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Autore: GladiaDelmarre    25/12/2019    7 recensioni
Ennesima sciocchezzuola leggera, che se potessi e se mi venisse concesso l'onore, aggiungerei alla deliziosa raccolta di Laiquendi "Vignettes du poivre et miel".
Crowley è un demone pericoloso, soprattutto quando decide di vestirsi da donna e disturbare la quiete di un angelo innocente. O quasi.
Genere: Commedia, Erotico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Oh, sei davvero impossibile” esclamò Aziraphale alla vista di Crowley, seduto con le lunghe gambe accavallate a un tavolino del St. Jame's Cafè dove si erano dati appuntamento.

 

Crowley alzò appena un sopracciglio dietro le lenti, facendole scivolare lungo il naso e mostrando dal di sopra i suoi occhi ambrati, bistrati di nero.

Prego? È così che ci si rivolge a una signora?”.

 

Signora.

Pff.

 

Quello spudorato si era presentato abbigliato da donna. Coi capelli acconciati come quando, anni prima, aveva interpretato la parte della Tata Astoreth dai Dowling. Gli ricadevano indietro, in onde ordinate e ben pettinate. Portava un rossetto scuro color vinaccia.

L'unica differenza rispetto a quegli anni era l'abbigliamento, sempre nero ma decisamente meno castigato. Non sembrava una quacchera. Nemmeno una donna da postribolo per fortuna, sospirò tra sé e sé l'angelo, ma di certo avrebbe potuto evitare la gonna lunga con lo spacco e le decolletè nere lucide.

 

Aziraphale premette le palpebre tra loro per un attimo, respirando a fondo per calmarsi. Rassegnato ai cambi di pelle di Crowley, a cui dopo seimila anni ancora faceva fatica ad abituarsi, si sedette di fronte a lui.

 

Il St. Jame's Cafè era davvero un bel posto. La struttura di legno color miele faceva da cornice alla splendida vista del parco, bello anche in un tardo pomeriggio di Marzo come quello. I tavolini non erano troppo affollati e si godeva di una bella atmosfera calda e rilassata, con un sottofondo di musica leggera e di chiacchiericcio delle altre coppie sedute a qualche tavolo di distanza dal loro.

 

Passò la prima mezz'ora decisamente sulle spine. Non sapeva mai cosa aspettarsi dal demone, e il fatto di trovarlo vestito da donna non presagiva alcunchè di buono. Dovette però ricredersi: si stava comportando da perfetto gentiluomo – gentildonna, si corresse mentalmente.

Si rilassò, e se fino a poco prima aveva mantenuto una postura rigida, finalmente gli si sciolsero le spalle, si appoggiò appena di più allo schienale, la testa si reclinò di qualche millimetro più indietro.

 

Perfetto.

 

Per Crowley quell'esporsi del collo di Aziraphale fu come agitare un drappo rosso di fronte a un toro infuriato.

 

L'ignaro angelo continuava a parlare del più e del meno, di questo o quel libro (Crowley ascoltava solo con una delle due orecchie e aveva relegato meno di un quarto del suo cervello a quell'attività), quando un brivido gli partì dalla caviglia sinistra e si fece strada su per la coscia, passando dietro alla schiena e fino al collo, facendogli rizzare i capelli più fini e sottili della nuca.

 

Crowley.

Che diamine si è messo in testa?

 

Quasi si strozzò con il vino, sentendo il solletico provocato da uno dei piedi avvolti dalle calze velate che aveva indossato sotto al vestito, che lo stuzzicava adesso all'interno del ginocchio.

 

“Caro, tutto bene? Attento con il vino, non macchiarti il panciotto” gli disse con voce di velluto.

“E' colpa tua” gli sibilò a bassa voce Aziraphale, cercando di pulirsi col tovagliolo. Era arrossito, ovviamente, e guardava Crowley con un misto di rabbia e imbarazzo.

“Non capisco, tesssoro” tubò Crowley con il più dolce dei sorrisi. Come se fosse sinceramente preoccupato. Come se non fosse arrivato a sfiorargli l'interno coscia, serpeggiando verso l'alto.

 

Piantò gli occhi nei suoi facendo scivolare ancor più gli occhiali verso la punta del naso, mostrando il color topazio delle iridi in cui ogni volta Aziraphale si trovava a sprofondare.

Sempre guardandolo, appoggiò lievemente il mento sulla mano destra, inclinando il viso di qualche grado. Sbattè le ciglia, e arrivò a sfiorare la stoffa tesa dell'inguine dell'angelo che gli stava di fronte, premendo poi con un poco più di decisione. Aziraphale aprì le gambe spingendosi più avanti col bacino in un riflesso involontario che un attimo dopo lo fece arrossire maggiormente, mentre il sorriso di Crowley si allargava.

 

Aziraphale non osava muoversi, convinto che chiunque nel raggio di un miglio li stesse osservando, due uomini non più giovanissimi (un uomo e una donna, prego, corresse nella sua testa la voce strascicata di Crowley), che giocavano a fare i ragazzini. Con uno dei due che faceva – dannazione – piedino all'altro.

 

“Piantala” disse nervoso, col respiro un po' corto “Per favore”, aggiunse implorante.

 

Quel tono di voce. Quegli occhi azzurri ed espressivi, che cercavano di mascherare l'eccitazione con uno sguardo severo, come di un maestro di fronte ad un alunno insolente. Ma Crowley conosceva le vie del desiderio molto meglio di lui, e glielo leggeva sulle guance chiazzate di rosso, nella tensione dell'erezione che gli premeva appena sotto alle dita sensibili del piede, ma soprattutto per il denso odore carico di feromoni che gli arrivava trasportato dalla brezza leggera.

 

“Smettere cosa, tesssssoro?” gli chiese impudente, ignorando qualsiasi preghiera mentre continuava a strusciargli addosso il dorso delle dita, allungando la gamba accavallata sotto al tavolo. Torturandolo, spingendo il piede sotto di lui, beandosi di quella pressione pulsante.

“Smettila di toccarmi così! È... inopportuno!”

“Non mi sembri convinto...” ridacchiò Crowley di rimando.

 

Eccitante.

Esasperante, dannazione.

 

Colto dal panico, Aziraphale schioccò le dita della mano sotto al tavolino e la cameriera che gli stava passando accanto con un vassoio carico di cocktail inciampò rovinosamente, rovesciando il contenuto dei bicchieri addosso a Crowley. Lei, mortificata, cercò di pulirlo.

“Non ti preoccupare mia cara, stavamo andando via” le disse Aziraphale sorridendo. La cameriera si allontanò mormorando ancora delle scuse.

 

“Vieni, tesoro” disse all'esterrefatto demone, tirandolo per una mano.

“Oh, hai perso una scarpa tesoro? Via, via, non sei certo Cenerentola” lo canzonò, aspettando che si chinasse per rimetterla al suo posto.

Aziraphale gli diede una sonora pacca sul sedere, piegandosi verso di lui, a sussurrargli lambendogli l'orecchio “Il resto dopo, sfacciata”.

 

   
 
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