempre la solita, Kitsune» Gideon piegò le labbra in un sorrisetto pericoloso «Proprio non ce la fai a vedere che le cose stanno andando benissimo, eh? Invece, per quanto tu ti ostini a guardare tutto dalla prospettiva peggiore, abbiamo fatto un lavoro superbo» aveva un’aria stranamente soddisfatta «Nell’Ordine non si parla d’altro»
«Questa potrebbe non essere necessariamente una buona cosa» fece lei «Tu la fai troppo facile. Rimane ancora una seconda parte dell’incarico e vorrei anche ricordarti che il lupo di Cleremont ha trascorso gli ultimi mesi in giro per l’Europa a cercare alchimisti e pozionisti e guaritori. Sai cosa significa?» c’era una certa gravezza nella sua voce «Lui sa»
«E con questo?» ribatté, sfacciato.
«Quanto pensi ci metterà» replicò Kasumi, a voce bassissima «a convincere gli altri membri della brigata mutante che il loro paparino è stato ucciso? Quanto prima che scoprano del sigillo? Guardami negli occhi, Apollo, e ascolta il mio consiglio» gli occhi castani di lei andarono a fissarsi su quelli blu di lui «Non appena finiamo questo incarico, accetta ogni galeone che ti danno, raccogli tutti i tuoi risparmi e non ti farti più vedere. Cambia nome. Cambia faccia. Cambia identità. Reinventati, fa’ come vuoi. Ma sparisci. Perché quando il branco ti verrà a cercare, ti converrà non esistere già da un pezzo»
Gideon faticò a reggere lo sguardo gelido e pesante della sua compagna di Reggimento, che per così tanto aveva conosciuto e mai aveva visto più seria. Quando si erano imbarcati, insieme, in quella missione, nell’assassinio del mago più influente e controverso del loro secolo, entrambi sapevano a cosa andavano in contro: una montagna di galeoni e valanghe di ripercussioni future. Fino a quel momento, però, –e se ne rendeva conto solo ora– aveva visualizzato, più di tutto, il premio alla loro impresa mirabile e la fama imperitura che avrebbe dato loro nell’Ordine. La Kitsune si era, invece, presa sulle spalle le preoccupazioni di tutto il gruppo.
Avrebbe voluto rassicurarla e prometterle che ogni tanto le avrebbe mandato una cartolina dal Canada Francese, per strapparle un sorriso. Purtroppo, non ebbe tempo di risponderle che un’altra voce scavalcò la sua.
«Avete letto i giornali?»
Nasheeta la Sfinge, quel giorno, era stretta in un delizioso cappotto color cammello e stivali con il tacco, i capelli rosa raccolti in uno chignon di fortuna e una faccia divertita e preoccupata al contempo. Sebbene stesse sorridendo, i suoi occhi scuri esprimevano una certa ansia e i suoi compagni non potevano biasimarla; la notte prima, era entrata per la prima volta davvero in azione. Era la più giovane nel loro gruppo e quella –quell’impresa forsennata e miracolosa– era il suo trampolino di lancio nell’Ordine; certo la sua abilità si era rivelata infinitamente utile, ma lei era visibilmente scossa. Tipico dei novellini.
«Eccoti, finalmente»
«Prendi un gelato, festeggia con noi» Gideon la accolse con un sorriso sornione «In fondo ieri abbiamo fatto un lavoro superbo in ospedale. Meriti un premio al modico prezzo di tre galeoni»
«Tre galeoni?» ripeté lei, con la fronte corrucciata «L’Inghilterra è così cara… in Egitto un gelato non costa neanche tre quarti di un galeone. E in Egitto non fa neanche così freddo a Dicembre»
«Cos’è quel muso lungo, Sfinge? Dovresti essere orgogliosa di te stessa; come ti dicevo, ieri è stato un successo»
«Beh, sì» approvò la ragazza, prendendo finalmente posto al loro tavolino «grazie a me»
A Gideon quasi cadde il gelato di mano. Sollevò su di lei uno sguardo incredulo e inarcò le sopracciglia «A te? Grazie a te
«Ragazzi, potreste darvi un po’ di contegno?» si lagnò Kasumi, con gli occhi al cielo. L’ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento era un altro dei loro litigi; soprattutto visto che lo Zar non era lì per fulminarli con le sue occhiatacce.
«Sono stato io» continuava lui, indignatissimo, ma sempre con discrezione «a infiltrarmi nella sala operatoria, a confondere tutti i magichirurghi e a far sì che la vecchia aquila stramazzasse in pace. Io ad imporre l’Imperio all’infermiere e ad assicurarmi che portasse la cartella clinica che io avevo ritoccato quel pomeriggio stesso! In che modo questo è accaduto grazie a te
«Muffliato» mormorò Kasumi, ormai rassegnata.
«Peccato» lo rimbrottò Nasheeta «che nulla di tutto ciò sarebbe servito a qualcosa se io non avessi sviato Cleremont Jr dalla malsana idea di entrare in sala operatoria»
«La stai davvero mettendo così? Per una sera giochi alla crocerossina spaventata e improvvisamente diventi l’eroe del Decimo Reggimento?»
«Non ho detto niente di tutto questo! Dico solo che, senza di me, sarebbe stato una catastrofe e di conseguenza mi merito un po’ di riposo. Una settimana, almeno. Tra l’altro, come volevo dire quando sono arrivata» aggiunse, tirando fuori dal cappotto una copia di La Gazzetta del Profeta «siamo su tutti i giornali»
«Siamo
«Scusa Kits» piegò velocemente il giornale su stesso, così da poterlo mostrare ai suoi interlocutori, e prese a recitare: «“Lutto nel mondo magico: Octavius Cleremont, a sessantaquattro anni, soccombe a una lunga malattia”. Prima pagina» scandì, contenta «E questo è solo la testata più importante d’Inghilterra. Capite che significa?»
«Che faremmo meglio a completare anche la seconda parte del lavoro, prima di commettere qualche colossale errore e finire nell’occhio nel ciclone» rispose Kasumi «E che se lo Zar non arriva entro i prossimi quattro minuti» soggiunse, lanciando un’occhiata al suo orologio da polso «sarò molto, molto irritata»

Gideon inforcò gli occhiali da sole e alzò le spalle «Allora non ci resta che aspettare»
 
 



 
21 Dicembre 2020, Londra, Umbrella Academy
 
«E quindi ora cosa stai facendo?» indagò Artemis, con quel suo tipico sguardo da sorella apprensiva.
Da quando Oliver era arrivato con un corteo di due grandi cani, tanto docili quanto casinisti, era preda delle attenzioni intenerite di Artemis –che, tra parentesi, non aveva smesso un attimo di accarezzare i suoi due nuovi amici pelosi–. Da parte sua, Oliver sembrava sereno, nonostante tutto, e accettava con chiaro sollievo la dolcezza di quella che era stata, in fin dei conti, la sua sorella preferita.
Quando se n’era andato otto anni prima, non appena raggiunta la maggior età, gli era costato molto dirle addio, spiegarle che non sarebbe stato per sempre, che si sarebbero tenuti in contatto. Lei non ci aveva creduto neanche per un attimo, ma ci aveva provato. Ed erano restati vicini per i primi tempi, per anni addirittura. Con il passare del tempo e l’avanzare in vie diverse delle loro vite, però, aveva iniziato a far male quella corrispondenza penosa di nostalgie soffocate e voglia di andare avanti e avevano deciso, in un tacito accordo, di smettere. Ancora pungeva il senso di colpa di non aver mantenuto quelle promesse, eppure… eppure non riusciva a dare interamente la colpa a se stesso.
Era destino che, con la casualità con cui si erano uniti, si sarebbero separati.
Vedersi riuniti ora, invece, quello sì che era strano. Non proprio tutti, a dir la verità, ma in gran parte. Nella splendida cucina dell’Umbrella Academy, disseminati come conchiglie su una spiaggia, i bambini prodigio del Signor Cleremont si guardavano l’un l’altro cercando di riconoscersi. Artemis si era sistemata, aggraziata come una piuma, su uno degli sgabelli del bancone, volta completamente verso Oliver, che sedeva accanto a lei. Esmeralda, invece, sul bancone ci si era seduta direttamente e pescava di tanto in tanto uno dei biscotti appena sfornati che Bizzie aveva lasciato lì. Squadrava con occhio critico quegli adulti che portavano il nome dei suoi fratelli e non somigliavano affatto ai ragazzini pieni di speranze e sogni che avevano lasciato casa anni prima. Esmeralda era stata l’ultima dei Cleremont ad abbandonare il nido per darsi alla vita solitaria, quindi aveva avuto tempo per studiare i motivi dello scioglimento dell’Accademia e tastarne con mano propria le conseguenze. Ora cercava di far coincidere le nuove figure dei suoi fratelli con quelle che ricordava, contandone le differenze e ipotizzando somiglianze. Ezra, per esempio, aveva i capelli più lunghi; Oliver li aveva tinti un po’ di verde, come sognava da ragazzino e come il defunto Signor Cleremont aveva proibito in assoluto di fare. Tony, appoggiato al muro in silenzio, non sembrava per niente contento di essere lì e probabilmente sperava di levare le tende il più presto possibile. Come biasimarlo? Nessuno di loro –eccetto forse Artemis, che si informava allegramente sugli scorsi sette anni di tutti i presenti e passava in giro biscotti allo zenzero– voleva essere lì e nulla escludeva che Rigel stesso aspettasse il momento buono per cacciarli di casa e ritornare alla sua normalità. Hillevi ed Ezra, che in passato erano stati l’uno l’ombra dell’altra, non avevano neanche il coraggio di guardarsi in faccia e continuavano da una buona mezz’ora a spiarsi di sottecchi. E lei, illusa, aveva anche sperato di ritrovare un po’ di pace a casa.
«Al momento lavoro in un cinema» disse Oliver, addentando distrattamente un biscotto a forma di albero di natale «Mi occupo di proiettare i film e mi assicuro che tutti fili liscio»
«E dove… dove hai detto che vivi?» Artemis si portò una ciocca di capelli cinerei dietro l’orecchio e prese un sorso di tè nero.
«Un po’ fuori Londra, in una cittadina nell’entroterra che si chiama Beaconsfield. È un posto tranquillo, abitato da brava gente» Oliver la osservò affogare graziosamente un biscotto nel tè, come faceva anche da piccola –a dispetto delle buone maniere di Octavius– e non riuscì a trattenersi dal sorridere «Ti piacerebbe»
«A me piacerebbe di sicuro» si intromise Esme «Le grandi città mi fanno venire il mal di testa, ormai. Non capisco come ho fatto a vivere a Chicago per gli scorsi quattro anni della mia vita»
«Fidati» Ezra tirò fuori un sorrisetto amareggiato «C’è di peggio»
«Dici?» replicò lei «Se non fosse per il mio potere, a Chicago sarei già morta quattro volte negli ultimi tre anni»
«Esme, ti pare il momento?» la ammonì Artemis, per poi rivolgersi a Numero Due «Quindi tu viaggi molto?»
«Per lavoro» rispose seccamente «Faccio il turnista per magiartisti e magiband in generale, quindi ne ho viste di grandi città e posso assicurarvi che Chicago è solo una delle più famose. Il mondo babbano, in particolare, è pieno di centri di criminalità organizzata che i governi fingono di non vedere»
«Sì, ma ci sono anche posti tranquilli» obiettò Oliver «Nella mia città la polizia è una convenzione. Non ci sono pericoli reali a cui far fronte con le milizie armate babbane… anche se, onestamente, non ho mai capito fino in fondo il loro sistema di vigilanza»
«Tony, tu invece che mi dici della–» Artemis si bloccò non appena i suoi occhi indugiarono un po’ di più sulla figura sottile di Numero Cinque «Tony, hai ricominciato a saltare i pasti? Sei ancora più magro di quanto ricordassi»
«No, è solo…» Antoine maledisse cento volte l’apprensione di sua sorella e pregò di non star arrossendo come un idiota «Mi sono trasferito da poco, ho iniziato un nuovo lavoro, nuovi ritmi di vita e mi sto ancora abituando alla nuova routine» piegò le labbra in quello che sperava fosse un sorriso rassicurante «Sono soltanto un po’ stressato»
Levi, a qualche passo di distanza, non mascherò la sua espressione preoccupata «Dove hai detto di esserti trasferito?»
«Arles, Francia» rispose «Sto cercando di inserirmi nel settore dell’arte babbana»
«Sembra splendido» commentò Numero Quattro, deliziata.
«Già, ma ho anche molto da fare» spiegò Tony «Per questo progetto di tornare in Francia il prima possibile, dopo la lettura del testamento e la divisione dei beni. Spero non la prendiate male, è questione di necessità»
Ezra si schiarì la voce, evitando di incontrare gli sguardi degli altri «Anch’io ho intenzione di andarmene quanto prima possibile»
«Ma come?» Artemis tirò fuori la sua miglior faccia di bronzo «Pensavo che saremmo stati insieme almeno per Natale. Ragazzi, non capite? Questa potrebbe essere la nostra seconda occasione! Non capita a tutti e noi siamo abbastanza fortunati da ritrovarci qui dopo tanti anni. Ne ho parlato con Rigel. Stavamo pensando che almeno per questo periodo potremmo rimanere tutti qui, per non lasciare Bizzie da sola»
Alla menzione dell’elfa domestica di casa Cleremont, nessuno osò obiettare. Un conto era dire di non voler passare il Natale in quel clima un po’ forzato di vecchi rancori ed imbarazzo, un altro era mettersi la mano sulla coscienza e rifiutarsi di tener compagnia a Bizzie, che era stata una madre per tutti loro e che avevano già abbandonato una volta.
«Io resto volentieri per tutto il tempo necessario» annunciò Esmeralda «In fondo questa è anche casa mia e non ci tengo a morire anche a Natale»
«A dir la verità, io avevo già portato le mie valigie» ammise Oliver, con un sorrisetto imbarazzato «Beaconsfield d’inverno diventa piuttosto noiosa e comunque non ho nessun altro con cui passare il Natale. Inoltre Bizzie–» s’interruppe di scatto «Un attimo, qualcuno ha visto Bizzie da quando siamo tornati? Prima ho provato a invocarla, ma non ho avuto fortuna»
«Strano» osservò Esmeralda «Quand’eravamo piccoli, accorreva non appena la chiamavamo, dovunque fossimo»
«Magari lei e Rigel sono occupati» ipotizzò Hillevi «Quando Bizzie e papà avevano da fare, lei non si presentava per ore, anche. Può darsi che stiano facendo qualcosa di importante e non vogliano essere disturbati»
«Oppure non ci riconosce più come suoi padroni» la voce di Ezra cadde pesante come un macigno e tutti si girarono, confusi, verso di lui «Pensateci» insistette «Ce ne siamo andati di casa anni fa e non abbiamo mantenuto i contatti con papà, che era il suo legittimo padrone. Lui non ci ha mai cercati. Non sappiamo neanche se siamo davvero nel suo testamento. Sarebbe logico se ora Bizzie fosse vincolata dal contratto magico soltanto a Numero Uno, che invece è rimasto qui e morirà qui»
«Bizzie non lo farebbe mai» replicò Artemis «Lei ci ama allo stesso modo»
«Sono d’accordo con Ezra» disse Tony «Non è una questione affettiva o di volontà. I vecchi contratti magici degli elfi domestici sono molto obliqui; è anche per questo che, con l’emancipazione elfica del secolo scorso, sono stati creati contratti più chiari. Non vediamo Bizzie da anni. Nessuno di noi si è premurato di venirla a trovare. Rigel invece è rimasto qui e si è preso cura di lei e dell’accademia mentre noi facevamo di tutto per dimenticarcela. Magari è anche giusto che Bizzie non ci riconosca più come parte della famiglia»
«Ma noi…» la voce di Oliver suonò più sottile di quanto non fosse già «noi siamo ancora una famiglia»
Nessuno ebbe il coraggio di rispondere.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autore
E rieccomi qua, in colossale ritardo. Prima di tutto vi ringrazio per la pazienza di aver aspettato e poi per la forza divina che vi ha portati fino a fine capitolo.
Penso di aver già spiegato abbastanza bene le ragioni del mio ritardo nelle note pre-lettura, quindi lascerò cadere l’argomento e passerò alle cose davvero interessanti. Primo capitolo. Che dire? Sono positivo. È stato un po’ duro da scrivere e non ho neanche presentato tutti i personaggi, ma ora ho le idee molto più chiare su come proseguire le vicende e spero di non aver lasciato troppe questioni in sospeso. Perché lo Zar è in ritardo? Qual è la seconda parte del piano? Dove diamine sono Rigel e Bizzie? E perché ho lasciato fuori gli elementi caotici dell’Umbrella Academy?
Vi assicuro, mano sul cuore, che il prossimo capitolo arriverà a breve e darà uno sguardo un po’ più approfondito alle dinamiche familiari dei Cleremont, ai poteri singoli e a tutta l’istituzione dei Cavalieri di Vetro. Nel tanto, spero di aver accontentato le vostre aspettative.
 
 
 
 
Smaug the Great
   
 
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